Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 6 novembre 2013
Cancellieri e caso Ligresti: quando in cella finì il marito del ministro. - Marco Lillo
Quando Anna Maria Cancellieri il 17 luglio ha telefonato alla compagna di Salvatore Ligresti, Gabriella Fragni, per darle solidarietà dopo gli arresti, forse avrà ripensato a una triste giornata di 32 anni fa. Quel giorno dell’autunno del 1981 a finire in carcere non era stato l’uomo di Gabriella ma il suo: Sebastiano Peluso, 75 anni, oggi in pensione, allora farmacista con una avviata attività in via Val di Sole 22. Sono storie di trentadue anni fa. Che però i vecchi abitanti del quartiere Vigentino, periferia sud di Milano, ricordano bene.
Quando Anna Maria Cancellieri risponde al messaggio inviato via sms il 21 agosto dallo zio di Giulia Maria Ligresti, probabilmente avrà tenuto bene in mente il comportamento del dottor Antonino Ligresti quando a trovarsi in condizione di debolezza era la famiglia Peluso.
Antonino Ligresti era un medico della mutua con studio anche lui in via Val di Sole. Nasce lì l’amicizia tra le due famiglie che abitavano in via Ripamonti, a poca distanza. Anna Maria e Sebastiano Peluso si sposano nel 1966. Due anni dopo nasce Piergiorgio, cinque anni dopo Peluso apre la farmacia a Milano. Nel 1977 i coniugi comprano casa al secondo piano di via Ripamonti 166 e firmano 59 milioni di vecchie lire di cambiali al proprietario, tutte pagate entro il 1982. In quegli anni i Peluso crescono e i Ligresti decollano. Già erano ricchi ma Antonino non guidava ancora un impero della sanità e il costruttore Salvatore non spadroneggiava su giornali, banche e assicurazioni.
Nuccio Peluso, nato in Libia e cresciuto in Sicilia come il medico Nino Ligresti, si vedevano sotto i portici di via Val di Sole e poi andavano a giocare a tennis insieme. Nel 1981 è la famiglia Peluso a essere scossa da un terremotto giudiziario: Sebastiano è arrestato nell’ottobre per lo “scandalo delle fustelle false”. Le cronache di allora raccontano che la truffa funzionava così: i medici compiacenti emettevano le ricette e i farmacisti applicavano le “fustelle” false. I talloncini, che teoricamente dovevano essere staccati dalle confezioni dei farmaci, erano invece fabbricati ad hoc da grossisti del falso e poi presentati all’incasso.
Nella retata furono arrestate 23 persone, al processo nel 1983 furono 94 gli imputati. Tra questi c’era anche Sebastiano Peluso che nel 1981 finì in carcere a Lodi. Solo per pochi giorni, poi il pm Armando Perrone e il giudice istruttore Elena Riva Crugnola si resero conto che la sua posizione era marginale. Anche se il pm Perrone nel 1982 iscrisse un’ipoteca giudiziale di 50 milioni di vecchie lire sulla casa di Anna Maria Cancellieri e Sebastiano Peluso per ottenere il pagamento delle spese legali del marito. Il processo penale si concluse nei vari gradi con una progressiva riduzione delle pene, per tutti gli imputati e per Peluso in particolare. “Alla fine in Cassazione fu condannato per un reato ridicolo, mi sembra fosse l’incauto acquisto”, ricorda un farmacista coimputato che è stato difeso dagli stessi legali dello studio Astolfi. Né lo studio né il ministro Cancellieri (contattata tramite il suo portavoce) hanno voluto fornire dettagli.
Bisogna affidarsi ai ricordi di alcuni arrestati, poi condannati con Peluso, che hanno accettato di parlare con Il Fatto. Ricordano bene le riunioni tra imputati nei retrobottega delle farmacie negli anni Ottanta per far fronte al vero rischio del procedimento: la decadenza della licenza da farmacista, con il suo valore. A quegli incontri talvolta si vedeva anche Anna Maria Cancellieri, che accompagnava il marito. Se è difficile ricostruire l’esito penale della posizione di Peluso, è più semplice sul piano amministrativo. Peluso e i suoi colleghi sono riusciti a evitare la decadenza dalla licenza di farmacista grazie a una sentenza del Consiglio di Stato del 2006 che ha ribaltato la sentenza di primo grado del Tar della Lombardia.
