mercoledì 6 luglio 2011

Sospetti e veleni sul comma cancellato. Francesco Verderami.



Il colloquio Berlusconi-Tremonti, il ruolo degli avvocati: la storia segreta della norma.

La verità sulla norma «salva Fininvest» non esiste, è un intrigo che si basa su alcuni indizi e moltissimi sospetti, rivela la durezza dello scontro tra il premier e il ministro dell'Economia.
La storia segreta del «comma 23» è l'ennesima sconfitta «ad personam» di Berlusconi, offre la plastica rappresentazione di come i nodi politici, giudiziari e ora anche finanziari si sono intrecciati, trasformandosi in un cappio che rischia di asfissiare il Cavaliere. E non c'è dubbio che sia stato lui a mettere il collo in questa corda, è lui infatti che alla vigilia della sentenza sul Lodo Mondadori ha chiesto uno scudo giuridico da inserire nella manovra per evitare di pagare subito il conto a De Benedetti, nel caso fosse condannato in appello dal Tribunale di Milano.


È Berlusconi al centro della vicenda, ma in pochi nel governo possono realmente dire di non averne mai saputo nulla. Molti hanno solo girato la testa. In principio è l'avvocato Ghedini a spingere perché il premier ottenga dal ministero della Giustizia, dunque da Alfano, un rimedio tecnico al problema. Da un anno se ne discuteva nelle riunioni riservate a Palazzo Grazioli, per un anno la questione era stata accantonata. A tempo scaduto si cerca una soluzione d'emergenza, e sebbene il Guardasigilli si mostri titubante, viene individuato un «gancio legislativo» nella modifica di alcuni articoli del codice civile, con cui si mira a velocizzare i processi.
Non è vero però che la norma «salva Fininvest» viene inserita all'ultimo momento, «non è stata certo aggiunta di soppiatto», racconta un ministro: sta infatti nelle pieghe di questo capitolo della manovra, nell'articolo 37. E c'è un indizio che lo dimostra: il tema viene discusso alla riunione di martedì 28 giugno del pre-Consiglio, e già in quella sede i tecnici ravvisano problemi di costituzionalità. Già in quelle ore scatta l'allarme al Colle. Nel corso dei rituali contatti tra gli uffici legislativi di Palazzo Chigi e dei ministeri con il Quirinale, la presidenza della Repubblica anticipa la propria contrarietà a una simile norma: è un altolà preventivo, il preavviso di un possibile scontro.


E si capisce come mai il Guardasigilli ieri spiegava che non c'era nè ci poteva essere «alcun sotterfugio»: d'altronde non era pensabile che un provvedimento di tale portata sfuggisse allo staff di Napolitano. Se così stanno le cose, non si comprende perché il premier decida di insistere, e con quali garanzie. Regna ancora l'incertezza quando giovedì 30 giugno si arriva al Consiglio dei ministri convocato per la manovra. La riunione viene a un certo punto sospesa in modo da trovare un compromesso sulla norma per i tagli ai costi della politica. Trovata l'intesa, però, il Consiglio non riprende subito, perché nel salone di palazzo Chigi mancano all'appello Berlusconi e Tremonti.
Ricorda un ministro come «in quel momento tutti abbiamo avuto la netta percezione che qualcosa non andasse». Dopo mezz'ora i due rientrano nel salone di Palazzo Chigi. È a quel colloquio che viene fatta risalire l'intesa sulla norma «salva Fininvest». Un indizio, a cui si aggiunge un interrogativo che porta a verità contrastanti: il titolare dell'Economia ha solo accettato quell'articolato o - come sostengono i fedelissimi del Cavaliere - è stato lui a riscrivere il testo, inserendo quel tetto di venti milioni che l'ha resa una evidente norma «ad aziendam»?


Una cosa è certa, Tremonti sapeva. Il resto sono accuse che Berlusconi gli rivolge contro, intingendo l'ira nel sospetto. «Chiedetevi chi ci guadagna da questo disastro», urlava ieri sera, puntando l'indice contro il padre di una manovra che «ci ha fatto perdere il gradimento del 65% del nostro elettorato»: «Se pensa di arrivare così a Palazzo Chigi può scordarselo». Il premier - a proposito del provvedimento - sostiene di aver chiesto al superministro di «avvisare la Lega sui dettagli», come a dire che sulle linee generali i rappresentanti del Carroccio erano a conoscenza dell'operazione.
Ecco come si giunge alla stesura definitiva della manovra, ed è in questo passaggio che compare sulla scena Gianni Letta, fino ad ora rimasto formalmente ai margini della trattativa sulla «norma salva Fininvest». Ma è possibile che il braccio destro di Berlusconi, l'uomo che conosce tutti i risvolti del Lodo Mondadori, non sapesse della mossa disperata del Cavaliere? Anche se così fosse, è stato l'ultimo a leggere il testo della manovra prima di inviarla al Colle. E se è vero che ieri il sottosegretario alla Presidenza rimarcava come la vicenda fosse stata gestita «malissimo», dato che «non si presenta una simile norma senza averla concordata con il Quirinale», come mai non ha bloccato anzitempo il premier?

