Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
lunedì 3 dicembre 2012
Modello Tav, il debito che piace ai tecnici. - Francesca De Benedetti
Dietro l'alta velocità si nasconde un meccanismo di privatizzazione dei profitti e di socializzazione delle perdite. A pagare gli ingenti costi infatti sono i cittadini, a testimoniarlo la Corte di Cassazione la quale ha decretato che i "debiti" del Tav verranno pagati dalle generazioni future fino al 2060.
Privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite, il sistema Tav docet. Nel silenzio generale dei media mainstream. E se per i “tecnici” ridurre il debito corrisponde a ridurre la spesa pubblica attraverso il dimagrimento o persino lo smantellamento dello Stato sociale, per sfatare la convinzione tacita e diffusa che rigore significhi sottrazione al pubblico e alla sua dimensione occorre parlare proprio del Tav.
Una scelta che potrà stupire, in un contesto in cui la rappresentazione sociale veicolata dai media relega spesso al silenzio questo tema, e in ogni caso predilige le chiavi semantiche e interpretative della “violenza”, della “tensione”, lasciando spazio comunque più alle azioni che alle ragioni. Nel caso del Tav e dei movimenti ad esso contrari – ma anche nel caso di altre manifestazioni di contestazione che avvengono in Italia quanto in Grecia e altrove – la stampa ci consegna la realtà (semmai decide di raccontarla) attraverso il linguaggio della violenza, con modalità di manipolazione dell’informazione non molto dissimili da quelle già riscontrate negli anni Settanta. L’altra faccia della realtà arriva perciò attraverso la controinformazione, oggi come ieri, e oggi soprattutto grazie alla Rete.
E’ necessario però, per una riflessione compiuta sulla crisi, sollevare il tema Tav dalla dimenticanza generalizzata. Questo perché, come più di ogni altro Ivan Cicconi ha avuto il merito di cogliere e divulgare come dietro la grande opera si nasconda la messa a punto di un potente sistema di ingrossamento e di occultamento del debito pubblico. Di più, questo sistema viene poi replicato e diffuso in altri contesti nazionali e locali. Lo ha affermato la Corte dei Conti: "La vicenda è considerata paradigmatica delle patologiche tendenze della finanza pubblica a scaricare sulle generazioni future oneri relativi a investimenti, la cui eventuale utilità è beneficiata soltanto da chi li pone in essere, accrescendo il debito pubblico. (...) Si pregiudica l'equità intergenerazionale, caricando in modo sproporzionato su generazioni future (si arriva in alcuni casi al 2060) ipotetici vantaggi goduti da quelle attuali". Il sistema inaugurato in grande stile con il Tav prende avvio con la dichiarazione che a pagare saranno i privati, e si conclude con spese reali lievitate ai massimi livelli e in sostanza a carico del pubblico, così come il rischio di impresa. Privatizzazione sì, ma dei profitti, e socializzazione delle perdite.
Inoltre, il sistema Tav, la sua tipica architettura contrattuale, allenta le “briglie” di controllo pubblico su opere pur costose, per di più – la cosa è oggetto di indagine a Torino nel processo “Minotauro” – con il sospetto di infiltrazioni di stampo mafioso nella catena di appalti e subappalti.
Il cuore della questione è che, attraverso specifici istituti contrattuali portati a regime proprio con il Tav, quelli che venivano annunciati inizialmente come finanziamenti privati si rivelano in realtà una quantità amplissima di debito pubblico (una quantità molto più ampia delle previsioni annunciate a inizio opera). Un debito “fantasma” che si annida in società di diritto privato o nella spesa corrente delle amministrazioni pubbliche, e che si tocca con mano poi, che ricade sulle generazioni future fino al 2060, come ipotizza la Corte dei Conti. O persino oltre quella data, visto che l’architettura contrattuale tipica del Tav (basata sul “general contractor” e sul “project financing”) ricorre in realtà in numerose opere riguardanti gli enti locali. Esempi, e analogie con il “sistema Tav”, si trovano infatti a Roma (la Metro C), a Parma (la sede del Comune), a Bologna (la sede del Comune e il People Mover).
