venerdì 4 febbraio 2022

MEDIA & REGIME Il Giornale sul tavolo di Angelucci. In dote alle nozze con Libero e Il Tempo porterebbe anche 2 milioni di debiti garantiti dallo Stato. - Gaia Scacciavillani

 

A fine luglio l'editrice di Paolo Berlusconi si aspettava una chiusura d'anno con un rosso di oltre 6 milioni, peggio del previsto. E a settembre i soci hanno deliberato l'ennesimo versamento in conto capitale. Intanto la concorrenza del "gruppo Belpietro" si fa sentire.

Il passaggio di mano del Giornale è a un bivio, secondo La Stampa che nel numero in edicola giovedì 3 febbraio dà per imminente l’addio della famiglia Berlusconi al quotidiano fondato da Indro Montanelli la cui parabola viene assimilata a quella dell’anziano leader di Forza Italia, con una cessione che il giornale degli Agnelli traduce in un simbolo della fine del berlusconismo. Tanto più che a comprare sarebbe la famiglia Angelucci, animata dall’intento di creare un polo editoriale di destra insieme ai suoi Libero e Il Tempo.

Bisogna vedere quale destra e con quali potenzialità, visto che la salviniana Verità di Maurizio Belpietro in edicola tallona Il Giornale da molto vicino e ha una potenza di fuoco, in termini di audience, che include anche le testate settimanali ex Mondadori a partire da Panorama. Senza contare i piani di espansione che, come lo stesso Belpietro ha recentemente dichiarato confermando le indiscrezioni di Dagospia, prevedono il lancio di un quotidiano finanziario.

E proprio la finanza è la nota stonata del nascente polo editoriale della destra targato Angelucci. La parabola del Giornale è infatti costellata di versamenti in conto capitale da parte degli azionisti, essenzialmente Pbf (Paolo Berlusconi) e Mondadori oltre al gruppo Amodei. Il 2020 si è chiuso con una perdita di 8,7 milioni, dopo il rosso di 15 milioni dell’anno prima. Tra i debiti bancari di 7 milioni di euro, la società editrice del quotidiano ne contava uno di 2,2 milioni con la Popolare di Sondrio garantito dalla società pubblica Sace in virtù del decreto liquidità.

A fine agosto 2021, poi, i conti della Società Europea di edizioni evidenziavano una perdita di quasi 5 milioni di euro, tanto che il 30 settembre l’assemblea ha approvato su proposta del cda di procedere a un versamento di altri 3 milioni in conto capitale, dopo i 9 deliberati nel 2020 e i 16 l’anno prima. Inoltre lo stesso cda a luglio 2021 si aspettava di chiudere l’esercizio con una perdita di 6,7 milioni, “in miglioramento rispetto all’esercizio precedente per € 2.002.000 ma peggiorativa rispetto al budget per € 931.000”. La previsione, si legge nel verbale del consiglio del 23 luglio, “registra una contrazione nelle vendite in edicola rispetto sia all’esercizio precedente sia al budget mentre prevede un sostanziale equilibrio come ricavi da raccolta pubblicitaria; complessivamente si rileva una riduzione dei ricavi di € 421.000 rispetto all’esercizio precedente e di € 626.000 rispetto al budget 2021”.

Poi bisognerà vedere la disponibilità del personale, che pure scende sensibilmente di anno in anno e a fine 2021 contava 36 poligrafici e 66 giornalisti, rispettivamente 4 e 12 in meno dell’anno prima, per un costo complessivo annuo di 11,7 milioni (-5 milioni sull’anno prima).

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/02/03/il-giornale-sul-tavolo-di-angelucci-in-dote-alle-nozze-con-libero-e-il-tempo-porterebbe-anche-2-milioni-di-debiti-garantiti-dallo-stato/6480383/

Nokian Tyres presenta un concept tire realizzato con il 93% di materiali riciclati o rinnovabili. - Bruno Allevi

 

Novità in casa Nokian Tyres.