A Letta è toccato gestire l'ultima trattativa con Napolitano, quando ormai si trattava solo di recuperare i cocci. A Letta è toccato informare Berlusconi che per il capo dello Stato non c'era altra soluzione che ritirare la norma. A Letta è toccato sentire lo sfogo del Cavaliere, che si sente vittima del «banditismo politico-giudiziario» dei magistrati milanesi, che sente approssimarsi una «sentenza di condanna già scritta», e che - in un moto di sfida - ha commentato: «E se ora io non firmassi la manovra?». La storia segreta del «comma 23» è l'ennesima sconfitta «ad personam» del premier, una sconfitta che ha molti padri ma alla fine un solo colpevole: Berlusconi.


Via norma sul lodo Berlusconi: 'La ritiriamo'. - di Yasmin Inangiray



Berlusconi: 'Ma era norma giusta, polemiche dell'opposizione sono vergognosa montatura'.


ROMA - Una norma "giusta e doverosa" che però sarà "ritirata". Al termine di un giornata convulsa fatta di contatti febbrili tra Palazzo Chigi ed il Quirinale, Silvio Berlusconi prende la decisione di fare un passo indietro ed evita così lo scontro frontale con il Capo dello Stato che aveva chiesto, senza mezzi termini, una marcia indietro sul cosiddetto lodo Mondadori inserito in sordina nella manovra.

l premier affida ad una nota l'annuncio della cancellazione delle tanto discusse 'tre righe' rivendicando però l'impianto deL provvedimento: Si tratta - spiega - di una norma non solo giusta, ma doverosa specie in un momento di crisi dove una sentenza sbagliata può creare gravissimi problemi alle imprese e ai cittadini". Rispedita poi all'opposizione l'accusa di aver pensato che 'la mossa a sorpresa' servisse per mettere al riparo Madiaset nella sentenza sul lodo Cir-Fininvest: "Conoscendo la vicenda sono certo - mette in chiaro con una certa sicurezza il Cavaliere - che la Corte d'Appello di Milano non potrà che annullare una sentenza di primo grado assolutamente infondata e profondamente ingiusta. Il contrario costituirebbe un'assurda e incredibile negazione di principi giuridici fondamentali". La nota ufficiale, se ha lo scopo di riallacciare un filo di dialogo con il Colle che ha espresso anche altre criticità al testo, anche sui temi dell'Ice e delle quote latte (secondo fonti della maggioranza), mette fine ai mal di pancia di Umberto Bossi che si è messo di trasverso facendo arrivare alle orecchie del Cavaliere la sua contrarietà ad un provvedimento subito ribattezzato come una nuova legge 'ad personam'.

I sospetti però su cosa sia realmente avvenuto tengono banco nei conciliaboli in Transatlantico. Molti ministri del Pdl non esitano a descrivere un premier irritato per l'ennesimo trabocchetto creato da Giulio Tremonti con il placet dello stesso Carroccio. Se infatti molti pidiellini sono convinti che il provvedimento fosse frutto di un lavoro ristretto tra Berlusconi e Angelino Alfano, nessuno mette in dubbio che anche il Tesoro essendo l'estensore del provvedimento fosse all'oscuro del 'coup de theatre'.

Il superministro, è il ragionamento dei più maligni, avrebbe acconsentito all'inserimento sapendo che dal Quirinale sarebbe arrivato lo stop. In più la presa di distanza del titolare di via XX Settembre dalla norma stessa, è il ragionamento di un ministro del Pdl, la dice lunga sui rapporti con il capo del governo. "Se c'é una norma, l'abbiamo votata tutti. Io non so se c'é...E' la tesi del ministro dell'Agricoltura Severio Romano. Ancora più criptico Roberto Calderoli: "Non posso commentare ciò che non ho visto...e letto". Con i suoi fedelissimi il Cavaliere per tutto il giorno chiuso a palazzo Grazioli è tornato ad accusare quella parte di magistratura che, a suo dire, continua a perseguitarlo ed il risarcimento da De Benedetti ne sarebbe un esempio. Tant'é che ai suoi uomini non avrebbe nascosto l'ipotesi di dover vendere le aziende in caso la sentenza fosse a suo sfavore.

Lo stralcio del provvedimento fa comunque tirare un sospiro di sollievo a chi nella maggioranza, e cominciavano ad essere in tanti, già immaginava, con un certo imbarazzo, una nuova battaglia con il Quirinale, ma soprattutto fa gridare vittoria all'opposizione. "Si tratta di una norma vergognosa", accusa il segretario del Pd Pier Luigi Bersani che poi si chiede "quale manina metta sempre delle norme ad hoc in ogni procedura". Critico anche il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini che parla di "balletto indecoroso". Pollice verso anche dal leader dell'Idv Antonio Di Pietro: "Berlusconi, colto con le mani nel sacco, ha deciso di ritirare la norma salva Mondadori. Oggi l'ha fatto . si chiede l'ex pm - perché domani vuole ripresentarne un'altra simile?"

