martedì 25 gennaio 2011

L’avvocato Maris compie 90 anni: “Oggi in Parlamento ci sono legali servitori di B.”


Partigiano deportato a Mauthausen, ex senatore del Pci ed ex membro del Csm, Gianfranco Maris è un simbolo della sinistra milanese. “Il Pd mi fa soffrire. Il confronto nel partito è sui ruoli, non più sulle idee”

“Senza cultura e conoscenza dei fatti la nostra scelta non è libera. Siamo gregari costretti a fare quello che impongono gli altri”. Una convinzione che da sempre guida Gianfranco Maris. Simbolo della sinistra milanese, avvocato ed ex parlamentare, Maris ha compiuto ieri 90 anni. L’Aned (associazione nazionale ex deportati politici) e la Fondazione memoria della deportazione, delle quali Maris è presidente, gli hanno organizzato una festa speciale, che è stata occasione per presentare il volume Una sola voce: scritti e discorsi contro l’oblio (ed. Mimesis), un’antologia curata da Giovanna Massariello che raccoglie i testi e i discorsi di Maris sulla sua esperienza di partigiano deportato a Mauthausen. Una testimonianza che Maris porta anche nelle scuole, dove incontra ancora oggi gli studenti, per costruire una memoria che sia consapevolezza del passato. Utile in un presente in cui “ancora c’è diffidenza verso lo straniero, nazionalismo esasperato, razzismo, xenofobia”.

“Dal campo di concentramento non esci più. Ti resta dentro”, racconta Maris. Con calma prende una penna e deciso scrive ‘60’. “E’ la percentuale dei deportati italiani che a Mauthausen sono morti in 9 mesi”. L’ultima follia è del 22 aprile 1945. “La guerra ormai era finita. Tre giorni dopo Milano sarebbe stata liberata. I tedeschi ci riunirono nella piazza dell’appello e scelsero 800 persone da gasare”.

A Mauthausen Maris viene deportato nel luglio del ‘44. Si era unito ai partigiani come comandante della brigata Garibaldi, dopo essere stato ufficiale dell’esercito nella campagna in Grecia. La guerra aveva rafforzato il suo antifascismo. “Ricordo i giorni tra il 25 luglio del ’43 e l’armistizio dell’8 settembre”. Dopo l’arresto di Mussolini, il comando di reggimento gira a Maris l’ordine diBadoglio: “La guerra continua, bisogna spiegare ai soldati perché”. Racconta Maris: “Tra i miei uomini c’erano molti pastori, persone analfabete. La domanda non era perché continua, la guerra. Ma perché l’abbiamo fatta. La guerra era un’università che ti portava all’odio del disegno criminale del Fascismo”.

Dopo il ‘45 Maris si laurea in giurisprudenza e inizia la sua attività da avvocato. Tra le persone che ha difeso, Leonardo Marino. “Fui nominato d’ufficio. Lui confessò di aver partecipato all’omicidioCalabresi. Era un combattente politico che avevano fatto diventare un assassino. Mi sembrò sincero: sentiva il bisogno di liberarsi la coscienza per un delitto che non gli apparteneva. Lo difesi come uomo credibile, che diceva la verità”. I processi per cui Maris prova ancora orgoglio sono quelli in cui ha difeso operai, mondine e partigiani: “In questo caso non c’era solo la battaglia giudiziaria, ma anche l’occasione per continuare a sventolare la bandiera della libertà, dell’uguaglianza, della giustizia sociale”.

