sabato 12 agosto 2017

Sulle pensioni anche la mina perequazione. - Davide Colombo

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Tra le incognite d’autunno che possono condizionare dimensioni e contenuti della manovra non c’è solo la questione dell’adeguamento o meno dei requisiti di pensionamento alla speranza di vita. Sul tavolo c’è anche il nodo dell’indicizzazione delle pensioni all’inflazione, tema in discussione al tavolo governo-sindacati (se ne parlerà giovedì 7 settembre) ma sul quale grava la pesante attesa della Consulta. Il 24 ottobre, infatti, saranno discusse le questioni di costituzionalità delle regole sulla perequazione messe a punto dal governo Renzi con il decreto legge 65/2015 in risposta alla bocciatura delle norme precedenti, arrivata sempre dalla Corte costituzionale con la famosa sentenza 70/2015. E come nel caso degli adeguamenti automatici, anche la soluzione sulle perequazioni rischia di innescare nuova spesa previdenziale.

Stop alle indicizzazioni.
Per capire la posta in gioco bisogna tornare alla riforma Monti-Fornero (dl 201/2011), quando si decise non solo il definitivo passaggio al contributivo per tutti e l’innalzamento dei requisiti ma anche, con una norma transitoria, di bloccare parzialmente l’adeguamento all’inflazione degli assegni già in pagamento. Nel 2012 e nel 2013 venne così riconosciuto l’adeguamento pieno solo per le pensioni di importo fino a 3 volte il trattamento minimo, mentre nulla è stato pagato per gli importi superiori. Con la sentenza 70, la Corte ha dichiarato illegittima questa norma innescando una mina per i conti pubblici, dato che il costo di un pieno riconoscimento, a posteriori, della mancata perequazione venne stimato in 24 miliardi di euro. Di fronte a questo scenario il governo, nella primavera di due anni fa, ha varato il decreto 65/2017, con cui è stato introdotto un nuovo meccanismo di perequazione riferito al biennio 2012-2013 che ha stabilito un adeguamento al 100% per gli assegni fino a 3 volte il minimo; del 40% tra 3 e 4 volte; del 20% tra 4 e 5; del 10% tra 5 e 6; nullo per importi oltre sei volte il minimo. Inoltre è stato definito un meccanismo di “consolidamento” parziale degli effetti di tali arretrati negli anni seguenti. Costo dell’operazione “solo” 2,8 miliardi di maggiore spesa previdenziale. 
Ovviamente chi è rimasto escluso ha fatto ricorso in tribunale e in diversi casi sono state poste questioni di legittimità costituzionale sia sul biennio di mancata perequazione sia sul cosiddetto “mancato trascinamento” sul periodo 2014-2018, ritenuto penalizzante per gli importi più elevati. Il 24 ottobre il giudice delle leggi dovrà discutere una dozzina di ordinanze che puntano, a vario titolo, a smantellare la soluzione low cost del decreto legge 65/2015. L’esito è tutt’altro che scontato.

Il confronto sindacale.
L’attuale meccanismo di indicizzazione è oggetto, come si diceva, della “fase due” del confronto sindacale. L’impegno del governo è di introdurre un sistema di perequazione basato sugli “scaglioni di importo” e non più sulle “fasce di importo” a partire dal 2019, lo stesso anno in cui scatterebbe il nuovo adeguamento alla speranza di vita dei requisiti di pensionamento.In pratica si tornerebbe al meccanismo previsto dalla legge 388 del 2000. Ma nel protocollo siglato l’anno scorso si parla anche della possibilità di valutare l’utilizzo di indici diversi di inflazione, più rappresentativi della spesa dei pensionati, e non manca l’ipotesi di un recupero di parte della mancata indicizzazione passata per una rivalutazione “una tantum” del montante del 2019

Spesa per pensioni e inflazione.
L’Italia non è l’unico paese in cui le leve della riduzione o del differimento dell’indicizzazione delle pensioni sono state utilizzate per mitigare la spesa. Basta uno sguardo agli ultimi rapporti Ocse per scoprire che in almeno altri dieci paesi dell’area, negli ultimi anni, i meccanismi di perequazione sono stati toccati, ridotti o temporaneamente congelati. La ragione è sempre la stessa: tenere bassa la traiettoria di una spesa in costante crescita. Gli interventi sono stati dei più vari, calibrati tenendo conto sia delle esigenze di sostenibilità finanziaria dei sistemi previdenziali sia della dovuta protezione del potere di acquisto di pensioni.