Per decenni Nokian Tyres ha cercato di rendere il mondo più sicuro. Adesso l’azienda raggiunge un altro traguardo, presentando lo pneumatico più sostenibile prodotto finora. Il concept Nokian Tyres Green Step è un capolavoro di innovazione sostenibile grazie alla sua ambiziosa progettazione che include il 93% di materiali riciclati o rinnovabili. In questo modo, l’azienda si avvicina di più al suo obiettivo: entro il 2030, il 50% di tutte le materie prime utilizzate per gli pneumatici Nokian Tyres sarà riciclato o rinnovabile.

Nokian Tyres Green Step apre la strada a una guida più sostenibile.

Nel 2021, Nokian Tyres ha fissato un obiettivo ambizioso: entro il 2030, il 50% di tutte le materie prime utilizzate per gli pneumatici Nokian Tyres sarà riciclato o rinnovabile. Lo pneumatico Nokian Tyres con concept Green Step testimonia l’ingegnosità della divisione Ricerca e Sviluppo dell’azienda e la sua ambizione di rendere la guida più sostenibile.

Tutta la gomma usata nel concept Green Step è naturale e si usano anche oli rinnovabili come l’olio di canola. Quasi tutti i plastificanti, le resine e i coadiuvanti di fabbricazione provengono da risorse rinnovabili. Inoltre, la silice naturale della lolla di riso funziona come riempimento principale per il battistrada e il fianco, e la fibra di corda rinnovabile è usata per rendere lo pneumatico più resistente.

La quota di materiali riciclati aumenterà in futuro.

Quasi ogni componente del Green Step include anche alcuni materiali riciclati. Per esempio, il nerofumo usato nelle mescole di gomma è stato ricavato da pneumatici fuori uso, e il butile usato nella superficie interna così come l’acciaio delle cinghie e dei cerchietti nella struttura sono principalmente riciclati.

Vantaggi per gli automobilisti di tutto il mondo.

Il Nokian Tyres Green Step è uno pneumatico invernale che può essere utilizzato su neve e ghiaccio. Alcuni dei materiali utilizzati in questo concept tire sono comuni a vari modelli precedenti, prodotti dall’azienda. La gomma naturale è un materiale importante in tutti gli pneumatici per i vantaggi che offre e fonti alternative alla gomma naturale, come la pianta di guyule, sono oggetto di ricerca per Nokian Tyres. Inoltre, gli oli rinnovabili sono comuni nei suoi pneumatici, dato che Nokian Tyres è stato il primo produttore di pneumatici al mondo a smettere di usare oli altamente aromatici nel 2005.

Azioni concrete per un mondo più sicuro.

Dal giorno in cui è stato inventato il primo pneumatico invernale al mondo nel 1934, gli pneumatici invernali premium di Nokian Tyres sono stati apprezzati da generazioni di automobilisti che desiderano guidare con tranquillità in ogni condizione. Tuttavia, Nokian Tyres non si concentra solo sulla protezione degli automobilisti; l’azienda lavora incessantemente per aiutare a proteggere il mondo che ci circonda. Questo è dimostrato in tutte le sue azioni, dalla progettazione degli pneumatici alla produzione: Nokian Tyres è stata la prima azienda di pneumatici a far approvare gli ambiziosi Science Based Targets per la riduzione delle emissioni di CO2, oltre ad avere abbassato la resistenza al rotolamento degli pneumatici mediamente dell’8,5% dal 2013, risparmiando carburante e diminuendo le emissioni di CO2. Lo pneumatico Nokian Tyres Green Step è l’ennesima dimostrazione di questa passione e l’innovazione che ha portato alla realizzazione dello pneumatico andrà a beneficio delle generazioni a venire. È un altro passo nel viaggio verso un mondo più sicuro.

Nokian Tyres Green Step concept tire:
93% di materiali riciclati o rinnovabili
I materiali rinnovabili includono gomma naturale, oli rinnovabili e silice naturale di lolla di riso
Materiali riciclati sono utilizzati in quasi tutti i componenti dello pneumatico
I materiali riciclati includono acciaio riciclato e nerofumo
Le innovazioni create per il concept tire saranno incorporate negli pneumatici futuri
L’obiettivo è che entro il 2030 il 50% di tutte le materie prime utilizzate per gli pneumatici Nokian Tyres sia riciclato o rinnovabile

https://bestmotori.it/2022/02/nokian-tyres-presenta-un-concept-tire-realizzato-con-il-93-di-materiali-riciclati-o-rinnovabili/

mercoledì 2 febbraio 2022

Economia, altro che boom: cresce solo il lavoro precario. - Alessandro Bonetti e Roberto Rotunno

 

COSA DICONO I DATI SULLA RIPRESA - La grande stampa e il governo in estasi per il +6,5% del Pil nel 2021, ma resta sotto i livelli pre-Covid (e pre-2008). I tre quarti dei nuovi posti sono a tempo e i salari restano fermi.

