venerdì 3 giugno 2011

Berlusconi indica Nordio come successore di Alfano. Ma salgono le quotazioni della Gelmini.



Anche il prossimo ministro della Giustizia colpa di Pisapia? Carlo Nordio – lanciato da Gianni Letta per la successione ad Alfano durante l’ufficio di presidenza post elettorale del Pdl – rallenta. E forse un ruolo lo avrà giocato quel libro scritto non molto tempo fa assieme all’oggi neosindaco di Milano. Promettente il titolo: “In attesa di giustizia: dialogo sulle riforme possibili”. Probabilmente letale invece il coautore, indicato variamente dai berluscones come un talebano filogay. Ed ecco la colpa: in grande ascesa per via Arenula adesso sarebbero le quotazioni di Mariastella Gelmini. Fedelissima, come Alfano. Giovane, come Alfano. Più incline all’osservanza dei desideri del capo che all’esercizio costruttivo del dubbio. Proprio come Alfano. E che la ministra dell’Istruzione – laurea in giurisprudenza in tasca, per carità – abbia conquistato l’abilitazione di avvocato transumando da Brescia a Reggio Calabria perché il concorso era una passeggiata (93% di ammessi agli orali si conteggiò allora) deve essere considerato più un “buon spirito di adattamento” che l’ennesima furbata.

Testa a testa allora. Superato per impresentabilità il nome di Cicchitto (un piduista alla Giustizia Napolitano non l’avrebbe mai digerito), debole quello di Lupi – buono però per essere dirottato proprio all’ Istruzione – all’aspetto i leghisti che con le inevitabili vicende processual-berlusconiane vogliono avere a che fare il meno possibile, ecco che l’eminenza azzurrina nel vertice di martedì ha servito al premier il nome del procuratore aggiunto di Venezia. Nel curriculum avranno brillato per gli occhi del Cavaliere le inchieste sul finanziamento del Pci-Pds. E certamente anche l’antica amicizia con Cesarone Previti di cui Nordio è stato spesso commensale al circolo Cannotieri Aniene. Così come l’aver atteso ben sei anni prima di spedire a Roma le carte con la richiesta di archiviazione per Occhetto e D’Alema alla fine dell’inchiesta sulle coop rosse; non male per uno che potrebbe essere chiamato a gestire il processo breve.

“Avendo indagato a fondo sul vecchio Pci posso dire che l’espressione “questione morale” è impropria, ambigua; perché è stata usata da un partito che non aveva nessuna legittimazione a dare lezioni di moralità tenuto conto che il Pci veniva finanziato dall’Urss, ovvero da un Paese nemico” una delle sue massime più riuscite. Che stride un po’, però, a ben guardare con quella vecchia storia che fece tanto scalpore all’epoca di Mani Pulite quando dalle carte tirate fuori dal pm Ielo vennero gettate ombre su di lui; in una conversazione telefonica della linea “calda” di Hammamet, il figlio del legale di Craxi lo definì “uno molto fidato”. Il mondo politico, ovviamente, non restò in silenzio e Nordio replicò seccato: “Craxi mi ha definito un giudice fidato? Se fidato è chi indaga a 360 gradi e non si limita a Dc e Psi, allora lo sono”. Parole che adesso rendono più chiaro il perchè l’eminenza azzurrina abbia potuto pensare a lui, sparigliando un tavolo del partito alla mercè di mille correnti. Nordio in politica dunque?

“Io penso che nessun magistrato dovrebbe mai candidarsi alle elezioni, a maggior ragione non deve farlo un pm che è diventato famoso per inchieste in ambito politico” un altro dei suoi motti, forse le ultime parole famose. Ma a cambiar idea si fa sempre in tempo. Anzi, da quelle parti è un vizio che va sempre di gran moda. Epperò sono anche altre le cose che pesano. Di certo il Cavaliere vede in Nordio un assist non da poco per portare al traguardo quella riforma della Giustizia, che tanto gli preme issare come bandiera in ricordo del suo ultimo passaggio al governo del Paese. Nordio potrebbe essere il cavallo di Troia vincente per infrangere le barriere che gran parte della magistratura ha eretto contro la riforma. Certo, però, non è un “famiglio”. E sarebbe difficile “muoverlo” sul fronte delle intercettazioni piuttosto che su quello, non meno impervio, delle – eventuali – altre leggi ad personam che sono spuntate come funghi in parlamento poco prima dell’inizio della campagna elettorale per le amministrative.

