giovedì 1 aprile 2021

Il salvatore della patria non esiste (e non ci serve). - Moni Ovadia

 

Gesù ha detto: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Giovanni 8, 32). Questa è tra le frasi più disattese dell’intero Vangelo, la politica come esercizio del potere, ha fondato se stessa sulla perversione programmatica di questo principio. I regimi la verità la fabbricano. Al tempo in cui in Germania si instaurò il nazismo, poteva capitare di leggere sulla stampa ufficiale, notizie di questo tenore: “Ebreo rabbioso azzanna mansueto pastore tedesco!”. Mutatis mutandis, anche nelle democrature si tende, se non proprio a ribaltare le verità, a fare splendere l’ovvio, a far passare per novità luminosa la routine, a riciclare come idea innovativa il già visto e praticato, il merito della questione viene espunto dal confronto e sostituito dalla retorica del consenso a priori.

Ora, con il dovuto rispetto alla competenza in campo economico e finanziario del presidente del Consiglio Mario Draghi, questo non fa di lui un taumaturgo come è mostrato dall’evidenza e neppure l’uomo della provvidenza di cui peraltro non si sente, né si è mai sentito il bisogno, ma che viene evocato sempre per supplire ai deficit di realtà, di serietà e di assunzione di responsabilità di una classe dirigente mediocre e incapace di rimettersi in questione. Tale classe dirigente, pubblica e, in notevole misura privata, vuole mantenere i propri privilegi e per farlo acclama la figura prestigiosa di chi non teme di essere sottoposto al fuoco incrociato ostile e amico perché, per storia e vocazione, non teme i franchi tiratori armati di ordigni che non lo colpiscono. Erigendo detta figura a scudo e lustrandolo con incensamenti abbaglianti, i soliti noti si preparano a fare man bassa del gruzzolo annunciato dal Recovery Fund protetti dai superpoteri del super Mario nazionale, internazionale e globale. L’Italia ne uscirà verosimilmente con le solite diseguaglianze, le inesorabili sperequazioni, gli inguaribili vizi endemici: evasione fiscale, corruzione, mafie. Ma che importa, tanto c’è sempre la post-verità.

IlFattoQuotidiano

Lombardia, il sistema sanitario (privato e pubblico) ha fallito. - Gianni Barbacetto

 

L’Italia ha sempre imparato poco dalla sua storia (Magistra vitae, ma senza discepoli) e niente dalle sue disgrazie (terremoto dopo terremoto, frana dopo frana, esondazione dopo esondazione). Chissà se imparerà qualcosa dalla pandemia. Che il sistema sanitario non abbia funzionato è sotto gli occhi di tutti. Ma riusciremo a riformarlo per ridurre almeno le storture più evidenti? C’è chi è al lavoro per avanzare proposte di riforma, a Roma e a Milano. A Milano i cambiamenti sono più urgenti, vista la disfatta del sistema sanitario regionale lombardo davanti all’assalto del Covid-19. In Lombardia, la super-privatizzazione dei servizi e la super-ospedalizzazione del sistema, che esibivano qualche effetto benefico in tempi “normali”, hanno mostrato tutta la loro inadeguatezza in tempi di attacco pandemico, quando la sanità diventa ancora più vitale. Questo anno di Covid ha mostrato il fallimento non soltanto della riforma sanitaria di Roberto Formigoni, ma anche di quella successiva e ulteriormente peggiorativa di Roberto Maroni (2015), in un’Italia in cui la sanità nazionale è stata (disgraziatamente, per molti) tagliuzzata in 21 sanità regionali. Che cosa cambiare? Sono al lavoro da mesi i “saggi” convocati dal presidente lombardo Attilio Fontana, da cui si distacca il professor Giuseppe Remuzzi, dell’Istituto Mario Negri, che ha presentato nei giorni scorsi le sue proposte. 

Uno. Troppo privato, in Lombardia, dove gli imprenditori della sanità privata sono equiparati al pubblico e dove questo rischia di deperire di fronte al più aggressivo concorrente. Remuzzi propone allora che la contrattualizzazione dei privati sia fatta soltanto per quei servizi che il pubblico non riesce a fare. 

Due. Troppa politica, nella sanità lombarda (e non solo lombarda). I manager, i direttori generali delle aziende ospedaliere, non devono più essere lottizzati e scelti dai partiti.

