giovedì 24 febbraio 2011

Il cigno nero. Come l'improbabile governa la nostra vita.




Trama del libro

Cosa pensarono gli europei quando, giunti in Australia, videro dei cigni neri dopo aver creduto per secoli, supportati dall'evidenza, che tutti i cigni fossero bianchi? Un singolo evento è sufficiente a invalidare un convincimento frutto di un'esperienza millenaria. Ci ripetono che il futuro è prevedibile e i rischi controllabili, ma la storia non striscia, salta. I cigni neri sono eventi rari, di grandissimo impatto e prevedibili solo a posteriori, come l'invenzione della ruota, l'11 settembre, il crollo di Wall Street e il successo di Google. Sono all'origine di quasi ogni cosa, e spesso sono causati ed esasperati proprio dal loro essere imprevisti. Se il rischio di un attentato con voli di linea fosse stato concepibile il 10 settembre, le torri gemelle sarebbero ancora al loro posto. Se i modelli matematici fossero applicabili agli investimenti, non assisteremmo alle crisi degli hedge funds. Questo libro è dedicato ai cigni neri: cosa sono, come affrontarli, in che modo trame beneficio.

Recensione del libro

Che cos'è un Cigno nero? è un evento isolato e inaspettato, che ha un impatto enorme, e che solo a posteriori può essere spiegato e reso prevedibile. Nassim Nicholas Taleb, docente americano di Scienze dell'incertezza, e già autore del libro di successo Giocati dal caso, è convinto che manie, epidemie, mode, idee, nascita di generi e scuole artistiche, finanza, economia, tutte seguano la dinamica del Cigno nero. In pratica questo vale per tutto ciò che di importante succede intorno a noi. Secondo Taleb, nella vita individuale e privata, come in quella sociale e pubblica, noi agiamo come se fossimo in grado di prevedere gli eventi, da quelli sentimentali a quelli storici, a quelli naturali. Pensiamo ad esempio alla professione che abbiamo scelto, all'incontro con la nostra compagna o compagno, alla scelta di vivere all'estero, ad un improvviso arricchimento o impoverimento: quante di queste cose sono avvenute secondo i piani? E se prendiamo l'attacco dell'11 settembre 2001, lo tsunami del Pacifico nel 2004, l'ascesa di Hitler e la guerra che ne seguì, la rapida fine dell'Urss, o la diffusione di internet, ci accorgiamo che secondo la logica del Cigno nero quel che non sappiamo è molto più importante di quello che è noto. Molti Cigni neri sono causati e ingigantiti, nel bene e nel male, proprio dal fatto che sono imprevisti.
Taleb in questo saggio afferma, contro molte abitudini di pensiero, che il mondo è dominato da ciò che è estremo, sconosciuto e molto improbabile (secondo la nostra conoscenza attuale), mentre noi continuiamo a occuparci di aspetti secondari, a concentrarci su ciò che è conosciuto e ripetuto. Invece il Cigno nero, l'evento estremo, andrebbe utilizzato come punto di partenza, non come un'eccezione da nascondere sotto il tappeto. L'autore propone l'idea più audace, e più fastidiosa, che nonostante il progresso della nostra conoscenza, il futuro sarà sempre meno prevedibile e che quindi, per vivere nel mondo d'oggi, sia necessaria molta più immaginazione di quella di cui disponiamo.
Nella prima parte del libro Taleb illustra per lo più il modo distorto in cui percepiamo gli eventi, storici e attuali, e gli errori che facciamo quando nel sapere cerchiamo conferme e dimentichiamo la lezione dell'antibiblioteca di Umberto Eco: conta di più concentrarsi sui libri non letti e trattare la conoscenza come un'apertura all'improbabile, piuttosto che come un tesoro o uno strumento per aumentare la propria autostima. Taleb chiama questo tipo di "antistudioso", novello Socrate che sa di non sapere, che più avanza nell'età e più accumula libri non letti, "empirista scettico", perché non si fa imbrogliare dal platonismo di certe categorie astratte che vorrebbero imbrigliare la storia, ma si confronta con i salti eccentrici e col fatto che la realtà empirica non è né equilibrata, né ragionevole. La seconda parte del saggio, "Non possiamo proprio prevedere", riguarda gli errori che commettiamo quando abbiamo a che fare con il futuro e i limiti di alcune scienze che offrono "ancoraggi" a certe previsioni, anziché valutare certe idee in assoluto e nelle loro conseguenze reali. La terza parte, "I Cigni grigi dell'Estremistan", approfondisce l'argomento degli eventi estremi, spiega come viene generata la grande "frode intellettuale" della curva a campana di Gauss (la variabile casuale normale) e passa in rassegna le idee delle scienze naturali e sociali raccolte sotto l'etichetta di "complessità". Taleb in queste pagine cerca di spiegare come si può ridurre l'effetto sorpresa di un Cigno nero, sempre sovversivo, trasformandolo in Cigno grigio e facendosi quindi un'idea generale della possibilità che si verifichi. Il finale è all'insegna della saggezza pratica: l'autore ci invita a essere per metà iperscettici sulle conferme degli altri, e per metà aggressivi e sicuri laddove gli altri consigliano prudenza. E conclude ricordandoci che anche noi, nel nostro piccolo, siamo dei Cigni neri, unici e imprevedibili.