I farmacisti erano difesi dal professor Carlo Malinconico (poi ministro tecnico con Monti assieme alla Cancellieri, finito nei guai per le vacanze all’hotel Pellicano, pagate da Piscicelli e per l’inchiesta sul Sistri a Napoli) che riuscì a ottenere l’annullamento di un decreto del presidente della giunta lombarda del 1992 che aveva disposto la “decadenza sanzionatoria” dalla titolarità della farmacia. Secondo il decreto del presidente della Lombardia “tutti (i farmacisti, ndr) hanno acquistato medicinali a più riprese, a prezzi inferiori a quelli praticati dai produttori, con ‘fustelle segnaprezzo’ false”, con “reiterate irregolarità nella conduzione dell’esercizio”. Secondo il Consiglio di Stato però quel provvedimento era basato su una “formula generica” che non distingueva le responsabilità dei singoli farmacisti. Quindi non c’era alcuna ragione per disporre la decadenza della licenza per Peluso come per gli altri. I Ligresti però non hanno atteso il 2006 per assolvere e frequentare i Peluso. E per capire perché un ministro decide di telefonare a due magistrati mettendo a rischio una carriera politica con ambizioni illimitate dal Viminale al Quirinale, bisogna tornare alle sensazioni provate a ruoli invertiti 32 anni fa.
martedì 5 novembre 2013
Caso Ligresti: Anna Maria Cancellieri, un Guardasigilli ricattabile? - Peter Gomez
A dimostrazione di come in Italia, una volta toccato il fondo, sia sempre possibile mettersi a scavare arrivano le annunciate non dimissioni di Anna Maria Cancellieri. La ministra della Giustizia a poche ore dall’arresto di un noto pregiudicato per tangenti (don Salvatore Ligresti) ha telefonato alla sua compagna. E, dopo essersi scusata per non aver chiamato prima (il minimo, visto che lo storico mazzettaro era sotto inchiesta da mesi per falso in bilancio e aggiotaggio), ha espresso solidarietà alla donna. Poi, per la gioia degli azionisti della FonSai rovinati dalle scorribande dell’indagato e della sua famiglia, le ha ripetuto per due volte che quanto era accaduto non era “giusto”. Infine ha chiuso e ha detto: “Qualsiasi cosa io possa fare, conta su di me, non lo so cosa possa fare, però guarda son veramente dispiaciuta”.
In qualunque democrazia degna di questo nome una telefonata come questa sarebbe bastata da sola per spingere qualsiasi governo a dare alla Cancellieri il ben servito. Qui no. Nel Belpaese arriva invece la fiducia a prescindere ancor prima che la Guardasigilli chiarisca dettagliatamente in Parlamento i suoi rapporti con il pregiudicato.
Vedremo cosa accadrà alle Camere (poco immaginiamo). Per ora si può solo dire che, pure dopo le numerose interviste, i fati da spiegare restano ancora molti. Qualche esempio: don Salvatore era il proprietario della casa dove viveva e vive il figlio della ministra ed era l’azionista di maggioranza della società per cui il giovane manager lavorava (ne è uscito con una liquidazione da 3,6 milioni di euro). Tutto questo ha influito sulla decisione della Guardasigilli di chiamare una persona che non sentiva da mesi? E ancora: perché la Cancellieri dopo l’inchiesta Mani Pulite che aveva portato in carcere sia Salvatore che suo fratello Antonino (quest’ultimo ha confessato tangenti alla Guardia di Finanza per 150 milioni di lire) ha continuato a frequentarli? Era opportuno e giusto per un funzionario dello Stato?
Non pensa la ministra che così facendo ha permesso a don Salvatore di sostenere, in un interrogatorio di pochi mesi fa, di averla sponsorizzata con Silvio Berlusconi in occasione di un passaggio importante della sua carriera prefettizia? Affermazione che se è vera (ma lei smentisce) racconta come la Cancellieri avesse dei debiti di gratitudine nei confronti del pregiudicato siciliano. E che se è falsa conferma invece la grave imprudenza dimostrata nel coltivare l’amicizia con dei personaggi come i Ligresti e nel continuare a rivendicarla (“con Antonino abbiamo un rapporto trentennale”, dice ora).
Di tutto questo però in un paese messo in ginocchio dai tengo famiglia e degli amici degli amici si discute assai poco. Si sprecano invece gli elogi perché la Guardasigilli ha di fatto mantenuto la parola data alla compagna di don Salvatore: un mese dopo la telefonata del “conta su di me” la Cancellieri parla infatti con l’altro mazzettaro di famiglia (Antonino) e poi segnala alla direzione delle carceri le cattive condizioni di salute di una delle figlie di don Salvatore, Giulia, detenuta nonostante una fortissima anoressia e per questo poi scarcerata dalla magistratura.
Così oggi, con il sostegno di quasi tutte le larghe intese, la ministra ripete di essere orgogliosa di come si è comportata e spiega di essersi mossa solo per “umanità”, esattamente come aveva fatto con altri 110 carcerati. A suo dire il fatto che la procura di Torino abbia ricordato come la giovane Ligresti sia uscita di prigione senza che sui pm fossero avvenute pressioni di sorta, conferma la correttezza del suo operato.