Quando il governo Monti ha preso in mano il dossier Tav, un dossier su cui molti fra cittadini e autorevoli professori e professionisti nutrivano perplessità di fondo, nessuna perplessità su questa grande fonte di debito è stata sollevata da parte dell’esecutivo. Il governo “tecnico” ha invece valutato che non valesse la pena neppure di riformare quel progetto coltivato con convinzione bipartisan negli ultimi venti anni e più. Il premier ha piuttosto confermato “piena convinzione e impegno per la realizzazione dell’opera”, riferendo dissenso per la “violenza” delle contestazioni ed esprimendo una blanda comprensione per i timori e l’astio di chi vedeva la Tav come qualcosa di “lontano dal proprio modello di vita”. Eppure la questione non riguarda solo il cortile di qualcuno, né tantomeno solo temi ambientali. Deve saperlo bene anche il governo dei “professori”: sotto questo governo, gli istituti contrattuali che costituiscono la spina dorsale del “sistema Tav”, come quello del project financing, sono stati persino incentivati, ampliati, rafforzati. Il governo dei tecnici ha infatti inserito a ottobre nel Decreto Sviluppo Bis sconti fiscali proprio sui project financing. Ciliegina sulla torta, è stata anche rimandata di almeno due anni la scelta se chiudere o meno la pagina del ponte sullo Stretto, grande opera costata già prima di cominciarla e ritenuta da molti insostenibile dal punto di vista economico.
Ma la più pesante contraddizione è quella di fondo: come mai proprio e anche sotto un governo che vede nella “risoluzione della crisi del debito” la propria mission dichiarata e la principale fonte di legittimità agli occhi dell’opinione pubblica, il sistema Tav non viene scalfito, e anzi viene incentivato? Alla domanda si potrà ipotizzare con facilità qualche risposta. Il debito pubblico “fantasma” nel sistema Tav, nasce sotto le vesti di spesa privata, avvantaggia aziende private, e si rivela poi enorme spesa pubblica, ricadendo sulle generazioni future. Di questo “paradigma Tav” bisognerebbe ricordarsi quando si cade nel mantra “diminuire il debito pubblico=abbattere il welfare state”. O, ancora, quando le tutele sociali vengono smantellate e si prospetta la privatizzazione del pubblico come soluzione, mentre nel contempo non si mette in discussione (né si discute) la socializzazione di profitti privati. Oppure quando gli appelli degli economisti per evitare la recessione rimangono inascoltati. Ma pur volendosene ricordare, della lezione della Tav poco si parla, sui media generalisti, e di tutto ciò in pochi sono consapevoli. Come mai? Questa è forse l’altra contraddizione più pesante da digerire e da superare.
http://temi.repubblica.it/micromega-online/modello-tav-il-debito-che-piace-ai-tecnici/?h=0
domenica 2 dicembre 2012
MORINGA OLEIFERA- LA PIANTA MIRACOLOSA DELL’AFRICA.
LA MORINGA OLIFERA PIANTA TROPICALE NATIVA DELL’INDIA CHIAMATA ANCHE ALBERO DELLA VITA.
Si sta facendo strada in Africa come opportunità per migliorare le condizioni di salute e limitare la malnutrizione nelle comunità più povere.In Sierra Leone, la Moringa è stata descritta dal ministro dell’Agricoltura Sam Sesay come “la pianta più nutriente sulla Terra, e ogni parte della pianta ha valori nutritivi e medicinali che hanno le proprietà per curare oltre 300 malattie, inclusa l’ipertensione e il diabete. Molto presto, la coltivazione della pianta tropicale Moringa in Sierra Leone potrebbe mettere fuori gioco molti medici”.La Moringa oleifera è una pianta che ha realmente innumerevoli utilizzi e proprietà medicinali: nel 2010, si è dimostrata utile per purificare l’acqua grazie ad un processo poco costoso che riduce la popolazione batterica del 90% senza l’utilizzo di alcun filtro aggiuntivo.Dalla Moringa oleifera si ottengono anche sostanze medicinali come antisettici, composti per curare i reumatismi e i morsi di serpente, shampoo, prodotti per il corpo e per lo sport. E si tratta di una lista molto breve delle possibili applicazioni di questa pianta straordinaria.