Tre. Troppo poca sanità territoriale, in Lombardia. Al centro del sistema è stato posto il grande ospedale, con conseguente marginalizzazione della componente territoriale. L’attuale sistema organizzativo è un gomitolo che si fatica a dipanare: da una parte, le Ats (Agenzie di tutela della salute) che dovrebbero presidiare il territorio; dall’altra, le Asst (Aziende socio sanitarie territoriali), il soggetto pubblico che, insieme ai privati accreditati, deve erogare le prestazioni sanitarie e sociosanitarie. Nei poli ospedalieri, innanzitutto, ma anche nella rete territoriale, che però resta debole e inspiegabilmente separata dalle Ats. “Si è perpetuata un’asimmetria tra ospedale e territorio e tra pubblico e privato, in assenza di una cabina di regia super partes”, scrivono i ricercatori del Mario Negri. Poi i malati cronici sono stati affidati ai cosiddetti “gestori”, togliendoli ai medici di base e generando di fatto “reti parallele (di gestori pubblici e privati) in competizione tra di loro e in concorrenza con la medicina di base. Sono così emersi soggetti alternativi al servizio pubblico, svincolati dal contesto territoriale”. Risultato: “Scarsa capacità da parte dei servizi territoriali, impoveriti e disorganizzati, di dare risposte sul territorio ai bisogni socio-sanitari di importanti settori di popolazione come anziani, malati psichiatrici e soggetti socialmente fragili”. Anche prima dell’emergenza Covid. Per gli anziani, infine, è quasi scomparsa l’assistenza domiciliare, a tutto vantaggio delle Rsa, quasi tutte private.

La riforma sanitaria è forse la più necessaria oggi, dopo l’attacco pandemico. La situazione in Lombardia ci dimostra che le incapacità, le sottovalutazioni, gli errori dei governanti e dei loro manager, che abbiamo visto squadernarsi in questo anno-Covid, si innestano in un sistema, quello Formigoni-Maroni, che non funziona e va cambiato al più presto.

IlFattoQuotidiano

L’Onorevole Sospensorio. - Marco Travaglio

 

Si spera vivamente che, dopo tutto il tempo dedicato alle quote rosa nel Pd, Enrico Letta trovi qualche minuto anche per le quote marron. In particolare per Luca Lotti, regista dell’elezione delle nuove capegruppe Malpezzi e Serracchiani. Parliamo infatti del capo della corrente più potente del partito, quella renziana, detta simpaticamente “Base riformista”, che vanta altri big del calibro di Marcucci e Guerini (e, se questa è la base, non osiamo immaginare l’altezza). Rinviato a giudizio per rivelazione di segreto (le microspie negli uffici Consip) e dunque “sereno”, il Lotti è anche uno dei protagonisti del caso Palamara che da due anni terremota la magistratura italiana. Uno scandalo che non gli è costato guai penali, ma deve avergli instillato un vago sospetto di scorrettezza, se sentì il bisogno di “autosospendersi” dal Pd il 14 giugno 2019 in attesa dei “probiviri” (mai visti né sentiti). Sono trascorsi 22 mesi e lui è sempre autosospeso, anche se non si è ben capito cosa ciò comporti, visto che da una posizione così precaria continua a frequentare la Camera (con relativo stipendio) e a fare e disfare nel Pd. Forse è ricorso a un sospensorio, per attutire il penzolamento e garantirsi una certa stabilità. Zinga lo lasciò lì appeso, confidando nell’oblio generale. Ma ora c’è il “decisionista” Letta e una parola chiara dovrebbe dirla, non foss’altro che per liberarlo da quella scomoda postura da insaccato, da caciocavallo, da pipistrello e restituirlo al consesso civile.

