lunedì 28 marzo 2011

Maroni "a casa i tunisini, ma non i libici" Una solidarietà a prova di petrolio.


Il Ministro dell'Interno parla di "rimpatri forzosi" per i migranti che provengono dalla Tunisia.

Roberto Maroni
“Con la Tunisia non siamo sotto ricatto come con la Libia per il petrolio. Sono loro a dipendere da noi, soprattutto nel settore turistico quindi, se non cesseranno gli sbarchi, si provvederà arimpatri forzosi". E’ categorico il ministro dell'Interno Roberto Maroni in un'intervista al Corriere della Sera , spiegando che “se i somali e gli eritrei non possono essere rimpatriati perché scappano dalla guerra, questo non può valere per i tunisini.”


Porte aperte, quindi, ai libici e non ai tunisini, come dichiara il titolare del Viminale invitando le regioni ad accogliere le possibili ondate di profughi. Solidarietà e accoglienza dunque, ma guardando prima il passaporto. “La Tunisia aveva promesso un impegno immediato per fermare flussi migratori, ma le barche continuano ad arrivare - contina il titolare del Viminale - In questa situazione i rimpatri forzosi sembrano essere l'unica strada possibile”.

Il Ministro leghista, inoltre, reputa l'impegno dell'Italia nella guerra libica un errore. “L'unica soluzione è quella diplomatica proposta da Franco Frattini in accordo con la Germania, se si vuole uscire da un pantano che può rivelarsi molto pericoloso.”

Michela Brambilla

In ballo quindi c'è soprattutto il petrolio. I libici lo hanno e sono bene accetti. I tunisini invece è meglio si affidino ad Allah. Ma la situazione attuale interessa anche il settore turistico. Almeno secondo il Ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla in un'intervista a Il Giornale: “prima vengono le esigenze del turismo italiano e dei nostri operatori - tuona orgogliosa - I continui sbarchi clandestini di tunisini verso l'Italia stanno danneggiando il nostro turismo e, in particolare, quello dell'isola di Lampedusa dove la stagione vale almeno 50 milioni di euro”. Pensiero condiviso da tutto l’esecutivo.

La Brambilla aggiunge che secondo i suoi calcoli "quest'anno si avranno 800 mila turisti giapponesi in meno". Dimenticando forse che inGiappone al momento hanno ben altro a cui pensare. Ma il ministro al Turismo propone anche un piano straordinario di sostegno per l'isola per recuperare la perdita subita in seguito alle cancellazioni delle prenotazioni di questi ultimi giorni. Il piano prevede, inoltre, di allungare la stagione fino all'autunno. In pratica il ministero cercherà d’intervenire anche sulle condizioni metereologiche.

Di Piera Farinella e Grazia La Paglia

http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=81



Lampedusa scoppia: è rischio epidemie Lombardo vuole " tendopoli in Padania"


Oggi gli ispettori sanitari della Regione arriveranno sull'isola, dove le condizioni sanitarie si fanno sempre più critiche. Stasera sbarcherà anche l'assessore alla Sanità Massimo Russo. Lombardo, già da ieri a Lampedusa, polemizza a distanza col Ministro dell'Interno Maroni.

Raffaele LombardoSono oltre 6.500 i tunisini sbarcati negli ultimi giorni a Lampedusa. A breve dovrebbe attraccare anche un barcone con oltre 300 libici. L'imbarcazione ha lanciato un SOS nelle scorse ore e al momento dovrebbe trovarsi ancora nelle acque libiche. Proprio oggi arriveranno anche gli ispettori sanitari della Regione per verificare lo condizioni dei centri d'accoglienza e dei punti più critici dell'isola. Nonostante la disponibilità dei cittadini lampedusani infatti, le condizioni igieniche iniziano ad essere delicate. Negli sterminati accampamenti inizia ad essere alto l'allarme epidemia.

Stasera sbarcherà sull'isola anche l'assessore regionale alla SanitàMassimo Russo, che stamattina ha fatto visita, facendosi precedere addirittura da un comunicato stampa, alla giovane mamma Feketre Alemu e al suo bimbo Yeabsera, ricoverati presso la struttura ospedaliera di Villa Sofia. "Mi auguro che il governo nazionale comprenda appieno la gravità della situazione e sostenga in maniera concreta e fattiva questo enorme sforzo" ha dichiarato l'assessore alla Sanità. Gli dà man forte il Governatore Raffaele Lombardo che è a Lampedusa già da ieri sera: “Il grido di dolore di Lampedusa è il grido di dolore di tutta la Sicilia, che pretende rispetto ed efficienza per sé, il proprio territorio e per la propria gente, oltre che per i migranti poveri disperati che devono essere assistiti in modo civile”.

