Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 14 luglio 2012
Sulle armi non si bada a spese. - Silvia Cerami
La tanto sbandierata Spending review sui militari prevede solo tagli al personale, ma lascia intatti gli investimenti in caccia, fregate e satelliti, vero pallino del ministro Di Paola che ci costano decine di miliardi di euro l'anno.
«La Difesa, prima ancora che la definizione spending review nascesse, la sua spending review l'ha veramente impostata». Il ministro e ammiraglio Giampaolo Di Paola non ha dubbi. Il tono è marziale e perentorio: «Devo ancora trovare un'altra amministrazione che abbia fatto una proposta così incisiva». Tanto incisiva da salvare le armi.
La tattica messa in campo con il decreto di revisione della spesa e il disegno di legge di riforma del comparto militare prevede infatti di limitarsi a sacrificare qualche fante per strappare al pericolo le campagne di acquisto in armamenti, compresi i tanto contestati F-35. Più che un risparmio, uno spostamento di risorse. Il piano del ministro stabilisce tagli per un miliardo e centomila euro in tre anni, a cui vanno aggiunti i tre miliardi già decurtati ma in parte recuperati da aumenti di bilancio, e la riduzione del 10 per cento dell'organico.
«Una ristrutturazione profonda», non v'è dubbio. Soprattutto se paragonata agli oltre sette miliardi richiesti alla Sanità, ai tagli nell'istruzione e nella giustizia o ai 24mila esuberi nella Pubblica Amministrazione. E proprio in vista del grande sacrificio si è scelto di rigettare l'ipotesi di un taglio di 100 milioni all'anno per la spesa in armamenti. Meglio sottrarre solo poche decine di milioni ai programmi come la mini-naja, il fondo riassunzioni e l'Agenzia Industrie Difesa.
Del resto dall'anno prossimo un militare su dieci lascerà l'esercito. Oltre 20mila unità. Una riduzione talmente significativa da essere, secondo molte associazioni pacifiste, virtuale. Perché sarà ottenuta ove possibile con pre-pensionamenti o trasferimenti, ma per la gran parte degli esuberi si ricorrerà all' 'ausiliaria', una specie di aspettativa che lascia a casa il militare pur riconoscendogli il 95 per cento dello stipendio. Un ammortizzatore privilegiato. Si applica infatti solo per il personale militare, solo in questo comparto. Con buona pace degli esodati. Di fatto la diminuzione dei ranghi si realizzerà dopo diversi anni e il paracadute dell'aspettativa retribuita non produrrà un immediato risparmio per le casse dello Stato. «Pure illazioni» per il generale Domenico Rossi. «Ci sono ancora troppe incognite per formulare una seria ipotesi».
In attesa delle norme attuative vi è la certezza delle missioni all'estero. Su quelle si taglierà. 430 milioni in meno già dal prossimo anno per i contingenti che operano negli scenari caldi del mondo, dal Kosovo alla Libia, passando per l'Afghanistan. Per il 2013 il fondo extra bilancio ammonterà a un miliardo, ma non è ancora chiaro come sarà possibile effettuare queste riduzioni visto l'impegno pluriennale concordato con l'Onu e la Nato. Il ritiro degli oltre 4mila militari impiegati in Afghanistan comporterà infatti consistenti costi logistici.