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/politica/2011/06/25/visualizza_new.html_812860497.html

martedì 5 luglio 2011

Ecco come buttano i tuoi soldi. di Primo Di Nicola




Cene di gala per tutti. Concorsi e premi inutili. E, naturalmente, consulenze a go-go. Avevano promesse di abolirle, ma sono ancora lì: a spendere più che mai.

Sono nel mirino come il più inutile degli organismi statali. E puntualmente finiscono nell'occhio del ciclone quando si parla di tagli ai costi della politica. C'è chi ne invoca la cancellazione per l'inconsistenza delle funzioni che svolgono e chi per risparmiare le troppe risorse che bruciano. Invece le province sono sempre là: insaziabili centri di potere capaci come pochi altri di dilapidare risorse per gli scopi più singolari.
Valva è un paesino della Valle del Sele, in provincia di Salerno.

Nell'agosto del 2009, l'estate degli scandali sessuali di Silvio Berlusconi, fu lì che a Noemi Letizia, la perla del suo "harem", nell'ambito del "Valva Film Festival" fu consegnato un premio alla carriera "Per il talento che verrà". Peccato che quel festival e quell'inutilissimo premio siano stati finanziati dalla provincia di Salerno. Che per l'occasione, per mano del suo presidente Edmondo Cirielli, deputato Pdl, ha staccato un assegno da 25 mila euro. E che dire della mega-cena per 500 operatori turistici e politici pagata dalla provincia di Lecco per ospitare una conferenza sul turismo? La manifestazione è costata 140 mila euro (più Iva) e per qualche giorno ha portato la città sulla ribalta nazionale. Lecco non è stata infatti scelta a caso: il ministro per il Turismo Michela Vittoria Brambilla abita a sette chilometri dalla città e per lei l'evento si è rivelato un'ottima vetrina elettorale visto che ci è arrivata in barca, con tanto di orchestrina e telecamere Rai al seguito.

Da Lecco a Milano, la musica è sempre la stessa. Come dimostra un finanziamento del presidente della Provincia Guido Podestà all'Associazione Occidens per la presentazione del libro "Lucchesità Vizi e Virtù". Argomento lontanissimo dagli interessi dei milanesi. Come mai allora Podestà ci ha messo 10 mila euro? Forse perché Occidens viene da Lucca, città natale del suo presidente onorario Marcello Pera, ex presidente del Senato, ma soprattutto compagno di partito dello stesso Podestà, uno che per gli amici si è sempre fatto in quattro. Come Luigi Cesaro, deputato Pdl e presidente della Provincia di Napoli, a tutti noto come "Giggino a purpetta". Cesaro ha stanziato 50 mila euro per il rinnovo dell'arredo degli uffici di rappresentanza del Comune di Sant'Anastasia, dove da un anno circa è sindaco il suo ex capo di Gabinetto, Carmine Esposito, un amico per la pelle.

Sono solo alcune delle elargizioni delle Province italiane. Per le scelte nel mare magnum dei finanziamenti che ogni anno impreziosiscono i loro bilanci. Bilanci miliardari che i cittadini amerebbero tanto vedere azzerati considerando che sulla soppressione delle province un po' tutti i partiti sono d'accordo. Non c'è stata tornata elettorale in cui destra e sinistra non abbiano scritto sui loro programmi la magica parola "soppressione".

Alla vigilia delle elezioni del 2008, per esempio, giurarono sulla cancellazione sia Berlusconi ("Le province dobbiamo abolirle") che l'allora segretario del Pd Walter Veltroni ("Serve l'abolizione delle province"). Persino Casini per l'Udc prese un impegno solenne ("L'abolizione delle province è fondamentale"). Ma quando l'anno successivo Antonio Di Pietro è riuscito a portare in aula un disegno di legge dell'Idv, ecco il voltafaccia. Invece di approvare la soppressione, berlusconiani e democratici hanno votato con la Lega un rinvio "sine die" del problema. Copione che si è ripetuto il 15 giugno scorso, quando l'esame del ddl dipietrista è stato di nuovo rinviato da Montecitorio.

Le province non si toccano, insomma. Anche perché sono delle formidabili macchine elettorali. E i consiglieri e i presidenti in esse eletti dei temutissimi portatori di pacchetti di voti. Che spendono in tutte le direzioni per coltivare i loro feudi e premiare famigli e amici di partito. Il presidente della giunta di centrodestra di Cremona, Massimiliano Salini, un Pdl vicino a Comunione e liberazione, ha per esempio nominato il fratello Rossano direttore della testata giornalistica "L'informatore", organo dell'amministrazione provinciale. In redazione lavorano tre persone e si spartiscono 70 mila euro l'anno. Fulvio Pacciolla ricopre invece dall'aprile 2010 il ruolo di vice capo di gabinetto alla Provincia di Milano, una carica che non esisteva nelle amministrazioni precedenti. Fino al 2010 Pacciolla risultava però direttore generale della Rsa Helipolis di Binasco, una clinica che faceva capo al gruppo Zanella, controllato all'80 per cento da Noevia Zanella. Chi è costei? La moglie del presidente Podestà.