Rifarebbe l’avvocato Maris, perché ha avuto la fortuna di farlo in modo pulito. “Se il cliente pretendeva difese assurde, mi rifiutavo. Quello che gli dicevo era: ‘Io posso fare una difesa tecnica, ma lei non può negare il fatto’”. La stessa fortuna non ce l’hanno i deputati del Pdl, che si riuniscono per decidere come affrontare il caso Ruby. “Oggi in Parlamento ci sono legali a disposizione del capo. Sono utilizzati per difenderlo nelle vicende personali in cui è coinvolto. Come avvocato, invece, dovresti usare la tua professionalità in aula per fare leggi nell’interesse della collettività”. E’ questo il ruolo che Maris sente di ricoprire quando dal 1963 al 1972 è senatore per il Pci. “La corruzione c’era anche allora, tanto che poi ci fu Mani Pulite. Ma oggi la situazione è più grave. Non esiste assessore che non abbia raccomandazioni per qualsiasi appalto o consulenza”. Dal ’72 al ‘77 Maris è componente laico del Consiglio superiore della magistratura. Dal 1980 al ’90 è vice presidente del teatro alla Scala. “Su di me il partito non ha mai fatto pressioni perché Tizio venisse nominato presidente della Corte d’Appello. Né mi ha mai chiesto biglietti gratis per uno spettacolo”.

Nel Pci Maris entra prima della guerra, a 17 anni, quando frequenta la seconda liceo classico. “Fu quasi per caso. Un compagno di scuola mi presentò suo cucino e suo fratello, che appartenevano al partito comunista clandestino”. La passione politica, da allora, è sempre la stessa. Con qualche delusione negli ultimi anni. “Il Pd mi fa soffrire. Nel partito la lotta non è più finalizzata ai processi formativi della linea politica, ma all’affermazione del potere personale. Il confronto è sui ruoli, anziché sulle idee”. Niente che intacchi il suo entusiasmo. “Io i novant’anni li sento nella schiena. E basta”.




Berlusconi, blitz su La7 tra minacce e insulti.



Scatenato, senza freni. Non pago dei videomessaggi, Berlusconi irrompe all'Infedele, il programma di Gad Lerner su La7. E il soliloquio diventa pura aggressione, nonostante i tentativi di diga di Lerner, visibilmente sconcertato. "Mi hanno invitato a guardare la trasmissione. Sto assistendo ad uno spettacolo disgustoso, con una conduzione spregevole e ripugnante...".

GUARDA IL VIDEO

Inizia cosi' la telefonata che Silvio Berlusconi, a sorpresa, ha fatto alla trasmissione di Gad Lerner su La7. "State dicendo cose lontane dal vero, state rappresentando una realta' contraria al vero", e' l'attacco del premier al giornalista che, incredulo, ha invitato Berlusconi ad abbassare i toni. Ma il Cavaliere, riferendosi al 'caso Ruby', ha rincarato la dose: "Avete offeso al di la' del possibile la signora Minetti che e' persona intelligente, preparata e che ha fatto un importante apprendistato sul lavoro". Il conduttore della trasmissione ha tentato di intervenire piu' volte ma quando il Cavaliere ha accennato alle "cosiddette" signore presenti in studio Lerner ha replicato: "Lei e' anche il mio presidente del Consiglio ma ha offeso abbastanza, lei e' un cafone". Infine l'affondo del Capo del governo: "Invito la signora Zanicchi ad alzarsi e lasciare quel postribolo televisivo". Zanicchi, invece, è rimasta al suo posto. E' l'ultimo atto di una giornata folle. Iniziata con la leggina anti pm e conclusa, a tarda sera, con il blitz a La7. Un monologo violento, da despota sul viale del tramonto, che usa ogni mezzo pur di accreditarsi. Un'altra pagina nera per la democrazia.

Silvio Berlusconi lo aveva detto mercoledì scorso nel video-messaggio ai promotori delle Libertà a seguito dell'inchiesta sul caso Ruby: certi pm "vanno puniti" (GUARDA IL VIDEO). E il riferimento, non detto, era anche al trattamento riservato dai magistrati di Milano (Boccassini, Forno e Sangermano) alle ragazze invitate alle sue feste di Arcore e finite nel 'tritacarne' mediatico per la pubblicazione delle intercettazioni.

