Un paese senza memoria storica è destinato al deperimento e alla decadenza. L'Italia non ne ha mai avuta molta: preferisce al ricordo l'oblio e la dimenticanza. Non s'era mai visto però, neanche da noi, che la memoria storica fosse abolita per decreto: e invece è quanto accaduto negli ultimi giorni. Un paese vive il suo essere comunità solidale anche mediante un sistema di simbologie nazionali, che servono a rammentare il suo incardinamento in questo o quel fatto particolarmente fondamentale del proprio passato.
La pausa domenicale, o il venerdì islamico, o il sabato ebraico, sono sanciti ab origine dai rispettivi libri sacri, e va bene. Ma l'essere in un certo modo di una determinata nazione viene fatto riemergere ogni anno dalle cosiddette "feste nazionali", tutte di ponderata scelta umana (necessariamente laica, dunque). In Italia, per l'appunto, con notevole sobrietà, soprattutto da tre ricorrenze specifiche: il 25 aprile, festa della liberazione dal giogo nazifascista; il 2 giugno, festa dell'instaurazione del nostro regime repubblicano; il 1 maggio, festa del lavoro.
Il decreto emanato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 12 agosto le abolisce, accorpandole alle domeniche più vicine. E', fra i tanti possibili contenuti in quel decreto, un provvedimento inaccettabile, che andrebbe combattuto fino in fondo.
C'è in questa scelta la manifestazione di un disprezzo profondo, inqualificabile, per la nostra storia nazionale, per la storia italiana. Ed è proprio la crisi, ahimè, che consente ai nostri governanti di espurgare le loro pulsioni più profonde, i loro obiettivi più inconfessabili. Ne risulta confermata una nostra persuasione di antica data: siamo governati da "non italiani". Dei leghisti, da questo punto di vista, non mette neanche conto di parlare. Ma altrettanto è lecito pensare di Silvio Berlusconi: un meteco senza patria, che avrebbe potuto nascere indifferentemente ai Caraibi o in Russia, perché tanto il patrimonio di ideali sarebbe stato in ogni caso lo stesso, ossia il culto della propria (spesso indecente) persona e soprattutto del proprio portafoglio.
Lo schiaffo a quel tanto di comune che le festività nazionali continuavano a rappresentare fra noi è tanto più forte, se si considera che, contestualmente, tutte le festività religiose, in quanto garantite dal Concordato, vengono preservate. Si verificherà dunque questo paradosso: che quanto è cattolico, cioè patrimonio, sebbene rispettabilissimo, di una parte (una parte, fra l'altro, sempre più piccola), verrà celebrato da tutti; mentre quel che è di tutti - perché "italiano" è una categoria che sovraintende e comprende tutte le altre (cattolici, atei, marxisti, protestanti, musulmani) - non verrà neanche più ricordato. E questo per giunta, assicurano gli esperti, senza nessun vantaggio, anzi con molti inconvenienti economici.
Si tratta, in sostanza, di uno sfregio puro e semplice. Ce n'è abbastanza per costruirci una grande battaglia ideale sopra.