martedì 12 luglio 2011

Prodi: «È l'ora di unire il Paese, serve uno sforzo comune contro la speculazione». - di Carlo Marroni


«Va lanciato immediatamente il messaggio che c'è un Paese unito, capace di fare sacrifici e di costruire compatto il proprio futuro».
Nel giorno più nero per l'Italia sui mercati finanziari, Romano Prodi sollecita una prova di compattezza per superare questa crisi e respingere l'attacco speculativo internazionale a cui è sottoposta l'Italia. Per l'ex presidente del Consiglio «non ci sono alternative a questo approccio. Deve emergere subito un messaggio di stabilità, di compattezza, di fiducia, condiviso da maggioranza e opposizione, assieme a tutte le istituzioni. Questo fa un Paese che festeggia i 150 anni di unità e continua insieme a costruirsi il domani».

Professor Prodi la situazione è davvero difficile.
Sono fortemente preoccupato per quello che sta accadendo. E lo sono a maggior ragione alla luce di quanto avviene negli Stati Uniti, dove i conti pubblici sono peggiori dei nostri e la situazione politica interna non è certo più coesa della nostra. Eppure non si pensa altro che ad attaccare l'Europa.

L'Italia è il Paese nel mirino più di altri?
Dopo Irlanda, Grecia, Portogallo e Spagna adesso tocca a noi subire gli attacchi, anche se ora il fenomeno sta interessando pure la Francia, come dimostra lo scossone avuto dal loro spread. Ma questo non può certo consolarci.

Che cosa sta innescando questo fortissimo e pare inarrestabile movimento speculativo?
L'Italia non brilla per il proprio rigore, ma la nostra economia non è certo al collasso, anzi, le strutture produttive sono generalmente sane e le banche sono relativamente più solide che negli altri Paesi. Eppure assistiamo a un attacco feroce, sia in Borsa che sui titoli di Stato, con lo spread verso i titoli tedeschi tornato addirittura sopra 300 punti base. Parliamoci chiaro: se non si pone rimedio si va diritti verso un baratro. Occorre una risposta coesa, ripeto, coesa, di tutto il Paese.

La manovra varata dal Governo pare sia passata inosservata.Serve una strategia di uscita. Da un lato vanno rafforzati i contenuti della legge finanziaria: è certamente un punto debole il rinvio del cuore dei provvedimenti al 2013-2014, e dall'altro va seguita una precisa strategia che possa influire sui mercati finanziari.

Che guardano ai segnali, ai messaggi, alle aspettative…
È anche e soprattutto per quello che ritengo sia necessario rendere la manovra accettabile all'opposizione.

Sembra facile. Ma come si può fare, visto il contesto della politica italiana che lei conosce molto bene?
Vista l'urgenza, è possibile attraverso l'intesa rapida su alcuni emendamenti. Così si può portare subito la manovra in Parlamento e approvarla in tempi stretti, come giustamente sollecitato anche dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Questo fa una politica seria.

Che cosa dovrebbe cambiare l'impianto approvato dal Governo?
La situazione è grave, lo sappiamo tutti. E quindi serve uno sforzo straordinario da parte delle classi a reddito più elevato.

A cui si pensa di ridurre gradualmente l'aliquota massima…
A me pare un follia. Su questo punto bisogna essere chiari.

Concorderà che è difficile trovare risorse in questo momento.Certo. Proprio per questo va varata una vera lotta all'evasione fiscale, che è enorme. Eppoi bisogna agire sulla spesa pubblica.

Anche questo sembra sia al centro dell'impianto della manovra, almeno in alcune sue parti.
Io penso a un politica strutturale di spending review, un po' sulla falsariga di quello che fece la Commissione Giarda. La spesa pubblica nell'ultimo decennio è scappata di mano, e bisogna metterci sul serio rimedio. È noto a pochi che in dieci anni la spesa pubblica complessiva al netto degli interessi è cresciuta di oltre il 50%, passando da 479 miliardi del 2000 a 723 del 2010! La questione centrale è che i mercati finanziari internazionali devono avere la rassicurazione che questi fenomeni in futuro non accadano più.