“Scatto del Pil”, “crescita ai massimi”, “incremento mai così alto dal 1976”. A leggere i giornali, sembra che l’Italia stia vivendo un nuovo boom economico. Guardando i dati completi però – e soprattutto mettendoli in prospettiva – la situazione che emerge non è poi così rosea.

Partiamo dalla crescita economica. Secondo la stima preliminare rilasciata dall’Istat il 31 gennaio, nel 2021 il Pil è aumentato del 6,5% rispetto al 2020. La grande stampa, che vede la vie en rose, e diversi ministri non hanno trattenuto la propria “grande soddisfazione”. Un tasso di crescita così alto non lo si vedeva dagli anni Settanta. Un leitmotiv lanciato durante la conferenza stampa dell’Istat da Giovanni Savio (direttore centrale della contabilità nazionale) e subito finito sui titoli del Sole 24 Ore, del Corriere della Sera, della Stampa e di Repubblica. Ma concentrarsi solo sui tassi di crescita restituisce una prospettiva distorta. Per avere un punto di vista più equilibrato, basti pensare che era dalla Seconda guerra mondiale che non si vedeva una recessione come quella del 2020, come d’altronde ha puntualizzato lo stesso Savio. È l’altra faccia della medaglia, che però molti commentatori non considerano più di tanto. La crescita del Pil del 6,5% nel 2021, più che un vero “balzo”, è un rimbalzo. Infatti, nel 2020 l’economia italiana si era contratta del 9% ed è naturale che poi (con l’alleggerimento delle misure restrittive, la piena attivazione degli stabilizzatori automatici e la doverosa spesa pubblica anticiclica, cioè i sostegni) si sia ritornati a una maggiore attività. In altre parole, con la crisi siamo precipitati giù da una ripida montagna, e ora stiamo semplicemente risalendo la china.

Per rimettere le cose in prospettiva, basta un semplice esercizio. Prendiamo i dati trimestrali dell’Istat e completiamoli con una delle altre stime appena divulgate: +0,6% di crescita reale fra terzo e quarto trimestre 2021. Quello che si ottiene è il grafico a destra, in cui si osserva che non abbiamo ancora recuperato il Pil pre-Covid del 2019. Da parte sua, il governo si è posto l’obiettivo di “conseguire nel 2022 una crescita del Pil superiore al 4%”, come si legge in una nota del ministero dell’Economia (a bilancio la previsione è del 4,7%). Se l’Ocse nel suo ultimo Outlook ha addirittura stimato una crescita del 4,6% per il 2022, non sono dello stesso parere Banca d’Italia e Fondo Monetario Internazionale, le cui stime si fermano entrambe al 3,8%. Con questa ulteriore crescita il Pil finalmente recupererebbe il livello pre-pandemia, ma resterebbe comunque sotto la media della zona euro. È evidente che, in una situazione del genere, non basta tornare semplicemente a dove il Covid ci aveva colti di sorpresa. Vale la pena ricordare che prima della pandemia non avevamo ancora recuperato i livelli di attività economica precedenti alla crisi del 2008. I soldi del Pnrr continuano a essere invocati come una panacea, ma non basteranno a sanare le debolezze dell’economia italiana.