La trama del film.

Nina (Natalie Portman) è una ballerina di danza classica del New York City Ballett che ha studiato con sacrificio e dedizione assoluta, spinta anche dalle ambizioni della madre, ex ballerina che non è riuscita a “sfondare”nel mondo della danza. Il suo sogno nel cassetto è quello di ottenere il ruolo di prima ballerina del balletto “Il lago dei cigni”, opera del celebre Chajkosky. Durante i provini, la giovane sbaraglia tutte le pretendenti al ruolo, ottenendo la parte del “cigno bianco”. Ma dovrà interpretare anche il ruolo antitetico di “cigno nero”. Così ha deciso il regista e coreografo Thomas (Vincent Cassell), che come una sorta di “demiurgo” cercherà di far emergere il lato più oscuro e seducente della candida, incantevole e inibita Nina.
La dedizione smisurata della dolce ragazza, messa in campo per superare i propri blocchi emotivi e riuscire a recitare degnamente la parte di “cigno nero”, la condurranno verso il baratro del disordine della mente: allucinazioni, autopunizioni corporali, pensieri malati e delirio si impossesseranno della sua innocenza, spingendola fino al parossismo di una metamorfosi in “cigno nero”.
Un film da vedere, molto intenso e ipnotico, degnamente interpretato da Vincent Cassell, e con una incredibile Natalie Portman, che riesce ad incarnare un personaggio combattuto tra due essenze contrapposte.

La recensione del film.

Dopo aver suscitato apprezzamenti e riconoscimenti vari, questo fine settimana approda nelle sale italiane “Il cigno nero”. La pellicola - diretta dal regista di “the wrestler”, Darren Aronofsky - è un thriller psicologico in cui la continua lotta tra il bene e il male che alberga in ognuno di noi, viene magistralmente interpretata dalla incredibile Natalie Portman.
Non a caso, la bellissima attrice di origini israeliane, che ha già vinto il Golden Globecome migliore attrice di film drammatico, è stata candidata all'Oscar come migliore attrice protagonista, mentre il film ha ottenuto ben 5 candidature.

Per il libro:

Per il film:



mercoledì 23 febbraio 2011

TV OLANDESE: Berlusconi criminale come Gheddafi.



Olanda. 21 febbraio 2011. Nederland2, l'equivalente di RaiDue. Nel corso del programma di approfondimento "Nieuwsuur" viene intervistato il corrispondente da Londra Mohammed Ali Abdallah, del Fronte Nazionale di Liberazione della Libia(NFSL - National Front for the Salvation of Libya). Il conduttore non pare minimamente in disaccordo con quanto sostiene il libico, non lo ferma e non si dissocia.

Che in Libia ci siano caccia italiani a bombardare la gente o meno, che ci siano o meno mercenari italiani in giro a giocare al tiro a segno per le strade di Tripoli, resta il fatto che i baciamano, le dichiarazioni fuori luogo e prive di qualsiasi intelligenza politica, i ritardi nelle prese di posizione diplomatiche e la stima ostentata verso il leader di un regime tirannico fanno sì che per l'ennesima volta l'Italia venga considerata non solo il paese di pulcinella, ma addirittura collusa con le malversazioni criminali dei peggiori dittatori.

E' tempo di ricominciare una lunga e faticosa marcia che riporti il nostro paese verso uno standard minimale in quanto a dignità, rispetto e credibilità sulla scena internazionale. E prima di tutto in quella ben più importante del rispetto e dell'orgoglio che ogni cittadino deve a se stesso.

Ecco la trascrizione fedele di quello che si può sentire in una televisione europea.