Più docile agli ordini del Cavaliere sarebbe senz’altro una come la Gelmini (il cui posto all’istruzione verrebbe preso da Lupi), il cui pugno di ferro sulla riforma universitaria ha mostrato il nerbo di cui è capace quando si tratta di fare la voce grossa e andare avanti nonostante tutto. Silvio, insomma, non ha ancora deciso. Anche se qualche accenno alla questione è stato lanciato ieri, quando Berlusconi e Letta sono saliti al Quirinale per parlare con Napolitano dell’esito degli incontri internazionali avuti durante i festeggiamenti per il 2 giugno. Ci vorrà ancora qualche tempo, comunque dopo i referendum, perchè il nodo venga sciolto definitivamente.

Nordio, dicono ambienti pidiellini, non si sottrarrebbe a una chiamata, di certo se lo aspetta. La sua ultima apparizione pubblica però non è stata delle migliori. Lo ha raccontato Giorgio Melettiproprio sul “Fatto”. Lunedì sera, Auditorium di Roma. Messa in scena del processo a Giulio Cesare. Lui, il procuratore, a rappresentare l’accusa. “Fragile, mal sostenuta, di malavoglia”. Ed infatti – a certificarlo il presidente della giuria popolare, per l’occasione Francesco Gaetano Caltagirone – Cesare finisce assolto. Ma non è finita. Flebili voci insinuano per il post- Alfano addirittura il nome di Augusta Iannini, capo dell’ufficio legislativo di via Arenula. Peccato sia la moglie di Bruno Vespa.

di Sara Nicoli ed Edoardo Novella



Il bunga bunga? “Ora si fa a Villa Gernetto”



Le indagini sui finti contratti di affitto di yacht incrociano l'inchiesta più famosa dell'anno: il Ruby-gate. Così gli inquirenti scoprono che i festini di Berlusconi sono proseguiti come se niente fosse in un'altra residenza del premier

I festini bunga bunga nella sede dell’Università delle Libertà. Gli inquirenti milanesi e genovesi saranno saltati sulla sedia leggendo le intercettazioni delle telefonate degli amici di Silvio Berlusconi: il Cavaliere da ottobre scorso è sulla graticola per il Ruby-gate, ma, stando a quanto racconta chi lo conosce molto bene, le sue feste sarebbero continuate come se niente fosse (almeno fino ad aprile). Con una precauzione: meglio evitare Arcore, assediata dai cronisti, meglio trasferirsi a Villa Gernetto, a Monza. Una delle tante residenze di proprietà del premier disseminate per la Brianza e la Lombardia, quello splendido edificio dove Berlusconi intende collocare l’Università delle Libertà e dove ha ospitato il primo ministro croato Jadranka Kosor.

Gli inquirenti genovesi probabilmente non immaginavano di incrociare sul proprio cammino l’inchiesta più clamorosa dell’anno. Avevano già tra le mani una questione delicata e spinosa: l’inchiesta sui presunti reati fiscali commessi attraverso finti contratti di affitto di yacht. Tra questi c’è anche l’ormai famoso Force Blue, un colosso di sessanta metri ufficialmente intestato a una società che lo affitta a 34 mila euro al giorno. Secondo i pm, però, in realtà era utilizzato soltanto da Flavio Briatore.

Così nelle intercettazioni finiscono decine di vip. Ma nelle conversazioni non si parla soltanto dello yacht, anzi, spesso e volentieri Briatore e i suoi amici discutono di lui, del presidente del Consiglio (del resto lo conoscono bene, sono stati anche suoi ospiti ad Arcore). E in termini non sempre affettuosi. Qualcuno, a quanto si apprende, sosterrebbe che si tratti di una persona che ha dei problemi, proprio come aveva detto Veronica Lario nella sua lettera di due anni fa: “Ho cercato di aiutarlo come si farebbe con una persona che non sta bene”.

Gli inquirenti raccolgono centinaia di conversazioni, poi le girano ai loro colleghi milanesi. Una cosa va detta subito: dalle conversazioni non emergerebbero nuovi reati, né a carico di Berlusconi, né dei suoi amici. Ci sono, però, elementi che potrebbero confermare il quadro accusatorio disegnato dai magistrati milanesi.
Elementi importanti perché a parlare al telefono con Flavio Briatore non sono persone qualunque, ma alcune tra quelle più vicine al premier: da Daniela Santanchè a Emilio Fede. Persone note e potenti, normale, quindi, che le loro conversazioni tocchino temi molto delicati per la vita del Paese. Ma dai dialoghi emerge più di una sorpresa. Ecco allora che gli amici del Cavaliere discutono di Lele Mora che sarebbe in difficoltà perché, nonostante lo scandalo e le indagini, gli continuerebbero ad arrivare richieste di organizzare serate divertenti nelle residenze del premier.