Ogni parte della Moringa oleifera è commestibile, che sia fresca, cotta o conservata per mesi all’aria aperta: i semi possono essere consumati freschi o tostati, i fiori hanno un sapore simile a quello dei funghi, le radici sono usate come condimento simile al ravanello, ma le foglie sembrano essere il vero toccasana.Le foglie della Moringa oleifera contengono quantità significative di beta-carotene, vitamina C, vitamina A, proteine, ferro e potassio. Un solo cucchiaio di foglie di Moringa in polvere può fornire al latte materno un quantitativo di proteine superiore del 14%, di calcio del 40%, e di ferro del 23%. Secondo la UMCOR (United Methodist Committee on Relief), la pianta contiene circa 46 antiossidanti ed è in grado di pulire l’organismo dall’accumulo di tossine e di rafforzare il sistemaimmunitario.”Ha un contenuto di vitamina C sette volte superiore a quello delle arance, quattro volte più calcio del latte, quattro volte più vitamina A delle carote, e tre volte il potassio di una banana”spiega l’ufficiale governativo Fomba James.E facile, quindi, comprendere le potenzialità di una pianta simile in un Paese come la Sierra Leone, dove il 70% delle persone vive con meno di un dollaro al giorno e il 25% dei bambini muore prima di aver compiuto il quinto compleanno.
La questione si fa ancora più delicata.”Vediamo la Moringa come una cura per tutto, e molte persone nella mia comunità non stanno più visitando le cliniche locali dato che ora ne bevono il tè o usano la sua polvere durante i pasti” dice Jimmy Lagbo, capotribù di Port Loko.La Moringa oleifera è stata importata in Sierra Leone nel 2001 proprio allo scopo di risolvere alcuni di questi problemi. “E’ probabile che sia stato un soldato pakistano che serviva nelle missioni di pace delle Nazioni Unite a scoprire la presenza della Moringa negli anni ’90, in un giardino di una casa nella capitale” spiega il botanico di Freetown Christian Jones.Nell’ultimo decennio, la coltivazione della Moringa oleifera è stata promossa in diversi Paesi africani. “L’anno scorso sono stati distribuiti in Sierra Leone un totale di 250.000 semi, per spingere la gente verso la creazione di un’impresa” spiega Jonas Coleman della Moringa Association.La Moringa oleifera, infatti, si sta prospettando come una possibile avventura economica redditizia. In Africa sta nascendo un ampio mercato di prodotti derivati dalla Moringa: “E’ un business proficuo dato che ora le vendite sono più alte per la recente pubblicità dei prodotti” afferma Alimamy Lahai, venditore di prodotti a base di Moringa a Freetown. “Io vendo la polvere, che viene venduta in piccole buste da due dollari o in bustine da tè per quattro dollari”.Attualmente è l’India che detiene il primato di produzione di Moringa oleifera, circa 1,3 tonnellate all’anno di frutti da un’area di 380 km quadrati. Nel Paese se ne consuma ogni parte, specialmente i baccelli, chiamati “munga” e mangiati fritti, freschi o come ingredienti per zuppe.
fonte : http://medicalxpress.com
fonte : http://medicalxpress.com
sabato 1 dicembre 2012
Aids, 34 milioni di contagiati, il 10% sono under 15. Il vaccino ancora una chimera. - Davide Patitucci
Una malattia che è ormai divenuta cronica, ma non per questo meno insidiosa. Oggi è la Giornata mondiale contro l’Aids. Sul vaccino pareri contrastanti. Il professor Fernando Aiuti: "Impossibile stabilire una data" ma Guido Silvestri, direttore della divisione di Microbiologia e immunologia ad Atlanta è più ottimista: "Credo che ci vorranno 15-20 anni".
