sabato 20 febbraio 2016

Il nuovo attacco a efficienza e fotovoltaico nascosto nel Milleproroghe.



Una norma della legge di conversione dal decreto dispone che gli oneri di sistema per tutti gli utenti non domestici vengano spostati, almeno in parte, dalla componente variabile a quella fissa della bolletta. Una riforma che penalizzerebbe autoproduzione e risparmio energetico.

Tra le varie novità in arrivo per il mondo dell'energia, con la conversione in legge del decreto Milleproroghe, ce n'è una che porterà un danno alle imprese che investono o hanno investito per risparmiare energia elettrica o per prodursela in casa, magari con un impianto fotovoltaico o un cogeneratore.
La versione della legge di conversione arrivata al Senato (in allegato in basso) dispone che gli oneri di sistema per tutti gli utenti non domestici (e non solo per quelli in alta e altissima tensione come nella versione del decreto della quale avevamo scritto) vengano spostati almeno, in parte, dalla componente variabile a quella fissa.
Alla lettera b, comma 2 dell'articolo 3 del testo all'esame del Senato, infatti, si dà mandato all'Autorità per l'Energia “ad adeguare, con decorrenza dal 1° gennaio 2016, in tutto il territorio nazionale, la struttura delle componenti tariffarie relative agli oneri generali di sistema elettrico applicate ai clienti dei servizi elettrici per usi diversi da quelli domestici ai criteri che governano la tariffa di rete per i servizi di trasmissione, distribuzione e misura in vigore alla medesima data, tenendo comunque conto dei diversi livelli di tensione e dei parametri di connessione, oltre che della diversa natura e delle peculiarità degli oneri rispetto alla tariffa”.
Tradotto: l'Autorità dovrà far sì che gli utenti non domestici paghino gli oneri di sistema in bolletta nello stesso modo in cui pagano i costi di rete, ossia in parte sulle componenti fisse e in parte su quella variabile.
Quando la riforma sarà completata, per le aziende ridurre i prelievi dalla rete con efficienza e/o autoproduzione in loco sarà certamente meno convenienteguadagna l’utente che consuma più energia prelevata dalla rete e perde l’utente che ne consuma meno, perché i costi fissi sono indipendenti dal consumo di energia prelevata dalla rete.
Quanto cambieranno i conti per le aziende dipenderà dall'entità dello spostamento, ma è difficile non vedere nella nuova norma l'ennesimo attacco a generazione distribuita e autoconsumo.
"Una nuova tegola contro le numerose imprese che hanno investito nella produzione e nell'autoconsumo di energia in gran parte da fonte rinnovabile. Con questo provvedimento si favoriranno i produttori e i distributori di energia elettrica da fonti fossili e, conseguentemente, le emissioni in atmosfera causa principale dello smog, degli effetti del cambiamento climatico e dei pericoli verso la salute dei cittadini", denuncia il Senatore M5S Gianni Girotto.
Girotto e altri colleghi hanno presentato un emendamento per stralciare la disposizione (allegato in basso), nel quale si prevede che almeno il 75% degli oneri debba continuare ad essere proporzionale ai prelievi dalla rete e che i costi di rete debbano comunque avere una componente commisurata al consumo di energia.
Desta perplessità anche il fatto che una misura del genere sia stata inserita in un provvedimento come il Milleproroghe: “La misura, oltre che essere in contrasto con la normativa europea per diversi aspetti, appare discutibile perché è stata introdotta d’imperio in un provvedimento avente finalità del tutto diverse - il Milleproroghe - attraverso lo strumento del Decreto Legge, senza che risultino esserci le relative esigenze di urgenza e senza che la maggior parte degli operatori interessati si siano resi conto di tale norma, alla quale non è stata data alcuna pubblicità”, commenta l'avvocato Emilio Sani.
Gli fa eco Girotto: "Abbiamo sollevato in Commissione Affari Costituzionali gli aspetti che inquadrano la norma, tra l'altro pure estranea al provvedimento in oggetto, e al novero degli elementi che un decreto legge potrebbe prendere in considerazione. Si presenta, infatti, del tutto incoerente col Milleproroghe non essendo riferito ad alcun termine da prorogare, e manca completamente dei requisiti di necessità e urgenza richiesti dall'articolo 76 della Costituzione".
Secondo Italia Solare, che scrive sulla questione anche al Presidente della Repubblica Mattarella, in sede di conversione il Governo non ha stralciato tale norma come avrebbe dovuto doverosamente fare, ma addirittura ne ha esteso la portata alle tariffe elettriche su tutti i livelli di tensione anche in mancanza di un qualsiasi effettivo contraddittorio parlamentare. Con questa norma - commentano dall'associazione - si sgancia il costo dell’elettricità rispetto al consumo di elettricità e si mina gravemente la convenienza di interventi di efficienza energetica e di autoproduzione, che andrebbero invece incentivati.
“Includere in un decreto legge sul quale verrà chiesta la fiducia, scelte chiave di politica energetica per le quali non vi è alcuna necessità e urgenza è una grave violazione delle prerogative del Parlamento e un assalto alla Costituzione, oltre che, nel merito, l’ennesima dimostrazione che il Governo Renzi si preoccupa solo ed esclusivamente degli interessi delle lobby dell’energia da fonte fossile continuando a penalizzare rinnovabili, fotovoltaico in primis, ed efficienza energetica”, ha detto Paolo Rocco Visocntini, presidente di Italia Solare.

