venerdì 30 marzo 2012

Ficarra e Picone - Il ponte di messina parte 3

Ficarra e Picone - Il ponte di messina parte 2

Ficarra e Picone - Il ponte di messina parte 1

ESM e Fondo Salvastati il doppiogioco della Merkel (Lidia Undiemi)

LA PISTA DEGLI UFO-Marco Travaglio-Il Fatto Q.-30/03/12





Le ultime autodifese di Lusi e Fede segnano una nuova svolta nell’inesauribile repertorio di alibi dei Vip coinvolti negli scandali. Fermo restando che a nessuno passa mai per la testa di dire “sono innocente, quella cosa non l’ho fatta, non è mai esistita”, ecco un breve prontuario di alibi  prêt-à-por ter.


Così fan tutti. Un classico, già sperimentato con insuccesso da Craxi, Mastella e vari epigoni e i cascami di Prima Repubblica, ma anche da Moggi, ma ancora molto in voga per il suo innegabile fascino. 
Funziona così: se ti accusano di un reato, tu non dire mai “non c’entro ”, tanto non ci crede nessuno: di’ che lo fanno anche gli altri. Dunque, se lo fanno in tanti, non è
reato .


A prescindere. È la linea B.. Mai entrare nel merito delle accuse né dei fatti accertati, ma spostare l’attenzione altrove: sull’orario dell’indagine, del processo, della requisitoria, della sentenza (sempre “a orologeria”); o sulle presunte idee o intenzioni o patologie del magistrato (comunista, giustizialista, matto, golpista). Alla peggio si rivendica il diritto di esser “giudicato dai miei pari” (che non esistono), o dopo la cessazione dalle cariche (campa cavallo), o
previa autorizzazione delle Camere (cioè mai), o meglio a non essere giudicati, punto. “Sono un cittadino più uguale degli altri perché ho avuto i voti”  B.), “il premier non è primus inter pares, ma super pares ” (Pecorella), “le annotazioni del premier impongono l’immediata assoluzione” (Bonaiuti), “Io so’ io e voi nun siete un cazzo” (marchese Onofrio del Grillo).


Modica quantità. È la linea Romiti, che tentò di farsi assolvere perché i fondi neri sottratti ai bilanci della sua Fiat – 100 miliardi di lire o giù di lì – erano “irrilevanti” sui risultati di esercizio. Naturalmente fu condannato lo stesso, ma la sentenza fu poi revocata grazie alla legge B. che introdusse la modica quantità per i falsi in bilancio come per la droga: uso personale.


Eccessiva quantità. È la linea Bertolaso che, accusato di avere preso 50 mila euro da  Anemone, dichiarò al Corriere: “Ma le pare che uno del mio livello si fa comprare per 50 mila euro?”. Non è sbagliata l’accusa, ma la tariffa. 
Anche Pomicino, accusato per 3,5 miliardi di lire da Montedison, corresse Di Pietro, piccato: “Prego, dottore, i miliardi erano 5,5”. Guai a passare per un pezzente che si vende per un piatto di lenticchie. 
Previti, beccato a inquinare le prove di Imi-Sir, si salvò dall’arresto alla Camera non per il fumus  persecutionis, ma per l’arrostus delinquentonis: le prove a carico erano così tante e
gravi che lui, anche volendo, non poteva inquinarle tutte. 
Stessa tecnica usa Dell’Utri, che fa amicizia con tutti i criminali che incontra, si fa intercettare, filmare e fotografare con loro, s’infila in ogni scandalo, compra all’asta i volantini Br, dice che la mafia non esiste. Tutto per poter poi dire, come l’avvocato interpretato da Alberto Sordi: “Il mio cliente ha la faccia da ladro. Ma nessuno, con la sua faccia da ladro, farebbe mai il ladro. Per rubare ci vuole la faccia onesta. Chiedo pertanto l’assoluzione perché la faccia non costituisce reato”. Nel film il cliente di Sordi finisce in galera. In Cassazione Dell’Utri trova un Pg e 5 giudici col “ragionevole dubbio”.