Quisquiglie, quel che conta è che il ministro Di Paola ha centrato il suo obiettivo: salvare gli investimenti in armamenti. L'elenco è ricco. Una rete di comunicazione satellitare futuristica che unirà i mezzi di terra, mare e cielo in un solo network. Si chiama Forza Nec e la sola progettazione costa 650 milioni, quanto alla spesa complessiva è stimata intorno ai 12 miliardi. E poi le fregate 'FREMM' e ovviamente i caccia F-35. L'Italia si può sentire più sicura: non rinuncerà ai 90 nuovi aerei da combattimento. Poco importa se tutti i paesi partner del progetto si stanno interrogando sull'opportunità della propria partecipazione, Stati Uniti compresi dove il presidente del Comitato sui Servizi Armati del Senato ha chiesto ufficialmente di mantenere «pressione continua» su Pentagono e Lochkeed Martin per ridurre costi e problemi. Di Paola è convinto e si va avanti. Anche se ci si potrebbe fermare. Non si può fare a meno del programma F-35. Nemmeno in tempi di crisi. Emblematiche in tal senso le considerazioni del coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo, Francesco Vignarca che giudica: «incredibile l'ostinazione con cui i funzionari del Ministero - anche in audizioni parlamentari - continuano a sostenere che ogni velivolo costerà meno di 80 milioni mentre i dati di base del Pentagono già oggi si attestano su oltre 130 milioni di euro».
Nonostante l'incremento dei costi di oltre il 40 per cento, il ritardo sulle previsioni di ben 6 anni, i problemi tecnici, i ritorni occupazionali messi in dubbio dalla stessa Finmeccanica in una comunicazione ufficiale al Parlamento, l'Italia acquisterà 90 velivoli, con una spesa per il solo acquisto di 12 miliardi di euro, a cui andranno aggiunti i costi di mantenimento ed esercizio. Solo per fare qualche paragone, rinunciando a 10 caccia bombardieri avremmo potuto salvare 18 mila posti letto e con un solo F-35 costruire 183 asili nido per settanta bimbi. Stipendi per insegnanti compresi. Di Paola però è uomo di parola e mantiene le promesse. E' stato infatti lui a sottoscrivere, nel giugno 2002, la partecipazione italiana alla fase di sviluppo del Joint Strike Fighter. E poi da 131 siamo passati a 90. «Il ministro ha già ridotto su F-35, sommergibili, equipaggiamenti. Il tutto in linea con la policy europea che prevede una riduzione del personale in esubero a favore della tecnica. I risparmi devono essere reinvestiti» spiega il generale Vincenzo Camporini, ex-capo di Stato maggiore della Difesa e vicepresidente dell'Istituto Affari Internazionali.
Insomma in tempi di tagli e sacrifici, la spesa militare miracolosamente non cala, ma si rimodula. Ne è convinto persino il presidente e ad di Finmeccanica Giuseppe Orsi che ha rassicurato gli azionisti: «Il decreto sulla spending review appena varato dal Governo non impatta drammaticamente sulle nostre attività». A preoccuparsi sono invece le associazioni protagoniste della campagna 'Taglia le ali alle armi' che hanno già raccolto migliaia di firme di cittadini per chiedere al Parlamento di non approvare questa legge delega e di avviare una seria riforma delle Forze Armate. «230 miliardi di euro di denaro pubblico sottratti ad un Paese, il nostro, in grandissima difficoltà. Se il disegno di legge Di Paola venisse approvato così com'è entrato a Palazzo Madama ci ritroveremmo con un superministro della Difesa, dotato di poteri e autonomia senza pari, capace persino di vendere armi nel mondo. E con uno strumento militare ipertrofico, costosissimo, modellato sui livelli di ambizione di qualche generale e di un complesso industriale che sembra dettare le linee politiche ai politici. Uno strumento vicino più ai campi di battaglia che alla Costituzione" tuona Flavio Lotti coordinatore di Tavola della Pace. Un appello che Pd ed Idv hanno accolto e a cui giurano di opporsi. «Il provvedimento contiene investimenti superiori alle risorse disponibili, un po' come acquistare i mobili prima di aver comprato casa. Ma il punto più grave è il mancato rispetto dell'articolo 11 della Costituzione: un modello Difesa bellico e offensivo anziché improntato al peacekeeping, è assolutamente inaccettabile» nota il Capogruppo dell'Italia dei Valori in Commissione Difesa al Senato, Giuseppe Caforio.