Più di 34 milioni di contagiati nel mondo, di cui la metà donne e 3,3 milioni bambini di età inferiore ai 15 anni. Meno di un quarto, circa 8 milioni, ha accesso ai farmaci salvavita. Superiore a 2 milioni il numero di decessi nel 2010 e di poco inferiore ai 17 miliardi di dollari la cifra investita solo lo scorso anno nelle nazioni più povere, le più colpite. Sono alcuni numeri della guerra dei trent’anni contro l’Aids, messi nero su bianco dal Rapporto 2012 sull’epidemia pubblicato dall’Unaids, il Programma dell’Onu per coordinare l’azione globale contro l’Aids.
Una malattia che è ormai divenuta cronica, ma non per questo meno insidiosa. Secondo le stime della XIX Conferenza internazionale sulla lotta all’Aids, che si è svolta a Washington lo scorso luglio, ogni anno 2,5 milioni di nuovi contagiati, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, si aggiungono alla folla di malati che attende da tempo un vaccino. A lungo ricercato, tra periodici annunci – l’ultimo, di alcune settimane fa, sulle pagine di “Nature”, relativo a un preparato messo a punto dal Ministero della salute thailandese e dall’esercito Usa, che ha mostrato un’efficacia del 31 per cento in test su 16 mila individui – e successive smentite. In occasione della Giornata mondiale contro l’Aids che si celebra ogni anno l’1 dicembre, abbiamo chiesto di fare il punto sulla ricerca e le speranze di una cura a due esperti che studiano da anni l’infezione da Hiv: Fernando Aiuti, professore emerito di Allergologia e Immunologia clinica all’Università La Sapienza di Roma e Guido Silvestri, direttore della divisione di Microbiologia e immunologia allo Yerkes National Primate Research Center, della Emory University di Atlanta.
Qual è lo stato della ricerca sull’Aids? Come sono cambiate le strategie di contrasto in questi anni?
Aiuti – Negli ultimi 15 anni sono stati scoperti nuovi farmaci antivirali che hanno assicurato una qualità di vita migliore rispetto al passato e sono riusciti a garantire la remissione clinica della malattia per molti anni. Oggi la ricerca continua nello sviluppo di nuovi farmaci meno tossici e più efficaci nel contrastare il virus, bloccandone i complessi meccanismi di replicazione o intervenendo nel chiuderne le porte di entrata preferite nelle cellule del sistema immunitario. Un altro filone di ricerca è volto all’eradicazione dell’infezione in persone malate usando vari farmaci antivirali associati a sostanze immunostimolanti, inclusi alcuni prototipi di vaccini cosiddetti terapeutici. In passato le strategie, ad esempio nelle donne, erano dirette a evitare il concepimento o l’allattamento, oggi si è riusciti con i farmaci a ridurre quasi a zero la trasmissione materno-fetale e materno-neonatale dell’infezione. L’informazione, la prevenzione, l’incentivazione dell’uso del profilattico e il counselling con invito al test Hiv hanno contribuito, insieme ai farmaci, a ridurre l’incidenza delle nuove infezioni nel mondo.
Silvestri – È la storia del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Ma siccome io sono un ottimista nato, direi un po’ più pieno che vuoto. Sicuramente sono stati fatti grandi progressi nella terapia e nella comprensione dei meccanismi molecolari e cellulari con cui il virus causa la malattia. Purtroppo, però, non abbiamo ancora né un vaccino veramente efficace, né un metodo per guarire l’infezione.
A cosa è dovuta la riduzione della mortalità dell’epidemia?
Aiuti - Alla diagnosi precoce e ai nuovi farmaci antivirali che devono essere assunti in modo continuo. Le strategie della terapia intermittente sono fallite. Oggi il pericolo è rappresentato da alcune complicanze causate dall’uso continuo dei farmaci antivirali (infarti cardiaci, aterosclerosi, patologie ai reni e fegato, lipodistrofia) e dall’insorgenza di alcuni tumori a volte correlati con il grado di immunodeficienza.