Anche dal lato dell’occupazione, i dati mostrano che dietro quella che appare come una crescita si nasconde in realtà un semplice recupero, molto parziale, del tonfo vissuto nel 2020. Tra l’altro, con una dose di precarietà ben più marcata di quella vista prima della pandemia. Un numero su tutti: a dicembre 2021 il totale di persone occupate in Italia risulta ancora inferiore di 286 mila unità rispetto a febbraio 2020, mese in cui il virus ha fatto irruzione. Ma è soprattutto se si guarda alla qualità delle nuove assunzioni che viene fuori tutta la debolezza di questa ripresa. Sempre nell’ultimo mese del 2021, i dipendenti a termine hanno raggiunto tre milioni e 77 mila unità. Siamo a un passo dal record storico di tre milioni e 97 mila ottenuto a maggio 2018, prima dell’arrivo del decreto Dignità (governo gialloverde). Nell’ultimo trimestre dell’anno appena trascorso, gli unici rapporti che mostrano un saldo positivo – più 92 mila – sono i precari mentre gli indeterminati sono scesi di 17 mila unità. Ma è una dinamica che riguarda tutto il 2021: su base annuale, tra dicembre 2020 e dicembre 2021 i posti di lavoro subordinati sono saliti di 590 mila unità, e di questi ben 434 mila – il 73,6% – sono a termine. Negli ultimi tempi la Confindustria ha spesso reclamato l’aiuto del governo sostenendo, a parole, di voler creare buona occupazione; questa volontà sembra finora essere stata trattenuta da una scarsa fiducia che le stesse imprese nutrono verso le prospettive di crescita o dalla volontà di comprimere i costi. Almeno per il momento, stanno arruolando per tre quarti con contratti a scadenza e part time per oltre un terzo del totale.

Questa tipologia riguarda soprattutto le donne. Lo dice il Gender Policies Report diffuso poche settimane fa dall’Inapp: nel primo semestre 2021 sono stati attivati oltre 3,3 milioni di rapporti di lavoro, e di questi quasi 1,2 milioni sono a tempo parziale. L’incidenza arriva al 65% nel comparto Pubblica amministrazione, scuola e sanità, al 55% nelle attività immobiliari e al 42,6% nel settore commercio e turismo. Addirittura il 49,6% di donne assunte si è dovuto accontentare di contratti di poche ore. Si tratta di un dato generale sull’Italia nel quale, come sempre, si annida una situazione molto variegata tra diverse Regioni e tra città e periferia. In Calabria, per esempio, ben il 74,4% di contratti femminili è a tempo parziale. Poco più bassa è la percentuale nelle altre Regioni meridionali. Questa cospicua fetta di contrattini fa sì che il numero di ore lavorate complessive si mantenga costantemente al di sotto dei livelli pre-pandemici. Nel terzo trimestre del 2021 si sono fermate poco sotto i 10,5 miliardi. Nello stesso trimestre del 2019 superavano invece gli 11 miliardi. Rapporti di lavoro precari e fragili producono salari miseri. Il mix tra paghe basse e scarso numero di ore lavorate comprime i guadagni dei lavoratori. Nel 2021 le retribuzioni contrattuali orarie sono salite dello 0,6%, molto meno dell’inflazione. Come ha spiegato l’Istat, “alla luce della dinamica dei prezzi al consumo – in forte accelerazione nella seconda metà dell’anno e pari a circa tre volte quella retributiva – si registra anche una riduzione del potere d’acquisto”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/02/economia-altro-che-boom-cresce-solo-il-lavoro-precario/6477321/

MiniMario. - Marco Travaglio

 

Un anno fa, 2 febbraio 2021, Mattarella chiamò Draghi per sostituire Conte, dimissionario dopo aver avuto la fiducia di Camera e Senato, con un coso mai visto prima: “Un governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica” con “tutte le forze politiche presenti in Parlamento”. Sfortunatamente abboccarono tutti i partiti tranne fortunatamente uno (sennò avremmo avuto un coso già visto prima, ma nelle dittature). Il progetto era chiaro: cancellare il popolarissimo premier che aveva gestito la pandemia e portato a casa 209 miliardi di Pnrr; raddrizzare le gambe agli elettori che avevano sbagliato a votare nel 2018 per un cambiamento radicale (ribattezzato dai gattopardi “populismo” e “sovranismo”); neutralizzare i partiti vincitori annegandoli in una maggioranza così ampia da renderli ininfluenti e infiltrando in ciascuno di essi un PdD (partito di Draghi) per scardinarne le leadership e riportarli a più miti consigli. Perciò i ministri politici furono scelti, con rare eccezioni, fra i più allineati al sistema: Di Maio per il M5S, gli antisalviniani Giorgetti, Garavaglia e Stefani per la Lega, i lettiani (nel senso di Gianni) Brunetta, Gelmini e Carfagna per FI, più i pidini già allineati per Dna. L’avvento di Letta (nel senso di Enrico) al vertice del Pd agevolò la restaurazione. Il cerchio si sarebbe chiuso se Grillo, dopo aver trascinato i 5S nel governo dei “grillini” Draghi e Cingolani, avesse buttato fuori Conte dopo avergli dato le chiavi: ma la congiura fallì per la rivolta dei militanti.