E così, mentre non è ben chiaro quale sia il nostro modello di difesa, meglio rinunciare alle garanzie sociali, piuttosto che a nuovi sistemi d'arma.
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/sulle-armi-non-si-bada-a-spese/2187002//0
No alle trivelle nel canale di Sicilia, Greenpeace: “U mari nun si spirtusa”.
Questa mattina i bagnanti della spiaggia palermitana di Mondello si sono trovati ad assistere agli effetti disastrosi di uno sversamento petrolifero in mare. Ma era solo una simulazione degli attivisti di Greenpeace che, “sporchi di petrolio”, hanno aperto due grandi striscioni con le scritte “No trivelle nel Canale di Sicilia” e “Meglio l’oro blu dell’oro nero”. Sullo sfondo la barca a vela degli ambientalisti con il logo del tour dal nome tutto siciliano “U mari nun si spirtusa”, proprio contro la minaccia delle perforazioni in mare.
“Meglio l’oro blu dell’oro nero” e’ anche il titolo del rapporto che Greenpeace lancia oggi per denunciare “i rischi della folle corsa petrolifera gia’ partita nel Canale”.
Nelle prossime settimane due le attivita’ principali del tour: una spedizione scientifica che, tramite un veicolo filoguidato dotato di telecamera, documentera’ la biodiversita’ dei banchi d’alto mare del Canale; e iniziative di sensibilizzazione per chiedere a tutti i comuni della costa meridionale della Sicilia di firmare un appello al ministero dell’Ambiente per fermare le trivelle e tutelare il mare del Canale di Sicilia.
(ITALPRESS).Della corsa all’oro nero nel Mediterraneo, in Sicilia in particolare, vi abbiamo raccontato in questo articolo.
“Meglio l’oro blu dell’oro nero” e’ anche il titolo del rapporto che Greenpeace lancia oggi per denunciare “i rischi della folle corsa petrolifera gia’ partita nel Canale”.
Nelle prossime settimane due le attivita’ principali del tour: una spedizione scientifica che, tramite un veicolo filoguidato dotato di telecamera, documentera’ la biodiversita’ dei banchi d’alto mare del Canale; e iniziative di sensibilizzazione per chiedere a tutti i comuni della costa meridionale della Sicilia di firmare un appello al ministero dell’Ambiente per fermare le trivelle e tutelare il mare del Canale di Sicilia.
(ITALPRESS).Della corsa all’oro nero nel Mediterraneo, in Sicilia in particolare, vi abbiamo raccontato in questo articolo.
Torna Berlusconi, se ne va Stracquadanio: “E’ al tramonto, lascio il Pdl”.
L'ex fedelissimo annuncia il passaggio al gruppo misto della Camera: "La sua ricandidatura è la conferma che il partito non esiste". Il Cavaliere al Qn: "Torno per non buttare 18 anni di lavoro". Galan: "Via Tremonti e La Russa".
Silvio Berlusconi torna in campo ma il Pdl perde uno dei suoi volti più noti: Giorgio Stracquadanio, per tanti anni fedele custode dell’ortodossia arcoriana, annuncia che passerà algruppo misto della Camera. “Ho perso la mia battaglia, non mi resta che trarne le conseguenze. Lascio il Pdl”, afferma Stacquadanio in un’intervista al Corriere della Sera. “Berlusconi è al tramonto e la sua ricandidatura è la conferma che il Pdl non esiste”, continua. Il deputato dà sfogo a un malcontento covato per diversi mesi: “Mi sarei aspettato che il Cavaliere usasse la sua forza per dar vita a un progetto liberale, invece tutto resta in continuità con gli errori del passato”. Per questo, spiega il parlamentare, “ho scritto a Berlusconi e al capogruppo Cicchitto e ho detto loro che me ne vado”.