Silvestri – Principalmente alla disponibilità di molti farmaci antivirali che bloccano la replicazione dell’Hiv in modo pressoché completo. Di conseguenza l’infezione, che fino al 1995-1996 era quasi sempre mortale, è diventata una malattia cronica con cui si può convivere per molti anni.
Quando potrà essere disponibile un vaccino contro l’Hiv?
Aiuti – Non è possibile al momento stabilire una data. Potrei rispondere che un vaccino contro l’Hiv esiste già, è l’unico che ha superato la fase III ed ha mostrato una protezione in volontari sani del 31 per cento. Si tratta del vaccino testato in circa 16000 persone in Thailandia, RV144 – ALVAC (associa il vettore ALVAC alla proteina del virus Hiv-l gp120). La maggior parte dei ricercatori ritiene, tuttavia, che questo livello di protezione sia insufficiente per utilizzare questo prodotto su larga scala. Anzi, secondo me, potrebbe essere persino dannoso perché le persone vaccinate potrebbero sentirsi falsamente rassicurate dall’immunizzazione. Un vaccino deve fornire una protezione superiore all’80 per cento per poter essere utilizzato su larga scala. La ricerca va avanti e i vaccini più interessanti ora pervenuti alle fasi II e III (finalizzate a valutarne l’efficacia terapeutica nell’uomo) sembrano quelli a base di plasmidi (piccole molecole di dna circolare) contenenti Dna virale o la combinazione di almeno tre subunità del virus Hiv (Gag, Env, Nef). Il problema è che in questa infezione non si conoscono i correlati della protezione, cioè quali siano i fattori immunologici in grado d’impedire l’infezione.
Silvestri – Io non sono particolarmente fiducioso, credo che ci vorranno almeno altri 15-20 anni. Ma certamente spero di sbagliarmi.
Cosa pensa dei periodici annunci di una cura? Crede possano far abbassare la guardia in termini di prevenzione?
Aiuti – Negli ultimi anni non mi sembra che ci siano stati annunci di possibilità di guarigione dalla malattia, ma solo di sua cronicizzazione. Credo che i giovani a causa della mancanza di campagne d’informazione non sappiano più nulla di questa patologia e non si proteggano a sufficienza. L’epidemia è stabile ma ogni anno in Italia ci sono 4000 nuove infezioni e solo a Roma circa 700. Una delle poche campagne nelle scuole è quella in corso proprio a Roma, ad opera del Comune e di 12 associazioni. Dai questionari proposti risulta una notevole disinformazione, addirittura solo il 20 per cento dei giovani usa il preservativo regolarmente nei rapporti sessuali, mentre, secondo un sondaggio dell’Anlaids il 22 per cento ritiene addirittura che sia già stato scoperto il vaccino contro l’Aids.
Silvestri – In generale non è mai una buona idea fare annunci “clamorosi” di cure o vaccini per l’Aids, perché questi provocano entusiasmi ingiustificati, seguiti inevitabilmente da grosse delusioni. Purtroppo a volte anche noi scienziati cadiamo nella tentazione dei “15 minuti di celebrità” ed è veramente un peccato che sia così.
Quali sono le aspettative del “vaccino Tat” dell’Istituto superiore di sanità (Iss)?
Aiuti – Il vaccino Tat ha avuto una storia travagliata e lunga, la prima sperimentazione nelle scimmie risale al 1999, la fase I nell’uomo (per testare la tolleranza dell’organismo) è terminata tra molte polemiche nel 2005 a causa di una prematura interruzione della sperimentazione e di variazioni al protocollo criticate dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). Se facciamo riferimento al vaccino preventivo Tat, cioè quello da utilizzare in persone sane, non mi risulta che abbia mai superato la fase I. Per quanto riguarda, invece, il vaccino Tat a uso terapeutico, in persone cioè già infette, la fase II in Italia è iniziata in circa 130 persone nell’agosto del 2008 e dopo quattro anni è stata pubblicata solo un’analisi ad interim a metà dello studio con dati per me incerti e non dimostrativi dell’efficacia terapeutica. In questa sperimentazione, eseguita in malati in terapia antivirale, risulta difficile separare gli effetti positivi del vaccino Tat da quelli indotti dai farmaci, anche perché i controlli non erano in contemporanea e in cieco (quando medico e paziente – doppio cieco – o solo quest’ultimo non conoscono la natura del farmaco testato), ma selezionati dai centri su base storica.