Dal Pdl alla Lega, formazione che notoriamente acchiappa voti urlando contro gli sprechi di "Roma ladrona", salvo non differenziarsi molto nello sperpero quando si trova ad amministrare le casse. A Brescia, un leghista doc come Daniele Molgora appena salito alla presidenza della Provincia ha promesso di sforbiciare le spese inutili. Non si è fatto però problemi nel varare un progetto per la creazione di una inutile Orchestra di Brescia di cui si conoscono già i costi (200 mila euro l'anno) e il nome del direttore: Enzo Rojatti, già direttore della disciolta Orchestra della Padania. La presidente della provincia di Venezia Francesca Zaccariotto, appena eletta, un anno fa, ha deciso invece di festeggiare la vittoria con un bell'aumento di stipendio per sé e per gli assessori. Una trovata che comporterà un incremento di spese di 200 mila euro da qui alla scadenza della legislatura.

Le province d'altra parte sono uno dei piatti forti del "buongoverno" dei leghisti: ne presiedono una quindicina e, nonostante in campagna elettorale si siano impegnati con Berlusconi per l'abrogazione, sostengono a spada tratta la loro esistenza. Qualche anno fa minacciarono addirittura l'uscita dal governo se non fosse nata la provincia di Monza (solo per il varo è costata quasi 50 milioni di euro), mentre ancora oggi il deputato leghista Caparini non si fa problemi nel chiedere l'istituzione della provincia della Valcamonica con capitale Breno, una "metropoli" da 5 mila abitanti.

Ma inutile meravigliarsi, i leghisti sono fatti così. La provincia di Bergamo, tanto per fare un altro esempio, ha un ufficio di rappresentanza a Roma, a piazza Colonna. Costo: 65 mila euro l'anno. Durante l'ultima campagna elettorale il candidato presidente Ettore Pirovano, bossiano sfegatato, aveva garantito che "una delle prime scelte, se fosse stato eletto, sarebbe stata la chiusura della sede romana". Inutile dire che quegli uffici sono là anche se Pirovano è stato puntualmente eletto. Spendere, infatti, è molto più semplice che tagliare. E lo si vede scandagliando le province da Nord a Sud, come ha fatto "l'Espresso". La provincia di Trento ha dato una consulenza di 20 mila euro a due professori universitari "per capire gli orsi"; spende 2 milioni per acquistare divise a bande musicali e gruppi folkloristici, schützen compresi (a questi paga anzi anche gite sulle nevi a Folgaria); mentre Belluno elargisce oltre 200 mila euro per una consulenza per l'inserimento delle Dolomiti nel patrimonio dell'Unesco.

Scendendo nel Meridione, si distingue ancora Napoli per il finanziamento del progetto "La cucina di mammà" (35 mila euro); i 40 mila euro spesi per sovvenzionare i Cantori di Posillipo e gli altri 4 mila sperperati per cravatte griffate che il presidente Cesaro regala a Natale. Ancora più a sud, la provincia di Palermo brilla per i 200 mila euro elargiti per bande musicali, fiere e sagre (si va dalla salsiccia al ficodindia); i 4 mila euro per il sostegno all'associazione Badminton di Cinisi; i 10 mila per foraggiare la confederazione siciliani del Nord America. Indimenticati restano però i 5 mila euro dilapidati nella sagra dell'asino di Castelbuono e l'altro migliaio bruciati per scoprire il "significato della musica nella preistoria".

Infine, la Sardegna, che in fatto di province nell'ultimo decennio non si è fatta mancare niente visto che, in quanto Regione autonoma, in un sol colpo, nel 2001 ha deciso di raddoppiarne il numero, passando da quattro a otto. Sugli scudi dunque anche l'isola, che si distingue pure per il contributo di 70 mila euro di Carbonia-Iglesias per il censimento e lo studio delle abitudini dei cormorani; quello del Medio Campidano che foraggia la sagra del salmone e per l'incarico conferito dall'Ogliastra a un ingegnere per scoprire quali dei gestori telefonici avesse la tariffa più conveniente. Come se un qualsiasi dipendente non potesse assolvere il compito.