La carta da giocare, per via legislativa, il Pdl l'ha gia' trovata ed e' nei cassetti di Montecitorio. E' stata depositata alla Camera il 28 ottobre scorso, esattamente due giorni dopo l'esplodere del caso quando si seppe che il premier aveva telefonato alla Questura di Milano per far affidare l'allora minorenne marocchina al consigliere regionale della Lombardia, Nicole Minetti. Si tratta di un progetto di legge a prima firma del deputato Pdl, Luigi Vitali, e sottoscritta da altri 29 parlamentari suoi colleghi, tra cui Cirielli, Cassinelli, Lehner, che reca il titolo "Introduzione dell'articolo 315-bis del codice di procedura penale, concernente la riparazione per ingiusta intercettazione di comunicazioni telefoniche o di conversazioni".

La proposta e' stata consegnata direttamente nelle mani di Berlusconi -che ora la sta valutando- il giorno della riunione con i deputati-avvocati del Pdl. "L'ho consegnata io al presidente- spiega Vitali- e mi ha detto che la esaminera' con attenzione. La prossima settimana la presentero' in conferenza stampa e chiedero' di esaminarla subito in commissione Giustizia".

A leggere i 5 articoli, il progetto di legge sembra proprio pensato, anche se Vitali glissa, per il caso Ruby. E, se venisse approvato dal parlamento, metterebbe un serio freno all'uso delle intercettazioni da parte dei magistrati, che potrebbero incorrere in pesanti sanzioni. I punti principali della proposta sono i seguenti: i pm e i gip non competenti territorialmente e funzionalmente non potranno piu' autorizzare intercettazioni, pena provvedimenti disciplinari stabiliti dal ministro della Giustizia. In caso di assoluzione in un processo, l'imputato, ma anche tutti i testimoni finiti nelle intercettazioni 'spiattellate' sui giornali, avranno diritto a un risarcimento di 100 mila euro, che sara' sborsato di tasca propria dai pm dopo sentenza "di responsabilita' contabile" della Corte dei conti. Ma la vera 'chicca' e' la norma transitoria che rende la legge retroattiva: avranno diritto al risarcimento anche coloro che sono stati coinvolti in indagini risalenti a 5 anni prima della sua entrata in vigore.

La proposta di legge e' stata assegnata alla commissione Giustizia della Camera il 13 dicembre scorso e attende di essere calendarizzata. Il Pdl, a quanto si apprende, dovrebbe chiedere, in un prossimo ufficio di presidenza che venga messo all'ordine del giorno.

C'e' anche un comma che sembra ritagliato apposta per le ragazze di Milano 2 in via Olgettina, quelle finite nelle intercettazioni dei pm della procura di Milano che raccontano delle feste nelle case di Berlusconi. Il risarcimento, infatti, spettera' anche a coloro che, estranei alle indagini o la cui posizione verra' archiviata, avranno visto le loro conversazioni pubblicate sui giornali. Nel testo si parla di "coloro nei cui confronti sia stato pronunziato decreto o ordinanza di archiviazione, ovvero sentenza di non luogo a procedere, nonche' in favore dei terzi, estranei alle indagini, che siano stati intercettati occasionalmente". In quest'ultimo caso, il diritto alla riparazione compete soltanto "qualora le intercettazioni siano state divulgate, in quanto il pubblico ministero non abbia disposto il loro immediato oscuramento all'atto della ricezione delle relative trascrizioni". In ogni caso, prosegue il comma, "anche a prescindere dall'oscuramento, l'avvenuta pubblicazione sulla stampa delle intercettazioni di comunicazioni telefoniche o di conversazioni deve essere valutata ai fini della quantificazione" per il risarcimento. La domanda di riparazione del danno deve essere avanzanzata entro due anni e l'entita' non potra' "comunque eccedere la somma di euro 100 mila". Inoltre, "l'ingiusta intercettazione di conversazioni tra il difensore e il proprio assistito deve essere ulteriormente valutata ai fini dell'entita'" della cifra. Ed ecco, all'articolo 2, la norma transitoria che permetterebbe di applicare la legge anche al caso Ruby: "Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore" potranno presentare istanza di riparazione per ingiusta intercettazione di comunicazioni telefoniche e di conversazioni coloro che, assolti, archiviati o estranei alle indagini ma finiti nelle cronache, sono stati oggetto "di ingiusta intercettazioni". Per loro il termine entro cui presentare la domanda diventa di 5 anni.