In ogni caso, chi aveva architettato questo bel progettino era certo che SuperMario avrebbe fatto tali miracoli da lasciare senza fiato gli italiani, regnando sull’Italia, l’Europa e l’orbe terracqueo per almeno 10 anni. Invece non ne azzeccò quasi nessuna, mentre la maionese della maggioranza impazziva. Allora tentò la fuga al Quirinale. Ma, malgrado le sue frenetiche manovre, non se lo filò nessuno (5 voti). Costringendo Mattarella a tagliarsi la faccia e a smentire mesi di “rielezione mai”, pur di salvare il salvabile del Piano Gattopardo. Risultato. Tutte le massime istituzioni sfregiate o screditate: il “nuovo” capo dello Stato che rinnega la parola data come un Napolitano qualsiasi; SuperMario sconfitto, umiliato e ridotto a MiniMario; la presidente del Senato ridicolizzata in diretta tv; la direttrice del Dis impallinata da Letta jr., Di Maio, FI e frattaglie varie (e screditata dalla foto con Giggino); la maggioranza in frantumi, con le coalizioni e i partiti in pezzi; l’“antipolitica” ai massimi storici, col nuovo boom dell’astensionismo; e un solo partito che ci lucra: l’unico che sta all’opposizione, il più “populista” e “sovranista” fra quelli che i gattopardi volevano radere al suolo. Bei pirla.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/02/minimario/6477311/

Più occupati: bene donne e under 50, male gli autonomi. - Claudio Tucci

 

A dicembre tasso di occupazione al 59%. Ma rispetto a febbraio 2020 ancora 286mila lavoratori in meno. A novembre e dicembre primi segnali di frenata.

I punti chiave


Il 2021 si è chiuso con +540mila occupati, -184mila disoccupati e -653mila inattivi (tra cui moltissimi scoraggiati). Il tasso di occupazione è salito al 59% (+1,9% tendenziale), tornando ai livelli pre Covid. A dicembre c’è un miglioramento dell’occupazione femminile (+54mila unità in un mese), ma continua il crollo degli indipendenti (-51mila nel confronto su novembre, -50mila sull’anno), a testimonianza di come la ripartenza del lavoro si stia concentrando sul lavoro alle dipendenze: sull’anno, +157mila lavoratori a tempo indeterminato e +434mila a termine. Tra i giovani il tasso di disoccupazione è sceso al 26,8 per cento.

Tra nodi economici e mismatch.

Tutto bene così, quindi? La fotografia scattata dall’Istat su dicembre 2021 mostra luci e ombre. Negli ultimi due mesi dell’anno, novembre e dicembre, il numero di occupati è stabile (anzi in lieve calo) colpa di un clima di incertezza piuttosto generalizzato prodotto da un mix di fattori: il perdurare della pandemia con un elevato numero di contagi, il riaccendersi dell’inflazione, i rincari dei costi dell’energia (i prezzi di gas ed elettricità schizzati alle stelle), le difficoltà nelle forniture di materie prime e semilavorati, rigidità normative. La crescita del Pil è una buona notizia, ma sono urgenti misure ad hoc per non rallentare la ripresa occupazionale. Rispetto al periodo pre pandemia, poi, se il tasso di occupazione è tornato allo stesso livello (59%), il tasso di disoccupazione è ancora inferiore di 0,6 punti e quello di inattività è salito dal 34,6% al 35,1%. Senza considerare poi l’elevato valore del mismatch: una assunzione prevista su tre è difficile, specie nelle materie tecnico-scientifiche. È ormai urgentissimo rilanciare il link scuola-lavoro, massacrato dai precedenti governi.

Primeggiano i contratti a termine.