Abdallah: Le ultime informazioni che arrivano dalla Libia oggi sono che decine di caccia hanno attaccato e bombardato Tripoli, le sue aree residenziali e quasi tutte quelle intorno. Ci sono rapporti che dicono che alcuni di questi caccia non sono caccia libici. Alcuni rapporti che non possiamo confermare dicono che ci sono anche caccia italiani a bombardare Tripoli. Ci sono due piloti dell'aeronautica che si sono rifiutati di eseguire gli ordini di Gheddafi di bombardare, e sono scappati a Malta, sono atterrati a Malta e hanno chiesto asilo politico. Ci sono anche molti rapporti che migliaia di mercenari dai paesi africani, come molte milizie dalla Tunisia, così come molti riportano di mercenari italiani che girano nelle strade di Tripoli, in molte aree [ndr: elenco delle aree locali], e questi mercenari camminano per le strade, alcuni di loro in auto, fino a 4 persone per macchina, macchine civili, e sparano a casaccio sui civili. Ci sono centinaia e centinaia di conferme, queste sono le ultime notizie che abbiamo, così come di almeno 250 corpi che sono stati trasportati negli ospedali di Tripoli, con moltissimi altri corpi che restano nelle strade perché le persone hanno paura a recuperarli, hanno paura che i mercenari gli sparino e hanno paura delle bombe. Il regime sta usando armi di artiglieria, quel tipo di armi che normalmente si usano in guerra, due eserciti uno contro l'altro, ma in questo caso l'esercito di Gheddafi le sta utilizzando contro la gente libica disarmata.
La Libia è un partner strategico per ogni paese in Europa, compresa l'Olanda. La Libia può essere un paese amico per tutto il mondo, la Libia può essere la meta per le vacanze, una meta di prosperità. La Libia ha un potenziale altissimo, ma non può raggiungerlo sotto a questo tipo di regime, sotto a questo genere di brutalità..

Conduttore: Cosa si aspetta dalla comunità internazionale?

Abdallah: Ecco le richieste che ho fatto alcuni giorni alla comunità internazionale:
  1. il Consiglio di Sicurezza deve condannare fermamente ciò che accade, ed emanare un ordine di arresto internazionale per Muammar Gheddafi e per i suoi miliziani.
  2. Devono congelare tutti i loro beni nelle banche, sia in Europa che in Africa, che vengono utilizzati per pagare i mercenari e per comprare alcune di queste armi e di questa artiglieria.
  3. Bisogna inviare aiuti sanitari e umanitari agli ospedali e a tutta la Libia che ne hanno bisogno immediatamente.
Queste sono cose che possono essere fatte. Al momento quello che vediamo sono solo questi massacri. Io credo che bisognerebbe fare e domandare di più. Bisogna costringere con la forza questi aerei che bombardano ad atterrare. E se è vero come è riportato che alcuni di questi caccia sono italiani, io credo che sia chiaro quello che i paesi europei dovrebbero fare all'Italia e al signor Berlusconi, che è tanto criminale quanto Gheddafi se sta contribuendo in prima persona a questo massacro.
Questo è ciò che chiediamo alla comunità internazionale, e io chiedo alle persone che hanno visibilità nei media e che supportano la gente libica, ...quello che io chiedo a questa gente di fare... è di parlare ai loro governi, di parlare con chi prende le decisioni.

Conduttore: Signor Abdullah, la interrompo un attimo. Abbiamo appena avuto una notizia dell'ultima ora. Il primo ministro Berlusconi ha condannato le azioni del colonnello Gheddafi.

Abdallah: Sì, ma è troppo tardi, amico mio. Berlusconi, ieri, il suo commento eraun insulto alla gente libica, quando il suo governo ha dato alla stampa un comunicato nel quale supportava Gheddafi, e Berlusconi si è spinto anche oltre, dichiarando che non voleva disturbare Gheddafi in questa situazione... Condannare adesso è troppo tardi, amico mio. Avete un bel problema da gestire. Gli italiani devono occuparsi di Berlusconi, così come deve occuparsene l'intera comunità europea. Questa non è una persona in grado di rappresentare nessun paese nel mondo, ancor meno un paese come l'Italia, e credo che ogni italiano dovrebbe vergognarsi di essere rappresentato da uno come Berlusconi, e spero che facciano qualcosa e che lo mettano al suo posto.



Berlusconi: il premier non ha alcun potere.