Ed ecco il cuore delle norme anti-intercettazioni 'punitive' nei confronti dei magistrati, contenute nella proposta di legge, a prima firma Luigi Vitali (Pdl), che attende di essere calendarizzata dalla commissione Giustizia della Camera. L'articolo 3 introduce una nuova fattispecie di illecito disciplinare modificando il Decreto Legislativo 23 febbraio 2006, quello sulla disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati. Si stabilisce che incapperanno nelle sanzioni per aver "richiesto, autorizzato ed eventualmente prorogato" intercettazioni "il pubblico ministero e il giudice per le indagini preliminari che non hanno competenza territoriale o funzionale nell'ambito di un procedimento penale". I provvedimenti disciplinari, continua la proposta di legge all'articolo 4, saranno valutati dal ministro della Giustizia e dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, anche su sollecitazione di coloro che sono stati 'spiati' ingiustamente. Se i magistrati risulteranno 'punibili', allora la Corte dei Conti promuovera' il giudizio di responsabilita' contabile nei confronti del pubblico ministero e del giudice per le indagini preliminari che hanno rispettivamente richiesto, autorizzato ed eventualmente prorogato l'ingiusta intercettazione".

In pratica, se lo Stato dovra' risarcire, saranno i magistrati a sborsare di tasca propria. Nella relazione di accompagnamento al testo, Vitali spiega: È innegabile che soprattutto negli ultimi anni vi sia stato un abuso" dello strumento delle intercettazioni "che, da un lato, e' enormemente costato alle casse dello Stato e, dall'altro, e' stato largamente invasivo del diritto costituzionale alla riservatezza nei confronti di numerosissimi cittadini che sono usciti dalle rispettive vicende dopo essere passati nel 'tritacarne' mediatico e giudiziario. Il Parlamento e' stato fino a oggi incapace di dettare una disciplina che regolamentasse la materia".



Berlusconi chiama Lerner: ''Postribolo televisivo''. Poi attacca



Durante L'infedele su La7, come già accaduto a Ballarò, il premier telefona in diretta e, dopo un breve sfogo nel quale insulta alcune delle signore presenti, difende Nicole Minetti e invita Iva Zanicchi a lasciare lo studio, attacca. Si stava affrontando il "Caso Ruby"



lunedì 24 gennaio 2011

Basta!


Dico basta!
Non ne posso più!
Ho lavorato una vita, con coscienza, ho raggiunto la pensione, quella che nessuno dei miei figli avrà mai, ora voglio dare loro un avvenire, lontano da questo mondo di matti, in cui chi è furbo fa soldi, non importa come; dove chi possiede un HiPhone è fico, dove se non hai soldi sei emarginato.
Io voglio un mondo in cui chi vale e vuole lavorare per meritare, abbia il suo giusto compenso.
Non voglio essere schiava di nessuno, e non voglio che i miei figli siano schiavi di nessuno.
Voglio poter essere informata di ciò che realmente succede senza che qualcuno me lo nasconda o me lo trasmetta commentato e revisionato.
Voglio crescere e non involvere, voglio la mia libertà, quella per cui ho combattuto e penso di avere conquistato, voglio la democrazia, quella vera, non quella interpretata da esseri immondi.
Chiedo di vivere.
Quello che ci stanno dando non è vivere.

domenica 23 gennaio 2011

Apocaliss mo’, i quattro cavalieri dell’Apocalisse di questa settimana.