Per agevolargli il compito, gli riassumiamo i fatti. Il caso Palamara nasce dagli allegri conversari notturni all’hotel Champagne fra il pm Palamara e i deputati Lotti e Cosimo Ferri (magistrato in aspettativa, all’epoca nel Pd e ora naturalmente in Iv) sulle nomine dei procuratori. Palamara faceva il suo sporco mestiere di capocorrente dedito alle raccomandazioni e alle lottizzazioni togate. Dunque gli intrusi erano Lotti e Ferri. Soprattutto Lotti che, essendo imputato per Consip proprio nella Capitale, tutto avrebbe dovuto fare fuoché occuparsi della nomina dei procuratori di Roma (che indaga su di lui), di Perugia (che indaga sui magistrati capitolini) e di Firenze (che indaga sulla famiglia Renzi). Ieri, forse dimentico persino lui di essere autosospeso, Lotti ha dato un’intervista al Foglio (che non gli ha chiesto di Palamara: certe cose non si fanno) per sciogliere un peana alla nobiltà delle correnti, soprattutto la sua, che ha conservato le “idee riformiste” di Renzi anche dopo la dipartita del de cuius; e per minacciare di “stimolare Letta”, come già Zingaretti. Che fa ora Letta: si tiene Lotti o lo caccia? L’unica cosa che non può fare è lasciarlo lì sospeso a penzoloni. Il sospensorio scricchiola: sta cedendo.

IlFattoQuotidiano

Covid: Oms, vaccinazioni in Europa di una lentezza 'inaccettabile'.

 

Per l'Organizzazione mondiale della Sanità l'attuale impennata dei casi è "la più preoccupante" da diversi mesi. Negli Usa rovinate milioni di dosi d vaccino.

Il ritmo delle vaccinazioni anti Covid in Europa è di una lentezza "inaccettabile": lo ha reso noto l'Organizzazione mondiale della Sanità.

"I vaccini rappresentano il nostro modo migliore per uscire da questa pandemia... Tuttavia, il lancio di questi vaccini è inaccettabilmente lento" e "sta prolungando la pandemia", ha reso noto in un comunicato il direttore dell'Oms per l'Europa, Hans Kluge.

L'attuale impennata dei casi di coronavirus in Europa è "la più preoccupante" da diversi mesi, ha dichiarato l'Oms.

Rovinate milioni di dosi d vaccino, ritardi consegne J&J negli Usa - Un errore umano in uno stabilimento di Baltimora "rovina 15 milioni di dosi di vaccino Johnson & Johnson", causando ritardi nelle consegne negli Stati Uniti.

Lo riporta il New York Times citando fonti federali. L'impianto in causa è gestito da Emergent BioSolutions, partner di Johnson & Johnson e AstraZeneca. Gli ingredienti dei due vaccini sarebbero stati per errore uniti, rovinando milioni di dosi J&J e mettendo in dubbio le consegne del prossimo mese negli Stati Uniti, che dovevano arrivare proprio da Baltimora. Le autorità rassicurano sui vaccini J&J già distribuiti negli Usa perché sono stato prodotti in Olanda.

ANSA (foto vaccini a Roma)

Documenti ad un ufficiale russo, arrestato un militare italiano.

Nella foto l'ufficiale della Marina militare Walter Biot

Ceduti documenti su telecomunicazioni militari, 5 mila euro per le carte segrete.

Un ufficiale della marina militare italiana, Walter Biot (questo il suo nome secondo quanto apprende l'ANSA da fonti inquirenti) è stato arrestato dai carabinieri del Ros, dopo essere stato fermato assieme ad un ufficiale delle forze armate russe: entrambi sono accusati di gravi reati attinenti allo spionaggio e alla sicurezza dello Stato. L'intervento è avvenuto in occasione di un incontro clandestino tra i due, che sono stati sorpresi mentre l'ufficiale italiano cedeva all'altro dei documenti 'classificati' in cambio di soldi.

La posizione del cittadino straniero è tuttora al vaglio in relazione al suo status diplomatico. Il capitano di fregata Biot, sempre secondo quanto si è appreso, è in servizio all'ufficio Politica Militare dello Stato maggiore della Difesa.

Biot e l'ufficiale accreditato presso l'ambasciata della federazione russa sono stati fermati martedì sera in un parcheggio a Roma. L'intervento è stato effettuato dai carabinieri del Ros, sotto la direzione della Procura di Roma, e l'attività informativa è stata condotta dall'Agenzia Informazioni Sicurezza Interna, con il supporto dello Stato maggiore della Difesa.