Chissà se la compagnia immagina di essere intercettata. Comunque dalle conversazioni emergono le professioni di innocenza di persone come Emilio Fede. Il direttore del Tg4 è accusato di aver portato ragazze ad Arcore, ma al telefono con gli amici nega ogni responsabilità. Lasciando intendere, pare, che a organizzare tutto fosse qualcun altro. Un atteggiamento che potrebbe creare qualche preoccupazione a Lele Mora.
Sono chiacchierate sul filo del pettegolezzo, ma qui a parlare sono persone che hanno conoscenza diretta dei protagonisti della scena politica e mondana italiana. Che li frequentano e sanno molto di loro. Così non poco interesse – anche se finora non sarebbe emerso nulla di penalmente rilevante – hanno suscitato le conversazioni sull’avvicendamento ai vertici Rai. Briatore e i suoi amici parevano molto ben informati del siluramento di Mauro Masi. Così come sembravano soddisfatti dell’arrivo di Lorenza Lei che era ritenuta vicina a Daniela Santanchè.

Insomma, alla politica e alla mondanità delle terrazze romane si sostituisce quella dei ponti di comando degli yacht. Si discute di tutto, dalla Rai alle Generali. E alla fine tante previsioni, tante chiacchiere si rivelano assolutamente vere.

di Gianni Barbacetto e Ferruccio Sansa.



Diaz, promosso Mortola. - di Lia Quilici



L'ex capo della Digos genovese nei giorni dei pestaggi è stato nominato questore dal ministro Maroni. La Corte d'Appello gli aveva appena inflitto 3 anni e otto mesi per i fatti del 2001.

La Polizia di Stato da oggi può vantare un nuovo questore, fresco di promozione. Si chiama Spartaco Mortola, nato a Camogli e attualmente numero due alla questura di Torino: è uno dei poliziotti condannati in appello per il blitz del 2001 alla scuola Diaz, a Genova, durante il G8.

La notizia è destinata creare non poche polemiche, a quasi dieci anni dalla "macelleria messicana" e a poche settimane dalla pubblicazione della sentenza di secondo grado per quei fatti.

A Mortola è stata inflitta una pena di tre anni e otto mesi perché faceva parte di quel gruppo di uomini delle forze dell'ordine che «preso atto del fallimentare esito della perquisizione, si sono attivamente adoperati per nascondere la vergognosa condotta dei poliziotti violenti concorrendo a predisporre una serie di false rappresentazioni della realtà a costo di arrestare e accusare ingiustamente i presenti nella scuola», come recitano appunto le motivazioni dell'appello. In primo grado Mortola era stato assolto.

All'epoca dei fatti Mortola era il capo della Digos di Genova, quindi il poliziotto a cui facevano riferimento - per conoscenza del territorio - gli altri funzionari spediti nel capoluogo per il G8 da Roma e da Napoli. Fu pertanto a lui che vennero affidate le famose bottiglie molotov portate dalla stessa Digos all'interno della scuola per giustificare il pestaggio che ne segui. Al processo, Mortola ammise che portare quelle bottiglie incendiarie nella scuola fu «una forzatura giuridica». Il Tribunale ha ritenuto che si trattava di qualcosa di un po' più grave.

Insieme a Mortola sono stati condannati in secondo grado altri 24 imputati, tra cui il capo dell'anticrimine Francesco Gratteri (4 anni), l'ex comandante del primo reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini (5 anni), Giovanni Luperi (4 anni) e Gilberto Caldarozzi (3 anni e 8 mesi).

Nella sentenza, la Corte ha stabilito che la violenta repressione del 21 luglio 2001 (il giorno dopo l'uccisione di Carlo Giuliani) e l'irruzione alla Diaz erano nate da una «richiesta» arrivata dall'allora capo della polizia Gianni De Gennaro, a sua volta promosso capo dei servizi segreti. Una «pressione psicologica» che per la Corte però «non giustifica in nulla la commissione dei reati né l'eventuale malinteso spirito di corpo che ha caratterizzato anche successivamente la scarsa collaborazione con l'ufficio di Procura». Insomma, i poliziotti potrebbero essere poi andati al di là delle intenzioni, con i pestaggi e le violenze.