Silvestri – I dati iniziali sulle scimmie che sembravano promettenti non sono stati confermati e quelli sull’uomo mi sembrano finora poco convincenti. Concettualmente mi preoccupa il fatto che Tat sia una proteina in grado di assorbire mutazioni genetiche senza perdere funzioni, una qualità che la rende poco praticabile come target per un vaccino.
A quanto ammontano i costi di questa sperimentazione e quali sono i risultati già raggiunti?
Aiuti – Non conosco esattamente i finanziamenti impiegati per il vaccino Tat, ma in genere per una fase I sono necessari dai 3 ai 5 milioni di euro, per una fase II ne occorrono almeno 30 – 50, e ciò varia in base al numero delle persone arruolate, mentre per una eventuale fase III in volontari sani si stima almeno che ci vorrebbero dai 300 ai 500 milioni di euro, una cifra che solo le industrie farmaceutiche sono in grado d’investire. Quindi, dopo 13 anni dall’inizio della sperimentazione nelle scimmie del vaccino Tat dell’Iss non abbiamo ancora un vaccino preventivo, né un vaccino terapeutico e non mi risulta che le industrie farmaceutiche finora siano interessate alla sua eventuale produzione.
Silvestri – Sui costi non posso pronunciarmi perché non conosco i numeri esatti. Sui risultati ho alcuni dubbi.
È possibile sconfiggere l’Aids con un unico vaccino come per il vaiolo o la polio, oppure occorre un approccio diversificato come per l’influenza?
Aiuti – Purtroppo il modello di queste malattie sopra citate, come quello di morbillo, varicella, tetano o dell’influenza, non è efficace. Infatti, nell’infezione naturale da Hiv, pur formandosi anticorpi, questi non sono in grado di neutralizzare il virus e di eliminarlo dall’organismo, cioè non esiste un’immunità adottiva efficace. Ci sono alcune persone che non s’infettano nonostante l’esposizione, ma questo dipende da una caratteristica di ereditarietà genetica e non ambientale e ci sono altre persone, poche, che se s’infettano sopravvivono al virus, hanno una buona immunità e non si ammalano di Aids. Si stanno studiando queste persone per capire i meccanismi di difesa immune anti-Hiv e per cercare di sfruttarli ai fini di un vaccino. Tra questi sembrano avere importanza gli anticorpi diretti verso le regioni interne più conservate del virus, sulle quali si sta puntando per trovare un vaccino efficace.
Silvestri - Credo che la strada più promettente per generare un vaccino contro l’Aids sia quella percorsa da vari gruppi negli Usa, basata sullo sviluppo di prodotti (immunogeni) che stimolano la produzione di anticorpi capaci di neutralizzare il virus. Questi anticorpi esistono in natura (anche se vengono prodotti solo da una minoranza di pazienti) e, se presenti prima dell’infezione, proteggono in maniera molto efficace nel modello delle scimmie. La difficoltà sta nell’educare il sistema immunitario a produrre anticorpi con un vaccino. Questo è un problema biologico molto complesso. Però i recenti progressi nella conoscenza della struttura e funzione di questi anticorpi mi rendono cautamente ottimista.
La via del vaccino è risolutiva o esistono altre strade potenzialmente più efficaci?
Aiuti - Come per tutte le malattie infettive controllate o sconfitte, la strada del vaccino sarebbe quella vincente. Ma, fino a quando non ci sarà un vaccino efficace, è meglio puntare sulla terapia delle persone con infezione (chi prende i farmaci infetta poco le persone dopo i rapporti sessuali) e sulla informazione e prevenzione, cercando di cambiare i comportamenti a rischio e la sudditanza delle donne nei confronti dell’uomo nei rapporti sessuali.