Una misura a lungo termine, tuttavia…
Sì, ma con un messaggio che ha presa nell'immediato. E che avrebbe un forte impatto emotivo. Come lo avrebbe una seria riorganizzazione delle tasse locali dopo lo smantellamento dell'Ici. Ovunque il federalismo fiscale si basa sulla tassazione degli immobili. È chiaro che parte delle risorse liberate dovrebbero essere indirizzate alla riduzione dei costi indiretti delle ore lavorate, in modo da aiutare il rilancio dell'economia.

Sempre manovre strutturali.
Da attuare attraverso un'immediata riunione tra Governo, opposizione e Banca d'Italia in modo da dare la garanzia che tutto il Paese è pronto a fare sacrifici, affrettare il risanamento e sostenere l'economia.

La forza del messaggio, come accaduto in passato, quando a metà degli anni 90 l'Italia subì attacchi per certi versi analoghi.
Non mi stancherò di ripetere che in questo momento il messaggio di unità, sostanziale, è importantissimo, come è decisivo allontanare l'idea che si vogliano procrastinare le cure necessarie. Come facemmo in quel momento difficile del '96, quando il mio Governo varò la tassa per l'Europa.

Lì c'era un obiettivo ben definito e decisamente "alto".
Sì, certamente si trattava di una scelta grande e giusta. Ma il fattore vincente fu il metodo: mettemmo di fronte al Paese dei sacrifici a fronte di risultati chiari. E come sanno tutti, i soldi versati per entrare nell'euro furono restituiti.

L'estate 2011 ricorda l'autunno di quindici anni fa?
Questi problemi hanno tutti la stessa necessità, quella di essere affrontati con uno sforzo comune davvero condiviso. Se questo sarà fatto immediatamente, allora lo spread tra i nostri BTp e i Bund tedeschi si richiuderà velocemente.

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-07-12/prodi-governo-opposizione-bankitalia-064452.shtml?uuid=AarT3OnD

Alitalia, spunta la norma “blocca Fantozzi” A rischio la causa civile. - di Matteo Cavallito


Un articolo nelle pieghe della manovra prevede la nomina di due commissari extra

L’amministratore straordinario di Alitalia Augusto Fantozzi sarà affiancato presto da due commissari extra con cui dividere il potere decisionale. Lo impone un comma della nuova legge di stabilizzazione Finanziaria che, affermano fonti vicine ai mercati, avrebbe scatenato la rabbia dello stesso amministratore facendogli considerare anche l’ipotesi delle dimissioni. Il nodo, riferiscono le stesse fonti, nell’ostacolo imposto implicitamente dalla nuova norma all’ipotesi di un’azione di responsabilità contro l’ex numero uno dell’azienda Giancarlo Cimoli.

La potremmo chiamare “difesa preventiva” visto che gli elementi a disposizione, per ora, non consentono di andare oltre. Ma certo il sospetto non manca, soprattutto a fronte dei rumors che iniziano a circolare negli ambienti finanziari. Da sempre critico nei confronti della mala gestione che negli anni passati ha contribuito in modo decisivo ad affossare Alitalia, facendo lievitare al contempo il costo di ristrutturazione scaricato sui contribuenti e sui piccoli risparmiatori, il commissario straordinario Augusto Fantozzi rischia ora di perdere buona parte della propria autonomia con la concreta ipotesi di ritrovarsi di volta in volta in “minoranza”. E’ questa, in sintesi, la possibile conseguenza dell’ultimo provvedimento assunto dal Governo e inserito tra le pieghe del decreto di stabilizzazione finanziaria. Un’iniziativa criptica, formalmente lecita ma anche terribilmente discutibile. Soprattutto a fronte di un malcontento generale che non sembra proprio destinato a placarsi.