La notte del 21 luglio 2001 fu in effetti una delle pagine più nere della storia della polizia italiana. Nell'operazione Diaz rimasero vittime decine di persone del tutto estranee agli incidenti che erano avvenuti il giorno precedente.

Il segretario generale del sindacato di polizia Siulp, Roberto Traverso, ha duramente contestato la decisione di promuovere Mortola: «Cosa diranno i genovesi adesso? Oltre al danno, è una beffa per la nostra categoria, che per quei maledetti giorni del 2001 sta ancora pagando mediaticamente un prezzo altissimo. L'amministrazione non ha mosso un dito per la 'truppa' ma promuove i vertici condannati».

Non si sa ancora a quale città italiana verrà destinato il nuovo questore. Nessun commento sulla nomina è arrivato dal ministro degli Interni Roberto Maroni, responsabile della promozione.



Calciopoli, il tariffario della corruzione Ecco quanto costava truccare le partite.


Per alterare i risultati delle partire erano state fissate cifre precise: 400mila euro per la seria A, 120mila per la B, 50mila per la C.


di MARCO MENSURATI e MATTEO TONELLI

Calciopoli, il tariffario della corruzione Ecco quanto costava truccare le partite
ROMA - Parlavano al telefono e muovevano denaro. Con tanto di tariffario fatto apposta per decidere il corso delle partite.Insomma, una vera e propria associazione a delinquere dedita alla corruzione. In manette sono finite 16 persone. Compresi Beppe Signori. Tra gli indagati, invece, ci sono Stefano Bettarini e Cristano Doni, capitano dell'Atalanta.

Non solo. Secondo i magistrati era stato definto un vero e proprio tariffario per alterare i risulati delle partite. A deciderlo gli "zingari", uno dei tre gruppi (gli altri sono i "bolognesi" e gli "albanesi") che, scrivono i magistrati nell'ordinanza, erano stabilmente coinvolti nell'organizzazione. E mentre gli "albanesi" cercavano di consegnare direttamente ai giocatori coinvolti il denaro, gli "zingari", guidati da Almir Gegic, cittadino slovacco residente a Chiasso, avevano definito un preciso tariffario: per le partite di serie A venivano stanziati 400mila euro, per quelle di B, 120mila, per la Lega Pro 50mila. I "bolognesi" invece pretendevano titoli bancari a copertura delle giocate.

Se si scorrono le pagine dell'ordinanza e si vede come, a volte, le partite da "gestire" contemporaneamente sono cinque. In particolare nella Lega Pro dove gli stipendi più bassi rendono più facile la manipolazione dei risultati. Un esempio? Nelle intercettezioni si sinte dire che i prezzi sono alti
e che “la B in giro la pagano 120 la C la pagano 60”.

Evidente, inoltre, l’abitudine alla “combine” e il poter disporre di giocatori fissi sui quali contare. Quando parlano del numero dei giocatori corrotti, i componenti del gruppo, li definiscono “nostri”. Facendo intendere la stabilità del rapporto. Che le intercettazioni svelano.

“…i miei stanno ancora chiusi dentro lo spogliatoio non li fanno uscire”
“Ne hanno due o tre dei nostri?”
A proposito di Atalanta Piacenza: “
C’ho dei miei che giocano lì, loro vanno a perdere”
“Dei nostri domani?...quasi tutti”.
“pure quello in porta?”.
“ho chiamato il mio uomo gli ho mandato un messaggio…”

Se il potere non ascolta il popolo di Internet.



Il G8 del web voluto da Sarkozy è stato un grande evento potenzialmente rivoluzionario, ma chiuso da parole vaghe per quanto riguarda i diritti e molto chiare nel campo degli interessi.

di Stefano Rodotà

Si può organizzare un "evento storico" su Internet senza il "popolo" di Internet? Si può esaltare il ruolo di Internet nel rendere possibili cambiamenti democratici e poi essere reticenti o silenziosi sulla effettiva tutela dei diritti fondamentali in rete? Si può definire Internet "un bene comune" e poi affermare l'opposto, la sua sottomissione alla logica della proprietà privata?

