mercoledì 25 settembre 2019

Mafia, Silvio Berlusconi indagato nel procedimento stragi.

Mafia, Silvio Berlusconi indagato nel procedimento stragi

L'inchiesta della procura di Firenze sugli attentati del 1993. Una certificazione che consentirà all’ex premier di non rispondere al procedimento che vede imputato Marcello Dell’Utri.

PALERMO- Silvio Berlusconi è indagato nel procedimento aperto dalla procura di Firenze sulle stragi mafiose del 1993. La notizia si apprende a Palermo. I legali di Marcello Dell'Utri, imputato nel processo d'appello sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, hanno depositato alla corte d'assise d'appello, che celebra il dibattimento, la certificazione da cui risulta che l'ex premier è indagato a Firenze. Una mossa, quella della difesa che aveva citato a deporre Berlusconi, che gli consentirà di non rispondere.

La nuova indagine su Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, accusati di essere i mandanti occulti delle stragi mafiose del 1993, che colpirono Firenze, Roma e Milano, è stata avviata nel 2017. La procura di Firenze aveva ottenuto dal giudice delle indagini preliminari la riapertura del fascicolo, archiviato nel 2011, e aveva delegato nuovi accertamenti alla Direzione investigativa antimafia.

Obiettivo della nuova indagine era passare al setaccio le parole pronunciate in carcere dal boss Giuseppe Graviano, intercettato dai pubblici ministeri palermitani del processo 'Trattativa Stato-mafia' mentre parlava dell'ex presidente del Consiglio e dall'ex senatore di Forza Italia in carcere per scontare una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa.

https://www.repubblica.it/cronaca/2019/09/25/news/mafia_silvio_berlusconi_indagato_nel_procedimento_stragi-236894685/

Falsi invalidi, indagata la madre di Arisa: la sedia a rotelle per messinscena.

Falsi invalidi, indagata la madre di Arisa: la sedia a rotelle una messinscena

Dopo gli arresti a Potenza nel blitz "Il canto delle sirene", agli atti di indagine spunta la madre della popolare cantante.

La madre della cantante lucana Arisa è tra gli indagati nell’inchiesta «Il canto delle sirene" sulle percezioni indebite di pensioni di invalidità e assegni di accompagnamento ai danni dell’Inps: la notizia anticipata stamani dalla trasmissione di Canale 5 «Mattino Cinque» ha trovato conferma negli ambienti giudiziari di Potenza.

Assunta Santarsiero, di 62 anni, di Pignola (Potenza) - accusata di truffa in concorso - secondo quanto emerge dagli atti dell’inchiesta coordinata dalla Procura della Repubblica di Potenza (che ieri ha portato a cinque arresti domiciliari eseguiti dalla Squadra mobile del capoluogo lucano, e a 40 indagati complessivi), avrebbe ottenuto la condizione di invalidità civile e i benefici dell’indennità di accompagnamento "fingendosi affetta da gravi patologie - ha scritto nell’ordinanza il gip Lucio Setola - tali da renderla incapace di attendere autonomamente agli atti quotidiani della vita senza un’assistenza continuativa».

La donna nel 2017 fu «accompagnata dal marito e trasportata su carrozzina» nel Tribunale di Potenza, «perché non in grado di camminare autonomamente» e «al momento dell’esame clinico si dimostrò impossibilitata a provvedere ai suoi elementari bisogni e a svolgere gli atti quotidiani della vita senza assistenza», "traendo così in inganno» il perito nominato dal giudice del Tribunale civile. Secondo gli investigatori, però, «la visita sulla sedia a rotelle era evidentemente tutta una messinscena": dai pedinamenti degli agenti della Squadra mobile è invece emerso che la donna sarebbe stata «in grado di uscire da casa da sola e di muoversi autonomamente, portandosi persino nel terreno adiacente alla sua abitazione per dedicarsi ai lavori dei campi senza aver bisogno di essere accudita da alcuno e senza documentare difficoltà deambulazione». 

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/potenza/1174700/falsi-invalidi-indagata-la-madre-di-arisa-la-sedia-a-rotelle-una-messinscena.html

Montenegro, Dubrovnik, Neretva.