Silvestri – Credo che la prevenzione dell’Hiv debba esplorare non solo il vaccino, ma anche interventi di tipo “microbicida”, e naturalmente continuare a fare prevenzione di tipo comportamentale (educazione, uso del preservativo, siringhe monouso, ecc).
Perché le scimmie infettate da un parente stretto dell’Hiv non si ammalano? È possibile replicare il fenomeno nell’uomo e sfruttarlo a scopo terapeutico?
Aiuti – Questo avviene solo per alcune specie di scimmie, mentre altre si ammalano e la differenza è rappresentata sia dal sistema immunitario più resistente che dalla minore virulenza del virus. Questo è vero anche per l’uomo. Infatti, il ceppo virale Hiv-2, diffuso solo in alcune regioni dell’Africa equatoriale occidentale è molto meno patogeno del virus Hiv-1.
Silvestri – Le scimmie africane infettate con Siv, una famiglia di virus molto simili all’Hiv, non si ammalano per due motivi collegati tra loro. Il primo è che il virus infetta prevalentemente dei sottogruppi delle cellule CD4 (il bersaglio dell’Hiv) che possono essere più facilmente rimpiazzati dal sistema immunitario, per cui l’organismo non ha necessità di aggredire il virus. Il secondo è che le scimmie africane hanno sviluppato dei meccanismi per evitare la cronica attivazione del sistema immunitario, che segue alla infezione da Hiv negli uomini e contribuisce alla progressione verso l’Aids. In pratica, è come se avessero trovato il modo di deviare il virus verso cellule poco importanti del sistema immunitario.
Qual è il segreto della strategia terapeutica adottata su Timothy Brown, considerato unico malato guarito dall’Aids? È riproducibile su altri pazienti ?
Aiuti – In realtà, non è proprio così. La guarigione clinica e l’assenza del virus nel sangue periferico o nel midollo non sono sufficienti a sostenere che la persona sia guarita, perché il virus potrebbe trovarsi in altri tessuti. Nel caso di questo paziente alcuni medici statunitensi hanno rilevato tracce di virus nell’intestino. Timothy Brown è stato trapiantato a Berlino con cellule di donatore con un sistema immunitario particolare, che rende queste cellule scarsamente infettabili dal virus Hiv per una mutazione al recettore del CCR5, una delle porte d’ingresso del virus. Ci sono, inoltre, altri due importanti fattori che rendono eccezionale l’evento e difficile la sua riproposizione: i donatori con queste caratteristiche immunologiche nella popolazione sono meno dell’1 per cento e in più c’è il grave rischio di usare il trapianto di midollo osseo tra persone non consanguinee e non compatibili, con il pericolo di rigetto o morte in oltre 2/3 dei casi.
Silvestri – Ci sono almeno due segreti. Avere fatto una terapia cosiddetta mielo-ablativa, che ha distrutto tutte o quasi le cellule latentemente infettate da Hiv, ed aver ricostruito il midollo con cellule provenienti da un donatore che aveva una rara variante genetica del recettore per Hiv (una molecola chiamata CCR5), che causa resistenza alla infezione. La riproducibilità di questo approccio è purtroppo molto limitata, visti i rischi connessi alla mieloablazione (che nel caso di Timothy Brown è stata fatta per trattare una leucemia) e la scarsità di donatori con questa variante speciale del gene CCR5.
Qual è lo stato della ricerca e della prevenzione in Italia?
Aiuti – Dopo un grande successo iniziale tra gli anni 90 e fino al 2005, quando l’Italia era tra le prime sei nazioni al mondo per pubblicazioni internazionali e per varie attività scientifiche, ora il nostro contributo è molto diminuito. Sia per lo sviluppo della ricerca scientifica in altri paesi come quelli appartenenti ai BRICS o del Sud est asiatico, sia per la diminuzione degli investimenti pubblici su questo settore negli ultimi anni, a causa della crisi.