L’aumento dell’occupazione è trainato dai rapporti a termine: a dicembre, su novembre, i lavoratori temporanei crescono di 59mila unità (è l’unica tipologia contrattuale che aumenta). Sull’anno i lavoratori a tempo sono 434mila.
Il tasso di occupazione femminile sale al 50,5%.
Una buona notizia arriva dalle donne, il cui tasso di occupazione a dicembre sale al 50,5% (ma quello maschile è al 67,6%). In un anno ci sono 377mila occupate in più. Le donne, tuttavia, sono più soggette a lavori temporanei. In quest’ottica, bisogna subito migliorare nelle misure di conciliazione vita-lavoro, con incentivi più robusti. Le donne occupate sono 9 milioni 650mila le donne, gli uomini 13,1 milioni.

Migliora la fascia under 50, male gli autonomi.

Nei dati dell’Istat emerge un miglioramento dell’occupazione nella fascia 35-49 anni, quella centrale del lavoro (+8mila occupati sul mese). In generale, sale l’occupazione di tutta la fascia under50, +29mila tra i 25 e i 34 anni. Continua invece il crollo del lavoro autonomo, specie nei servizi, ancora in fortissimo affanno. Probabilmente, su tutto il lavoro indipendente, è tempo di iniziare a fare una profonda riflessione (e trovare maggiore attenzione nel Legislatore).

Bollette, azzerati gli oneri sulle imprese per il primo trimestre 2022. - Nicola Barone

 

Alla copertura economica (1,2 miliardi euro) si provvede attraverso l’utilizzo di parte dei proventi delle aste di CO2.

Per limitare l’impatto in bolletta degli straordinari rialzi dei prezzi dei prodotti energetici all’ingrosso l’Arera ha azzerato per il primo trimestre 2022 gli oneri generali di sistema per tutte le medio-grandi imprese con potenza pari o superiore a 16,5 kW. Il provvedimento, rende noto l’Autorità, applica quanto previsto con il decreto Sostegni-ter dello scorso 21 gennaio. Alla copertura economica (1,2 miliardi euro) si provvede attraverso l’utilizzo di parte dei proventi delle aste di CO2. Il Dl ha individuato come beneficiari le utenze oltre i 16,5 kW, in media, alta e altissima tensione, quelle degli usi di illuminazione pubblica di ricarica di veicoli elettrici in luoghi accessibili al pubblico.

Intervento analogo per clienti domestici e piccole imprese.

Analoga misura di azzeramento degli oneri generali di sistema nel primo trimestre 2022 per i clienti domestici e le piccole imprese in bassa tensione (sotto i 16,5 kW di potenza) era stata già prevista dall’Autorità in occasione dell’aggiornamento trimestrale delle condizioni di tutela dello scorso fine dicembre, attuando quanto previsto dalla legge bilancio 2022.

Conguaglio oneri se fatture già emesse.

Dunque se alla data di entrata in vigore del provvedimento di azzeramento degli oneri per le imprese oltre i 16,5 kW di potenza per il primo trimestre 2022, deciso con il Dl Sostegni ter, fossero state già emesse fatture relative alla fornitura di elettricità riferite al periodo primo gennaio-31 marzo 2022, i conguagli spettanti dovranno essere effettuati entro la seconda bolletta successiva. Secondo quanto previsto dall’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, se l’offerta commerciale sottoscritta dal cliente non prevedesse l’applicazione diretta delle componenti degli oneri generali (ASOS e ARIM), ciascun venditore dovrà garantire al cliente una riduzione della spesa pari alla differenza tra i valori delle aliquote degli oneri senza e con azzeramento.

Da extra-profitti delle rinnovabili incassi per 1,5 miliardi.

Ammonta a 1,5 miliardi l’incasso stimato dalla Ragioneria generale dello Stato dalla ’restituzione’ introdotta nel decreto Sostegni-ter dei cosiddetti “extraprofitti” delle rinnovabili. Lo si legge nella relazione tecnica al provvedimento. La norma, viene spiegato, “intende stabilizzare il trattamento” degli impianti di rinnovabili finora incentivati (con l’esclusione di quelli considerati piccoli, ovvero fino a 20 kW), “vincolando gli operatori a restituire gli extraprofitti guardando alla vendita dell’energia rispetto ad un prezzo ’equo’ ante-crisi”. La stima viene definita “ragionevolmente conservativa”.