Corte dei Conti incrina le certezze di Renzi sulla finanza pubblica. "Il quadro è cambiato, il futuro è incerto". - Carlo Renda

CORTE CONTI

Il quadro è cambiato "bruscamente", ora il futuro è di nuovo incerto. 
Il risanamento della finanza pubblica resta "impegnativo", anche perché i margini di flessibilità "sono esauriti", la spending review non produce risultati positivi e mancano investimenti pubblici che stimolino la crescita. Lo afferma il presidente della Corte dei Conti, Raffaele Squitieri, aprendo l'Anno Giudiziario 2016, in una relazione che evidenzia i timori sul risanamento della finanza pubblica, legate da un lato alla frenata nella riduzione del deficit e dall'altro dall'insuccesso delle strategie di riduzione della spesa.
QUADRO CAMBIATO, FUTURO INCERTO. Il 2015 "si era aperto con prospettive straordinariamente favorevoli per le economie europee", proprio "un anno fa, in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario", ma "il quadro è cambiato, piuttosto bruscamente, fin dall'estate scorsa, generando nuovamente incertezza sul futuro". La "combinazione sfavorevole" di crescita debole e inflazione quasi a zero penalizza particolarmente l'Italia, impegnata in uno sforzo di risanamento dei conti pubblici. Raffaele Squitieri sottolinea che l'incertezza "sì è accentuata in queste ultime settimane per i timori del ripetersi di scenari che sembravano superati di forti tensioni sui mercati. In una fase così delicata per il nostro paese, è fondamentale fornire impulso alla crescita e all'occupazione, pur nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica". Allo stesso modo è importante "rinsaldare la fiducia nello stato e la credibilità del paese".
FLESSIBILITÀ ESAURITA "I margini di flessibilità acquisiti in sede europea sono interamente utilizzati nella manovra di finanza pubblica per il 2016" ha notato il presidente della magistratura contabile, "in tal modo si mantiene il profilo discendente del deficit dei conti pubblici che, tuttavia, assume una cadenza più rallentata. Una scelta che assegna un ruolo importante alla maggiore espansione del prodotto nominale". Secondo i magistrati, "per i prossimi anni il profilo programmatico di riequilibrio della finanza pubblica resta impegnativo"
SERVONO INVESTIMENTI PUBBLICI NELLE OPERE "Recuperare adeguati livelli di intervento pubblico nel campo delle opere non rappresenta solo una condizione chiave per il rispetto della clausola europea sugli investimenti richiesta dal Governo, ma costituisce anche e soprattutto la condizione per ottenere adeguati livelli di crescita, riassorbendo un ritardo nelle dotazioni infrastrutturali che rischia di incidere sul potenziale competitivo del paese".
BOCCIATA LA SPENDING REVIEW . La strategia di riduzione della spesa pubblica ha riportato "un parziale insuccesso imputabile a una non ottimale costruzione di basi conoscitive". Secondo la Corte dei Conti, che entro marzo stilerà un rapporto per il Parlamento, "dai tagli è derivato un progressivo offuscamento delle caratteristiche dei servizi che il cittadino può e deve aspettarsi dall'intervento pubblico cui è chiamato a contribuire". Squitieri sottolinea che "i margini di risparmio lato spese potrebbero rivelarsi limitati, in un quadro di finanza pubblica che impone ancora di trovare spazi di correzioni non marginali della spesa, anche allo scopo di affrontare la questione complessa del carico fiscale".