Silvestri – Direi molto buono per la ricerca clinica, con area di eccellenza nel settore dello studio delle resistenze ai farmaci antivirali e dei meccanismi per cui certi pazienti rispondono meglio (o peggio) di altri alla terapia antiretrovirale. Mi sembra, invece, che la ricerca di base soffra, sia per la cronica mancanza di fondi, che per una serie di difficoltà “logistiche” nel far crescere una nuova generazione di ricercatori italiani che siano competitivi a livello internazionale.
NOI SIAMO LEGGENDA ... - Claudia Petrazzuolo
Fischia il vento …
La strada è bagnata; pozzanghere sparse determinano con un cammino labirintico l’andare verso una meta, la meta, a volte misconosciuta e porto di un futuro, che appena visibile all’orizzonte, appare, comunque, affaticante e disperante tanto più quanto più sembra possibile e prossimo il suo raggiungimento; scrosci di pioggia improvvisi ed inattesi di un’acqua ad ogni rovescio più sporca e puzzolente infradiciano i viandanti i cui ombrelli, fradici e lisi, non bastano più a proteggere contro cotanto e perverso accadere: il vento sibila tra i rami degli alberi, agli angoli delle strade, agli incroci possibili e spinge gli argonauti in viaggio ed alla ricerca del vello di una normale vita da uomini, ora lungo una direzione ora nell’altra.
urla la bufera …
Impietosa come una belva affamata la violenza dell’intorno si scatena nelle sue forme più bieche; rombi di tuono squassano l’aria mentre lontano nel cielo nuvole istituzionali si scontrano impavide, l’una a combattere e controbattere l’altra cercando un primato da “ colpo di coda “ quasi ad ipotecare non tanto il presente, con i cinque sensi avvertito, quanto quel domani sereno avvento sicuro dopo ogni tempesta. Fulmini violenti si scaricano su di un suolo martoriato e stanco ad illuminare percorsi possibili, ma otticamente e visibilmente in contrasto tra loro: a destra o a sinistra?, amletico dubbio di chi voglia salvarsi dalla furia degli elementi scatenati senza perdersi nel novero infinito dei sentieri immeritevoli dell’una e dell’altra parte .
scarpe rotte …
Seppure stanchi ed afflitti i viaggiatori scarpinano ed arrancano percorrendo vie scoscese impervie ed insicure; hanno abiti laceri e sporchi; sopportano l’afflizione di una fame crescente non solo fisica e oramai tediosa, ma anche intima e genitrice di un bisogno reale di aria pulita a rendere più dolce il respiro e l’andare del sangue nelle vene. A volte corrono nella speranza dell’arrivo vicino per poi fermarsi a pensare riflettendo sulla ennesima illusione di un inusitato sol dell’avvenire i cui bagliori accecanti sembravano il faro del porto dell’approdo poi rivelatosi ennesima sirena bugiarda ed incantatrice. Legati all’albero maestro i più forti continuano la pericolosa transumanza con la certezza di una speranza ultima a morire.
eppur bisogna andar …
Niente e nessuno li fermerà. Più duro sarà il percorso, più gli ostacoli incontrati, più i malfattori a contrastarne il cammino, più gli illusionisti ad incantarne il percorso, più i falsi profeti di un qualche idilliaco paradiso, più quelli che cadranno per strada, tanto più aumenterà il numero dei forti in cammino perché la luce del cuore e della ragione illumina ad ogni passo e passo dopo passo ciascuno si aggiunge ad ognuno e due diventano quattro e questi assommano ad otto così ad aumentare come in una progressione geometrica fino a diventare una moltitudine infinita, massa possente a distruggere e ricostruire ogni cosa al proprio passaggio: perché c’è un tempo per ogni cosa ed ogni cosa ha il suo tempo e dunque alla via così, fino all’approdo finale.
Avanti popolo, perché se non ora …,
QUANDO?!.
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