Lombardo, come già nei giorni scorsi, ha anche chiamato in causa l'esecutivo nazionale, reo di essere stato assente dalla situazione lampedusana. Ma il Ministro dell'Interno Roberto Maroni, che sulla gestione dei migranti ha delineato una sua precisa strategia (leggi l'articolo), la pensa in modo diverso arrivando a definire l'operato di Lombardo come "una ridicola sceneggiata". Lombardo ha immediatamente risposto all'attacco del titolare del Viminale, con una bordata senza pari. "Voglio vedere tendopoli di immigrati anche in Val Padana" ha esclamato il Governatore siciliano. L'idea che i migranti possano essere sistemati in strutture diverse dalle tendopoli non sembra quindi sfiorare nessun esponente politico.

http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=82


Berlusconi oggi in aula, tribunale blindato: "Non mi sono mai occupato di diritti tv".



Milano - (Adnkronos) - Il presidente del Consiglio torna a palazzo di giustizia dopo 8 anni: è accusato di frode fiscale e appropriazione indebita nel processo Mediatrade. A 'Mattino cinque' di Belpietro: "Accuse non solo infondate ma anche ridicole". E sottolinea: "Solo in Italia per la Consulta premier a processo"

Milano, 28 mar. (Adnkronos) - Tribunale di Milano blindato, questa mattina, in vista dell'arrivo di Silvio Berlusconi all'udienza preliminare sui diritti tv dove è accusato di frode fiscale e appropriazione indebita.

Per l'arrivo del premier, che torna a palazzo di giustizia dopo 8 anni, sono state previste misure straordinarie: ingente presenza delle forze dell'ordine dentro e fuori il palazzo e corridoi del settimo piano, l'ala riservata agli uffici dei gip e gup, per ora off limits a giornalisti e fotografi.

Alcune decine di sostenitori del premier stanno già manifestando davanti al Palazzo di giustizia di Milano. "Silvio devi resistere resistere resistere" e "La politica nei seggi elettorali e non nei tribunali", questi alcuni dei cartelli esposti dai militanti del Pdl.

"E' un fatto confermato da tutti i testimoni che io, nella mia azienda, in Mediaset, non mi sono mai occupato dell'acquisto di diritti televisivied è un fatto, confermato da tutti i testimoni, che dal gennaio del '94, quando sono sceso in campo nella politica e mi sono dimesso da ogni carica, mi sono allontanato dalle aziende che avevo fondato per dedicarmi solo ed esclusivamente al Paese", ha intanto affermato il Cavaliere intervistato da Maurizio Belpietro a 'La Telefonata' su 'Mattino cinque', spiegando in modo dettagliato tutta la vicenda che lo vede imputato nel processo Mediatrade. "Io - ha ribadito il presidente del Consiglio - non mi ero occupato di diritti televisivi nemmeno prima, perché i diritti televisivi venivano acquistati da una sezione di Mediaset che aveva dei bravissimi manager a capo e che passavano all'ufficio acquisti le loro richieste per gli acquisti di film e di telefilm sul mercato americano".

"Si tratta di accuse - ha detto ancora il premier - che sono non solo infondate ma anche ridicole. I fatti risalgono alla prima metà degli anni Novanta, si tratta dell'acquisto da parte di Mediaset dei film e dei telefilm prodotti dalla Paramount, che invece che essere fatti direttamente da Mediaset passavano attraverso un imprenditore americano che aveva degli ottimi rapporti con la Paramount e il suo presidente e aveva avuto un'esclusiva delle produzioni Paramount per l'Europa". "Io Frank Agrama l'ho conosciuto due tre volte negli anni Ottanta e poi non l'ho più visto. Anche le indagini hanno dimostrato che tutti gli utili che questo intermediario ha fatto vendendo i suoi diritti sono stati rintracciati in conti intestati a lui. Non c'è stato nessun dollaro che sia passato a me attraverso questo Agrama".