LA FIDANZATA DI SILVIO

Il Presidente del Consiglio ha confessato ai media, tramite un videomessaggio e per stroncare le malelingue, di avere una donna stabile (oppure uno stabile pieno di donne, non si è ancora capito bene). Ma chi sarà mai la fidanzata segreta di Berlusconi? Si tratterebbe, secondo indiscrezioni, di una creatura sensibile, che gli è stata molto vicina in un momento difficile: sembrerebbe il ritratto dell’on. Scilipoti, il quale però, dopo essere vistosamente arrossito, ha smentito categoricamente. Considerata l’età delle candidate proposte dai giornali, Silvio sta per realizzare un’impresa mai tentata in Italia: essere il primo genero più vecchio di una ventina d’anni dei suoceri. Straordinario. Alla luce di questi fatti, lo staff di legali del Premier ha preparato un documento: è senza dubbio da considerarsi legittimo impedimento il giorno di S. Valentino, il mesiversario e il compleanno della suocera. Qualora i magistrati di Milano non fossero d’accordo, si tratterebbe dell’ennesima persecuzione giudiziaria. Per quanto riguarda invece la vergognosa accusa di prostituzione minorile mossa a Berlusconi, c’è da considerare che in Italia abbiamo il tasso di disoccupazione giovanile più alto d’Europa. Era solo un modo per dare a tante ragazze nuove prospettive occupazionali.

EMILIO FEDE
E’ rimasto da solo a difendere il suo editore, che lui sa essere un uomo di grande cuore, uno che ha sempre fatto del bonifico a tutti. “Sono amareggiato – ha dichiarato Fede – ma soprattutto confuso, a causa di questa vicenda. Pensate: un mio amico, noto manager e talent scout, ha letto sui giornali che il prezzo alla pompa era aumentato e ha cominciato ad avvertire tutte le sue giovani clienti. Ho dovuto spiegargli che gli articoli si riferivano alla benzina, solo alla benzina. Siamo entrambi confusi e completamente estranei a quest’assurda vicenda. E poi, voi vi scandalizzate tanto perché ci sarebbero delle giovani donne che, per lavorare, sono costrette a fare certe cose. Ma scusate: anche agli operai di Mirafiori, per farli continuare a lavorare, la Fiat ha chiesto il culo e i quotidiani, altro che prostituzione minorile: l’hanno chiamato referendum! E allora! Guardiamo il lato positivo di questa storia, che in un momento del genere dimostra una cosa importante: i suini tedeschi saranno pure a rischio diossina, ma i nostri sono ancora genuini, dei gran maiali italiani allevati come una volta…”. Qui la dichiarazione s’è interrotta, Emilio ha sentito un groppo alla gola, dimostrando dignità e coraggio. Doti rare e preziose. Bravo, dovrebbe fare il giornalista.

BARBARA D’URSO
La calata di Barbara è peggio di quella dei barbari: terrorizza l’intero mondo civile, davanti al teleschermo. La D’Urso, nel corso di Stasera che sera, ha intervistato il povero Francesco Nuti, ammesso che si possa chiamare intervista rivolgersi a qualcuno che non è in grado di rispondere. Il prossimo passo di Canale 5, in questa direzione, potrebbe essere l’organizzazione dei Mondiali di tiro al piattello per non vedenti. L’ex attore e regista, purtroppo, non poteva sottrarsi a quella gogna mediatica: We are the scempio, my friends… veniva voglia di cantare, guardando le immagini sul piccolo schermo. Peccato che l’interessante e innovativo programma sia stato soppresso dopo solo due puntate per mancanza d’ascolti, oltre che di vergogna: avrebbe potuto regalarci altri momenti indimenticabili, come la simpatica fustigazione di una coppia d’orfanelli, bei gavettoni agli anziani di un circolo bocciofilo e la ricetta per la perfetta panatura dei cuccioli di foca. Peccato. “Quando un esperimento non riesce, è onesto interromperlo senza cercare scuse”, ha commentato il direttore generale informazione Mediaset, Mauro Crippa. Magari l’avesse pensata così anche il dottor Victor von Frankenstein .

