L'ex ministro, in carica per appena dieci giorni, è stato condannato in appello a due anni per ricettazione nell'inchiesta Antonveneta. la Cassazione ieri ha confermato la decisione dei giudici. E lo ha fatto quasi fuori tempo massimo. Sempre ieri infatti scadevano i termini della prescrzione.
La legge è uguale per tutti. Anche per Aldo Brancher. L’ex ministro lampo, in carica per 17 giorni, nominato nel giugno 2010 e costretto alle dimissioni dal presidente Napolitano per le polemiche seguite alla sua richiesta di avvalersi del legittimo impedimento, ieri è stato definitivamente condannato a due anni e 4 mila euro di multa.
La Cassazione ha dichiarato inammissibile il suo ricorso contro la sentenza di appello che lo condannava per ricettazione e appropriazione indebita nel caso Antonveneta nel quale era coinvolto insieme a Giampiero Fiorani. La sentenza di ieri non sarà eseguita perché i fatti ricadono nell’indulto dell’ex ministro Mastella ma rappresenta comunque una vittoria della giustizia sulla furbizia e il privilegio di Casta. Proprio oggi, se la Corte presieduta da Antonio Esposito non avesse fatto tutto il suo dovere con celerità e senza riguardi reverenziali, sarebbe scattata la prescrizione. Le manovre di Brancher per ottenerla non sono state gradite dalla Corte che ha spedito le carte alla Procura di Milano per valutare le mosse processuali dell’imputato.
Brancher non è riuscito a bissare il successo del passato. Non era la prima volta che l’ex sacerdote, poi divenuto manager Fininvest e dal 1999 politico di Forza Italia e poi del Pdl, tentava la carta della prescrizione per svignarsela da un processo difficile. Il 18 giugno 1993 era stato arrestato dal pool di Milano quando era assistente di Fedele Confalonieri ed era accusato di avere dato 300 milioni di lire al Psi e 300 a Giovanni Marone, segretario dell’ex ministro della Sanità Francesco De Lorenzo, in cambio di spot sulle reti Fininvest per la campagna ministeriale anti-aids. Brancher fu soprannominato il compagno G del gruppo Berlusconi, perché rimase tre mesi a San Vittore senza aprire bocca. Fu condannato in appello per falso in bilancio e finanziamento illecito ai partiti. Ma quella volta la Cassazione dichiarò la prescrizione per i soldi ai partiti mentre il falso in bilancio era stato depenalizzato dal Governo Berlusconi.
Intanto, nel 1999 Brancher era passato alla politica. I sistemi restavano gli stessi, ma la novità era che finalmente i soldi poteva prenderli invece di darli. Scoperto dai pm di Milano a ricevere buste piene di contanti dall’amministratore della Bpi Gianpiero Fiorani, ieri sperava ieri di farla franca nuovamente ed era a un passo dal risultato. Il suo legale, Filippo Dinacci, recentemente balzato agli onori delle cronache perché è il fratello della ex moglie del neoministro della giustizia Nitto Palma, ha chiesto un rinvio che avrebbe fatto saltare l’accusa più imbarazzante di appropriazione indebita. La difesa di Brancher sosteneva di avere diritto a un termine più lungo per permettere al politico di presentare un suo ricorso autonomo rispetto a quello preparato dal suo avvocato.
Il deputato chiedeva tempo per studiare le carte perché sosteneva di non aver ricevuto la notifica degli atti nel suo domicilio. La Corte non solo non ha tenuto in conto le richieste ma ha trasmesso addirittura le carte alla Procura di Milano (competente in quanto la Corte di Appello è quella che ha emesso la sentenza impugnata) per valutare il suo comportamento. Il fatto è che Brancher, che durante l’appello aveva sempre ricevuto le carte presso il suo avvocato, dopo la condanna aveva trasferito il suo domicilio in Umbria e per l’esattezza in una località del comune di Città della Pieve. Quando il postino ha tentato d notificargli gli atti non lo ha trovato e la raccomandata è tornata indietro con la dicitura “irreperibile”.
La Corte presieduta da Esposito non ha dato troppo peso alla cosa e ha emesso un’apposita ordinanza per spiegare perché riteneva di poter condannare il deputato veneto anche in assenza della sua autodifesa. La sentenza di ieri conferma le motivazioni del merito dei precedenti gradi che meritano di essere rilette ora che hanno il timbro della verità giudiziaria definitiva. “Brancher ha a più riprese ricevuto, e richiesto, ingenti somme di denaro che non aveva alcuna possibilità di ritenere che provenissero dal patrimonio personale di Giampiero Fiorani e che gli fossero da lui elargiti per mera libertà”. In particolare merita di essere riletta la storia della mazzetta che rischiava di essere cancellata oggi dalla prescrizione. Si tratta dei 200 mila euro consegnati nel 2001 a Brancher in un autogrill di San Donato Milanese come ”ringraziamento per i buoni uffici prestati al fine di ottenere la candidatura nella circoscrizione di Lodi di un candidato più gradito a Fiorani e ai suoi accoliti (Falsitta Ndr) rispetto all’altro che avrebbe potuto essere inserito nella lista, l’onorevole Giovine, solo perchè quest’ultimo in più riprese e pubblicamente aveva espresso le sue riserve sulla gestione della Bpl e, quindi, sull’operato dei suoi dirigenti”. La condanna definitiva per un simile episodio decreterebbe la fine della carriera politica del condannato in qualsiasi paese occidentale. A maggior ragione se per evitarla l’imputato si è prima travestito da ministro prima di rifugiarsi come un novello Cincinnato in una frazione della verde Umbria.