La scelta di presentarsi in Tribunale questa mattina, sottolinea poi, "è conseguente a quella incredibile sentenza della Corte costituzionale che ha deciso che in Italia, soltanto in Italia, un presidente del Consiglio, che si deve occupare dei problemi del Paese, possa essere sottoposto a processo, distogliendo la sua testa, la sua attenzione e il suo tempo dall'incarico e dalla responsabilità pubblica". "In tutti gli altri Paesi civili - ha affermato ancora il capo dell'esecutivo - succede che i processi si sospendono, il presidente del Consiglio svolge il suo incarico, alla fine del suo incarico i processi ritornano fuori e continuano contro di lui. E' accaduto recentemente ad esempio per il presidente Chirac in Francia". Berlusconi ha poi annunciato che si recherà alle udienze "a cui potrò presentarmi, cercando di non sospendere mai i processi".

"Bisogna continuare a tenere sotto una spada di Damocle giudiziaria e mediatica il nemico ideologico e politico che è Silvio Berlusconi, che è l'ostacolo che impedisce alla sinistra di raggiungere il potere. Purtroppo il comunismo in Italia non si è mai arreso e non è mai cambiato - ha proseguito Berlusconi -c'è ancora chi usa il codice penale come uno strumento di lotta ideologica e pensa che la parte politicizzata della magistratura possa usare qualsiasi mezzo per annientare l'avversario che è vittorioso nelle elezioni e forte nel consenso popolare". "Io sono l'uomo più imputato dell'universo e della storia - ha detto ancora il premier - perché sono state 2.564 le udienze contro di me e contro il mio gruppo. Quella di stamattina ci risulta essere la 2.565/ma udienza, quindi sono più di mille i magistrati che si sono occupati di me senza aver mai conseguito alcun successo e continuano, sapendo bene di non poter arrivare ad una condanna, ma mettendomi sui giornali di tutto il mondo e gettando fango su di me e sulle mie aziende e naturalmente facendomi perdere un mare di tempo e un mare di soldi".



Mafia e Lombardia, le radici del tabù.


La lite Vendola-Formigoni è solo il caso più recente ma non sarà l'ultimo: parlare di criminalità organizzata al Nord è sempre stato considerato proibito. Eppure già negli anni 70 le cosche avevano trasferito parte dei loro interessi nella capitale morale d'Italia.

Lombardia, mafiosa e omertosa. Tre parole che ribaltano decenni di senso comune e mostrano un’Italia capovolta. Soprattutto se a dirle è il presidente di una regione del Sud, Nichi Vendola, al presidente di una regione del Nord, Roberto Formigoni. La reazione di quest’ultimo è stata scomposta: Vendola è «sotto effetto di sostanze», e poi «come mai non è in galera» per lo scandalo della sanità pugliese? (vedi http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/03/25/vendola-formigoni-il-primo-lombardia-regione-ultramafiosa-laltro-e-un-miserabile/99994/).

Il sindaco di Milano Letizia Moratti ha ribattuto con lo stile che predilige, quello delle formule generiche e vacue: «Vendola deve occuparsi della sua regione, viene in un posto che non conosce e insulta una regione che è la prima d’Italia nel contribuire a creare per tutto il Paese opportunità di lavoro e produzione di ricchezza». E naturalmente «tutte le istituzioni, che ringrazio di cuore, sono estremamente vigili» (http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/politica/2011/26-marzo-2011/continua-disputa-vendola-formigonila-mafia-ha-attaccato-nostro-lavoro–190312103014.shtml).

Passata la buriana, però, sia Moratti che Formigoni hanno optato per un mezzo passo indietro ed entrambi hanno rilasciato qualche timida ammissione a mezzo stampa (lettera e intervista sulCorriere della Sera di oggi). Il messaggio grosso modo è lo stesso, per dirla con le parole di Formigoni: “Basta liti, combattiamo insieme la mafia”. Che quindi c’è anche a Milano, se ne ricava. Più timida Moratti, che dopo la polemica con Vendola decide di rispondere alla lettera del procuratore Pignatone, pubblicata sempre dal Corriere un paio di giorni prima. Il procuratore di Reggio Calabria, magistrato di punta nella lotta alla ‘ndrangheta, aveva scritto una lettera alCorrierone per scuotere il Nord dal suo preoccupante torpore: «La repressione non basta. È necessaria la reazione della società civile, con tutte le sue articolazioni, ognuna delle quali può svolgere un ruolo prezioso, innanzi tutto agendo secondo le regole e contrastando il silenzio e l’omertà».

Ecco allora che sotto il titolo “Guardia alta contro la ‘ndrangheta” sfila la lista degli interventi adottati dal Comune, ma soprattutto un invito al governatore della Puglia: “Deve e può essere (quella contro la criminalità, ndr.) una battaglia senza barriere ideologiche e ostracismi politici, perché sono sicura che tutti [...] vogliamo mantenere Milano fedele alla più autentica tradizione di e vocazione di lavoro e solidarietà, capacità di iniziativa e onestà [...]. Per questo chiedo a chi lancia accuse pretestuose e infamanti contro la Lombardia solo per ragioni elettorali di fare un passo indietro”.