Sì, è possibile, per quanto contraddittorio o paradossale ciò possa apparire. È accaduto la settimana scorsa tra Parigi e Deauville, in occasione del G8 che Nicolas Sarkozy ha voluto far precedere da un grande incontro dedicato appunto ai problemi di Internet. Mettere questo tema al centro dell'attenzione mondiale poteva essere un fatto significativo se fosse stato accompagnato da presenze, proposte, conclusioni davvero corrispondenti alle dinamiche innovative, alle opportunità, alle sfide difficili che ogni giorno Internet propone a miliardi di persone. Non è stato così. Le molte parole dedicate a Internet nel comunicato finale del G8 sono vaghe quando si parla di libertà e diritti, e terribilmente precise quando vengono in campo gli interessi. Un esito prevedibile e previsto. Nelle parole di apertura di Sarkozy, infatti, Internet non è il più grande spazio pubblico che l'umanità abbia conosciuto. È, invece, un continente da "civilizzare", dunque un luogo dove si manifestano in primo luogo fenomeni negativi che devono essere eliminati.

Questo rovesciamento di prospettive non sorprende. Sarkozy è il governante che più ha sostenuto la necessità di affrontare i problemi del diritto d'autore unicamente con norme repressive, riproponendo in ogni occasione la sua legge Hadopi come modello, e che ha subordinato il rispetto della stessa libertà di espressione alle esigenze di forme generalizzate di controllo (è appena uscita in Francia una raccolta di analisi critiche delle sue politiche dal titolo Sarkozysme et droits fondamentaux de la personne humaine). È il politico che affida la "grandeur" francese ad una agenzia pubblicitaria, che ha organizzato l'incontro di Parigi, e la fa puntellare dalla presenza di quei padroni del mondo digitale che si chiamano Google, Microsoft, Facebook, che tuttavia hanno profittato dell'occasione per rivendicare un intoccabile potere.

Il comunicato finale del G8 rispecchia largamente questo spirito. Si parla del ruolo fondamentale di Internet nel favorire i processi democratici, ma non compare neppure un pallido accenno alle persecuzioni contro chi adopera la rete come strumento di libertà, alle decine di bloggers in galera in diversi paesi totalitari, alle forme indirette di censura in paesi democratici. Si subordina così il rispetto dei diritti fondamentali, della libertà di manifestazione del pensiero in primo luogo, alle logiche della sicurezza e del mercato, con un evidente passo indietro rispetto a quanto è da tempo stabilito, ad esempio, dal Patto sui diritti economici, sociali e culturali dell'Onu. Si inneggia alla presenza di tutti gli "stakeholders", dunque di tutti gli attori dei processi messi in moto da Internet, ma poi si opera una drastica riduzione di queste presenze a qualche ministro francese (assenti i politici di altri paesi, in particolare gli americani notoriamente assai critici) e ai rappresentanti delle grandi imprese.

Una scelta così clamorosa e spudorata, che ha portato persino alla esclusione dei rappresentanti delle istituzioni che assicurano il funzionamento di Internet (Icann, Isoc), ha provocato una reazione dei pochi rappresentanti della società civile lì presenti, che hanno improvvisato una dura conferenza stampa, dove hanno preso la parola personalità rappresentative e tutt'altro che estremiste, come Lawrence Lessig e Yochai Benkler.

Siamo in presenza di una preoccupante regressione politica e culturale. L'esclusione degli altri attori, del popolo di Internet, ha determinato la cancellazione delle più interessanti elaborazioni e proposte di questi anni su modalità e principi ai quali riferirsi per il funzionamento di Internet.

Siamo tornati alla contrapposizione frontale tra regolatori, identificati con chi vuole imporre alla rete controlli autoritari, e difensori di una libertà in rete identificata con la libertà d'impresa. è stata ignorata la dimensione "costituzionale", quella che mette al primo posto una serie di principi fondamentali che tutti, legislatori e imprese, devono rispettare. Così stando le cose, sono ben fondate le critiche di chi ha parlato di un "takeover" dei governi su Internet, di una dichiarata volontà politica di mettere le mani sulla rete. E si è svelato pure il significato del richiamo al diritto di accesso da parte delle imprese.

Quando Eric Schimdt, parlando per Google, ha detto che l'unico compito dei governi deve essere quello di assicurare a tutti l'accesso ad Internet, certamente ha colto un punto essenziale, come dimostrano le molte costituzioni e leggi che in tutto il mondo stanno affrontando questo tema. Ma la sua indicazione si concreta poi in una richiesta volta soprattutto a rendere possibile la fornitura di servizi capaci di generare crescenti risorse pubblicitarie (ultimo Google Wallet), dunque di immergere sempre più profondamente le persone nella logica del consumo, mentre altra cosa è il libero accesso alla conoscenza in rete.