SANITÀ COMPROMESSA DAI TAGLI. "Al netto di quanto destinato alla spesa sanitaria, si evidenzia come il progressivo taglio delle risorse disponibili si sia tradotto in una modifica di rilievo delle funzioni svolte, con caratteristiche diverse tra Regioni, e come ciò stia progressivamente portando a delineare particolari modelli territoriali e diversità d'acesso dei cittadini ai servizi" ha detto la Corte dei Conti.
LEGGI COMPLESSE, ILLEGALITÀ DIFFUSA. "Le illegalità trovano nella complessità e nella moltiplicazione delle leggi spazi più fertili per fare presa piuttosto che presidi od ostacoli al loro diffondersi" afferma il presidente della Corte dei Conti. "L'efficiente funzionamento della macchina della giustizia, quale strumento principe di contrasto delle illegalità, costituisce un elemento decisivo per contribuire allo sviluppo e alla crescita del Paese", spiega. "Occorrono a tal fine norme chiare e non stratificate in apparati complicati, alla cui mancanza spesso deve supplire l'impegno dei magistrati nell'individuare soluzioni, anche organizzative, atte a rendere più snella e rapida l'applicazione processuale".
CRITICITÀ SULLE SOCIETÀ PARTECIPATE. La Corte dei Conti torna ad affrontare il tema delle società partecipate, citando alcuni dati: meno del 20% dei Comuni ha dichiarato di non possedere partecipazioni; di queste, poco più di un terzo riguarda i servizi pubblici locali, pur rappresentando una parte significativa del valore della produzione (più del 70% dell'importo complessivo); netta è la prevalenza degli affidamenti in house, essendo risultato irrisorio il numero di servizi affidati con gara (meno di 100 a impresa terza e 400 a società mista su un totale di 26 mila). La magistratura contabile torna a chiedere perciò "di sopperire a lacune che provocano incertezze e oscillazioni giurisprudenziali". Dunque, di intestare la giurisdizione in materia in via esclusiva alla Corte.

venerdì 19 febbraio 2016

Dal divano al freezer, tutti i nascondigli delle tangenti.




Da Duilio Poggiolini che, negli anni di Tangentopoli, imbottiva il pouf di casa con milioni di lire, passando per il funzionario di Caltanissetta che nel 2010 nascose 10mila euro in un vassoio di cassate, fino ai soldi trovati nel freezer di Fabio Rizzi: la storia della corruzione in Italia è anche una storia di luoghi "insoliti" per occultare le mazzette

http://video.sky.it/news/cronaca/dal_divano_al_freezer_tutti_i_nascondigli_delle_tangenti/v271982.vid

Frutti e fioriture di febbraio.




By Cetta.

Quel furbetto di Giorgio Napolitano beccato dal M5S, anche Grasso sgomento.





Ex Pip assunti nelle aziende senza saperlo. Maxitruffa in Sicilia. -




L'Inps sta passando al setaccio le posizioni di decine di lavoratori precari.