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martedì 24 settembre 2019

Thomas Cook, salta l'accordo sul salvataggio: dichiarata la bancarotta.

Thomas Cook, salta l'accordo sul salvataggio: dichiarata la bancarotta

A rischio 22 mila posti di lavoro nel mondo e 9 mila nel Regno Unito. Oltre mezzo milione di viaggiatori da riportare a casa: il rimpatrio dei soli cittadini britannici potrebbe costare fino a 600 milioni di sterline.

MILANO - Dopo 178 anni di storia il colosso dei viaggi britannico Thomas Cook alza bandiera bianca. Nella notte sono saltate le trattative con i creditori e la compagnia ha dichiarato bancarotta annunciando con una nota che "sono cancellati tutti i futuri voli e le future vacanze".

Mezzo milione di turisti in viaggio.
Il collasso della società mette a rischio sia 22.000 posti di lavoro a livello globale, di cui 9.000 in Gran Bretagna, ma anche il ritorno a casa dei 150 mila vacanzieri britannici che avevano prenotato il volo  con Thomas Cook e che ora vedono a rischio il proprio rientro, in quella che la Bbc definisce come "la più grande operazione di rimpatrio in tempi di pace". Un'operazione che secondo le prime stime potrebbe costare fino a 600 milione di sterline, finanziata attraverso il fondo di garanzia Atol, il sistema di protezione amministrato dall'ente dell'aviazione civile britannico e finanziato dalle industrie del settore. Secondo il Financial Times però oltre ai 150 mila britannici ci sarebbero altri 350 mila viaggiatori stranieri all'estero e il numero complessivo di persone da riportare a casa potrebbe raggiungere il mezzo milione.

Le accuse di Johnson ai manager.
Sulla questione è intervenuto anche il premier britannico Boris Johnson. "C'è da chiedersi quanto i dirigenti di queste società fossero adeguatamente incentivati a risolvere i loro problemi", ha detto criticando i manager dell'azienda. "E' una situazione molto difficile e ovviamente i nostri pensieri sono rivolti ai clienti di Thomas Cook, i vacanzieri che ora potrebbero avere difficoltà a tornare a casa. Faremo del nostro meglio per riportarli a casa", ha aggiunto. "In un modo o nell'altro lo Stato dovrà intervenire per aiutare i vacanzieri bloccati ".

Lo stop ai nuovi finanziamenti.
L'azienda -  il cui principale azionista è la cinese Fosun Tourism Group - non è riuscita a a raccogliere gli ulteriori finanziamenti per 200 milioni di sterline che servivano per evitare il collasso.  Fosun il mese scorso aveva già iniettato 450 milioni di sterline nella società all'interno di un pacchetto di salvataggio di 900 milioni di sterline. In cambio di quell'investimento Fosun aveva acquisito una quota del 75% della divisione operativa di Thomas Cook e un 25% della sua compagnia aerea. "Fosun - si legge in un altro comunicato - è delusa del fatto che Thomas Cook non sia riuscita a trovare una soluzione per la sua ricapitalizzazione con altre entità, i suoi creditori core e gli azionisti senior".

Guai finanziari, nuove abitudini e Brexit: le origini dela crisi.
Il crollo della compagnia non arriva però come un fulmine a ciel sereno. A maggio Thomas Cook aveva messo in evidenza nei propri conti trimestrali una perdita da 1,45 miliardi di sterline, a causa soprattutto della svalutazione di MyTravel, con cui si era fusa nel 2017, costata da sola quasi 1 miliardo. Inoltre un report di Citigroup negli stessi giorni aveva consigliato di vendere il titolo fissando un target di prezzo a zero.