A mia insaputa. Inventato da Scajola per la casa pagatagli da Anemone senza dirgli niente, l’alibi è tosto dilagato da B. (credevo che Ruby fosse la nipote di Mubarak) a Malinconico (ferie pagate dalla cricca a sua insaputa), da Minzolini (usava la carta di credito Rai per cazzi suoi, ma pensava si potesse) a Rutelli (Lusi rubava all’insaputa della Margherita). 
Cioè: non sono un delinquente, sono un idiota. 


Al posto mio. Ed ecco l’ultima, decisiva svolta. 
Lusi, beccato a spendere e spandere milioni tra hotel e ristoranti con la carta di credito della Margherita: “Qualcuno l’ha strisciata al posto mio”. Fede beccato in Svizzera mentre tenta di esportare 2,5 milioni in contanti in una valigetta: “Qualcuno è andato in Svizzera al posto mio per incastrarmi”. 


Prossima mossa: gli Ufo.


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giovedì 29 marzo 2012

Vogliono peggiorare il Porcellum. - di Paolo Flores d'Arcais




Il diavolo sta nei dettagli, e dunque non è detto che una nuova legge elettorale veda la luce in tempo per le prossime politiche. Ma intanto si sono messi d’accordo sulle linee fondamentali, e chiamarlo “inciucio” è perfino riduttivo. Bersani, Casini e – absit iniura verbis – Alfano esibivano l’aria palesemente e giustamente soddisfatta del gatto col sorcio in bocca. Peccato che la loro preda siano in questo caso gli elettori, una volta di più “cornuti e mazziati”. Perché sembrava impossibile, dopo la “Porcata” di calderoliana memoria, confermare il detto popolare che “al peggio non c’è mai fine”, e invece la nostra “banda dei tre” sembra intenzionata a riuscirci. Il modello elettorale delineato riesce a mettere insieme, in fatto di scippo ed espropriazione della volontà dei cittadini, il meglio (cioè il peggio) dei diversi sistemi esistenti. 

Non è chiaro se i collegi elettorali (di ridotte dimensioni) saranno uninominali o meno. Se sì, col turno unico si fanno fuori d’emblée tutti i partiti tranne i due (o tre) più forti, e si sopprime nella culla ogni possibilità di nascita per forze nuove che vengano dalla società civile. Se saranno collegi che eleggono con il metodo D’Hondt 5-7 deputati, il meccanismo cancellerà di fatto liste che non prendano il 10 per cento o anche più. Inoltre, l’obbligo di indicare un candidato premier manterrà la personalizzazione della campagna elettorale, ma la mancanza di ogni vincolo di coalizione consentirà ai gerarchi dei (tre) partiti maggiori di decidere le alleanze dopo le elezioni, secondo opportunità e alla faccia delle promesse agli elettori. Che ovviamente continueranno a contare zero nella scelta dei candidati, e avranno la solita libera alternativa: “O questa minestra o saltare dalla finestra”.


L’aspetto più nauseabondo di questo patto monopolistico della “banda dei tre” è che le formule per consentire insieme sia un’ampia scelta agli elettori (il famoso “riavvicinamento” tra elettori ed eletti, che a ciance tutti predicano e spergiurano) sia la stabilità di governo per l’intera legislatura, ci sono, sono più d’una (sia di stampo proporzionale che maggioritario), sono ben note e sono facili da introdurre. Hanno il solo difetto che toglierebbero agli attuali cacicchi delle tre forze principali l’abnorme potere del Minosse dantesco che “giudica e manda secondo ch’avvinghia”: fare e disfare a proprio piacimento e nella certezza dell’inamovibilità (che poi è anche garanzia di impunità).