https://www.ilsole24ore.com/art/bollette-azzerati-oneri-imprese-il-primo-trimestre-AEuQAVBB?cmpid=nl_24plus

Ora nel Movimento il tema centrale è il terzo mandato. - Peter Gomez

 

Il Movimento 5 Stelle ha un problema molto più grande dello scontro tra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte: l’indecisione. Da più di tre anni il Movimento non affronta la questione centrale per il suo eventuale futuro: la regola dei due mandati. Oggi questo principio, che è da considerare fondante per i pentastellati, è ancora in vigore. Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo lo avevano introdotto per garantire un continuo ricambio degli eletti; per consentire alla società civile di aspirare a entrare in Parlamento non per cooptazione come avviene in tutti gli altri partiti e per evitare che all’interno delle Camere si formassero cordate interessate solo alla propria sopravvivenza. Gruppi di potere che gli elettori da sempre non amano e liquidano con una brutta, ma adeguata parola: poltronari. Un termine dispregiativo che però non tiene conto di un altro aspetto della questione: tra tante persone che dopo dieci anni sono disposte a fare di tutto pur di non perdere lavoro, poltrona e stipendio vi può sempre essere chi ha invece maturato esperienze e competenze molto utili alla forza politica che rappresenta.

Attualmente, in base alla regola, alle prossime elezioni non dovrebbero essere ripresentati 67 su 230 parlamentari. Molti di loro sanno già che se anche la norma fosse abolita le loro chance di rielezione sarebbero molto basse. I consensi sono in calo e il numero di posti a disposizione è per tutti diminuito proprio in base a una riforma costituzionale voluta dal Movimento. Ma avere pochissime possibilità è diverso dal non poter partecipare alla competizione elettorale. Sopratutto se la tua figura pesa nella breve storia grillina. Tra i 67 figurano nomi come quelli di Luigi Di Maio, Paola Taverna, Roberto Fico, Federico D’Incà, Danilo Toninelli, Laura Castelli, Giulia Sarti, Stefano Patuanelli e Vito Crimi. È ovvio e scontato insomma che indipendentemente dallo scontro tra dimaiani e contiani (tra i 67 vi sono esponenti di entrambi i fronti) la tensione salga e che anzi in qualche caso sia proprio la causa dello scontro.

Beppe Grillo ha già fatto sapere mesi fa di essere fieramente contrario a modificare la regola. Se lo fate, ha detto, io me ne vado. E si è limitato ad approvare l’introduzione di un terzo mandato (ipocritamente chiamato zero) per i consigli comunali. Un’innovazione utile, tra l’altro, per permettere a Virginia Raggi di correre di nuovo a Roma.

Conte, invece, non si è mai espresso chiaramente. Al netto del necessario assenso di Grillo e del voto vincolante da parte degli iscritti, le soluzioni possibili sono quattro: non cambiare niente; abolire la regola; introdurre un ulteriore mandato, ma solo per quanto riguarda i consigli regionali oltre che comunali; consentire delle deroghe. Cioè dare a Conte, o chi per lui, il potere di stabilire chi sono i meritevoli che però, per essere ripresentati, dovranno prima essere votati dagli aderenti ai 5Stelle. Ogni scelta ha dei pro e dei contro. Fatti chiari li esaminerà in una prossima rubrica. Una cosa però è certa. Rimandare non può che peggiorare le cose in un movimento in cui Di Maio può aspirare ad avere dalla sua parte molti parlamentari, ma al contrario di Conte pochi iscritti. Per questo l’ex premier, per il bene suo e della forza politica che rappresenta (e quindi anche di Di Maio), dovrebbe rileggere una frase del ventiseiesimo presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt: “Quando devi decidere, la migliore scelta che puoi fare è quella giusta, la seconda migliore è quella sbagliata, la peggiore di tutte è non decidere”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/02/ora-nel-movimento-il-tema-centrale-e-il-terzo-mandato/6477360/?utm_content=marcotravaglio&utm_medium=social&utm_campaign=Echobox2021&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR0BFg3CuLS1Dn1jt7yV-ZcrsL8HtJCaGwbr1IjOEIhgWy7tYT_XEIR_JDk#Echobox=1643791808