Roma, 23 feb. (Adnkronos) - Nell'assetto costituzionale previsto dall'attuale Carta "al governo rimane solo il nome e l'immagine del potere". Lo ha affermato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi intervenendo agli Stati generali di Roma Capitale.

Una situazione, ha spiegato, che rende impossibili le riforme, perché i provvedimenti del governo, decreti e disegni di legge, debbono passare alla firma del capo dello Stato e poi vengono profondamente modificati dal Parlamento e così un testo varato dal Consiglio dei ministri da "focoso destriero purosangue" si trasforma in "ippopotamo".

''Quando leggo articoli di ottimi editorialisti che rimproverano noi che siamo al governo di non aver fatto le riforme - ha affermato il premier - mi viene una gran voglia di raccontare perché non si riescono, nella situazione in cui siamo, a fare le riforme, perché il nostro governo, come tutti i governi precedenti è dentro un assetto istituzionale che è stato determinato dai padri costituenti che, giustamente, per non rendere possibile, dopo il ventennio, un regime dittatoriale, spartirono il potere tra il presidente della Repubblica, il Parlamento, e la Corte Costituzionale. Al governo rimane soltanto il nome e la pura immagine del potere. Vi assicuro che chi occupa la presidenza del Consiglio di potere non ne ha alcuno''. ''Mi trovavo ad essere un imprenditore che disponeva di mezzi di comunicazione - ha detto ancora Berlusconi - ero guardato con attenzione e con rispetto da molti protagonisti della politica, perché si attendevano un trattamento oggettivo su quello che facevano, potevo almeno assumere e licenziare, anche se non ho mai licenziato nessuno''.

Il presidente del Consiglio a questo punto ha descritto l'iter dei vari provvedimenti del governo, da quando vengono approvati dal Consiglio dei ministri a quando diventano legge, partendo dalla firma del presidente della Repubblica e dal suo ''consenso totale'' che deve accompagnare i decreti legge, sicché ''non è nella disponibilità del governo di fare i decreti, ci deve essere l'accordo e la firma del capo dello Stato''. Il premier ha poi ricordato le varie letture delle Camere e le eventuali modifiche e così ''quello che il presidente del Consiglio e il suo governo avevano concepito come un focoso destriero purosangue quando esce dal Parlamento se va bene è un ippopotamo e ricorda il nome di ippocavallo. Io vorrei che tutti foste consapevoli che se noi non facciamo le riforme istituzionali non c'è nessuna speranza'', ha concluso Berlusconi, confessando il suo ''sogno'' di potersi confrontare con un'''opposizione socialdemocratica''.





PERCHE' L'ITALIA NON SI RIVOLTA ? - di Massimo Fini.




Perché non ci ribelliamo? In Italia la disoccupazione giovanile è al 29%, la più alta d'Europa. Tutti noi genitori abbiamo il problema dei figli, quasi sempre laureati, che non trovano lavoro o che devono accettare ingaggi precari molto al di sotto del loro titolo di studio, senza nessuna prospettiva per il futuro (questo è stato uno degli elementi scatenanti della rivolta tunisina innescata da un ingegnere costretto a fare il venditore ambulante e, impeditagli anche la bancarella, si è dato fuoco).

Tutti gli scandali più recenti, dal "caso Mastella" in poi, ci dicono che la classe dirigente italiana, intesa come mixage di politici, amministratori pubblici, imprenditori, finanzieri, speculatori, esponenti dello star system, piazzano i propri figli, nipoti, generi, amici degli amici, in posti di lavoro ben remunerati e sicuri.

Del resto nemmeno un chirurgo, nel nostro Paese, può fare il chirurgo se non ha gli agganci giusti con questa o quella banda di potere. Perché il sistema clientelare di Mastella non è il "sistema Mastella" è il sistema dell'intera classe dirigente italiana. Se non altro Mastella ha lo spudorato coraggio e la spudorata onestà di non farne mistero.

I ceti popolari sono stati espulsi da Milano e mandati nell'hinterland, in "non luoghi" direbbe Biondillo, che hanno il nome di paesi ma non sono paesi, perché non hanno una piazza, una chiesa, un cinema, un luogo di aggregazione.