L’articolo è sepolto nei meandri della nuova legge, all’articolo 15, comma 5: “Al fine di contenere i tempi di svolgimento delle procedure di amministrazione straordinaria delle imprese di cui all’articolo 2, comma 2 del decreto legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39 e successive modificazioni, nelle quali sia avvenuta la dismissione dei compendi aziendali e che si trovino nella fase di liquidazione, l’organo commissariale monocratico è integrato da due ulteriori commissari, da nominarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro dello sviluppo economico”. Traducendo: nelle imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria, come Alitalia magari, l’amministratore straordinario, uno come Augusto Fantozzi ad esempio, sarà affiancato da due nuovi commissari graditi al Governo e nominati formalmente da Paolo Romanioppure direttamente da Silvio Berlusconi ma, in ogni caso, scelti di fatto dal premier.

Augusto Fantozzi, è noto, non ha voluto fino ad oggi cedere alle pressioni di chi da due anni invoca un suo intervento diretto contro la precedente gestione della compagnia. Ma al tempo stesso ha avuto parole fortemente critiche nei confronti degli sprechi che avevano portato l’azienda al collasso. Un tracollo divenuto conclamato nel 2007, quando per la prima volta si iniziò a parlare con sempre maggiore convinzione di una cessione salvifica ai concorrenti di Air France che, all’inizio dell’anno successivo, avrebbero formalizzato un’offerta da 1,7 miliardi di euro per l’acquisizione dell’impresa e, particolare non da poco, di tutti i suoi debiti. Il seguito è noto: dopo l’inconsistente ipotesi di cordata promossa da Antonio Baldassarre (che costerà all’ex presidente della Corte Costituzionale una sanzione da 400 mila euro da parte della Consob e un rinvio a giudizio con l’accusa di aggiotaggio)Air France entra nella proprietà della compagnia acquisendo il 25% delle quote Alitalia per la cifra di 300 milioni. E i conti ovviamente non tornano visto che una simile operazione identifica un valore totale dell’azienda pari a 1,2 miliardi (500 milioni in meno della prima offerta sdegnosamente rifiutata) e che, rieccoci al “particolare non da poco”, quel prezioso 25% risulta, al contrario di prima, perfettamente sano. Già, perché tutti i debiti di Alitalia, nel frattempo, sono stati convogliati in una bad company che sopravvive grazie a un prestito pubblico (cioè dei contribuenti) pari a 300 milioni di euro e impone una sostanziale svalutazione di fatto dei titoli azionari in mano ai piccoli risparmiatori. Alla fine il conto finale dell’operazione Alitalia si collocherà tra i 4 e i 5 miliardi di euro.

Il commissario straordinario Fantozzi viene chiamato in causa nel giugno del 2009 quando il rappresentante degli obbligazionisti della compagnia Gianfranco Graziadei invita la Consob a chiedere chiarimenti al nuovo numero uno dell’azienda. Fantozzi avvierà un’azione di responsabilità portando in tribunale, sede civile, i vecchi amministratori dell’azienda? La domanda inizia a farsi strada anche se il commissario preferisce non esprimersi. Un fatto è però certo: Fantozzi non ha propriamente un atteggiamento assolutorio nei confronti dei suoi predecessori, anzi. “Alitalia è morta di grandeur” dichiarò più di due anni fa l’amministratore straordinario. Come a dire che una gestione più oculata avrebbe potuto salvare la compagnia immolata, al contrario, sull’altare degli sprechi. “Nella mia relazione sulle cause dell’insolvenza dico chiaramente che l’azienda ha sperperato – spiegò allora Fantozzi – . Non è un mistero che ci sono cinque procuratori della Repubblica al lavoro nei nostri uffici e la Corte dei conti che indaga”. L’ex numero uno di Alitalia Giancarlo Cimoli ha ricevuto una liquidazione d’oro intascando 5 milioni di euro. Per i suoi primi due anni di lavoro, Fantozzi ha ricevuto un compenso totale di 6 milioni.

