domenica 22 gennaio 2012

LESA IMPUNITA' (Marco Travaglio - Il F.Q. 22/1/2012)



Avete presente la Procura di Roma? 
A parte pochi pm che non guardano in faccia nessuno, è la Procura che in questi anni è riuscita a far archiviare i reati di qualunque politico le capitasse a tiro. 
Soprattutto uno: B. 
Archiviato perché scarrozzava sugli aerei di Stato menestrelli e mignotte, nani e ballerine. Archiviato perché mobbizzava il marito della sua amante Virginia Sanjust. 
Archiviato perché raccomandava le papi girls a Raifiction. 
Archiviato perché comprava senatori dell’Unione.
Archiviato perché minacciava il suo uomo all’Agcom per far chiudere Annozero. 
Archiviato sempre, a prescindere. 


Ieri però un politico è riuscita a farlo rinviare a giudizio: Luigi De Magistris, che va a processo con il suo ex consulente Gioacchino Genchi per abuso d’ufficio. 
Che han fatto i due manigoldi? 
Abusato di voli di Stato, raccomandato favorite, perseguitato mariti di amanti, comprato senatori, minacciato authority perché violassero i loro doveri istituzionali? 


No, molto peggio: nel 2007, quando seguivano a Catanzaro l’inchiesta “Why Not”, acquisirono dalle compagnie telefoniche i dati sui tabulati telefonici di 8 parlamentari (Prodi, Mastella, Rutelli, Pisanu, Gozi, Minniti, Gentile, Pittelli) senz’aver chiesto il permesso al Parlamento, violandone l’immunità. 
Un ingenuo domanderà: come fai a sapere che questo o quel numero telefonico è di un parlamentare? Prima acquisisci i dati dalla compagnia e poi, se scopri che l’intestatario è un eletto, chiedi alle Camere l’autorizzazione a usarlo. Invece i pm e i gip di Roma devono essere dei medium: appena vedono un numero, intuiscono subito che appartiene a un parlamentare. Dunque non si spiegano perché De Magistris e Genchi chiedessero a Tim o Vodafone o Wind di chi fosse un numero: dovevano saperlo prima, per scienza infusa. In caso contrario, è abuso d’ufficio. Ora, dal 1997 l’abuso non è più reato, a meno che non produca un vantaggio patrimoniale o un danno a qualcuno. Ma il pm Caperna e il gup Callari il danno l’han trovato: i parlamentari avrebbero subìto “un danno ingiusto consistente nella conoscibilità di dati esterni di traffico relativi alle loro comunicazioni”. Cioè: si è saputo a chi telefonavano. Il solito ingenuo obietterà: ma il danno, ammesso che esista, i parlamentari se lo sono procurato da soli, visto che nessuno li obbligava a chiamare persone così poco raccomandabili da danneggiarli una volta emerse. Se non fosse un processo, ci sarebbe da ridere. Anche perché sugli eventuali reati dei pm di Catanzaro è competente la Procura di Salerno, non di Roma. E qui le risate raddoppiano: perché l’inchiesta romana la aprì Achille Toro, già in rapporti con personaggi emersi in “Why Not”, poi costretto a lasciare la magistratura per lo scandalo della cricca; e perché dall’accusa di abuso d’ufficio per i tabulati di Mastella, De Magistris era già stato inquisito a Salerno, ben prima di Roma, e archiviato. Ora verrà riprocessato a Roma per lo stesso reato. I giudici della Capitale hanno affermato la propria competenza con argomenti vari e variabili. 1) Fra le parti offese, ci sarebbe il Parlamento (ma poi si sono scordati di citare all’udienza i presidenti delle Camere). 2) Il primo tabulato incriminato arrivò da Wind con sede a Roma (falso: arrivò da Vodafone con sede a Pozzuoli). 3) Siccome i dati le compagnie li trasmettono criptati, non si sa se Genchi li decrittò nel suo ufficio a Palermo o da qualche altra parte. Dunque, nel dubbio, è competente il pm che ha aperto la prima inchiesta. Dunque Salerno? In teoria sì, però per Salerno il reato non c’è. Dunque si ritenta a Roma: vedi mai che almeno lì si trovi un giudice disposto a condannare. Ultima chicca: fra le vittime del presunto abuso di De Magistris e Genchi c’è anche Pisanu, il quale però ha già detto a verbale che il tabulato che lo riguarda non è suo, ma della moglie (non parlamentare, dunque non immune). Ma che sarà mai. Vorrà dire che Pisanu è vittima ma non lo sa. E sua moglie è attratta dall’immunità del marito, per contagio. Un’immunità extralarge, formato famiglia.