Se si sceglie il versante proporzionale, per la stabilità dei governi non c’è necessità di sbarramenti, basta la sfiducia costruttiva e il rischio che in caso di dimissioni senza alternativa il Parlamento va a casa. Il difetto resta però la scarsa rappresentatività dei partiti-macchina, grandi o piccoli che siano. C’è allora un sistema maggioritario che consente di soddisfare a tutte le virtuose richieste sia di rappresentatività che di stabilità: il maggioritario a doppio turno con primarie vincolanti, cioè incorporate nel sistema stesso. Tecnicamente se ne possono dare alcune varianti, la sostanza non muta: fin dal primo turno il cittadino si trova a scegliere fra coalizioni (dunque nessun opportunismo post-elettorale con gran tripudio di voltagabbana), ma lo fa votando uno dei molteplici candidati della coalizione, che saranno i candidati dei singoli partiti, ma anche degli outsider senza partito che abbiano raccolto un numero sufficiente di firme (l’obbligo di raccogliere tot firme dovrebbe valere anche per i candidati sponsorizzati dai partiti, sia chiaro: niente privilegi).


Facciamo un esempio: nella mia circoscrizione per il centrosinistra il Pd candida Bersani, il Sel Vendola, l’Idv Di Pietro, ma per fortuna un gruppo di cittadini con una petizione di grande esito costringe a candidarsi anche Andrea Camilleri, mentre dei “fighetti” rampichini raccolgono firme per Renzi. Finalmente potrei votare senza turarmi il naso, e con me una parte cospicua di quel 45 per cento di elettori che oggi dichiarano esplicitamente che – sic stantibus rebus – a votare non ci andranno più. Al secondo turno passerebbero le due coalizioni più votate, e per ciascuna di esse il più votato all’interno della coalizione.

 
Dato il carattere uninominale del voto, sarebbe altissima la probabilità che in Parlamento una delle coalizioni abbia la maggioranza assoluta. La stabilità del governo potrebbe essere rafforzata dalla clausola della sfiducia costruttiva, ma tale stabilità avverrebbe restituendo potere ai cittadini, non concentrandolo nelle mani di tre leader e dei loro amici e amici degli amici. Sia chiaro, una legge elettorale non produce miracoli. Se non si combatte l’illegalità, la prevaricazione di classe, il crescere a dismisura della diseguaglianza, anche con le primarie a vincere potranno essere i Toni Mafioso e Toni Corrotto di Ascanio Celestini. Un rinnovamento radicale, insomma, può essere figlio solo di tante lotte che mobilitino la società civile in tutti gli ambiti essenziali della vita pubblica.


Ma mentre la proposta di “riforma” elettorale della “banda dei tre” non farebbe che rafforzare il circolo vizioso di monopolio partitocratico – disaffezione dei cittadini – monopolio ancora più corrotto, una legge elettorale che garantisca l’irruzione permanente della società civile nella vita politica fin già dalla scelta dei candidati, aprirebbe degli spazi di rinnovamento e dunque anche di moralizzazione. Che la riduzione radicale dei parlamentari, il limite a due mandati, e altre misure di cui tante volte abbiamo parlato, amplificherebbero ancora.




http://temi.repubblica.it/micromega-online/vogliono-peggiorare-il-porcellum/

In serie A 2,6 miliardi di debiti



Solo 19 i club in attivo tra i professionisti. Il ministro Gnudi: numeri da fallimento.

Roma, 29 mar - Una fotografia impietosa che immortala la voragine del calcio italiano, con l'indebitamento della serie A salito fino a quota 2,6 miliardi di euro nel 2010-2011. Crescono i debiti, aumentano le perdite e cala soprattutto il valore della produzione. Colpa non solo dei trofei che non arrivano, ma soprattutto di un modello di business non piu' sostenibile perche' basato quasi esclusivamente sugli introiti dei diritti tv, che in serie A rappresentano il 55% dei ricavi di esercizio.    