Certo che Vendola è in campagna elettorale per il suo candidato Giuliano Pisapia, che sfiderà la Moratti alle amministrative di maggio, ma due comparsate sui mezzi di informazione non bastano ad annullare il punto centrale della sua invettiva: in Lombardia la parola mafia è sempre stata un tabù, soprattutto per i governanti. Come a Corleone, ma Corleone degli anni Cinquanta, non quella di adesso che di mafia discute pubblicamente.

E’ un vero e proprio negazionismo che ha radici lontane. La mafia era una «favola» per il sindaco socialista Paolo Pillitteri, che poi si vedrà scoppiare tra le mani lo scandalo Duomo Connection e gli intrecci pericolosi tra Cosa nostra e Palazzo Marino.

Vent’anni dopo Letizia Moratti negherà l’esistenza di una «criminalità mafiosa» a Milano, vedendo al massimo una generica (tanto per cambiare) «criminalità organizzata». Era il 23 gennaio 2010, sette mesi dopo l’operazione Crimine-Infinto porta in carcere 160 presunti affiliati alla ‘ndrangheta milanese e lombarda. Quei criminali «organizzati» di cui parla la Moratti, guarda un po’, risultano strettamente legati alle cosche calabresi e spesso portano i cognomi di famiglie di rispetto.

E che dire dello strano caso del prefetto Gian Valerio Lombardi, che durante la visita della Commissione parlamentare antimafia fa filtrare il messaggio che a Milano «la mafia non esiste», ma nello stesso istante consegna ai commissari un’allarmante relazione riservata in cui sottolinea la penetrazione dei clan nell’economia legale «grazie a consolidati rapporti con il mondo bancario, finanziario e istituzionale»? E’ lo stesso prefetto che affossa l’istituzione di unaCommissione antimafia al Comune di Milano, con l’entusiastica adesione del centrodestra tutto – Pdl, Lega, Udc, Lista Moratti – che pure ne aveva votato l’istituzione all’unanimità. Tabù.

La mafia a Milano e in Lombardia c’è, e c’è da almeno sessant’anni, dato che i primi boss di Cosa nostra e ‘ndrangheta salirono al Nord all’epoca in cui nascevano la Rai Tv e il festival di Sanremo.Luciano Liggio è stato arrestato nel 1974 in via Ripamonti, dove viveva con la compagna e il figlio. Michele Sindona e Roberto Calvi erano perfettamente inseriti nel «salotto buono» dell’economia e della finanza, prima di finire male, mentre al funerale di Giorgio Ambrosoli non si presentarono né autorità né «vip». I colletti bianchi del narcotraffico legati allo «stalliere» di Arcore Vittorio Mangano avevano uffici di copertura in via Larga, a due passi dal Duomo.

Nei primi anni Novanta la Direzione distrettuale antimafia di Milano portò in carcere circa duemila boss e soldati della ’ndrangheta, di Cosa nostra, della camorra, della Sacra corona unita, tutti stabilmente insediati al Nord.

Formigoni e la Moratti forse non hanno studiato la storia. Ma, come accusa Vendola, sono stati muti anche di fronte alla cronaca. Protagonisti di una politica dove si dichiara e si polemizza su tutto, fino allo sfinimento, si sono tenuti lontani il più possibile dalla parola tabù.

Ecco un elenco – inevitabilmente parziale e sparso – delle occasioni in cui avrebbero dovuto dire qualcosa di più o di diverso.

Alla vigilia del Natale 2010, Pietrogino Pezzano è stato nominato direttore generale della Asl numero uno della provincia di Milano, pochi mesi dopo che erano emerse le sue strette frequentazioni con i presunti boss della ‘ndrangheta di Desio. Nomina avvallata e difesa dallo stesso Formigoni.

Proprio a Desio, il 26 novembre 2010, si registra il primo caso lombardo di una giunta comunale caduta per mafia. Dopo mesi di agonia, la maggioranza Pdl-Lega non ha retto ai contraccolpi dell’inchiesta Crimine-Infinito e delle pesanti collusioni politico-amministrative che ha fatto emergere.