Certo, le imprese fanno il loro mestiere. Ma la loro capacità di produrre innovazione non può tradursi nella legittimazione ad essere gli unici regolatori di Internet. Perché è proprio così, dal momento che dispongono delle informazioni sui loro utenti, che sono i decisori unici e finali di molte controversie su che cosa deve entrare o rimanere in rete, che troppe volte hanno accettato le imposizioni di governi con l'argomento che stare sul mercato significa rispettare le regole nazionali, che esercitano un enorme potere economico.

I pallidi e retorici accenni alla privacy nel comunicato del G8, l'assenza di riferimenti alle posizioni dominanti di molte imprese, rivelano l'intento di una politica che vuole salvaguardare i propri poteri autoritari riconoscendo alle imprese un potere altrettanto autoritario. Inquieta, poi, la mancata analisi del tema della neutralità della rete, essenziale presidio per libertà e eguaglianza.

Ma questo disegno, questa nuova distribuzione del potere planetario non sono una via regia che potrà essere percorsa senza resistenze. Si potrà far leva sulle stesse contraddizioni del comunicato, cercando di rovesciarne le gerarchie e mettendo così al primo posto i riferimenti a libertà e diritti, alla pluralità degli attori.

Alla povertà e all'autoritarismo di quel comunicato si potrà opporre la ricchezza del rapporto dell'Onu sulla libertà di espressione che sarà presentato nei prossimi giorni a Ginevra. Peraltro, non sembra che tutti i governi siano pronti ad identificarsi con quella linea, come già mostrano alcune indirette riserve americane e le interessanti dichiarazioni del ministro degli Esteri tedesco. E soprattutto i soggetti e i progetti cancellati dal G8 con una mossa autoritaria rimangono vitalissimi e con essi, con la forza propria di Internet, bisognerà pure fare i conti.

La grande partita politica di Internet rimane aperta.



Io sono io.



Il Caro Sconfitto palpeggia il Re di Spagna, commettendo la ennesima gaffe della sua carriera di capo del governo italiano. Si autonomina un segretario politico del Partito con la stessa impudente noncuranza con la quale avrebbe scelto un cameriere o una guardia del corpo, ignorando i poveri illusi o i fessi che vorrebbero “democrazia” interna in un partito da Corea del Nord. Lascia al loro posto tre coordinatori che non hanno coordinato proprio nulla viste le trombature a tappeto. Si prepara a nominare ministro della Giustizia un altro dei suoi cagnolini da presa che continuerà a ringhiare contro la magistratura e proporree leggi improponibili. Si lancia nel solito numero contro il “micidiale” Santoro e AnnoZero, che quindi incasseranno altra pubbllcità, e conferma dunque il valore politico nazionale della stangata, e contro il TG3, che ha un numero limitatissimo di ascolti. Rispedisce Feltri al suo Giornale da Libero, del quale ci avevano raccontato che lui era diventato addirittura “comproprietario” con Belpietro, dopo il disastro della coppia Sallusti-Santanchè, roba comica da Zamparini con gli allenatore del Palermo. E ricomincia con le frottole dei sondaggi che “ci danno davanti”, quei sondaggi che tanto bene lo avevano servito nella campagna elettorale di Milano e Napoli. Insomma, buone notizie per gli amici e i fan del Caro Molestatore di Capi di Stato e soprattutto per i suoi avversari: non è cambiato niente. Berlusconi non può cambiare Berlusconi.



Si riparte verso la svolta.




L’auspicata ripartenza del Panico della Libertà, il Pdl, annunciata trionfalmente dal TG è avviata ed è già avvenuta “la svolta”, wicker-sidecar_yale-mcycledice Tele Salò, non si capisce bene per andare dove, ma comunque “ha svoltato”. Ecco qui il nuovo equipaggio democraticamente deciso dopo una riunione di Silvio con Berlusconi e ripreso alla partenza verso nuovi e gloriosi destini: Alfano, che ha buttato i sigilli che guardava fino a ieri, al manubrio, Silvio nel carrozzino del sidecar perchè alla sua età è meglio non portare le moto. “The three stooges”, ‘gnazio “Guaddro Gaccia” LaRussa, Bancomat Verdini e “Midimetto” Bondi sono ovviamente fuori dalla foto. Pronti? Vroooom vroooom, via!