Il commissario, come detto, non ha mai promesso alcuna azione civile contro gli ex dirigenti di Alitalia ma non per questo l’ipotesi può essere esclusa. Anzi. Fonti interne agli ambienti finanziari confermano questa possibilità sostenendo che da qualche tempo Fantozzi stia, o forse sarebbe meglio dire “stesse”, pensando di portare in tribunale proprio Cimoli e i suoi colleghi per contestare le loro responsabilità di ex gestori. Un’intenzione che dovrebbe fare i conti oggi con l’opinione dei due nuovi amministratori “promossi” proprio dal già citato comma 5 dell’articolo 15 con i quali l’amministratore (presto non più) unico dovrà dividere il potere decisionale con il rischio di ritrovarsi eventualmente anche “in minoranza”. Le stesse fonti di cui sopra riferiscono di un Fantozzi particolarmente arrabbiato e pronto, in extrema ratio, a dare addirittura le dimissioni. Consolandosi, a quel punto, con una liquidazione proporzionata al suo attuale stipendio.

Intanto, l’agenda Alitalia parla di una nuova class action alle porte. A renderlo noto è l’Anelta, Associazione Nazionale Ex Lavoratori Trasporto Aereo, che, in un conferenza stampa in programma oggi, spiegherà i dettagli del procedimento con il quale intende portare davanti al Tar del Lazio i ministri che a suo tempo siglarono l’accordo di ristrutturazione della compagnia (Trasporto, Lavoro e Politiche Sociali e, di concerto, la Presidenza del Consiglio) e per questo responsabili, secondo il presidente dell’Anelta Mario Canale, di aver “smembrato la compagnia aerea di bandiera, lasciando che solo pochi potessero gioire delle positività dell’azienda, mentre i più dovessero piangerne i debiti”. Raggiunto telefonicamente, Canale chiarisce così il suo pensiero. “L’avvio di una azione di responsabilità contro gli ex dirigenti da parte di Fantozzi? Non lo so, non credo. Diciamo che ho più fiducia nella magistratura che sta indagando. Certo, ormai la frittata è fatta. Ma sarebbe comunque bello recuperare un po’ del maltolto da coloro che se ne andarono con liquidazioni così generose”.




Manovra Finanziaria 2011, BTP, Bund Tedeschi, TAV, Rifiuti. Di questo passo dove andremo a finire?


Il popolo chiede più informazioni, cosa encomiabile, ma se i media gli rispondono proponendogli emozioni e gossip lui li accetta e non fa una piega. Non si dice che dovrebbe fare la rivoluzione, ma premiare i mezzi di informazione più sobri a scapito dei più cialtroni, questo almeno potrebbe farlo. No. Se mai il contrario.

E allora viene il dubbio che si chiedano più informazioni sull’onda dell’antico slogan “più informazioni più potere”, ma in realtà si cerchino emozioni e conforti. Che i media si comportino come si comportano non per protervia ma per diretta conoscenza dei propri fruitori finali, dei quali fino a prova contraria sono l’espressione.

Nasce il sospetto che l’informazione che si cerca sia solo quella utile a sostenere le proprie convinzioni, da non approfondire più di tanto, per non correre il rischio di imbattersi in incongruenze che potrebbero ingenerare dubbi e mettere in confusione.

I media lo sanno e si limitano a proporre il solito gioco delle parti, buono per attizzare lo spirito di campanile e fare tiratura. Sorvolando sul merito, il cui approfondimento complicherebbe il lavoro e non interesserebbe nessuno.

Col risultato che si sa cosa ne pensano Calderoli e De Magistris, ma non i motivi per cui i rifiuti di Napoli si smaltiscono per strada, secondo prassi consolidata, da vent’anni e passa. Né aiuta a far luce l’intemerata del cardinale Sepe(1). Ohibò, Eminenza!

Così ci si stupisce che i pesi della manovra finanziaria ricadano ancora una volta sugli stessi, i lavoratori dipendenti e i pensionati, che già pagano le tasse, e se ne trae motivo d’indignazione. Come se fosse possibile lasciar fuori dalla manovra i pensionati, quasi 17 milioni per 235 miliardi di €/anno e i lavoratori dipendenti, pressappoco altrettanti, per altri 425 miliardi di €/anno.