Documenti classificati esclusivamente di natura militare. E' quanto il capitano di fregata ha consegnato all'ufficiale dell'esercito russo. Lo scambio, in base a quanto si apprende, è avvenuto in cambio di denaro in un parcheggio della Capitale dove i due sono stati bloccati. Si tratta di copie di documenti che erano all'attenzione dello Stato Maggiore della Difesa. Biot fotografava documenti classificati dal monitor del computer e li scaricava su una pennetta da consegnare al militare dell'esercito russo. Questo il modus operandi -secondo l'accusa- del militare italiano. La pennetta è stata sequestrata ieri dai carabinieri del Ros. I documenti riguarderebbero i sistemi di telecomunicazione militare. Alle carte classificate, Biot avrebbe avuto accesso in quanto era in servizio allo Stato maggiore della Difesa.

Cinquemila euro in contanti. E' quanto il militare dell'esercito russo avrebbe dato al capitano di fregata in cambio dei documenti. In base a quanto si apprende i soldi gli sono stati consegnate in piccole scatole. Il denaro è stato sequestrato al momento dello scambio. Sembrerebbe che due si fossero accordati anche su una cifra più bassa, circa quattromila euro, per la cessione di documenti avvenuta in passato. Nei confronti del militare italiano, attualmente detenuto, l'accusa è di procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato, spionaggio politico e militare, diffusione di notizie di cui è vietata la divulgazione.

L'indagine. La Procura militare di Roma aprirà oggi formalmente un fascicolo d'inchiesta sull'arresto degli ufficiali italiano e russo. Lo ha confermato all'ANSA il procuratore militare di Roma, Antonio Sabino. Si terrà domani l'udienza di convalida di Walter Biot. L'atto istruttorio, a causa dell'emergenza coronavirus, si svolgerà da remoto dal carcere di Regina Coeli. Nei suoi confronti le accuse sono di di procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato, spionaggio politico e militare, spionaggio di notizie di cui è stata vietata la divulgazione.

In relazione a quanto riportato dagli organi di stampa circa l'operazione condotta dai carabinieri del ROS, sotto la direzione della Procura della Repubblica di Roma, la Farnesina rende noto che il Segretario Generale del Ministero degli affari esteri, Elisabetta Belloni, ha convocato al Ministero questa mattina - su istruzioni del Ministro Luigi Di Maio - l'Ambasciatore della Federazione Russa presso la Repubblica Italiana, Sergey Razov.

"Confermiamo il fermo il 30 marzo a Roma di un funzionario dell'ufficio dell'Addetto Militare. Si verificano le circostanze dell'accaduto. Per adesso riteniamo inopportuno commentare i contenuti dell'accaduto. In ogni caso ci auguriamo che quello che è successo non si rifletta sui rapporti bilaterali tra la Russia e l'Italia". Lo riferisce in una nota l'ambasciata russa a Roma.

"In occasione della convocazione al Ministero degli Affari Esteri dell'ambasciatore russo in Italia, abbiamo trasmesso a quest'ultimo la ferma protesta del governo italiano e notificato l'immediata espulsione dei due funzionari russi coinvolti in questa gravissima vicenda. Ringrazio la nostra intelligence e tutti gli apparati dello Stato che ogni giorno lavorano per la sicurezza del nostro Paese". Lo scrive su Fb il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

La cessione di documentazione classificata da parte di un ufficiale italiano a un ufficiale delle Forze Armate russe di stanza in Italia "è un atto ostile di estrema gravità" per il quale "abbiamo assunto immediatamente i provvedimenti necessari". Lo ha detto il ministro Di Maio durante una comunicazione al Senato. "Su mie istruzioni - ha ricordato Di Maio - , la Segretario Generale Belloni ha convocato al Ministero questa mattina l'Ambasciatore della Federazione Russa Razov per trasmettere con forza la nostra ferma protesta e notificare l'espulsione di due funzionari russi accreditati presso l'ambasciata a Roma. 

Russia e Cina "sono attori che hanno sistemi politici e valori diversi dai nostri", da cui "provengono anche sfide, e talvolta minacce. Lo dimostrano le accuse di spionaggio nei confronti degli ufficiali italiani e russi", ha aggiunto il ministro. Allo stesso tempo, ha sottolineato, "continueremo ad agire in linea con la nostra collocazione geopolitica e i nostri valori, ma anche a salvaguardare i nostri interessi fondamentali, che richiedono di mantenere un'interlocuzione critica ma costruttiva con la Russia e la Cina".

La Russia spera che i legami con l'Italia possano essere "preservati" nonostante la vicenda di Roma. Lo auspica il Cremlino citato da RIA Novosti.