E' anche per questo che le province costano tanto. E per un modo di amministrare che spesso suscita le ire della Corte dei conti. Da Nord a Sud non si contano i casi di cattiva amministrazione. Varese è nel mirino dei giudici contabili per gli acquisti impropri per la pulizia del lago Maggiore (macchinari comprati da un funzionario incompetente); Palermo, alle prese con le conseguenze delle scorribande nei derivati dell'ex presidente Francesco Mussotto, per le anomalie e le disfunzioni riscontrate nei bilanci; Trento per la moltiplicazione dei centri di spesa, la proliferazione delle consulenze, la "poca chiarezza" nell'esposizione dei dati contabili delle società partecipate. Insomma, un mare di irregolarità nel quale galleggia anche il caso dell'astro nascente del Pd, Matteo Renzi, sindaco di Firenze. In precedenza presidente della stessa Provincia, Renzi è sotto esame per l'assunzione di persone sprovviste dei titoli necessari. Una colpa grave per la Corte dei conti che gli ha contestato, insieme ai membri della giunta, un danno erariale di circa 2 milioni di euro.

hanno collaborato Marco Guzzetti, Mario Lancisi, Thomas Mackinson, Claudio Pappaianni, Maurizio Porcu, Paolo Tessadri.



Parma: la coop che lavorava per il Comune per assumere voleva una dichiarazione di voto.


La vicenda è quasi incredibile. Un documento che era assolutamente illegale. E anticostituzionale

Non solo emettevano fatture gonfiate per servizi mai effettuati. Non solo facevano parte di un giro dicorruzione che favoriva negli appalti chi pagava o chi si prestava a effettuare lavoretti gratis nelle case private dei dirigenti pubblici. Non solo coprivano il gioco di chi pigliava e portava a casa mazzette e favori di tutti i tipi. Sws, student work service, era una sorta di cagnolino fedele dei dirigenti coinvolti nell’inchiesta della Guardia di finanza, realizzando ogni prestazione venisse chiesta ‘dall’alto’. Tanto che Giangy Andreaus e Tommy Mori pare effettuassero sondaggi e domande equivoche al posto di effettuare colloqui di lavoro per capire dove soffiasse il vento politico e realizzare indagini di mercato su abitudini dei cittadini di Parma.

La prima denuncia era arrivata da alcune giovani studentesse già l’anno scorso. Una denuncia ripescata oggi dell’associazione Insurgent city, che nel pomeriggio ha distribuito alla folla che stava protestando contro il Comune il questionario che la Sws sottoponeva a chi si presentava per un colloquio di lavoro. Un questionario su cui appaiono domande quanto mai fuori luogo: “Quale quotidiano leggi abitualmente? Quando sei stato l’ultima volta al cinema? Quando hai acquistato l’ultimo cd? Quando hai scaricato l’ultima canzone da internet? Qual è il tuo sito internet preferito? Qual è il tuo film, libro, cd preferito? Quando sei stato l’ultima volta ad un concerto? Quando hai comprato l’ultimo vestito? Quando hai comprato l’ultimo paio di scarpe? In che negozio? Di che marca?”. E ancora, entrando sempre più nel personale: “A quanto ammontava il tuo ultimo stipendio? Qual è la tua trasmissione televisiva preferita? Qual è l’uomo e la donna che preferisci in politica? Cos’hai votato nelle ultime elezioni politiche (2008)? Cos’hai votato nelle ultime elezioni amministrative?”.

Domande palesemente anticostituzionali, dato che il voto è segreto. E che fanno intuire come dietro a questi questionari ci fossero obiettivi diversi da una selezione lavorativa: nemmeno in una domanda si chiede qualcosa riguardo titoli di studio, abilità professionali, esperienze lavorative, conoscenze linguistiche. “Le ipotesi sono due – spiega Andrea Bui, di Insurgent city – O si volevano raccogliere informazioni o si faceva selezione del personale in modi poco professionali: cosa interessa sapere cosa ha votato chi andrà a distribuire i bidoncini per la raccolta differenziata? O a chi farà l’accompagnatore dei bambini nell’Happy bus? Mi viene da pensare che si facesserodiscriminazioni, visto che non interessavano minimamente le reali abilità o qualifiche delle persone”.

Ma le domande imbarazzanti non finiscono qui. Il questionario prosegue con: “Sei single, sposato, separato, fidanzato? Quando sei stato fuori a cena e dove? E a ballare? Svolgi qualche attività in palestra? Quando sei stato l’ultima volta in chiesa? Che lavoro vorresti fare? La professione del padre? Della madre?”. Quesiti che sembrano più utili a un casting da miss che a un colloquio di lavoro. O a un sondaggio da pre-campagna elettorale, visto che a locali, ristoranti e moda questa giunta Vignaliha sempre dimostrato di tenerci molto.


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E se internet entrasse nella Costituzione? Oggi "Notte della Rete contro il bavaglio". - di Stefano Corradino

E se internet entrasse nella Costituzione? Oggi "Notte della Rete contro il bavaglio"
“Tutti hanno eguale diritto di accedere alla Rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale”. E’ il testo di un disegno di legge costituzionale presentato lo scorso novembre e che reca “disposizioni volte al riconoscimento del diritto di accesso al web”. Un articolo21-bis della Costituzione che estenderebbe a Internet il principio della libertà di espressione espresso dal 21° articolo della nostra Carta.