L’autodifesa, va detto chiaro, è però solo una squallida furbata. È un inganno che finisce per infangare anche le parti buone della carriera – prima come prefetto e poi come governante – di Anna Maria Cancellieri. Ma c’è poco da stupirsi. Per preoccuparsi della propria reputazione è necessario averne una. Ma ormai la Guardasigilli dei Ligresti una reputazione non ce l’ha più.
In questa storia, infatti, il punto non sono i poteri del ministro che, come responsabile delle carceri, segnala ai vertici del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) i casi di detenuti a rischio di cui viene a conoscenza . In discussione ci sono invece i suoi doveri.
Un esponente di governo non telefona alla compagna di un pregiudicato appena riarrestato e men che meno si mette a disposizione. Se lo fa, immaginando oltretutto che la linea sia sotto controllo, accetta il rischio di infangare se stesso e l’istituzione che rappresenta. Un prefetto come la Cancellieri può benissimo essere amica e frequentare, senza saperlo, dei corruttori, ma quando scattano le manette e poi arrivano le condanne interrompe i rapporti. Oppure cambia mestiere.
Se non lo fa spalanca la porta a qualsiasi sospetto. Persino a quello infamante di essere in qualche modo ricattabile: o dai Ligresti o dal blocco di potere da sempre presente alle loro spalle. Se non tronca subito ogni relazione permette ai cittadini di pensare che anzi è stata messa lì proprio per quello. Seduta a Roma su una poltrona chiave, la Giustizia, che ora non per caso nessuno, o quasi, le vuole togliere.
DETERSIVO PER LA LAVATRICE FAI DA TE, FACILE ED ECONOMICO.
Ecco la mia ricetta per fare il detersivo casalingo che nulla ha da invidiare a quelli comperati al supermercato. Anzi, semmai il contrario…vista la differenza di prezzo!
Vi serve un bel pentolone grande, all’interno del quale dovrete riscaldare 4 lt di acqua, quasi fino all’ebollizione. Dopo aver spento il gas si aggiunge un sapone di marsiglia di qualsiasi marca vogliate (anche quello che costa poco va benissimo). Come? Grattugiatelo grossolanamente e buttatelo dentro l’acqua. Qualche istante e il sapone si dissolverà completamente. A questo punto aggiungete quattro cucchiai colmi di bicarbonato e….il gioco è fatto. Semplice, no?
Il consiglio che mi sento di darvi è di fare queste operazioni la sera, così da lasciare riposare il tutto la notte intera (con il coperchio sopra). La mattina poi frullate con un quasliasi mixer e otterrete un detersivo liquido in tutto e per tutto. Io normalmente lo imbottiglio nei bidoncini da 5 lt dell’acqua che utilizzo per il ferro da stiro.
Come lo utilizzo?
Di solito ne metto due cucchiai dentro la vaschetta dosatrice della lavatrice. Non solo pulisce che è una meraviglia ma inquina meno e non dà allergie alla pelle. Inoltre, se avete i bianchi (solo bianchi) provate a lasciarli in ammollo tutta la notte…la mattina continuate il lavaggio e vedrete! Vi usciranno bianchi come la carta, parola mia!
E per ammorbidente? Semplice, utilizzo solo l’aceto. Per farvi capire, io con una bottiglia di aceto da nemmeno 1 euro vado avanti una ventina di giorni.
Va bene sia per la biancheria bianca che colorata a qualsiasi temperatura. Ma uso l’aceto anche per il pavimento e per le superfici della cucina perchè è un antibatterico naturale!
Tornando al detersivo, tenete presente che il composto ottenuto diventa poi una poltiglia densa; quindi, quando lo mettete nella vaschetta del detersivo spingetelo dolcemente dentro altrimenti rimane intero e rischia di non scendere giù nel cestello.
Per chi invece vuole metterlo direttamente nell’oblò oppure ha la vaschetta dosatrice al suo interno, consiglio di mettere i soliti due cucchiai di detersivo dentro un bicchiere e diluirlo lì con dell’acqua tiepida; a questo punto, una volta mischiato il tutto, potrete versarlo nella vaschetta o direttamente nell’oblò.
Se vorrete usare anche l’aceto come ammorbidente naturale riempite normalmente fino al segnetto la vaschetta dell’ammorbidente e se volete un pò di profumo aggiungete due gocce di profumo naturale comperato nelle erboristerie.
Col sapone di marsiglia si può lavare la buccia della frutta meglio dell’Amuchina che è candeggina!!
Io ci pulisco il bagno, inumidendo prima la spugna, passandola poi sopra il panetto di sapone di marsiglia .. è fenomenale!
Prima spendevo un occhio della testa in detersivi, adesso solo 5 euro al mese!