"Ci dispiace per l'espulsione da Roma di due dipendenti dell'ambasciata russa. Stiamo approfondendo le circostanze di questa decisione. Faremo un ulteriore annuncio sui nostri possibili passi in relazione a questa misura, che non corrisponde al livello delle relazioni bilaterali". Lo ha fatto sapere all'ANSA il ministero degli Esteri russo.

Mosca dovrà rispondere in modo simmetrico alla decisione di Roma di espellere due diplomatici russi dall'Italia: lo ha detto il vice presidente della Commissione della Duma per gli Affari internazionali, Alexiei Cepa, ripreso dall'agenzia Interfax. "Naturalmente saremo costretti a rispondere in modo analogo. Vi sarà una risposta simmetrica", ha detto Cepa a Interfax.

La decisione delle autorità italiane di espellere i due funzionari russi è infondata e avrà un impatto negativo sulle relazioni italo russe. Lo ha detto il presidente della commissione della Duma per gli Affari Internazionali Leonid Slutsky. "La 'spiomania' è arrivata anche in Italia. L'espulsione dei diplomatici è un passo estremo. Sono sicuro che per questo non vi erano ragioni così forti", ha detto Slutsky a Interfax. A suo parere "un tale gesto non corrisponde ad un alto livello di relazioni bilaterali e, purtroppo, imporrà la sua impronta negativa sul dialogo russo-italiano".

ANSA

mercoledì 31 marzo 2021

Quelle tragedie fatte sparire per non perdere consensi. - Andrea Bonanno

Ruggero Razza ex assessore sanità Sicilia

 Ruggero Razza, l'uomo a cui il presidente Musumeci aveva affidato i dodici e passa miliardi di euro di spesa sanitaria, l'avvocato penalista di grido, l'ultimo enfant prodige della politica siciliana. Prima che pronunciasse la frase intercettata quando parlava al telefono con la dirigente regionale dei morti di Covid dello scorso 4 novembre: "Spalmiamoli un poco", diceva l'assessore. Quasi che quelle 19 persone (questo il dato fornito dalla Regione quel giorno) fossero il burro sui crostini, o la crema solare sulla schiena. E invece erano i dati sulle vite spezzate dal coronavirus, che impietoso dilagava pure in Sicilia. Per difendere la faccia, lo smalto, il prestigio politico di un assessore e del suo staff che avevano voglia di fare bella figura con lo Stato e con i siciliani evitando la zona rossa.

E impedire le restrizioni impopolari, dare un'immagine di efficienza di una macchina organizzativa scalcinata, in cui regna l'improvvisazione. "Spalmiamoli un poco", dice l'assessore di Diventerà bellissima, nel tentativo di far quadrare le cifre dei morti. Non era questo l'atteggiamento che ci si aspettava dall'assessore alla Salute in un momento drammatico come quello che la Sicilia e tutto il mondo sta vivendo. Il cinismo dimostrato da Razza e dal suo staff somiglia più a un goffo tentativo di mascherare la verità con una bufala di proporzioni stratosferiche. Una sorta di "non ce n'è Coviddi" ai più elevati livelli.

LaRepubblica

Gran record di bombe dove arriva il bomba. - Tommaso Rodano e Gianni Rosini

 

Corsi e ricorsi. I frequenti viaggi del senatore tra Africa e Paesi del Golfo dove è schizzato il commercio di armamenti sotto il suo governo: da 2,1 nel 2013 a 14,6 miliardi nel 2016.

Matteo Renzi viaggia come se non avesse mai lasciato Palazzo Chigi. La sua carriera da conferenziere attinge al network di rapporti coltivati negli anni da premier. Le aree visitate nell’ultimo periodo, Africa e Golfo Persico, sono le stesse in cui il suo governo ha costruito un record storico in uno specifico settore: l’export di armi. “In tre anni, dal 2014 al 2016, il suo esecutivo ha sestuplicato le autorizzazioni per esportazioni di armamenti”, spiega Giorgio Beretta, analista dell’osservatorio Opal. L’Italia è passata dai 2,1 miliardi di euro del 2013 ai 14,6 miliardi del 2016. Le cifre riguardano tutto il mondo, ma la crescita è concentrata nelle due aree citate: Golfo Persico e Africa Subsahariana.