Le deportazione dei ceti popolari ha distrutto Milano, città interclassista dove nei quartieri del centro, Brera, Garibaldi, Pirelli abitava accanto al suo operaio, il primo, naturalmente, in un palazzo di Caccia Dominioni, il secondo in una casa di ringhiera. Questa interfecondazione dava alla città una straordinaria vivacità che è andata inesorabilmente perduta. Oggi una giovane coppia non può trovar casa a Milano, né in affitto né tantomeno in proprietà nemmeno con mutui che impegnino tre o quattro generazioni. Quando ci si lamenta che certe zone periferiche, come viale Padova, sono state occupate più o meno illegalmente dagli immigrati, si sbaglia perché se non altro hanno restituito un po' di vita, e in particolare una vita notturna a una città che non ne ha più se non in quei quattro o cinque bordelli di lusso, a tutti noti, che ogni tanto vengono chiusi per eccesso di escort e di droga. In questi posti senti uomini fra i quaranta e i sessanta fare discorsi di questo tipo: «Domani parto per New York, poi faccio un salto a Boston e ritorno in Italia via Tailandia dove mi fermerò una decina di giorni». Se per caso ti capita di parlargli e gli chiedi: «Scusi, lei che lavoro fa?», le risposte son vaghe. In genere si dicono finanzieri, intermediari, immobiliaristi.

Quando agli inizi degli anni '70 era già cominciata la deportazione dei milanesi verso l'hinterland, lo Iacp, Istituto Autonomo Case Popolari, non dava i suoi appartamenti alla povera gente, ma a politici, amministratori locali, giornalisti, in genere socialisti perché, prima del ribaltone della Lega, Milano, è stata governata da sindaci del Psi (Aniasi, Tognoli, Pilliteri, gli ultimi).

È ovvio che il centro di Milano, depauperato dei suoi ceti popolari, sia abitato oggi solo dai ricchi. Noi milanesi le case di piazza del Carmine, di via Moscova, di via della Spiga, di via Statuto possiamo solo sfiorarle e occhieggiarne i lussuosi androni. Meno ovvio è che il Pio Albergo Trivulzio, la Baggina come la chiamiamo noi, che ha accumulato un ingente patrimonio immobiliare, grazie a dei benefattori che intendevano, con ciò, non solo alleviare la condizione dei vecchi soli e invalidi ma anche che i loro quattrini avessero un utilizzo sociale, svenda questo patrimonio, con affitti o vendite "low cost" come si dice elegantemente oggi, a politici, amministratori, manager, immobiliaristi, speculatori, modelle, giornalisti, che di questo "aiutino" non avrebbero alcun bisogno, sottraendo risorse a chi il bisogno ce l'ha.

Io bazzico bar frequentati da impiegati, da piccoli manager, da lavoratori del terziario e un'antica piscina meneghina, la Canottieri Milano, dove si sono rifugiati, come in uno zoo per animali in estinzione, i cittadini di una Milano che fu, gente anziana. Tutti schiumano rabbia impotente di fronte a queste storie dei figli delle oligarchie del potere che hanno il posto assicurato o delle case del centro occupate "low cost" da queste stesse oligarchie o dai loro pargoli (nello scandalo del Pio Albergo Trivulzio c'è un nipote di Pilliteri, una figlia di Ligresti). Queste cose li colpiscono più dei truffoni di Berlusconi perché toccano direttamente la loro carne.
v Schiumano rabbia ma non si ribellano. Perché? Le ragioni, secondo me, sono sostanzialmente due. In questo Paese il più pulito c'ha la rogna. Quasi tutti hanno delle magagne nascoste, magari veniali, ma ce l'hanno. Non che sia gente in partenza disonesta. Ma, com'è noto, la mela marcia scaccia quella buona. Se "così fan tutti", tanto vale che lo faccia anch'io. Così ragiona il cittadino. Per resistere a quel "tanto vale" ci vuole una corazza morale da santo o da martire o da masochista.

La seconda ragione sta in una mancanza di vitalità. Basterebbe una spallata di due giorni, come quella tunisina, una rivolta popolare disarmata ma violenta disposta a lasciare sul campo qualche morto per abbattere queste oligarchie, queste aristocrazie mascherate che, come i nobili di un tempo, si passano potere e privilegi di padre in figlio, senza nemmeno avere gli obblighi delle aristocrazie storiche. Ma in Tunisia l'età media è di 32 anni, da noi di 43. Siamo vecchi, siamo rassegnati, siamo disposti a farci tosare come pecore e comandare come asini al basto. Solo una crisi economica cupissima potrebbe spingere la popolazione a ribellarsi. Perché quando arriva la fame cessa il tempo delle chiacchiere e la parola passa alla violenza. La sacrosanta violenza popolare. Come abbiamo visto in Tunisia e in Egitto, come vediamo in Libia o in Bahrein (in culo al colossale Barnum del Circuito di Formula Uno, che è, in sé, uno schiaffo alla povera gente di quel mondo).