Sarà pure iniquo tirare in ballo sempre loro, ma come si fa a pensare che si possano lasciare fuori due categorie che messe insieme fanno più del 40% del PIL?

Da dove nasce una simile convinzione? Da una mancanza di informazione, o dalla precisa volontà di non informarsi?

I dati sono lì, basta leggerli.

Prendiamo quelli di questi ultimissimi giorni.

Il 28 giugno è stata inaugurata la linea ad alta velocità Pechino-Shanghai, 1318 km percorribili in cinque ore. Lavori iniziati nel 2008, costo complessivo dell’opera 24 miliardi di euro(2).

Da noi, il 3 luglio, ci sono state le ennesime manifestazioni contro l’Alta velocità-Alta capacità Torino-Lione e ora siamo qui a fare il tifo chi pro e chi contro.

Un’opera di cui s’è cominciato a parlare prima che cadesse il muro di Berlino.

Per la quale fu firmato un accordo nel 2001, tra il ministro dei Trasporti francese e quello italiano (Bersani). Costo stimato21mila miliardi di lire. Apertura della tratta entro il 2015.

E siccome i residenti e gli ambientalisti protestavano venne istituito l’Osservatorio per il collegamento ferroviario Torino-Lione, “sede tecnica di confronto di tutte le istanze interessate, per l’analisi delle criticità e l’istruzione di soluzioni per i decisori politico-istituzionali (3). Correva l’anno 2006.

Risultato: la commissione intergovernativa italo-francese sulla TAV s’è accordata in questi giorni per “spalmare” i cantieri e i costi in due fasi: la prima dal 2013 in avanti, la seconda dopo il 2025. La prima fase riguarderà solo la costruzione del tunnel di base e le stazioni internazionali ad alta velocità di Saint-Jean de Maurienne e di Susa.

Secondo le stime, la linea ad alta velocità, solo per la parte italiana, avrebbe un costo tra i 15 e i 20 miliardi di euro, solo per un terzo finanziato dall’Unione europea(4).
Venerdì 8 luglio, la nostra Borsa ha fatto flop, -3,47%, mentre lo spread tra i nostri BTP decennali e gli equivalenti Bund tedeschi è schizzato a 244 punti base. Il che vuol dire che per finanziare il nostro debito pubblico dovremo spendere, ogni anno, 40 miliardi di euro in più di quelli che spenderemmo se avessimo presso i mercati la stessa credibilità che hanno i tedeschi.

Quali altre informazioni ci servono per capire dove vanno gli altri e dove siamo diretti noi?

http://www.mentecritica.net/manovra-finanziaria-2011-btp-bund-tedeschi-tav-rifiuti-di-questo-passo-dove-andremo-a-finire/informazione/fma/20522/



“Iscritti indagati o condannati, ma gli ordini professionali non avviano procedimenti”. - di Eleonora Bianchini


La denuncia, fatta dal procuratore della Dna Pietro Grasso, ha provocato l'indignazione dell'ordine degli Architetti di Torino. Da qui la protesta dell'Associazione Liberi Professionisti di Palermo, la “terza gamba” della lotta al racket insieme a Libero futuro e Addio Pizzo.


Ordini professionali che non avviano procedimenti disciplinari sugli iscritti indagati e attendono le sentenze dei tribunali. Anche se le norme deontologiche sono state violate. L’accusa era stata rivolta a febbraio dal procuratore generale antimafia Piero Grasso che, nel corso di un convegno a Palermo, ha dichiarato che gli ordini non fanno la loro parte in tema di lotta alla mafia e di rispetto del codice etico. E a raccogliere la sua denuncia, a fronte dell’indignazione degli Architetti di Torino condivisa da altri ordini in tutta Italia, è stata l’Associazione Liberi Professionisti di Palermo, la “terza gamba” della lotta al racket insieme a Libero futuro e Addio pizzo.