PALERMO.  Assunti in ditte a Salerno, a Crotone, a Genova, a Taranto ma senza aver mai lavorato e ritrovandosi con richieste di disoccupazione mai presentate incompatibili col sussidio di cui sono beneficiari e che ora rischiano di perdere. A essere coinvolti, in quella che si profila come una maxi truffa, sono un centinaio di persone, precari siciliani appartenenti al bacino dei cosiddetti "ex Pip", che ricevono il sussidio pubblico di 830 euro al mese: negli archivi informatici dell'Inps risultano inquadrati da almeno un anno con contratti a tempo pieno in aziende del Mezzogiorno e del Nord Italia.
Una vicenda intricata esplosa in queste ore dopo che una donna consultando il proprio profilo contributivo nel sito dell'Istituto ha scoperto di risultare assunta in una ditta campana. Gli uffici dell'Inps di Palermo, presi d'assalto da un gruppo di precari che chiede spiegazioni, stanno cercando di capirne di più.
L'Inps sta passando al setaccio le posizioni di decine di lavoratori precari. "Abbiamo ricevuto un centinaio di segnalazioni di assunzioni sospette o fantasma, stiamo verificando. Al momento la situazione è confusa, possiamo fare delle ipotesi ma meglio non azzardare. Certamente non sarebbe conveniente per il lavoratore fingere un'assunzione per avere la disoccupazione dato che è chiaro che perderebbe il diritto a rimanere nel bacino degli ex Pip e dunque il sussidio".
Lo spiegano all'ANSA fonti dell'Inps a proposito della presunta truffa che coinvolgerebbe un centinaio di precari con assunzioni fantasma in aziende della Campania, della Calabria e di alle regioni d'Italia. Anche sull'eventuale connivenza da parte delle ditte, l'Inps è cauta: "Bisogna appurare chi trarrebbe vantaggio da questa vicenda e come".
La donna che ha sollevato il caso dice: «Non ho mai firmato contratti e non conosco questa azienda, che comunque esiste perchè ho verificato». «Qualcuno - aggiunge - si è impadronito dei nostri dati sensibili, girandoli a una serie di ditte. Non ho mai lavorato per questa azienda e non ho mai chiesto la disoccupazione, nonostante l'Inps me la stesse per accreditare».
I precari coinvolti nella presunta truffa adesso rischiano di perdere il sussidio, l'Inps inoltre sarebbe pronta a chiedere indietro la disoccupazione che ad alcuni di questi precari sarebbe già stata pagata. Nella vicenda, secondo le prime valutazioni dell'Istituto, sarebbero coinvolti alcuni patronati che avrebbero presentato le richieste di disoccupazione per conto dei lavoratori che si dicono ignari di tutto.
"Ho guadagnato 1.300 euro al mese, per un lavoro da impiegata in una ditta della provincia di Salerno con un contratto della durata di 51 settimane. Solo che io non ho mai firmato quel contratto, non conosco quella azienda, non ho visto neppure un euro, ora rischio di perdere il sussidio e in più devo pagare tasse per un reddito mai percepito".
A raccontarlo all'ANSA è uno dei circa 150 precari ex Pip coinvolti in una presunta truffa sulla quale stanno cercando di fare chiarezza gli uffici dell'Inps di Palermo che stanno monitorando diversi casi di assunzioni fantasma. "Controllando la mia posizione Inps - spiega la donna precaria - ho scoperto anche che risulto domiciliata a Bologna, ma io non ci sono mai stata. Hanno usato i miei dati, vorrei capire come è stato possibile. Sono sconvolta e disperata".
Il deputato regionale di Forza Italia, Vincenzo Figuccia, stamani s'è presentato all'Inps con una delegazione di precari per chiedere chiarimenti. «I precari sono stati truffati, bisogna fare subito chiarezza su questa squallida vicenda», afferma Figuccia. Il parlamentare ha subito contattato la dirigente del dipartimento Lavoro della Regione siciliana, Maria Antonietta Bullara. Anche la Regione sta cercando di capire cosa sia successo. I dati sensibili dei precari, infatti, sono custoditi negli archivi informatici del dipartimento e in quelli dell'Inps. Chi e come è riuscito a impadronirsene - è la domanda che si pongono i lavoratori precari - e chi ha guadagnato da questa vicenda?