Guai finanziari a parte, l'azienda ha in generale accusato la sempre maggiore propensione dei viaggiatori ad organizzare autonomamemente le proprie vacanze, facendo così meno ricorso ai tour operator. Come se non bastasse, su Thomas Cook si è abbattuta anche l'incognita Brexit. "Non c'è ormai alcun dubbio che abbia spinto molti clienti britannici a rinviare i piani per le loro vacanze", si era difeso il ceo Peter Frankahauser a maggio, rilevando di avere venduto soltanto il 57% dei pacchetti di viaggio per l'estate 2019, con un calo del 12% sull'anno precedente.

https://www.repubblica.it/economia/2019/09/23/news/thomas_cook_salta_l_accordo_sul_salvataggio_dichiarata_la_bancarotta-236703370/

sabato 21 settembre 2019

Quella del portavoce 5 Stelle non è una battaglia, è una guerra. - Roberta Labonia



Certo sporcarsi le mani non è piacevole, certo si rischia di essere fraintesi, di sbagliare, certo devi camminare spalle al muro perché sai che qualcuno, pronto ad accoltellarti alle spalle, può celarsi là dove meno te lo aspetti. E, come non bastasse, ad ogni incidente di percorso sai di doverti sorbire anche i signori del “telavevodetto”. Sono una categoria a parte costoro: saccenti, boriosi, si accomodano sul trespolo, si siedono fra le giurie, lontani dal campo di battaglia, al riparo dagli schizzi di fango e con finta bonomia dispensano le loro perle di saggezza. Puntano il dito ma, come tanti Ponzio Pilato, non offrono soluzioni, loro.
Ma tu che nell’arena ha scelto di starci, vivaddio, combatti per ciò in cui credi, ti inventi strategie, magari qualche cosa la sbagli, ma tante altre volte vai a segno. Non sei un professionista della politica te, l’esperienza te la stai facendo sul campo e vale più di 10 master MBA. E le piccole/grandi vittorie sono quelle che ti danno la forza di sopportare i lividi, le offese, le derisioni, le sconfitte. Perché ciò che ti muove è la sete di giustizia. Tu ti batti (illuso/a?), per un mondo dove non ci siano più né oppressi né oppressori. Ti danni per riportare pulizia la dove si è incrostato il letame. I lividi, le ferite fanno male ma sai che non puoi fermarti, sai che è cosa buona e giusta andare avanti.
Te, che molti derubricano come il/la sempliciotto/a di turno, affronti a viso aperto un nemico con cui sai di dover scendere a patti pur di portare a casa qualcosa di utile, di maledettamente necessario, non solo per te, ma per tutta la collettività che hai l’onere e l’onore di rappresentare.
Qualcosa che da tanto tempo chi ha creduto in te aspettava che si realizzasse.
Ma non ti illudi, sai che anche quel qualcuno, forse, neanche ti dirà grazie. Anzi, forse quel qualcuno, alla prima battaglia che perderai, ti volterà le spalle, dimenticando o facendo finta di non sapere, che quella che tu stai combattendo non è una singola battaglia, è una guerra.
E le guerre, si sa, durano anni.