Il passaggio al gruppo misto è fissato per lunedì: “Mi metto a disposizione di un progetto liberista e libertario, che difenda il blocco sociale rimasto deluso dal Pdl”. Berlusconi e Tremonti, aggiunge Stracquadanio, “sono entrambi corresponsabili della mancata rivoluzione liberale”, mentre il segretario Alfano “è un bravo ragazzo, ma come avrebbe detto il Berlusconi di un tempo è uno che vive di politica, non per la politica. La sua biografia era il prodromo della sconfitta”.
Berlusconi era atteso ieri a un congresso dei Cristiano-riformisti a Roma, con tanto di gruppi di ignari anziani convogliati in sala, per la sua prima apparizione pubblica dopo l’annuncio del “ritorno in campo”. Un’intervista al Cavaliere compare però oggi sul Quotidiano nazionale: “Torno in pista per salvare il Pdl”, afferma. “Alle elezioni politiche del 2008 abbiamo preso il 38%. Se alle prossime dovessimo scendere per assurdo all’8%, che senso avrebbero avuto 18 anni di impegno politico?”.Un sondaggio Ipr marketing-Repubblica.it reso noto ieri, però, indicava che l’”effetto Berlusconi” sulle sorti elettorali di un’ipotetica coalizione di centrodestra sarebbe pari a zero.
Berlusconi spiega che avrebbe voluto dare l’annuncio della propria candidatura “più in là, magari all’inizio dell’autunno. Ma qui non si riesce a tenere niente di riservato”. All’intervista, realizzata per il nuovo libro di Bruno Vespa, era presente anche Angelino Alfano, che in merito alla ridiscesa in campo del Cavaliere ha ribadito: “Il candidato è lui. Io resto solo il segretario del partito”.
Sul nuovo corso del Pdl il dibattito è aperto: “Berlusconi ha fatto bene a chiedere le dimissioni a Nicole Minetti, ma dovrebbe chiederle a molte più persone”, afferma su Libero l’ex ministro ed ex governatore del Veneto Giancarlo Galan. “Anzi, non dovrebbe chiederle, dovrebbe dimetterle direttamente”. L’allontanamento dovrebbe riguardare, specifica Galan, “quelli che in questi anni non hanno mai pronunciato la parola ‘liberale‘ e sono i colpevoli della non-attuazione di molti punti del nostro programma di governo”, come “Ignazio La Russa e Giulio Tremonti”.
Intanto, nel corso di un’assemblea del Pd a Roma, il segretario Pier Luigi Bersani ha definito “agghiacciante” la ricomparsa di Berlusconi come possibile candidato premier: “Quale risparmiatore dovrebbe aver fiducia nell’Italia”, si chiede Bersani, “davanti a liste di fantasia, partiti per procura, leadership invisibili e senza controllo o agghiaccianti ritorni?”.
Ti potrebbero interessare anche
Incendio minaccia montagne in zona ovest di Palermo. Rischio per alcuni centri abitati.
A quasi 24 ore non è stato ancora domato l'incendio che sta assediando la periferia ovest di Palermo, dalla collina di Borgo Nuovo fino a San Martino delle Scale.
Emergono nel frattempo alcuni particolari: le fiamme sarebbero partite da via dei villini e appiccate da un piromane. Indagini sono in corso. In zona erano stati segnalati mucchi di immondizia non ritirata. Ed è probabile che proprio una di quelle piccole discariche a cielo aperto sia stata incendiata. Il vento che soffiava ieri ha fatto il resto, propagando il fuoco nelle vicine campagne. Via Bronte, passata agli onori della cronaca qualche mese fa per una pantera in libertà mai trovata, ha subito ieri pomeriggio altri attimi di terrore, quando i vigili del fuoco hanno dovuto far evacuare diversi appartamenti e alcune ville. L'allarme si è poi trasferito in via Falconara. Corpo forestale e pompieri hanno dovuto faticare per evitare che il rogo colpisse le auto in sosta in un residence in zona e nelle case che erano però già state fatte sgomberare per sicurezza.