mercoledì 17 febbraio 2016

ECCO L’IMPERO IMMOBILIARE DI NAPOLITANO. - Franco Bechis


Giorgio Napolitano si è giocato buona parte degli stipendi che i contribuenti italiani gli hanno erogato nella sua lunghissima carriera politica e istituzionale sul mattone. E non ha sbagliato: il suo primo investimento oggi si è moltiplicato quattro volte e mezzo di valore, nonostante la crisi del mercato immobiliare degli ultimi anni. Secondo le valutazioni di mercato oggi i mattoni di Napolitano (condivisi con la moglie Clio Bittoni) oscillano fra i 2,1 e i 2,6 milioni di euro di quotazione.
L’ultimo investimento è anche il più recente: i coniugi Napolitano hanno acquistato l’8 novembre 2012 (dopo un preliminare di vendita firmato il 20 luglio dello stesso anno) un appartamento al terzo piano di via dei Serpenti nel quartiere Monti - dove ora sono tornati a vivere - perfettamente identico a quello che già possedevano da decenni nello stesso immobile al piano terra: entrambi sono di sei vani. A venderglielo poco prima che scadesse il primo mandato alla presidenza della Repubblica, lo svizzero Mario Busetto e altri 11 comproprietari delle famiglie Persico, Maceratesi e Bertinetti. Non è noto il prezzo, perchè non indicato nell’atto sintetico depositato. Così come non è noto quanto fu pagato il villino con pertinenze che i coniugi Napolitano possiedono in una via privata all’imbocco di Capalbio, il paese della Maremma da sempre buen retiro della sinistra italiana.
Le quotazioni – L’ultimo acquisto in via dei Serpenti però è identico al primo, avvenuto nel lontano 1980. Allora i Napolitano pagarono quell’appartamento 100 milioni di lire alla Pars Italia spa. Secondo il calcolatore Istat che rivaluta le somme, sarebbero 243.767 euro di oggi. Ma oggi quell’appartamento viene valutato in una forchetta che oscilla fra 889.200 e 1.138.000 euro a seconda dello stato dell’immobile (ottimo): l’investimento si è quindi più che quadruplicato. I Napolitano hanno un fiuto particolare per gli affari immobiliari. Ed è una fortuna: perchè il valore degli immobili posseduti dai coniugi oggi è pari a quasi la metà degli stipendi ricevuti da Napolitano in tutta la sua vita politica.
Presidente della Repubblica “Re Giorgio” lo è stato per otto anni e otto mesi, ricevendo uno stipendio netto complessivo più o meno uguale al valore dell’ultimo appartamento acquistato: 1.094.391 euro. Non avendo sostanzialmente avuto spese (vitto e alloggio erano assicurati dalla funzione per i coniugi, così come ogni spostamento), saranno stati davvero messi da parte. Nel resto della vita Napolitano ha sempre ricevuto stipendio base e rimborsi spese dai contribuenti italiani, salvo che nel lustro 1963-1968, quando rimase fuori dal Parlamento e si occupò del suo partito: membro del comitato centrale del Pci e segretario regionale della Campania. Napolitano è stato invece 27 anni e 11 mesi deputato, e 5 anni senatore della Repubblica (anche adesso lo è, essendo senatore a vita).
In contemporanea (con il doppio mandato) è stato dieci anni europarlamentare e 2 anni ministro. Ha ricevuto stipendi da parlamentare (senza calcolare le indennità extra) per 2,5 milioni di euro netti. E in più ha percepito 1,8 milioni di euro di diaria per rimborso spese per il soggiorno a Roma (che lui non aveva, abitando nella capitale) che sono diventate altro stipendio netto non tassato. In tutto fanno 5.471.891 euro netti, a cui aggiungere le eventuali somme percepite per rimborso spese di segreteria, non spese e quindi andate a cumularsi anche esse allo stipendio netto, come è malcostume accada da sempre nel mondo politico.