Il 13 luglio 2010, l’inchiesta Crimine-Infinito svela diversi contatti tra ‘ndrangheta e politica. Il direttore della Asl di Pavia, Carlo Chiriaco, finisce in carcere per associazione mafiosa. Dall’inchiesta emerge tra l’altro che si dà da fare per fabbricare prove false in favore di Rosanna Gariboldi, moglie del parlamentare del Pdl Giancarlo Abelli, vicinissimo a Formigoni.

L’assessore regionale all’ambiente Massimo Ponzoni, altro fedelissimo di Formigoni, pur non indagato è definito dagli inquirenti «parte del capitale sociale» dell’organizzazione mafiosa.

Giulio Giuseppe Lampada, imprenditore legato al clan Valle sotto accusa per associazione mafiosa e usura, era ospite alla festa elettorale di Letizia Moratti per la vittoria del 2006, grazie ai buoni uffici di un paio di consiglieri comunali del Pdl.

La recente operazione Caposaldo svela un capillare sistema di estorsioni gestito, secondo l’accusa, dallo storico clan ‘ndranghetistico dei Flachi. A Milano pagano il pizzo famosi locali notturni, parcheggiatori abusivi, venditori ambulanti di panini. In perfetta sinergia con lo spaccio di coca. Paolo Martino, boss reggino di prima grandezza, parla di appalti in tono assai confidenziale con Luca Giuliante, tesoriere del Pdl e primo avvocato di Ruby nello scandalo dei festini di Arcore.

Intorno all’aeroporto di Malpensa, a Lonate Pozzolo e in altri centri del varesotto, decine di imprenditori lombardi hanno subito per anni estorsioni, violenze e minacce da parte del clan di origine crotonese dei Filippelli, secondo un’indagine condotta dalla direzione distrettuale antimafia di Milano. Nessuno di loro ha mai trovato il coraggio di denunciare. Il relativo processo sta per concludersi a Busto Arsizio.

L’11 giugno 2010 diversi esponenti del clan Barbaro-Papalia sono stati condannati in primo grado per associazione mafiosa, con l’accusa di aver conquistato, con il timore che il loro nome incuteva, il monopolio di un’attività economica lecita: il movimento terra nei cantieri edili dell’hinterland sudovest di Milano. Gran parte dei testimoni convocati in aula hanno fatto scena muta o sono stati reticenti.

Indagini successive hanno evocato l’esistenza di un sistema centralizzato grazie al quale la ’ndrangheta si spartisce le commesse in varie parti della Lombardia, capoluogo compreso. E scarica abusivamente rifiuti tossici e pericolosi.

Da almeno vent’anni si susseguono operazioni antimafia all’Ortomercato di Milano, struttura di proprietà comunale attraverso la Sogemi. L’ultima, del 2007, ha smascherato un traffico internazionale di cocaina gestito dal clan Morabito di Africo, con tanto di night club aperto in un locale della Sogemi.

Negli ultimi anni in Lombardia ci sono stati una quindicina di omicidi di mafia e si registrano centinaia di casi di minacce e intimidazioni, soprattutto ai danni di imprenditori e commercianti, che raramente vengono denunciati. La sola indagine Crimine-Infinito riporta 130 incendi dolosi e 70 episodi di intimidazione in quattro anni.

Nei giorni scorsi in un campo Bernate Ticino, tra Milano e Novara, è stato scoperto un «cimitero della ‘ndrangheta», con due corpi di presunte vittime di lupara bianca, sotterrati insieme a resti di maiali macellati clandestinamente.

La Lombardia è la quarta regione italiana per beni immobili confiscati alle mafie: 762, di cui 173 a Milano città. Le aziende tolte ai clan sono 195.

Non è seguito dibattito.



domenica 27 marzo 2011

Quando Berlusconi invitava i tunisini a venire in Italia.



Auto 'inghiottita' da voragine su litorale ravennate, ancora gravi due donne.




Ravenna - (Adnkronos) - Sono in corso accertamenti per capire cosa abbia causato l'improvviso cedimento della sede stradale in viale Manzoni a Lido Adriano. Il Codacons presenta un esposto in Procura.

Ravenna, 26 mar. - (Adnkronos) - Restano gravi le condizioni delle due donne di 58 e 60 anni che ieri sono state inghiottite da una grossa voragine mentre percorrevano in auto viale Alessandro Manzoni a Lido Adriano, sul litorale ravennate. Le due, che viaggiavano su una Fiat 600, sono state ricoverate al Bufalini' di Cesena e al Santa Maria delle Croci di Ravenna. Sono in corso accertamenti per capire cosa abbia causato l'improvviso cedimento della sede stradale.