Un paraculo da Oscar. - Mario Giordano



Come faccia di tolla è da Oscar. Farinetti, grande difensore del cibo made in Italy, ha avuto infatti il coraggio di cedere l’ acqua minerale Lurisia, quella dell’ antica fonte termale di Roccaforte di Mondovì, alla Coca Cola. Niente meno. E come se non bastasse, subito dopo, ha avuto il coraggio di concedere un’ intervista in cui ha rivendicato con orgoglio l’ operazione.
Ha detto che lui non ha affatto «venduto l’anima al diavolo», perché questa è «una grande opportunità per l’Italia». Sicuro: vendere un prodotto tipico italiano alla Coca Cola è un’opportunità per l’Italia. Esattamente come vendere la Madonnina di Milano all’ emiro del Kuwait sarebbe una grande opportunità per il cristianesimo. Basta crederci.
E l’Oscar ci crede. O, almeno, fa finta di crederci. Lui è fatto così, le spara grosse e poi sorride, siccome ha il cuore a sinistra, gliele fanno passare tutte. La Coca Cola, garantisce, «salvaguarderà lo stile e le radici tricolori del marchio». In effetti, si sa: è proprio la caratteristica delle multinazionali quella di salvaguardare le radici e i prodotti locali. Sono nate per quello. Non fanno altro. E per dimostrarsi coerente fino in fondo con questa dichiarazione di amore per l’Italia (anzi per l’Eatalia), Farinetti conclude annunciando che i soldi che incasserà dalla vendita della Lurisia li investirà tutti.
Ma proprio tutti. Dove? Negli Stati Uniti, ovviamente.
L’impressione, alla fine della lettura, è che Oscar avrà pure venduto l’ acqua, ma gli è rimasto il vino. Californiano, probabilmente. In ogni caso ad alta gradazione di scemenze.
C’ è solo una cosa, infatti, peggiore di un sedicente difensore dei prodotti tipici italiani che vende uno dei suoi tesori alla Coca Cola: un sedicente difensore dei prodotti tipici italiani che vende uno dei suoi tesori alla Coca Cola e poi cerca di spiegarlo con un’ intervista a Repubblica. Soprattutto se cerca di convincerci che si tratta di «un ottimo segnale per il nostro Paese».
Ottimo segnale? Ora: va bene che in un Paese che crede a Eataly può credere a tutto, ma non bisogna esagerare. Esageruma nen, come diciamo noi piemontesi. Anche se forse ora Farinetti preferirebbe dire «don’ t push it», chiedendosi se c’ è qualche multinazionale pronta a comprarsi pure il dialetto.
Avrebbe potuto essere sincero, Oscar. Avrebbe potuto dire che l’ ha fatto per quegli 88 milioni (prezzo di vendita di Lurisia) che schifo di certo non fanno. Oppure avrebbe potuto scegliere il silenzio. Ma non ce la fa. È più forte di lui. Ama le luci della ribalta. E così s’ è avventurato su strade più scivolose dell’ olio (ovviamente tunisino).
Prima ha descritto la Coca Cola come una succursale delle Giovani marmotte (hanno «grande responsabilità sociale nei confronti dell’ ambiente e del pianeta e si muovono di conseguenza», ha detto, facendo venire il sospetto ad Atlanta comandi Greta Thunberg). Poi ha annunciato che tratterà ancora con le grandi multinazionali, cominciando a elogiare la Nestlè. E infine, il colpo di scena: ha detto infatti che userà tutti i soldi incassati dalla vendita di Lurisia per aprire sei negozi. Negli States. Quando si dice amare l’ Italia. Anzi, l’Eatalia.
Gli ex amici di Farinetti, quelli dello Slow food, Carlin Petrini & C., hanno subito preso le distanze dall’ Oscar delle multinazionali. Lurisia sponsorizzava gli eventi Slow food legati al territorio e ai prodotti tipici, ma la collaborazione è stata troncata di netto. «Non condividiamo questa filosofia», hanno tagliato corto.
Ma Oscar se ne fa un baffo: «Siederanno anche loro al tavolo con la Coca Cola», ha profetizzato nell’ intervista. Del resto non è la prima volta che viene accusato dai suoi compagni di cordata di tradimento: tre anni fa, la cooperativa rossa Novacoop cedette tutte le quote che aveva da sempre in Eataly, imputando a quest’ ultimo di essere «diventato un supermercato come tutti gli altri». Farinetti non si è lasciato deprimere.
Dopo aver chiuso l’ ultimo bilancio in rosso (17 milioni di euro), infatti in nome del cibo italiano s’ è messo alla ricerca di un nuovo socio. Cinese, ovviamente. La coerenza, del resto, per lui è sempre stata un optional.
Quando Roberto Maroni si candidò per la Regione Lombardia disse: «Se vince lui non aprirò Eataly a Milano». Maroni vinse e lui aprì Eataly a Milano. «Diventerò amico del governatore», giurò. Poi preferì diventare amico di Renzi, anche perché si avvicinava la stagione dell’ Expo, dove la fece da padrone. Quando però Renzi è caduto in disgrazia, Farinetti s’ è scoperto improvvisamente fan di Zingaretti, salvo tornare prontamente renziano ai primi vagiti di riscossa di quest’ ultimo. In ogni caso, per non sbagliare, è andato in Sardegna con Flavio Briatore, per salvare il pecorino della Barbagia (lo venderanno alla Monsanto? O alla Dow Chemical? Sempre per il bene dell’ Italia, s’ intende).
E ha scritto pure un libro con Piergiorgio Odifreddi (Dialogo fra un cinico e un sognatore), leggendo il quale, chissà perché, tutti hanno pensato che lo scienziato Odifreddi fosse diventato all’ improvviso un sognatore. Ovviamente, essendo molto di sinistra, Farinetti ha una casa a Saint Tropez (proletari di tutto il mondo, unitevi a Brigitte Bardot), ha fatto il condono (e chi non lo fa?) ed è stato accusato dai sindacati di sfruttare lavoratori e precari.
Lui non s’ è lasciato intimidire e ha aperto Fico, un super Eataly a Bologna senza incontrare troppo successo («la Disneyworld del cibo», scrisse Der Spiegel; «un megamarket in stile americano», scrisse il Guardian). «Mi rottamo da solo, lascio tutti gli incarichi in azienda», giurò alla stampa nel 2015. E invece eccolo ancora lì, che compra e vende (soprattutto vende) e giustifica la Coca Cola. Figlio di un partigiano, dice che ama molto la Resistenza. Lui, però, non sa resistere molto. Soprattutto alle telecamere. E alle lusinghe dei soldi. Perciò ha scelto di sventolare bandiera rossa.