NICOLE MINETTI
Questa donna ha davvero del talento: è riuscita, infatti, a mettere in imbarazzo il suo capolista Roberto Formigoni, impresa non facile da realizzare con un ex democristiano ( è gente che, in genere, per arrossire ha bisogno dell’aiuto di un lanciafiamme). Ex igienista dentale di Silvio Berlusconi, cui l’aspetto orale è sempre stato molto a cuore, viene accusata dai magistrati milanesi di essere stata una procacciatrice di escort per il nostro arzillo Primo Ministro, selezionatrice e abile consulente nella scelta di quelle più appetibili. Del resto, la bella Nicole cercava solo di fare seriamente il suo lavoro: è Consigliere Regionale, consigliava. Pochi giorni fa, mentre dava il meglio di sé sul Pirellone (siete maliziosi, vergognatevi: si tratta semplicemente del grattacielo Pirelli, sede della Regione Lombardia), pressata dai giornalisti che la incalzavano con le loro domande tendenziose e piene di prevenzione, la Minetti è sbottata e ha gridato, esacerbata: “Basta… un po’ di decenza!”. Se ne sente l’esigenza addirittura lei, vuol dire che il Paese ne ha veramente bisogno.

di Marco Presta

da Il Fatto Quotidiano del 23 gennaio 2011


Pompei, le Fiamme Gialle indagano sulle spese folli dei Bertolaso Boys.


Dopo le inchieste sui crolli nel sito archeologico, ora la procura di Torre Annunziata punta a capire come siano stati spesi gli 80 milioni di euro dati in dote al defunto prefetto Renato Profili prima e a Marcello Fiori, fedelissimo dell’ex capo della Protezione Civile, poi

Ora si indaga sulle spese della “Cricca pompeiana”, sulla gestione dei Bertolaso Boys all’ombra del Vesuvio. Venerdì la Guardia di Finanza è tornata negli uffici della Soprintendenza del più grande sito archeologico al mondo: è la terza volta dall’inizio dell’anno. Questa volta, però, il mandato era preciso: acquisire la copia dei documenti contabili, le delibere, i contratti e i mandati di pagamento relativi alle spese sostenute dal 28 agosto 2008 fino al 31 luglio 2010. Tutti, nessuno escluso. Dopo le inchieste sui crolli e quella sul restauro-monstre del Teatro Grande, ora la procura della Repubblica di Torre Annunziata punta a capire come siano stati spesi gli 80 milioni di euro dati in dote al defunto prefetto Renato Profili prima e a Marcello Fiori, fedelissimo dell’ex capo della Protezione Civile, poi.

Gli uomini delle Fiamme Gialle del gruppo di Torre Annunziata si sono presentati di primo mattino negli uffici della Soprintendenza: due sottufficiali e un giovane ufficiale, il tenente Benito Addolorato, in borghese. Una presenza volutamente più discreta del solito, per evitare che il clamore possa essere strumentalizzato dai partiti di governo a pochi giorni dalla discussione sulla mozione di sfiducia sul ministro Sandro Bondi. Il clima fra esecutivo e procure è rovente. Per questo, il capo della procura oplontina, Diego Marmo, appena diffusa la notizia ha smorzato i toni parlando di “attività ordinaria per un fascicolo già aperto”.