Spero tanto di esservi stata utile,
Silvana Ticli, una Mammarisparmio come te!
Pubblicità ingannevole.
La Pianura Padana è una delle aree più inquinate d'Europa a causa delle cosiddette "polveri sottili", che derivano dai processi di combustione (attività industriali, inceneritori, centrali elettriche a biomassa) e sono estremamente pericolose, perché cancerogene.
(fonte: Legambiente)
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La Maddalena, il centro congressi del G8 è vuoto e cade già a pezzi.
La Maddalena, il centro congressi del G8 è vuoto e cade già a pezzi
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Gian Antonio Stella racconta sul Corriere della Sera dell'avveniristico Main Center della Maddalena, che "cade a pezzi". Le opere che solo quattro anni fa erano nuove di zecca sono in condizioni catastrofiche.
La Maddalena, il centro congressi del G8 è vuoto e cade già a pezzi
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http://www.today.it/rassegna/g8-la-maddalena-bonifica-edifici-abbandonati.html
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La Maddalena, il centro congressi del G8 è vuoto e cade già a pezzi
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La Maddalena, in Sardegna, doveva ospitare il G8 che Silvio Berlusconi decise di spostare a L'Aquila dopo il terremoto del 2009.
Il centro congressi del G8 è nuovo e già perde pezzi. Doveva rilanciare La Maddalena, dopo 4 anni è vuoto. Prima tirata a lucido in abito da festa e poi, dopo il G8 fantasma traslocato all'Aquila, lasciata sola con il suo sogno infranto e i suoi cocci da raccogliere.
Gian Antonio Stella racconta sul Corriere della Sera dell'avveniristico Main Center, che "cade a pezzi". Le opere che solo quattro anni fa erano nuove di zecca sono in condizioni catastrofiche. L’area delegati ha delle parti di tetto strappate dal vento. Le colonne degli antichi depositi dell’arsenale sono già arrugginite dopo un restauro costosissimo.
La beffa più amara è che la Regione Sardegna deve pagare per la struttura quattrocento mila euro l’anno di Imu.
Cadono a pezzi, solo quattro anni dopo, le costosissime strutture costruite per il G8 poi spostato all’Aquila. E i soldi dati ieri per finire la bonifica, potete scommetterci, non basteranno.Sono 11 milioni e rotti, i nuovi stanziamenti decisi dal ministero dell’Ambiente e dalla Regione Sardegna per completare il risanamento «dello specchio acqueo antistante l’ex Arsenale militare di La Maddalena».
Il problema è che secondo l’inchiesta sulla «bonifica fantasma» (avvisi di indagini concluse sono stati inviati a 17 indagati eccellenti, da Bertolaso a Balducci) l’area con fanghi neri impregnati di idrocarburi lasciati dai vecchi insediamenti militari è di dodici ettari, non sei: Il doppio di quanto si pensasse. I periti della magistratura dicono che per la bonifica servono almeno 19 milioni. I maddalenini non hanno più fiducia in nessuno. Si sentono traditi.
Alla Maddalena, giurava Silvio Berlusconi nel dicembre di cinque anni fa, «è stata fatta la più grande bonifica ambientale mai fatta in Italia in modo che l’isola diverrà un’attrazione turistica assolutamente all’avanguardia». E il governo assicurava, sfidando la Ue che avrebbe aperto una procedura d’infrazione su tutte le violazioni delle regole, che i lavori per il G8 sarebbero stati fatti «nel massimo rispetto ambientale». E ancora tre giorni prima del terremoto all’Aquila che avrebbe spinto il Cavaliere a mollare l’arcipelago, Bertolaso affermava: «Abbiamo bonificato una zona inquinata in un parco nazionale, abbiamo portato le barche dove c’erano i sommergibili e ora garantiamo l’occupazione a un migliaio di persone». Sì, ciao… Mai vista un’assunzione.
La bonifica che venne fatta all'epoca non servì non solo a rimuovere il divieto di balneazione, ma nemmeno quello di navigazione e di ancoraggio. Fabrizio Gatti scriveva sull'Espresso: "Un porto turistico costato complessivamente 377 milioni di euro pubblici nel quale yacht, barche e gommoni non possono attraccare".
Scrive ancora Stella:
Quello che più fa salire il sangue al cervello è però l’edificio futuristico del «Main Center» che doveva ospitare le personalità più illustri del mondo e che si protende sull’acqua del bacino. Le spettacolari vetrate sui fianchi erano coperte da una specie di alveare, un grande merletto di vetro e acciaio voluto per dare insieme un po’ d’ombra e insieme trasparenza, stanno giorno dopo giorno sgretolandosi. «Uno schifo», si sfoga l’architetto Stefano Boeri, autore del progetto, «Lo vedo e sto male. Sono pazzi a lasciarlo finire così».
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