Il Codacons annuncia un esposto alla Procura della Repubblica di Ravenna in merito alla voragine apertasi sulla strada provinciale per Lido Adriano.

''Si tratta di un incidente assurdo che avrebbe potuto provocare una strage - afferma il presidente Codacons, Carlo Rienzi - Per tale motivo presenteremo lunedi' un esposto alla Procura di Ravenna, chiedendo di indagare alla luce delle possibili fattispecie di attentato alla sicurezza dei trasporti e concorso in strage''.

''Vogliamo sapere se vi siano state o meno negligenze od omissioni che abbiano provocato la rottura del manto stradale, e di chi siano le relative responsabilita' - prosegue Rienzi - Gli automobilisti della zona hanno corso un serio pericolo: non vogliamo pensare a cosa sarebbe successo se a transitare nel punto della voragine fosse stato un autobus carico di bambini''.



Libia, insorti riprendono terreno.



Roma - (Adnkronos/Ign) - I ribelli avanzano verso ovest e dono pronti a vendere il petrolio: stretta intesa con il Qatar. Il ministro degli Esteri: "Bisogna pensare anche un processo di riconciliazione nazionale ed è necessario coinvolgere il tessuto tribale. Spunta la proposta italo-tedesca per il dopo Gheddafi. Il Papa: stop alle armi, sì al dialogo. 'Odyssey Dawn', per le navi da guerra Usa in arrivo viveri e munizioni.

Roma, 27 mar. (Adnkronos/Ign) - La controffensiva dei ribelli sembra coronata dal successo. Anche grazie all'impegno internazionale gli insorti, nelle ultime ore, stanno riguadagnando posizione, entrando nelle città che Gheddafi controllava con i suoi miliziani.

Oggi dopo aver preso il porto petrolifero di al-Burayqa, i ribelli hanno conquistato anche il controllo della città di Uqaliya abbandonata dalle truppe lealiste. Questa città si trova un centinaio di chilometri a ovest di Ajdabiya, che da venerdì è sotto il comando degli insorti. Le armate dei ribelli sono anche a Ras Lanouf, dove si trova uno dei maggiori terminal petroliferi.

Non solo. Ora gli insorti controllano anche la città di Bin Jawad e avanzano verso Sirte, 400 chilometri a nord est di Tripoli. E' questo il prossimo obiettivo dopo la riconquista ieri di Ajdabiya e Brega. Poi si punta a Misurata, terza città del paese assediata dalle forze di Gheddafi fin dal 19 febbraio, considerata la porta per raggiungere la capitale e mettere in scacco il raìs.

La forza dei ribelli è ora anche l'oro nero, visto che la loro avanzata è lungo i porti petroliferi della costa libica e, pare, abbiano già stretto un accordo con il Qatar per iniziare le esportazioni di greggio. "Abbiamo fatto un accordo con il Qatar. Il prossimo carico potrebbe avvenire in meno di una settimana", ha detto Ali Tarhouni, incaricato dai ribelli delle questioni economiche e del petrolio, citato dalla Bbc.

Secondo Tarhouni, la produzione libica di 100-130 mila barili al giorno potrebbe arrivare fino a 300 mila barili al giorno. L'accordo con il Qatar, che partecipa all'operazione per l'imposizione di una no-fly zone sulla Libia, permetterà agli insorti di aver accesso a liquidi in valuta estera.

E la questione è confermata anche dal segretario britannico alla Difesa Liam Fox, secondo il quale il controllo dei terminal petroliferi da parte deir ibelli crescerà a mano a mano che procederà l'avanzata lungo la costa lasciandogli "gran parte del controllo delle esportazioni di petrolio". E questo "produrrà una nuova dinamica con un diverso equilibrio in seno alla Libia".

"Stiamo assistendo sul terreno all'avanzata dei ribelli verso ovest da Ajdabiya a Brega, lungo la costa. Cio' produce naturalemte una dinamica politica molto diversa", ha detto Fox alla Bbc. Il controllo dei terminal petroliferi crescera' a mano a mano che procedera' l'avanzata lungo la costa, ha spiegato, lasciando ai ribelli "gran parte del controllo delle esporatzioni di petrolio... cio' produrra' una nuova dinamica con un diverso equilibrio in seno alla Libia".

Intanto, la Nato è pronta a prendere il pieno comando della missione in Libia. La decisione dovrebbe arrivare questa sera a conclusione del vertice degli ambasciatori dell'Alleanza Atlantica oggi a Bruxelles.