Secondo il procuratore antimafia, infatti, gli ordini dovrebbero garantire il corretto esercizio della professione da parte degli iscritti perché il controllo deontologico è indipendente dagli esiti giudiziari. L’ordine degli architetti di Torino, però, ha scritto al procuratore generale che “un Consiglio dell’Ordine non può avviare un procedimento disciplinare a carico di un proprio iscritto – quando sia indagato per fatti di rilevanza penale, quindi anche per mafia – a prescindere dall’esito del procedimento penale, perché non ci è consentito dall’ordinamento giuridico e numerose sentenze di Cassazione lo confermano”. Un’affermazione del tutto “priva di fondamento” secondo l’associazione Liberi Professionisti, che presta il fianco al rischio di infiltrazioni criminali e violazioni deontologiche.

“La lettera di replica alle parole di Grasso, rilanciata anche dall’ordine di Palermo, è stata rintracciata online qualche giorno fa da un nostro iscritto”, spiega il portavoce dell’associazione Giorgio Colajanni. “Nel mondo delle professioni ci sono decine di condannati ma spesso non c’è azione di applicazione delle norme sulla responsabilità disciplinare”. Da notare che “la procedura penale e quella disciplinare stanno su due piani diversi. Ogni albo, a fronte di comportamenti in violazione delle norme etiche, deve effettuare accertamenti e valutazioni diverse e indipendenti da quanto possa stabilire un Tribunale”. Un concetto ribadito anche dall’assessore siciliano per la Salute Massimo Russo, secondo il quale “gli ordini professionali devono promuovere la cultura della legalità e sapere intervenire quando vi sono comportamenti che – a prescindere dal rilievo penale – mettono in crisi il decoro e la dignità della loro comunità professionale”. Il riferimento va alla vicenda di Domenico Miceli, medico siciliano condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e mai sospeso dall’Ordine, ma Colajanni ricorda anche Totò Cuffaro, il senatore condannato per associazione mafiosa e radiato dall’ordine dei medici solo dopo la condanna. Tra i casi celebri anche quello del cardiochirurgo Carlo Marcelletti accusato, tra l’altro, di truffa ai danni dello Stato e detenzione di materiale pedopornografico. Ma anche nei suoi confronti non era stata avviata alcuna azione disciplinare.

“Sappiamo che gli ordini non hanno poteri di polizia giudiziaria – precisa Colajanni – ma devono impegnarsi a raccogliere elementi in contraddittorio con l’interessato e prima di una sentenza. Preferiscono però evitare di consultare gli atti depositati nelle Procure per evitare di assumersi le proprie responsabilità. In questo modo ritroviamo centinaia di mascalzoni conclamati, condannati anche in via definitiva che continuano ad esercitare la professione indisturbati”. E non a caso, conclude il portavoce, “Grasso aveva posto l’accento sulla mafie che oggi hanno bisogno di professionisti. Infatti, secondo un’indagine della Dia di Palermo, oltre 400 sono coinvolti oggi in vicende di criminalità organizzata”.

Colajanni non sa se trincerarsi dietro alle indagini giudiziarie sia dovuto “a un eccesso di corporativismo o collusione”. In ogni caso gli Ordini devono ribadire che la sede disciplinare è diversa da quella giudiziaria e sollevare la necessità di procedimenti istruttori per acquisire fatti ed elementi. “Il nostro compito è quello di costituire un movimento collettivo per chiamare ogni iscritto alla responsabilità individuale”, conclude il portavoce. L’obiettivo è quello di raccogliere entro ottobre 1000 firme di professionisti per il manifesto contro le mafie e la corruzione. Un impegno per la legalità in cui gli Ordini sono chiamati a partecipare.




Ha fondato il comitato “Silvio ci manchi” Adesso è indagata per falso a Napoli. - di Vincenzo Iurillo



Emanuela Romanello, ex assessore a Castellammare di Stabia, è diventata famosa per gli scatti che la ritraevano insieme a Francesca Pascale e a Virna Bello scendere da un aereo del premier, a Olbia. Da lì, poi, andò ospite a villa La Certosa.