A scattare l'inquietante istantanea sul pallone professionistico italiano e' il "report calcio 2012", presentato nella sede dell'ABI dal centro studi della FIGC, Arel e Pricewaterhousecoopers, con numeri inequivocabili: l'indebitamento complessivo della serie A nel 2010-2011 e' salito del 14%, 2,6 miliardi di euro contro i 2,3 miliardi della stagione precedente.       

Dura l'analisi del ministro dello sport e turismo, Piero Gnudi, che ha parlato di un sistema al collasso, con numeri da fallimento. "Io faccio il ragioniere e leggo bilanci molto preoccupanti. In altri ambiti, con quei numeri si parlerebbe di societa' prossime al fallimento. La crisi e' ancora lunga e sara' difficile trovare dei mecenati che investano nel calcio. Si rischia di non avere societa' in grado di iscriversi ai campionati". Lo scorso anno le perdite sono cresciute del 23% a 428 milioni di euro, un risultato che coinvolge tutte le leghe: tra i 107 club analizzati (su 127) solo 19 hanno chiuso i bilanci in utile: 8 in A ( Napoli, Udinese, Lazio, Parma, Catania e Palermo, piu' le retrocesse Bari e Brescia), 7 in B, 4 in Lega Pro. D'altronde il valore della produzione e' calato ancora a 2,5 miliardi (-1,2%): un miliardo arriva dai diritti tv della sola serie A che genera l'82% dei ricavi. La serie B pesa per il 14% (era l'11%) e la Lega Pro il 4% (era il 5%). Il costo della produzione e' pari, invece, a 2,9 miliardi di euro, in aumento dell'1,5% rispetto alla stagione precedente.       

La crisi colpisce anche i presidenti delle squadre di calcio che hanno dato una stretta, timida, ai costi. Nel 2010-2011, infatti, il trend di crescita e' rallentato molto se confrontato con il +6,8% registrato nel 2009-2010 il +6,4% del 2008-2009. Sul fronte fiscale, nel 2009, il calcio italiano ha contribuito allo stato con un miliardo di euro: l'85% (875 milioni) deriva dal contributo fiscale e previdenziale delle societa', mentre i rimanenti 155 milioni sono relativi al gettito erariale derivante dalle scommesse. Con lo strapotere delle televisioni, ma anche a causa dello stato in cui si trova l'impiantistica italiana da oltre 20 anni, il numero complessivo dei tifosi allo stadio e' calato del 4% a quota 13,3 milioni. E cosi' lo scorso anno gli stadi della serie A sono stati riempiti solo al 56%, e la biglietteria ha pesato solo il 10% del totale del valore della produzione dei club. I club stanno spingendo per una nuova normativa in tema di impianti: "che sia una priorita' per il calcio e' indiscutibile - ha aggiunto Gnudi -. sono convinto che si debba andare avanti, anche per innescare nuovi investimenti da parte dei privati, utili alla crescita del paese. C'e' bisogno, pero', che finisca questa crisi, altrimenti anche con la nuova legge, sara' difficile trovare degli investitori".      

Una necessita' condivisa dal presidente della FIGC, Giancarlo Abete: "speriamo che ci sia grande attenzione delle istituzioni per salvaguardare il patrimonio del calcio italiano - ha auspicato -. La legge sugli stadi e' ferma, ma noi dobbiamo restare lucidi, anche perche' l'Uefa ha riaperto le dichiarazioni di interesse per euro 2020, e, se restiamo cosi', noi non giocheremo nemmeno la partita". Il numero 1 del coni, Gianni Petrucci, ha invitato i club a non piangersi addosso. "Ad eccezione dello Juventus Stadium, finora ho visto solo plastici straordinari. Se ci si potesse giocare, sarebbe meglio che al Camp Nou. Mi auguro che ci sia presto un passo avanti, anche perche' non capisco cosa ci sia di cosi' impossibile nell'approvazione della legge".