Alle 14 di ieri il corpo forestale, mentre i vigili del fuoco avevano difficoltà a spegnere le fiamme che minacciavano i ripetitori di Pizzo Eremita, ha chiesto l'intervento dei canadair della Protezione civile. Ma soltanto alle 18 ne è arrivato solo uno che ha garantito una portata di acqua prelevata dal mare di 6000 litri, insieme a due elicotteri della Regione Siciliana, dotati di recipienti da 400 litri. I pochi mezzi hanno però lavorato fino a quando la luce era sufficiente per farlo. Col buio l'incendio ha mostrato ai palermitani il suo vasto pericolo. Una serpentina lunga diversi chilometri, non distante da strade e palazzi. Tutta la notte i vigili del fuoco hanno lavorato a circoscrivere le fiamme. La cava Serafinello a Boccadifalco è rimasta aperta tutta la notte. Da lì agenti del corpo forestale hanno vegliato sul fuoco per controllare che non deviasse verso i centri abitati. Lo stesso è stato fatto nelle strade vicine ai focolai.
Stamani alle 7 sono tornati i mezzi aerei. L'allarme è ancora alto. La speranza è che non si alzi il vento. Intanto migliaia di ettari di vegetazione stanno inesorabilmente andando in fumo.
http://www.palermoreport.it/notizie/incendio
venerdì 13 luglio 2012
Vasto incendio a Monte Cuccio sopra Palermo.
Il rogo alimentato dalle altissime temperature di queste ore e dal forte vento di scirocco ha interessato la zona vicina al centro abitato di Baida. (rep)
Ancora non sono riusciti a domarlo.
Guerra ai siciliani con i droni di Sigonella. - Antonio Mazzeo
Un carosello in cielo, giù c’è Catania, il blu dello Ionio, l’Etna nera con il cocuzzolo perennemente innevato. Due, cinque, otto, dieci interminabili minuti, l’aereo che oscilla, vibra, scende, risale. E il cuore che accelera. Paura di volare? Mai. Ma perché ci sta tanto ad atterrare? E che cavolo! ogni volta la stessa storia. Arrivi in orario ma poi ti fanno girare per mezz’ora su Fontanarossa. E sudi freddo, senti una strana pressione sullo stomaco. Quasi sempre non ti dicono nulla. Non ti spiegano perché. Domenica all’una invece, sul Pisa-Catania, il comandante annuncia che straremo in aria un po’ sino a quando la torre di controllo non ci autorizzerà all’atterraggio. C’è un intenso traffico aereo militare sullo scalo di Sigonella.
Cazzo, ‘sti americani giocano alla guerra perfino all’ora di pranzo e nel giorno del Signore, sdrammatizza il vicino di poltrona già superabbronzato. Beh, sempre meglio di quanto è accaduto a mio zio la scorsa estate. Veniva da Venezia e gli hanno dirottato all’ultimo l’aereo a Punta Raisi. Allora c’erano i war games degli yankees e della NATO, gli ultimi fuochi sulla Libia da liberare. Le spregiudicate manovre dei famigerati aerei senza pilota, gli UAV-spia Global Hawk e iPredator stracarichi di missili e bombe a guida laser.
Da due anni il terzo aeroporto d’Italia come volume di traffico, oltre sei milioni e mezzo di passeggeri l’anno, è asservito alla dronomania della Marina e dell’Aeronautica militare degli Stati Uniti d’America. Atterraggi e decolli ritardati, le attività sospese in pista e nelle piattaforme, timetable che per effetto domino impazziscono in tutto il Continente, gli imprevisti e faticosi dirottamenti su Palermo. Volare da o su Catania vuol dire disagi che si sommano ai disagi, nuovi pericoli che si aggiungono a quelli vecchi. In futuro sarà peggio. Entro il 2015, la grande stazione aeronavale di Sigonella sarà consacrata capitale mondiale degli aerei senza pilota e ospiterà sino a venti Global Hawk e sciami di droni d’attacco e di morte. E Fontanarossa sarà soffocata, imprigionata, asservita alla guerra.