Non chiamatela Papi girl, altrimenti querela. Ma ora tocca a Emanuela Romano difendersi nelle sedi giudiziarie. L’accusa: false attestazioni a pubblico ufficiale, nell’ambito di un’inchiesta sulla sua elezione al Corecom Campania. Il capo d’imputazione è incartato in un avviso di conclusione delle indagini firmato dal pm di Napoli Giancarlo Novelli, del pool dei reati contro la pubblica amministrazione. Una fastidiosa gatta da pelare per la cofondatrice del comitato ‘Silvio ci manchi’, che accoglieva con striscioni e scene di giubilo le frequenti puntate di B. a Napoli prima e dopo le elezioni del 2008. La Romano è poi diventata famosa l’anno successivo per gli scatti che la ritraevano insieme a Francesca Pascale e a Virna Bello scendere da un aereo del premier, a Olbia, per essere ospite nella residenza sarda del Cavaliere a Villa Certosa. Negli anni successivi la Pascale è diventata consigliere provinciale di Napoli, la Romano assessore a Castellammare di Stabia e poi componente del Corecom, la Bello ha fatto parte per un po’ della giunta di Torre del Greco.

La Procura di Napoli ha indagato la Romano perché quando ha presentato la candidatura al Corecom autocertificò di non trovarsi in nessuna delle condizioni di incompatibilità previste dalla legge regionale. Peccato però che la Romano, al momento di firmare la domanda, fosse assessore alle Politiche Sociali del Comune di Castellammare di Stabia. Una carica che la legge prevede espressamente come condizione di incompatibilità. La Romano si è poi dimessa dalla giunta stabiese. Ma secondo la Procura le dimissioni sarebbero avvenute “fuori tempo massimo”, solo dopo la nomina nel Corecom, avvenuta il 13 gennaio scorso in consiglio regionale.

Oltre alla Romano, per lo stesso reato risulta indagato anche un altro componente del comitato che vigila sulle comunicazioni e sulla composizione delle graduatorie per l’erogazione dei contributi alle emittenti televisive regionale, Andrea Palumbo. Anche lui, sostiene il pm, sarebbe incompatibile perché ha svolto il ruolo di consulente di direzione aziendale, marketing e sviluppo del gruppo di televisioni locali Tele A, Tele A+ e Tv Capital.

L’inchiesta è nata in seguito all’esposto di Remigio Del Grosso, segretario nazionale della Lega consumatori delle Acli, uno dei 386 presentatori di domanda al Corecom, non eletto. Va detto che l’insediamento del Corecom ha attraversato numerose vicissitudini. Una sentenza del Tar, proposta da 8 dei 9 componenti del vecchio organismo, aveva congelato le nomine, compresa quella della Romano. Ma il Consiglio di Stato ha concesso la sospensiva, insediando di nuovo gli eletti del 13 gennaio. Il 4 novembre dovrebbe uscire la sentenza nel merito.

Prima di diventare assessora e poi componente del Corecom, la Romano, laureata in psicologia con master in Publitalia, nel 2006 partecipò nella lista di Forza Italia alle elezioni della municipalità San Lorenzo Vicaria. In un primo momento risultò eletta. Ma nel ricalcolo delle preferenze dovette lasciare lo scranno a Nunzia Stolder, la figlia del boss Raffaele. Nel 2009 per la Romano stava per spalancarsi la grande occasione: aveva partecipato insieme ad altre giovani e belle ragazze come lei, alcune provenienti dal mondo dello spettacolo, al corso di formazione politica che doveva essere il preludio della candidatura all’Europarlamento nelle fila del Pdl. Ma gli strali di Veronica Lario sul “ciarpame senza pudore” fecero piazza pulita delle “euro veline”, tutte depennate all’ultimo minuto, con l’eccezione di Barbara Matera. Il padre della Romano non la prese bene. Si cosparse di benzina e minacciò di darsi fuoco sotto Palazzo Grazioli. La chance è arrivata solo l’anno dopo, con la candidatura alle elezioni regionali. Ma non è andata bene: ultima su 31 candidati Pdl, con 3669 preferenze. Poche settimane dopo, la Romano è stata ‘ripescata’ nella giunta stabiese guidata dall’ex pm Luigi Bobbio.