Un procedimento avviato a fine novembre, all’indomani delle due inchieste pubblicate sull’Espresso – “Cricca pompeiana” e “Cin cin di spesa” – a firma Emiliano Fittipaldi e Claudio Pappaianni. I due cronisti del settimanale di Largo Fochetti avevano documentato, punto su punto, le discutibili spese della gestione Profili-Fiori. Stipendi da record, consulenze, operazioni di marketing: degli 80 milioni di euro impegnati, solo una minima parte è andata alla manutenzione e al restauro della città degli scavi. Spese fuori controllo, soldi che finiscono agli amici degli amici: “Quasi 47mila euro sono serviti per metter in piedi l’evento ‘Torna la vite’; 185mila per il progetto PompeiViva: soldi dati alla onlus romana CO2 Crisis Opportunity fondata da Giulia Minoli, figlia di Gianni e Matilde Bernabei, che ha avuto Gianni Letta come testimone di nozze. Lo sposo?Salvo Nastasi, direttore generale del ministero dei Beni culturali”, scrivevano a novembre Pappaianni e Fittipaldi. E ancora: “Più di 34mila euro sono stati investiti per due video promozionali, 90mila per l’organizzare un concorso di poesia (l’ideatore ha preso una consulenza da 22mila euro). Un posto di primo soccorso gestito dalla Croce Rossa è costato 336mila euro (per un anno), 71mila euro sono finiti alla Pasquale Di Paolo Sas per “la fornitura, il trasporto e l’installazione di Totem”, senza dimenticare i 45mila dati alla stessa ditta per la fornitura segnaletica esterna e materiale grafico”.

Supermarcellino, come gli amici chiamano affettuosamente Marcello Fiori, oltre a garantirsi un assegno annuale da 150mila euro, aveva messo in conto alla gestione degli Scavi di Pompei pure 1.668 euro per i nuovi arredi del suo ufficio, 4mila per la “parete attrezzata” e 1.700 euro per la divisa del suo autista. Con lui, le spese previste per lo staff erano lievitate da 200mila a 800mila euro, anche se per il “funzionamento” la spesa complessiva alla fine è stata 3 volte superiore: oltre 2milioni e 300mila euro. Dopo le inchieste dell’Espresso, Fiori si era difeso utilizzando il solitorefrain berlusconiano: “Sono ricostruzioni fantasiose e distorte della realtà”. Ora la Guardia di Finanza ci dirà quanta fantasia c’era. O se, come spesso accade negli ultimi tempi, la realtà abbia superato l’immaginazione.



Cassazione conferma, Cuffaro a Rebibbia!




di Silvia Cordella - 22 gennaio 2011
La seconda sezione penale della Corte di Cassazione presieduta da Antonio Esposito ha rigettato il ricorso dell’ex presidente della regione siciliana Salvatore Cuffaro e lo ha condannato definitivamente a 7 anni di carcere per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazione di segreto istruttorio.