“Sì, il traffico civile subisce certe riduzioni e interferenze per l’attività militare del vicino scalo di Sigonella”, ammetteGaetano Mancini, presidente della Sac, la società che gestisce l’aeroporto etneo. “Tutto però è sotto controllo e mai ci sono stati problemi per la sicurezza dei passeggeri. Negli ultimi mesi la situazione si è poi fatta sicuramente meno pesante”. L’ordine di scuderia è tranquillizzare ed evitare allarmismi. Eppure dall’8 marzo di quest’anno a Fontanarossa sono state sospese tutte le procedure strumentali standard nelle fasi di accesso, partenza e arrivo degli aeromobili, “causa attività degli Unmanned Aircraft”, gli aerei senza pilota in dotazione alle forze armate statunitensi e alleate, come specificato da una nota ai piloti di aeromobili (NOTAM) emessa dalle autorità preposte al controllo del traffico. Le limitazioni dovevano durare sino allo scorso 5 giugno, ma un giorno prima della scadenza dei termini, tre NOTAM distinti dai codici B4048, B4049 e B4050 hanno prorogato la sospensione delle procedure standard sino al prossimo 1 settembre. Anche stavolta il transito dei voli civili, in piena stagione estiva, sarà subordinato alle evoluzioni dei droni. Semaforo giallo anche per i cacciabombardieri e gli aerei radar e da trasporto uomini e mezzi delle forze armate. Un altro avviso, codice M3066/12, ha ordinato infatti la sospensione di tutte le strumentazioni standard al decollo e all’atterraggio nel Sigonella Airport, dal 4 giugno all’1 settembre 2012, anche stavolta per le attività degliUnmanned Aircraft.
La Sicilia trampolino bellico si trasforma in laboratorio sperimentale del piano di iper-liberalizzare lo spazio aereo alle scorribande degli aerei senza pilota. La sicurezza delle popolazioni e dei passeggeri sacrificata all’altare degli interessi economici del complesso militare industriale USA. In Europa e aldilà dell’Atlantico, governi e organismi internazionali sembrano impotenti di fronte all’intollerabile pressing dei produttori di droni. Il business è enorme: secondo gli analisti economici, nei prossimi dieci anni la spesa annua per i sistemi senza pilota crescerà da 6,6 ad 11,4 miliardi di dollari e ci sarà pure un’ampia espansione anche in ambito civile. Solo in riferimento alla tipologia degli UAV ospitati pure a Sigonella (gli RQ-4 Global Hawk, gli MQ-9 Reaper e gli MQ-1 Predator), il Pentagono vuole portarli dagli attuali 340 a 650 nel 2021. Ognuno di essi ha costi insostenibili. Ogni falco globale di US Air Force, quello più vecchio, costa 50 milioni di dollari (in Sicilia ce ne saranno presto cinque). Gli altri cinque UAV previsti per Sigonella con il programma Allied Ground Surveillance (AGS) di sorveglianza terrestre della NATO, costeranno complessivamente 1,7 miliardi di dollari. Spesa record di 233 milioni a drone per la versione Global Hawk acquistata dalla Marina USA nell’ambito del programma Broad Area Maritime Surveillance (BAMS) che vedrà ancora la Sicilia piattaforma avanzata per i raid in Africa, Medio Oriente e sud-est asiatico.