A lanciare la proposta lo scorso anno è stato il giurista Stefano Rodotà nel corso dell’Internet Governance Forum che ha avuto luogo a Roma. Una proposta frutto di una riflessione lunga ed elaborata e non improvvisata sull’onda dell’emergenza. Già nel 2003 lo stesso Rodotà, allora Garante per la privacy, rifletteva sull’esigenza di fissare alcuni principi costituzionali per preservare le libertà civili e digitali: una Costituzione europea allo scopo di individuare regole comuni ai diversi stati europei per garantire a tutti l’uso libero di Internet.

L’idea di una modifica in tal senso della nostra carta costituzionale parte quindi da lontano, dal concetto che un’adeguata “copertura costituzionale” possa mettere l’immenso territorio della rete al riparo da chi tenta di metterci impunemente le mani, e regolarlo in modo restrittivo.
Una proposta che di fatto modificherebbe uno dei capisaldi della prima parte della Costituzione. Ma al contrario di chi in modo dissennato e pericoloso ha proposto, ad esempio, di modificare l’articolo 1cancellando il riferimento al lavoro così da stravolgere un diritto acquisito e frutto di battaglie di libertà e di emancipazione, l’articolo21 bis costituirebbe l’estensione di un diritto e l’acquisizione del concetto di rete come “bene comune”.

Oggi a Roma il mondo della rete si mobilita contro una delibera dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per cui, in nome della salvaguardia del diritto d’autore si rischierebbe la chiusura di decine di migliaia di siti internet, giornali o line, blog e profili dei social network. Un’istituzione amministrativa potrebbe infatti assumere le sembianze del giudice, determinando l’oscuramento dei siti ‘rei’ di violare la normativa medesima. Un’ipotesi grave, sciuagurata, illegittima che dovrà essere contrastata con forza, nelle piazze virtuali e in quelle reali, nelle sedi politiche e in quelle legali, nazionali e internazionali.

Perché non impegnarci concretamente su questa proposta di un articolo bis della Costituzione (e di una specifica Costituzione europea) come risposta a tutti i tentativi passati, presenti e futuri di imbavagliare la rete?



La Rai e gli sfregi della banda degli onesti. Domani alle 14 tutti davanti a San Macuto. - Giuseppe Giulietti.

La Rai e gli sfregi della banda degli onesti. Domani alle 14 tutti davanti a San Macuto

Alla Rai è davvero cambiato tutto, prima quelli sgraditi a Berlusconi venivano cacciati a colpi di pubblici editti, ora vengono accompagnati alla porta ed invitati ad andarsene. Non c’è bisogno di leggere le intercettazioni per capire che, sia pure con modi e toni diversi, è in piena attuazione il piano per dissolvere la Rai e stroncare qualsiasi anomalia editoriale, a partire da Raitre. Basta leggere la lettera di Serena Dandini, pubblicata dal Corriere della Sera, per rendersi conto di quanto sta accadendo. Dopo la sostanziale espulsione di Santoro e di Saviano, la scena si sta ora ripetendo con Milena Gabanelli e Serena Dandini, considerate persone non gradite, forse anche loro saranno nel lunghissimo elenco di quelle e quelli "che mi hanno fatto perdere le elezioni e i referendum"
Nel frattempo Berlusconi e famiglia ringraziano due volte. La prima perchè la Rai esegue i comandi, la seconda perchè la medesima Rai si sta suicidando industrialmente allontanando da sè non solo alcuni tra i migliori talenti professionali, ma anche il pubblico che li seguiva e li seguirà.

Dal momento che l'obiettivo palese di questo assalto è quello di imbavagliare la pubblica opinione e di dissolvere quello che ancora resta della Rai chiederemo a tutte le associazioni del settore, a tutti i sindacati, a tutte le forze politiche di promuovere insieme una gigantesca class action, di raccogliere milioni di firme, e di presentarle nel corso di una grande manifestazione nazionale contro ogni forma di bavaglio: dalle intercettazioni alla rete, dalle censure al conflitto di interessi impugnato come una clava per abbattere avversari e competitori politici ed industriali.

“Se non ora quando?” Con queste parole un coraggioso gruppo di donne, innamorate della Costituzione, convocarono a Roma una straordinaria manifestazione, una di quelle che hanno segnato il risveglio nazionale , la fine di un lungo periodo segnato dalla acquiescenza, dal torpore, talvolta anche dalle complicità.
Mai come in queste ore sarà il caso di ripetere “Se non ora quando?” e di presidiare on inaudita passione civile l’articolo 21 della Costituzione dalle ultime raffiche di un regime morente, ma no per questo meno pericoloso, anzi.
Questo è il momento per mettere insieme partiti, movimenti, associazioni, sindacati, per concordare una azione quotidiana, pressante, incisiva, che non conosca pause, sino alla vittoria finale.