Massimo Fini
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
Link: http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/02/22/perche-non-ci-ribelliamo-in-italia-la/93334/
22.02.2011


martedì 22 febbraio 2011

Leggi eversive per la Consulta.-di Alessandro Pace.



La proposta del presidente del Consiglio di elevare il quorum deliberativo delle pronunce della Consulta, dall'attuale maggioranza dei giudici presenti al voto a quella dei due terzi, stravolge una delle caratteristiche essenziali della nostra Carta costituzionale.

Modificare l'articolo 16 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e dall'articolo 17 comma 3 delle Norme integrative della Corte costituzionale, nel senso auspicato da Berlusconi, esplica conseguenze pregiudizievoli non solo sulla funzionalità della Corte, come è stato fin qui autorevolmente rilevato, ma sulla stessa rigidità della nostra Costituzione.

La proposta incide infatti su quella caratteristica delle costituzioni scritte, ormai fatta propria da pressoché tutti gli ordinamenti vigenti, democratici e non, di porsi come atti normativi "formalmente superiori" rispetto alla restante attività normativa e provvedimentale degli organi dello Stato (leggi statali e regionali, decreti-legge, decreti-legislativi, decreti ministeriali, ordinanze, sentenze e così via). Con la conseguenza che tutti questi atti, per definizione "gerarchicamente inferiori", non possono contraddire la Costituzione, essendo questa la "legge fondamentale".

Per contro, qualora il Parlamento, recependo la proposta del premier, decidesse che, per dichiarare l'incostituzionalità di una legge o di una norma di legge, siano necessari i due terzi dei 15 giudici presenti (e quindi almeno 10 giudici su 15 nel caso che tutti i giudici siano presenti alla votazione o almeno 7 giudici su 11, essendo questo il numero minimo richiesto perché la Corte possa deliberare), la conseguenza sarebbe che, nel suo raffronto con la Costituzione, la legge ordinaria si troverebbe paradossalmente in una posizione più favorevole rispetto alla Costituzione ancorché sia questa, e non quella, la legge fondamentale.

Infatti, messa la legge ordinaria su un piatto della bilancia e la Costituzione sull'altro piatto, i 6 voti dei giudici favorevoli alla legge ordinaria peserebbero assai di più dei 9 voti dei giudici favorevoli alla Costituzione (né più né meno come la spada di Brenno…).

Il nodo della questione sta infatti tutto qui. Essendo le percentuali di un terzo e di due terzi in relazione tra loro, se Berlusconi ritiene che un terzo valga più dei due terzi, ciò significa che per lui la Costituzione vale, in linea di massima, meno della legge ordinaria. Il che ovviamente non costituisce una novità nel pensiero dell'attuale presidente del Consiglio, mentre conferma, sotto altro aspetto, la sua insofferenza per le forme e per i limiti che dovrebbero caratterizzare, per disposto costituzionale, l'agire dei titolari degli organi rappresentativi della sovranità popolare (articolo 1 comma 2 della Costituzione).

Un'ultima chiosa. Si è ricordato, all'inizio, che la regola della maggioranza dei giudici presenti per le pronunce della Corte costituzionale è prescritta nella legge n. 87 del 1953 e nelle Norme integrative della Corte costituzionale. Ebbene, ciò tuttavia non significa che basterebbe modificare la legge (ordinaria) n. 87 del 1953 perché l'obiettivo del premier possa essere raggiunto.

Proprio perché, in conseguenza di una siffatta modifica, la Costituzione acquisirebbe un grado di "cedevolezza" nei confronti della legge ordinaria contrastante con la sua "rigidità", è di tutta evidenza che, per introdurre una siffatta norma eversiva dell'attuale sindacato di costituzionalità delle leggi, sarebbe quanto meno necessaria una legge di revisione costituzionale, come tale sottoposta alle speciali procedure di cui all'articolo 138 della Costituzione. A meno che si ritenga, com'è lecito ritenere, che tra i "principi supremi" della nostra Costituzione - come tali immodificabili anche con legge costituzionale - ci sia anche l'inderogabile superiorità della Costituzione su tutti gli atti del nostro ordinamento.




Milleproroghe, per Napolitano è ''a rischio d'incostituzionalità''


Il capo dello Stato scrive una lettera al premier e ai presidenti delle Camere.