Africa. I numeri elaborati da Beretta mostrano una tendenza cristallina: negli anni di Renzi, in parallelo alle numerose visite del premier ai leader del continente, le esportazioni di armi verso gli Stati africani sono aumentate in modo esponenziale. Le aziende italiane hanno fatto affari in Etiopia, Congo, Nigeria e Angola, ma il record è in Kenya (dove il senatore ha programmato uno dei prossimi viaggi). Il traffico in direzione Nairobi è iniziato nel 2015 per poi esplodere nel 2017, l’anno in cui l’Italia ha consegnato al governo kenyota tre aerei da trasporto tattico C-27J Spartan prodotti dalla Alenia (per oltre 160 milioni di euro), tre elicotteri AW-109 per impiego militare di Agusta-Westland (44 milioni di euro), 1.500 fucili d’assalto Arx-200 e mille pistole mitragliatrici Mx4 fabbricate dalla Beretta (3,7 milioni di euro). Al governo c’era Gentiloni, ma le autorizzazioni per questi tre grandi contratti risalgono tutte all’anno precedente, l’ultimo di Renzi a Palazzo Chigi.

Qatar. I flussi verso il Golfo Persico sono ancora più consistenti. Nel 2014, la ricca monarchia qatariota era al centro del dibattito internazionale per le accuse di sostegno ai gruppi dell’Isis in Siria – protagonisti di crimini brutali anche contro civili e occidentali – per rovesciare il regime di Assad. Il canale con Doha viene aperto dalla visita del 2014 dell’ex vice ministro degli Esteri, Lapo Pistelli: “Il Qatar non è solo un attore imprescindibile per la stabilizzazione della regione – dichiara –, ma anche un Paese molto ricco, dove è più che opportuno esplorare ogni possibilità di collaborazione”. Nello stesso periodo, nel Paese è volata anche la ministra della Difesa, Roberta Pinotti. A gennaio 2016, l’emiro Tamim bin Hamad al-Thani viene ricevuto a Roma da Renzi e dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Nemmeno sei mesi dopo, a metà giugno, la ministra Pinotti e il suo omologo, Khalid bin Muhammad al Attiyah, siglano il Memorandum per la cooperazione nel settore navale, con la Difesa qatariota che firma anche un contratto con Fincantieri e Mbda per la fornitura di cinque navi militari per circa 5,3 miliardi di euro. L’accordo farà schizzare il valore delle autorizzazioni del 2017 verso il Qatar a oltre 4,2 miliardi e quelle del 2018 a oltre 1,9 miliardi di euro (nel 2015 erano appena 35 milioni, nel 2016 invece 341).

Arabia Saudita. Il commercio di armi è fiorente anche verso l’Arabia Saudita, il Paese del “Nuovo Rinascimento” e di Mohammad bin Salman, “amico” di Renzi e mandante dell’omicidio Khashoggi secondo la Cia. La vetta è nel 2016, con il via libera al famigerato export di bombe prodotte dalla Rwm di Domusnovas verso Riyad, protagonista nel sanguinoso conflitto nello Yemen. L’accordo prevede l’esportazione di circa 20mila bombe Mk80 per un valore di 411 milioni di euro: è la maggiore commessa italiana per munizionamento pesante dal dopoguerra. Come suggerisce il numero di licenza MAE45560 l’autorizzazione è del 2014. L’affare arriva dopo una serie di intensi incontri sull’asse Roma-Riyad: nel 2015 il ministro degli Esteri Adel al Jubeir è in Italia, a novembre dello stesso anno Renzi vola nella Capitale saudita per incontrare, tra gli altri, re Salman e l’allora vice principe ereditario Mohammad bin Salman, a ottobre 2016 a Riyad arriva invece Pinotti. L’export di bombe verso l’Arabia Saudita è stato sospeso nell’estate del 2019 e revocato definitivamente nel gennaio 2021.

Kuwait. L’11 settembre 2015 – pochi mesi dopo una visita di Pinotti nell’emirato –, Renzi riceve a Roma il primo ministro della monarchia, Jaber Mubarak al Hamad al Sabah. In quei giorni viene anche firmato un accordo intergovernativo che porterà, il 5 aprile 2016, all’intesa tra Finmeccanica e Kuwait City per la fornitura di 28 caccia Eurofighter Typhoon. Un affare da oltre 7 miliardi di euro.

IlFattoQuotidiano