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Le vignette di Vauro.



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sabato 21 gennaio 2012

Papà....





PAPÀ RIMMI NÀ CUOSA.. MA SI CONTINUA Ú SCIOPERO ARRISTAMU RÌUNI??


Casta crociere.


Cucciola piccola

Cucciola grande

Adolescente chiede lo scontrino in una cartoleria e lo cacciano via. - di Antonio De Florio


Agenti della Gdf

Il papà ha denunciato il titolare del negozio alla Guardia di Finanza: «Anche gli insulti».


ROMA - Francesco ha 16 anni ed è un piccolo marziano. Entra in un negozio di cartoleria e tabacchi, compra dei fogli protocollo per il compito di italiano e pretende lo scontrino fiscale. Probabilmente a casa o a scuola avrà sentito discorsi del genere «se tutti pagano le tasse, ne paghiamo meno», «chi vende in nero frega i concorrenti leali e lo stato».

Il negoziante dietro il bancone, sui quaranta anni,alla timida richiesta del ragazzo, va su tutte le furie, quasi fosse un’offesa personale. «Vuoi lo scontrino fiscale? - attacca - Il registratore di cassa è rotto. Ecco i tuoi 50 centesimi e fuori dal negozio...». Gli ha appena strappato di mano i fogli. Non siamo a Cortina, ma al quartiere Trieste di Roma.

Il ragazzo esce dalla tabaccheria-cartoleria, fa pochi passi e chiama il papà con il telefonino. «È la seconda volta - spiega al genitore - che il tabaccaio dice di aver il registratore rotto e non dà lo scontrino. Mi ha cacciato fuori». «Vai a scuola, passo io dal negoziante...», dice il babbo conciliante. Il papà di Francesco ha superato i 50 anni, è stato ufficiale della guardia di finanza, lavora ora per la security di una grande impresa e va dal negoziante per avere spiegazioni.

«Scusi, sono il papà del ragazzo dei fogli protocollo - dice - ma lei quando ha un guasto al registratore di cassa annota sul registro dei corrispettivi le entrate delle vendite?». Il tabaccaio raggiunto nel frattempo da un amico si irrigidisce subito. «Io non ho nessun registro dei corrispettivi - sbotta - lei faccia il padre, vada a tagliare i capelli a quel ragazzaccio. Anzi... mi dia il suo nome. Voglio querelarla...».

Esce da dietro il bancone e e si piazza davanti alla porta del negozio. Ci sono un paio di avventori. Loro assistono muti al battibecco e non vogliono prendere partito. «Mi dia il suo nome», ripete il tabaccaio. E il genitore: «Che fa, mi vuole sequestrare?». Il papà di Francesco chiede agli avventori di testimoniare e loro rispondono «Non abbiamo visto niente». Il negoziante, forse capisce di aver passato il segno, riapre la porta e urla al genitore: «Fuori da qui, mi lasci lavorare...».

Il papà di Francesco ha presentato una denuncia alla Guardia di finanza. «Mio figlio è rimasto molto turbato - dice - chiedere lo scontrino fiscale gli è sembrato la cosa più naturale e invece...». Per l’esercizio commerciale del quartiere Trieste molto probabilmente scatterà un accertamento fiscale. Ma si può cacciare un ragazzo dal negozio solo perché chiede uno scontrino?