Monia Cappuccini , Martina Aureli
Norme troppe eterogenee, in contrasto con puntuali norme della Costituzione. Così il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano avverte che il Milleproroghe non va. Lo scrive in una lettera ai Presidenti delle Camere (Fini e Schifani) e al Presidente del Consiglio Berlusconi, nella quale ha richiamato l'attenzione sull'ampiezza e sulla eterogeneità delle modifiche fin qui apportate nel corso del procedimento di conversione al testo originario del decreto-legge. "Il Capo dello Stato - si legge nella nota diffusa dal Quirinale - nel ricordare i rilievi ripetutamente espressi fin dall'inizio del settennato, ha messo in evidenza che la prassi irrituale con cui si introducono nei decreti-legge disposizioni non strettamente attinenti al loro oggetto si pone in contrasto con puntuali norme della Costituzione, delle leggi e dei regolamenti parlamentari, eludendo il vaglio preventivo spettante al Capo dello Stato in sede di emanazione dei decreti-legge".



Libia, Gheddafi: non mi dimetto, manifestanti mercenari.


TRIPOLI/ROMA (Reuters) - Il presidente libico Muammar Gheddafi, bersaglio di una rivolta popolare repressa nel sangue, ha promesso oggi di morire da martire in Libia, mentre i soldati ribelli sostengono che la zona orientale del paese non sia più sotto il controllo del suo leader.

"Non lascerò questa terra, morirò qui come martire", ha detto Gheddafi in una discorso tv, rifiutando di cedere alle richieste di soldati e manifestanti di mettere fine ai suoi 40 anni di governo.

"Resterò qui", ha aggiunto il presidente, parlando all'esterno di una delle sue residenze, pesantemente danneggiata da un raid Usa del 1986 che tentò di ucciderlo.

Nel discorso, Gheddafi ha invitato i suoi sostenitori a scendere in strada, aggiungendo che i manifestanti meritano la pena di morte e promettendo una vaga riorganizzazione delle strutture di governo. Gheddafi ha anche affermato di non aver usato la forza contro i manifestanti antigovernativi, ma di essere deciso a farlo se necessari.

Gheddafi ha definito "ratti e mercenari che non rappresentano il popolo libico" i manifestanti che chiedono le sue dimissioni, dicendo che questi vogliono trasformare la Libia in stato islamico, "un nuovo Afghanistan".

Intanto, nel Paese sconvolto dalla rivolta, soldati libici a Tobruk hanno detto oggi ad un corrispondente Reuters che non sostengono più Gheddafi.

Anche alcuni abitanti hanno riferito che la città è ora nella mani della gente, precisando che il fumo che è salito in alcuni punti della città proviene da magazzini di munizioni bombardati da soldati fedeli a uno dei figli di Gheddafi.

"Tutte le regioni orientali ora sono fuori dal controllo di Gheddafi...Le gente e l'esercito qui vanno mano nella mano", ha detto l'ormai ex maggiore dell'esercito Hany Saad Marjaa.

UE: SOSPESO ACCORDO QUADRO CON LIBIA

L'associazione per i diritti umani Human Rights Watch quantifica in almeno 62 i morti negli ultimi due giorni di scontri nella capitale, mentre l'Alto commissariato per i rifugiati dell'Onu (Acnur) ha lanciato oggi un appello all'Italia e ai paesi confinanti della Libia affinché non respingano le persone in fuga dalle violenze nel paese nordafricano.

Oggi il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha discusso a porte chiuse della crisi in Libia, con i rappresentanti dei paesi occidentali - e la stessa delegazione libica, che ha rinnegato il governo di Gheddafi - che hanno chiesto di passare all'azione. Ma oggi si è trattato solo di una prima riunione, quasi esclusivamente procedurale, e bisognerà vedere quale sarà la reazione di paesi come la Russia e la Cina alla richiesta di intervento.

Intanto, il capo della politica estera Ue Catherine Ashton ha detto che l'Unione europea ha deciso di sospendere l'accordo quadro che sta negoziando la Libia. "Deploro la perdita di vite e condanno tutti gli atti di violenza", ha detto Ashton ai giornalisti al Cairo. "Sospenderemo l'accordo quadro che stavamo negoziando", ha aggiunto.

REPRESSIONE ARMATA

Gheddafi ha impiegato carri armati, elicotteri e aerei da guerra per soffocare la rivolta che sta dilagando nel paese, come hanno raccontato oggi diversi testimoni.