Due anni fa, senza che sia stato ancora disciplinato l’impiego degli aeromobili a pilotaggio remoto nel sistema del traffico aereo europeo, l’Aeronautica militare e l’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac) hanno siglato un accordo tecnico per consentire l’impiego dei Global Hawk di Sigonella nell’ambito di spazi aerei “determinati” (terminologia del tutto nuova rispetto a quella in uso nei NOTAM dove gli spazi sono proibiti, pericolosi o limitati). In linea teorica si annuncia l’adozione di procedure di coordinamento tra autorità civili e militari “tese a limitare al massimo l’impatto sulle attività aeree civili” e “nel rispetto dei principi della sicurezza del volo”, anche se poi si ammette che per le operazioni “connesse a situazioni di crisi o di conflitto armato”, l’impiego dei droni non sarà sottoposto a limitazioni di alcun genere. Nel Mediterraneo cronicamente in fiamme è come dare illimitata libertà di azione ai falchi globali e ai predatori del cielo e del mare.
“I velivoli telecomandati rappresentano un rischio insostenibile per il traffico civile e le popolazioni che risiedono nelle vicinanze degli scali utilizzati per le manovre di decollo e atterraggio”, denunciano gli attivisti della Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella. “Negli Stati Uniti d’America il tasso degli incidenti agli aerei senza pilota è nettamente superiore a quello dell’aviazione generale e di quella commerciale, come più volte sottolineato dalla Federal Aviation Administration, l’amministrazione responsabile per la gestione delle attività nello spazio aereo nazionale”. Il 15 luglio 2010, durante un’audizione alla Commissione per la sicurezza pubblica interna del Congresso, la vicepresidente della FAA ha espresso forti perplessità su una “rapida e piena integrazione” dei sistemi senza pilota nel traffico aereo generale, così come auspicato dal Pentagono e dal presidente Obama. “Molti dei dati a nostra disposizione arrivano solo dalla Customs and Border Protecion (CPB) che pattuglia i nostri confini”, spiega la Federal Aviation Administration. “Essi ci rivelano che i ratei di incidenti degli UAS sono molto grandi. Dall’anno fiscale 2006 alla data del 13 luglio 2010, ad esempio, la CPB ha riferito un tasso incidentale grave di 52,7 ogni 100.000 ore di volo, cioè oltre sette volte più alto di quello dell’aviazione generale e 353 volte più elevato di quello dell’aviazione commerciale. Non si deve poi dimenticare che il numero di ore di volo denunciato, 5.688, è molto basso rispetto a quello che viene solitamente considerato in aviazione per fissare i dati sulla sicurezza e gli incidenti…”.
Un recentissimo report di Bloomberg, la maggiore società statunitense di analisi del mercato economico e finanziario, ha messo il dito nella piaga droni. Da quando sono operativi con US Air Force, Global Hawk, Preador e Reaper hanno subito 129 incidenti in cui i danni hanno comportato una spesa superiore ai 500.000 dollari o è avvenuta la distruzione del velivolo in missione. “Questi tre tipi di UAV sono quelli con il maggior tasso d’incidente di tutta la flotta aerea militare”, scrive Bloomberg. “Insieme hanno cumulato 9,31 incidenti ogni 100.000 ore di volo, tre volte in più degli aerei con pilota”. Il Global Hawk, da solo, ha un tasso di 15,16.
“Effettivamente il rateo d’incidenti dei sistemi aerei senza pilota (UAS) non è incoraggiante”, ammette il maggiore dell’aeronautica, Luigi Caravita, autore di un approfondito studio sui droni pubblicato dal Centro Militare di Studi Strategici (Cemis). “La mancanza di una capacità matura disense & avoid (senti ed evita) verso altro traffico può diventare ancor più critica se associata alla vulnerabilità o alla perdita del data link tra segmento di terra e segmento di volo: in più di un occasione un Predator è stato perso a seguito d’interruzione del data link”, spiega il maggiore. “Ad oggi gli UAS militari non sono autorizzati a volare, se non in spazi aerei segregati, perché non hanno una banda aeronautica protetta, non sono ancora considerati sufficientemente affidabili, non hanno ancora totalizzato un numero di ore di volo sufficiente da costituire un safety case rappresentativo e convincente, non è stata ancora dimostrata adeguata resistenza da attacchi di cyber warfare”.