Chiunque abbia idee e proposte le tiri fuori: class action contro la Rai, esposti alla Corte dei conti, ricorso al tribunale ordinario, iniziative davanti alle sedi delle silenti autorità di garanzia, manifestazioni davanti alla sede del parlamento europeo, della corte internazionale dei diritti, delle istituzioni e delle assemblee elettive, a cominciare dalla Camera e dal Senato, utilizzo delle rete per far impazzire il censore, iniziative in tutte le piazze italiane dedicate alla libertà di informazione, sino ad arrivare ad un grande manifestazione nazionale, da indire quando riporteranno in aula la legge madre di ogni bavaglio: quella sulle intercettazioni.

Di fronte a quello che sta accadendo ci auguriamo davvero che ciascuno rimetta in un cassetto lo spirito di parte , di partito, di associazione, di organizzazione, per mettersi a disposizione di una grande battaglia per la legalità repubblicana e per la dignità costituzionale. Teniamoci pronti perchè questa "banda degli onesti" non esiterà neanche nel mese di agosto per mettere a segno l'ultimo sfregio. Se sarà il caso dovremo essere pronti a rispondere sempre e comunque, anche nella giornata di ferragosto!

“Fuori le Logge dalla Rai” - Domani, 6 luglio alle ore 14 appuntamento davanti alla sede di Palazzo San Macuto.

http://www.articolo21.org/3490/notizia/la-rai-e-gli-sfregi-della-banda-degli-onesti.html


Operazione Apice: i soldi del pizzo per il matrimonio della figlia. - di Rino Giacalone


Appalti, l’ortofrutta, le mediazioni, la riorganizzazione mafiosa. C’era tutto questo nell’«agenda» di Gaetano Riina, 79 anni, arrestato venerdì dai carabinieri di Monreale in una indagine...

...che pur concentrata sulla provincia di Palermo, sulla Corleone che in parte continua a riconoscere il potere sanguinario dei Riina, tocca anche la provincia di Trapani e non solo per la circostanza che Gaetano Riina da tempo abita a Mazara del Vallo. Ci sono, nell’elenco delle malefatte scoperte, le estorsioni che Gaetano Riina avrebbe compiuto per appalti banditi dalla Provincia regionale di Trapani. Ci sono gli interessi che non avrebbe nascosto nell’ambito dei mercati ortofrutticoli mazarese e marsalese, i suoi rapporti con gli imprenditori agricoli Sfraga di Marsala, gli stessi coinvolti nell’indagine sul mercato di Fondi e nei rapporti con i casalesi. Gli stessi rapporti che sarebbero stati mediati dal capo mafia latitante Matteo Messina Denaro.

È possibile che Gaetano Riina avrebbe imposto il «pizzo» a Trapani senza concordare nulla con Messina Denaro? La risposta degli investigatori è negativa, anzi l’indagine sul fratello di “Totò u curtu” tradirebbe quelle che sono le nuove alleanze che si muovono nel contesto mafioso. Riina e Messina Denaro sono tornati a stare assieme semmai si siano mai «divisi»: è una cosa il rispetto tenuto da Matteo Messina Denaro nei confronti di Bernardo Provenzano (rispetto garantito sino a quando però il boss non fu arrestato, la scoperta che il “vecchio” teneva intatto l’archivio dei “pizzini” fece andare su tutte le furie il giovane boss secondo il racconto scritto in altri “pizzini”), un’altra cosa l’obbedienza verso Totò Riina. D’altra parte in alcuni «pizzini» diretti a “Binnu” Provenzano e trovati nella masseria di Montagna dei Cavalli dove il “fantasma di Corleone” è stato catturato, “Alessio”, alias di Matteo Messina Denaro, fa riferimento a notizie che gli sarebbero giunte da «Ttr», Totò Riina hanno letto gli investigatori. Sebbene in carcere al 41 bis, Totò Riina sarebbe riuscito a fare veicolare messaggi verso il giovane padrino di Castelvetrano. Ma c’è un altro elemento che conferma il legame tra Matteo Messina Denaro e Gaetano Riina: le indagini dei carabinieri di Monreale hanno registrato un incontro che ci fu tra lui, Gaetano Riina, e lo «zio Franco», al secolo Francesco Luppino di Campobello di Mazara, «longa manus» del boss latitante.
L’estorsione. La richiesta estorsiva avrebbe riguardato i lavori di manutenzione straordinaria della strada provinciale 29 (Trapani-Salemi, appalto per 1 milione di euro del febbraio 2010), secondo l’ordinanza eseguita all’esito delle indagini condotte dai carabinieri a riscuotere il pizzo sarebbero stati un certo Giuseppe Genna di Paceco, e un tale Riccardo Di Girolamo, una parte di quei soldi furono spesi per il matrimonio della figlia di Riina, la divisione avrebbe riguardato anche i mandamenti di Mazara e Trapani, e anche Ninetta Bagaella, la moglie di Totò Riina.
Dalla sua villetta, molto dimessa, di Mazara, dove era andato ad abitare, Gaetano Riina si sarebbe occupato anche dei commerci di frutta, di quello che succedeva nei più importanti mercati della provincia di Trapani. Insomma il suo sguardo non era tutto rivolto su Corleone.