Quella della Coca Cola, ovviamente.

https://infosannio.wordpress.com/2019/09/21/un-paraculo-da-oscar/

Il centro dilettevole. - Marco Travaglio


La tentazione di accostare Italia Viva al Psdi di Nicolazzi era fortissima: sia in omaggio a Fortebraccio, sia perché Teresa Bellanova nei panni di Vincenza Bono Parrino con le sue “borzette” era irresistibile.
Poi Matteo Cariglia ha rivelato a Vespa la vera essenza della sua catastrofica creatura: “C’è bisogno di una cosa allegra e divertente”. Accipicchia, ci siamo detti: è la prima volta, a memoria d’uomo, che un politico (si fa per dire) fonda un partito non per realizzare un programma qualsiasi, ma per farsi quattro risate.
Poi ci è apparso, come un’illuminazione, il Bertinotti di Corrado Guzzanti. Quello della “sinistra che non deve governare, ma fare scherzi telefonici, rompere i coglioni e divertirsi”. Quello che rimpiangeva i bei tempi di Prodi, che lavoravano tutto il giorno, mentre lui giocava a biliardo e poi “alle 3 del mattino andavamo sotto casa di Veltroni, ci appendevamo al campanello e poi via a correre e ridere per la strada”. Perché “la sinistra è gioco, è divertimento, è fantasia. ‘Alabarda spaziale!’: è questo lo slogan di una sinistra moderna”. Programma semplice: “Suonare ai citofoni citando Lenin e schivando la secchiata d’acqua: ‘Andate a dormire!’, ‘La rivoluzione non dorme mai!’”. E strategia precisa: “Diventare la forza più irresponsabile del Paese, opponendo al voto utile il voto dilettevole”.
Ora, con la crisi delle ideologie, la Sinistra sta poco bene ed è affollatissima, fra 5Stelle, Pd e LeU. Ed ecco l’ideona: fondare il Centro del gioco e degli scherzi per rompere i coglioni a Conte & C..
Fino a una settimana fa, Renzi controllava i gruppi parlamentari Pd. Ma si annoiava: vuoi mettere invece una miniditta ad personam? Conta molto meno, perché metà dei renziani non ci entrano. Ma se ne parla molto di più. Anzi tutti dicono che adesso Renzi è il padrone del governo, come se prima non ci fosse e come se i cosiddetti “renziani” lo fossero per convinzione e non per convenienza (altri 4 anni di poltrona e di pensione).
Basta scorrere i nomi dei 41 italo-vivi: Bonifazi, sempre e ovunque tesoriere; la Boschi, e-ho-detto-tutto; Migliore, detto Genny ‘a Poltrona; Rosatellum; De Filippo, per non lasciare solo Bonifazi in rappresentanza degli indagati; Ferri, perché il gemello Lotti per ora non viene; una di FI, che giustamente non vede la differenza; e Socialistanencini (si chiama così, una parola sola), che porta in dote il glorioso marchio del Psi (di Craxi, sia chiaro, non certo dei putribondi Turati, Nenni e Pertini).
Più che un partito, pare il bar di Guerre Stellari. Quindi basta dare del bugiardo a Renzi: stavolta è stato di parola. Il Centro Dilettevole è appena partito e già fa scompisciare.