La sentenza è stata una doccia fredda per l’ex Senatore del Pid (popolari di italia domani) che questa mattina sperava in un annullamento con rinvio ed il conseguente ridimensionamento del reato così come prospettato ieri dal procuratore generale Giovanni Galati, che ha chiesto alla Corte di Appello di eliminare l’aggravante mafiosa senza la quale Cuffaro, anche in caso di condanna, non sarebbe finito in carcere per il sopraggiungere della prescrizione. Ritenendo invece fondato il quadro accusatorio dei pm di Palermo, il Presidente Esposito ha confermato pienamente la condanna che il 23 gennaio del 2010 i giudici d’Appello avevano inflitto a Cuffaro ritenendolo colpevole di aver favorito il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro con il quale nella primavera del 2001, durante la campagna elettorale che lo portò ad essere Governatore in Sicilia, aveva intrattenuto rapporti attraverso la mediazione dell’ex assessore alla Sanità del comune di Palermo Domenico Miceli, anche lui condannato definitivamente lo scorso novembre per concorso esterno in associazione mafiosa. La Suprema Corte inoltre ha ritenuto Cuffaro colpevole anche per la vicenda sulle fughe di notizie legate a Michele Aiello, il magnate di Bagheria ritenuto vicino al capo di Cosa Nostra Bernardo Provenzano, proprietario della lussuosa clinica oncologica privata (sottoposta ad amministrazione giudiziaria) “Villa Santa Teresa” alla quale la Regione, durante la gestione Cuffaro, ha pagato per le prestazioni di cure antitumorali tariffe di dieci volte superiori rispetto a quelle vigenti nelle altre regioni italiane. A caldo il Procuratore capo della Procura di Palermo Francesco Messineo si è detto soddisfatto. “La sentenza della Corte di Cassazione – ha commentato - conferma l'impianto accusatorio sostenuto dalla procura in primo grado” che quella volta “era stato accolto dai giudici solo parzialmente – mentre successivamente - la Corte d'Appello lo ha confermato”. “Ora la sentenza è definitiva”. Cuffaro dopo il verdetto ha deciso subito di costituirsi presentandosi al carcere di Rebibbia a Roma. “Adesso – ha detto ai giornalisti quando è uscito da casa - affronterò la pena come è giusto che sia, questo è un insegnamento che lascio come esempio ai miei figli”. “Sono stato un uomo delle istituzioni – ha proseguito – e ho un grande rispetto della magistratura che è una istituzione, quindi la rispetto anche in questo momento di prova. Una prova – ha concluso – che certamente non è facile ma che ha rafforzato in me la fiducia nella giustizia e soprattutto ha rafforzato la mia fede”. “La giustizia ha fatto il suo corso – ha commentato Rita Borsellino, deputato europeo del Pd - e la sentenza di oggi pone fine a una vicenda che ha mostrato con tutta evidenza il coacervo politico, affaristico e mafioso che ha retto la Sicilia nell'ultimo decennio. A fronte di tutto ciò e senza dimenticare i gravissimi crimini di cui si è macchiato l'ex governatore, mi preme tuttavia esprimere apprezzamento per l'atteggiamento tenuto nel corso del processo da Salvatore Cuffaro, che ha mostrato massimo rispetto tanto per l'operato dei magistrati, quanto per la sentenza dei giudici”. “Un atteggiamento dignitoso – ha concluso la Borsellino - che si contrappone in maniera netta a quello dei troppi uomini politici che, come il presidente del Consiglio, sono soliti rispondere alle accuse della magistratura denigrando i giudici e sottraendosi alla giustizia”. Salvatore Cuffaro in carcere ha portato con sé dei libri, secondo uno dei suoi avvocati, Oreste Dominioni, “godrà di un condono e delle riduzioni di pena che potranno esserci per buona condotta”. Dalla sua cella l’ex Governatore attenderà anche il verdetto del processo che lo vede imputato di concorso esterno in associazione mafiosa davanti al Gup di Palermo. I Pubblici Ministeri che rappresentano l’accusa, Nino Di Matteo e Francesco del Bene, a giugno dello scorso anno hanno chiesto per lui la condanna a dieci anni. “A differenza di altri che tentano di sottrarsi al processo – aveva dichiarato Di Matteo a fine requisitoria - l'imputato ha avuto una condotta irreprensibile - ma i fatti sono veramente gravi. Per la rilevanza del contributo fornito all'organizzazione criminale da un politico capace e influente nel contesto nazionale”. La concessione delle attenuanti dunque era stata scartata “per l'intensità e la pervicacia con cui s' è attivato” a favore della criminalità organizzata anche se la pena sarà diminuita di un terzo grazie al rito abbreviato. Oggi la Corte di Cassazione ha confermato le condanne anche agli altri imputati del processo sulle “Talpe”. Michele Aiello è stato condannato definitivamente a 15 anni e mezzo di carcere per associazione mafiosa (che sconta al Pagliarelli di Palermo) mentre Giorgio Riolo, che stanotte dorme nel carcere campano di santa Maria Capua a Vetere dove sarà accompagnato dai suoi colleghi del Ros, ha beneficiato di un leggerissimo sconto di pena da 8 anni inflitti in Appello ai 7 anni e 5 mesi della Cassazione.