Analoghe considerazioni sono state fatte dal comando generale di US Air Force nel documento che delinea la visione strategica sull’utilizzo di questi sistemi di guerra (The U.S. Air Force Remotely Piloted Aircraft and Unmanned Aerial Vehicle - Strategic Vision). “I velivoli senza pilota sono sensibili alle condizioni ambientali estreme e vulnerabili alle minacce rappresentate da armi cinetiche e non cinetiche”, scrivono i militari statunitensi. Per questo Eurocontrol, l’organizzazione per la sicurezza del traffico aereo a cui aderiscono 38 stati europei, ha stabilito nel marzo 2010 alcune linee guida per la gestione del traffico aereo dei falchi globali destinati allo scacchiere continentale. In particolare, si raccomanda d’isolare i droni-spia da altri usuari dello spazio aereo. “Dato che i Global Hawk non possiedono certe capacità, come il sense and avoid, è necessario che i decolli e gli atterraggi avvengano in spazi aerei segregati dai livelli normalmente utilizzati dai convenzionali aerei con pilota, mentre le missioni di crociera dovranno essere effettuate ad altitudini non occupate da essi”. Nel caso di Catania-Fontanarossa, scalo a meno di una decina di km in linea d’aria da Sigonella, le raccomandazioni di Eurocontrol sono solo carta straccia.
Sulle scellerate scelte USA e NATO d’installare i Global Hawk in Sicilia è intervenuto uno dei massimi esperti dell’aviazione italiana, il comandante Renzo Dentesano, pilota per quarant’anni dell’Aeronautica ed Alitalia, poi consulente del Registro aeronautico e perito per diverse Procure nei procedimenti relativi ad incidenti aerei. “Questi aeromobili militari saranno in grado di partire e tornare alla base siciliana dopo aver compiuto missioni segrete e pericolose, delle quali nessuno deve saper nulla, onde poter effettuare con successo i loro compiti di sorveglianza e spionaggio”, scrive Dentesano. “È pur vero che nei loro piani d’impiego è previsto che il Comando che li utilizzerà abbia tutte le informazioni necessarie in merito al traffico che interessa lo spazio aereo nelle loro traiettorie, invece, le autorità civili non sapranno nulla di quanto programmato e qualche Controllore avvisterà sugli schermi radar del traffico che sarà etichettato comesconosciuto, del quale quindi ignoreranno sia le intenzioni che le manovre e le traiettorie”.
“Questo tipo di ricognitori, concepiti appunto per missioni troppo rischiose per essere affidate a mezzi con a bordo degli esseri umani, nonostante tutte le misure di security di cui sono dotati i loro ricevitori di bordo, possono essere interferiti da segnali elettronici capaci di penetrare nei loro sistemi di guida e controllo, in modo da causarne la distruzione”, aggiunge Dentesano. “Il Global Hawk, come pure il Predator, non risultano in grado di assicurare l’incolumità del traffico aereo civile. Essi non sono in grado di variare la loro traiettoria di volo in senso verticale, salendo o scendendo di quota, come la situazione per evitare una collisione prontamente richiederebbe. E la sola variazione della direzione di moto, rimanendo alla stessa altitudine, potrebbe non bastare ad evitare un disastro che coinvolga un traffico civile”.
L’allarme è stato lanciato da tempo ma Governo, Regione ed enti locali non vedono, non sentono, non parlano. Il DC 9 abbattuto da un missile nel cielo di Ustica, il 27 giugno di 32 anni fa, è un ricordo sbiadito. Con i droni liberi di planare sulle teste dei siciliani è scattato il count down per l’ennesima strage di stato.
Articolo pubblicato in I Siciliani giovani, n. 6, giugno 2012.
Iscriviti a:
Post (Atom)