Il legame con Mazara da parte dei Riina è antico e forte. Mazara del Vallo è da decenni la città di Gaetano Riina e lì venerdì i carabinieri del comando di Monreale sono andati ad arrestarlo, in una casa in via degli sportivi nella frazione di Tonnarella. Anche suo fratello Totò non disdegnava di frequentare la cittadina trapanese, e durante la sua lunghissima latitanza, qui ha trascorso tante giornate d’estate, ma anche alcune di quelle invernali, «ospite» di uno dei suoi storici alleati, il capo di Cosa nostra mazarese, Mariano Agate. Partecipando a summit presso la Calcestruzzi Mazara, di proprietà della famiglia Agate, sedendo a capotavola e distribuendo complimenti agli amici fidati, oppure decidendo di togliere le spine, così diceva, quando c’era da fare ammazzare qualcuno. Frequentazione, quella con Agate, comune anche per Gaetano Riina.
Il nome del fratello di «Totò u curtu» compare in diverse indagini giudiziarie, a cominciare da quella condotta negli anni ’70 attorno alla «Stella d’Oriente» una società costituita dal cugino di Mariano Agate, Giuseppe Di Stefano e da Giuseppe Mandalari, il commercialista palermitano, professionista di fiducia di Riina, e il cui nome compare anche a proposito della “iniziazione” della loggia massonica coperta di Trapani, «Iside 2». La società costituita a Palermo fu trasferita come sede a Mazara, sancì la «collaborazione» tra mafia e camorra, soci divennero una serie di conclamati mafiosi, Mariano Agate, suo fratello Giovan Battista, Salvatore Tamburello, parenti dei fratelli Nuvoletta di Napoli, capo-clan dell’omonima famiglia camorristica. Gaetano Riina aveva lì suo cognato, Vito Maggio. Amministratore unico fu nominato Vito Manciaracina, genitore di Andrea, il giovane che negli anni 80 ebbe modo di appartarsi a quattr’occhi con il senatore Andreotti durante una visita di questi a Mazara. La società serviva al riciclaggio di denaro, con trasferimenti di ingente contante (2 miliardi di vecchie lire) in Svizzera. Soldi si pensa provenienti dai traffici di droga.
Ma la vicenda più clamorosa nella quale compare il nome di Gaetano Riina è quella relativa alla confisca di una sua villa, e di un terreno, posseduti ancora e sempre a Mazara. Una confisca che determinò la inappellabile sentenza di morte pronunciata dal tribunale mafioso contro un giudice, Alberto Giacomelli, ucciso il 14 settembre del 1988 appena fuori Trapani, era già in pensione ma per quella firma apposta in calce all’ordinanza di confisca era rimasto nell’elenco delle vittime designate. La confisca risale al 1985, a firmare il dispositivo in primo grado fu il giudice Giacomelli. Gaetano Riina continuò ad abitare la villa nonostante l’avesse avuta confiscata e quando arrivò l’ordine di sfratto nel 1988, scattò la vendetta. Giacomelli fu ucciso e poi la mafia completò l’opera infangando il nome come solo Cosa nostra è capace di fare. Un finto pentito poi consegnò alla magistratura una banda di balordi che Giacomelli in passato aveva condannato, ma loro col delitto non c’entravano nulla. Ad entrare in azione era stata una banda di sicari mandati da Totò Riina che così ha voluto difendere il “buon” nome del fratello. Totò Riina per questo delitto ha avuto inflitto un ergastolo, la villa che fu di Gaetano Riina oggi è sede del comando della Guardia di Finanza a Mazara. Fu confiscato anche un terreno, ma quello ancora oggi rimane inutilizzato. A Trapani non è una novità che i beni confiscati restino confiscati sulla carta. In attesa di assegnazione restano, per esempio, i 70 ettari sottratti al narcotrafficante mafioso di Salemi Totò Miceli, il Comune li ebbe assegnati ma non li ha mai dati in gestione, tante parole e tante buone intenzioni, fino a quando non è stata intercettata una conversazione dell’attuale sindaco, Vittorio Sgarbi, che quando c’era da assegnare il terreno a Libera e a Slow Food disse chiaramente che “a quelli di don Ciotti” non avrebbe dato niente. Sgarbi è il sindaco che sostiene che la mafia non esiste più, e che ci sono i mafiosi incapaci di organizzarsi, a pochi chilometri da Salemi, a Mazara c’era il fratello di Totò Riina, Gaetano, che non solo ha dimostrato a 79 anni capacità di riorganizzazioni, ma faceva le estorsioni sotto al naso dei politici che negano l’esistenza di Cosa nostra.