Jet militari hanno bombardato oggi alcuni quartieri della capitale Tripoli in una nuova ondata di attacchi e i mercenari hanno sparato sui civili, ha detto la tv araba al Jazeera.

Nella città orientale di Al Bayda, un abitante, Marai Al Mahry, ha detto al telefono a Reuters che 26 persone, tra cui il fratello, sono state uccise nella notte da filo-governativi.

"Ci hanno sparato addosso solo perché camminavamo per strada", ha detto tra le lacrime, chiedendo aiuto.

I dimostranti sono stati attaccati con tank e aerei, ha aggiunto l'uomo, definendo "un genocidio" quanto sta accadendo.

Centinaia di profughi sono affluiti stamani in Egitto, stipati in camion e trattori, e raccontano che la rivolta ha scatenato omicidi e banditismo.

"Cinque persone sono morte nella via dove abito", ha detto Mohamed Jalaly, 40 anni, a Reuters a Salum, sulla strada da Bengasi al Cairo. "Quando lasci Bengasi, non vedi altro che bande e giovani armati".

Un giornalista Reuters ha testimoniato che il lato libico al confine con l'Egitto è in mano ai rivoltosi anti Gheddafi.

Nel frattempo aumenta il numero di dirigenti e diplomatici libici che hanno preso le distanze dal regime, lanciando un appello alla destituzione di Gheddafi. Da ultimo, l'ambasciatore libico negli Stati Uniti, Ali Aujali, ha detto oggi ad una tv americana che non intende più rappresentare il "regime dittatoriale" di Gheddafi.

EVACUAZIONI, PARTE DALL'ITALIA ANCHE UN C-130 DELL'AERONAUTICA

Come altri Paesi, l'Italia sta cominciando le operazioni di evacuazioni di civili e di personale non essenziale. Il ministero della Difesa invierà un C-130 oggi in Libia - ha detto una fonte militare - anche se non è ancora chiara la destinazione, mentre un volo speciale dell'Alitalia per Tripoli dovrebbe riportare oltre 200 connazionali a Roma questa sera.

Il governo francese ha annunciato l'invio di tre aerei oggi per evacuare i suoi cittadini. Anche la Gran Bretagna ha annunciato l'invio di un aereo per il rimpatrio dei proprio connazionale, oltre al dispiegamento di una fregata della Marina al largo della Libia per dare eventuale aiuto ai britannici.

La Libia ha acconsentito all'atterraggio di due aerei militari egiziani e uno olandese per rimpatriare i connazionali, hanno detto i rispettivi ministeri. Mentre centinaia di lavoratori turchi saranno rimpatriati via mare, partendo dal porto di Bengasi.

Ieri sera il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, si è detto "allarmato per l'aggravarsi degli scontri e per l'uso inaccettabile della violenza sulla popolazione civile", e ha chiesto un intervento internazionale per evitare che nel paese nordafricano scoppi una guerra civile".

A Palazzo Chigi si terrà un vertice per far fronte all'emergenza-immigrazione legata alla crisi in Libia al quale prenderanno parte il ministro degli Esteri Franco Frattini - che deve rientrare dall'Egitto - dell'Interno Roberto Maroni, della Difesa Ignazio La Russa e dello Sviluppo economico Paolo Romani.

Le potenze mondiali hanno condannato l'uso della violenza contro i manifestanti, e il segretario generale dell'Onu Ban Ki- moon accusa la Libia di avere sparato sui civili "da aerei da guerra ed elicotteri".

La violenza "deve cessare immediatamente", ha detto Ban. Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu terrà un vertice sulla Libia in giornata, riferiscono diplomatici.

Per Navi Pillay, alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani, gli attacchi contro i dimostranti condotti dalle forze di sicurezza libiche potrebbero costituire un crimine contro l'umanità, e serve dunque un'indagine internazionale.

L'attività dei porti merci libici è stata chiusa a causa delle violenze che hanno investito il paese, secondo fonti marittime, che riferiscono che gli scali di Bengasi, Tripoli e Misurata - che gestiscono il traffico merci e container del paese - sono stati chiusi.

"I nostri uffici in Italia ci hanno comunicato stamane che i porti di Tripoli, Bengasi e Misurata sono stati tutti chiusi" ha detto John Bader, responsabile degli agenti commerciali in Gran Bretagna della compagnia italiana Tarros Spa.

"Abbiamo smesso di proporre spedizioni laggiù fino a che non avremo sentito che la situazione è migliorata", ha detto a Reuters.

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