L’adeguamento negli altri Paesi.
Vediamo qualche esempio recente. In Francia nel 2014 l’adeguamento delle prestazioni all’indice dei prezzi è stato spostato dal mese di aprile a ottobre per le pensioni che sono sopra i 1.200 euro al mese, mentre in Grecia il congelamento delle indicizzazioni è iniziato nel 2011 ed è durato quattro anni. In Giappone nel 2015 è stato chiuso un temporaneo stop delle indicizzazioni, mentre in altri Paesi gli interventi sono stati di più lungo termine, con la scelta di indicizzare le pensioni non più ai salari ma ai prezzi o a coefficienti che contengono un mix di inflazione e salari. È il caso dell’Ungheria (dal 2012) o della Repubblica di Slovenia (dal 2013 al 2017) mentre in Australia è previsto il passaggio all’indicizzazione all’inflazione e non più agli stipendi a partire dal 2017. In Finlandia nel 2015 l’indicizzazione è stata temperata, passando da un fattore dell’1% a uno dello 0,4%, un “fattore di riduzione” degli adeguamenti è stato introdotto anche in Lussemburgo nel 2013 e in Polonia nel 2012 mentre meccanismi di riduzione degli adeguamenti per le pensioni di vecchiaia e invalidità sono stati varati nella Repubblica Ceca nel 2012 per una durata prevista fino alla fine del 2015. In Spagna, infine, l’indicizzazione è stata calibrata anche sulla base dei contributi versati ed ogni cinque anni, a partire dal 2019, gli assegni saranno adeguati anche sulla base dell’aspettativa di vita.

Monte dei Paschi di Siena, lo Stato è ufficialmente il socio di maggioranza assoluta con il 53%.

Monte dei Paschi di Siena, lo Stato è ufficialmente il socio di maggioranza assoluta con il 53%

L’assegno da 3,85 miliardi di euro staccato dal Tesoro nei giorni scorsi ha portato Roma a controllare la banca. E la partecipazione potrebbe salire fino al 70 per cento.


Il Monte dei Paschi è di Roma. Alla vigilia dell’approvazione di un bilancio semestrale che evidenzierà in rosso per circa 3 miliardi di euro, l’istituto senese ha ufficializzato la sua nuova composizione sociale, frutto della ricapitalizzazione precauzionale che ha evitato il crac. E così l’assegno da 3,85 miliardi di euro staccato dallo Stato nei giorni scorsi ha portato Roma a controllare la banca, con una quota del 53,5 per cento. Altri 4,5 miliardi sono arrivati dagli obbligazionisti subordinati coinvolti nella conversione dei loro titoli in azioni, il burden sharing, “che risultano integralmente sottoscritte”.
Il capitale di Siena adesso ammonta a 15,7 miliardi di euro, contro i 7,3 miliardi della vecchia Mps, ed è suddiviso in circa 1,14 miliardi di azioni: 593,8 milioni sono dello Stato, 517 milioni sono in mano ai titolari di bond convertiti, le restanti sono perlopiù azioni proprie del gruppo Montepaschi. La quota pubblica in Mps è comunque destinata a salire: il Tesoro ha messo a disposizione altri 1,5 miliardi di euro per acquistare quelle azioni, frutto della conversione dei bond, che i titolari vorranno scambiare con titoli più sicuri. A seconda del grado di adesione a questa opzione – i risparmiatori coinvolti sono un massimo di 40mila – la partecipazione dello Stato in Mps potrebbe salire fino al 70 per cento.
Quanto ai conti, la perdita da 3 miliardi di euro che il consiglio di amministrazione si appresta ad approvare è legata sopratutto al buco da 3,9 miliardi di euro provocato dalla cessione al 21% del pacchetto da 28,6 miliardi di sofferenze lorde, con il conseguente bagno di realtà sulle scritture contabili.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/08/10/monte-dei-paschi-di-siena-lo-stato-e-ufficialmente-il-socio-di-maggioranza-assoluta-con-il-53/3788202/

Visto che siamo soci di maggioranza dovremmo nominare un presidente del CdA che tuteli i nostri interessi....lo stato siamo noi....

Primi respingimenti in Libia Fermati in mare 800 migranti. - Valentina Raffa



Sono stati arrestati dalla Marina libica. Missione italiana, il governo assicura: nessuna minaccia. 

È l'inizio di una nuova era? Guardia costiera e marina militare libiche hanno raggiunto in mare e bloccato diversi gommoni stracolmi di migranti che erano diretti verso le coste italiane o magari, visto l'andazzo degli ultimi tempi, speravano di potere essere trasbordati su qualche nave dei soccorritori per essere poi condotti nel Belpaese.
Secondo quanto riferisce il portavoce della Marina militare libica, Ayoub Qassem, i migranti sono stati riportati sulla terraferma per venire consegnati all'organismo di lotta alla migrazione clandestina. Sono 826, tra cui anche bambini, di nazionalità libica, marocchina, tunisina, algerina, sudanese, siriana e dei Paesi subshariani. Viaggiavano su tre gommoni e due barche in legno. Di questi, 464 sono stati recuperati dalla guardia costiera di Zawia a bordo di due barconi. In un'altra operazione i guardiacoste di Sabrata hanno fermato 360 persone su dei gommoni. Giovedì hanno recuperato 128 immigrati a nord di Sabrata, venerdì la Guardia costiera di Misurata ne ha riportati in patria 43. Pare dunque che qualcosa si sia messa in moto e che finalmente le acque libiche siano pattugliate per impedire i viaggi della speranza.
Intanto procede apparentemente senza problemi la fase preliminare di ricognizione del pattugliatore «Comandante Borsini» della Marina militare italiana nelle acque territoriali libiche nel quadro di una missione «bilaterale e su richiesta delle stesse autorità libiche» dicono fonti di governo italiane. «Non c'è sentore di minaccia» malgrado le dichiarazioni belliche dei giorni scorsi del generale Khalifa Haftar, rivale del premier libico Fayez al-Sarraj riconosciuto dalla comunità internazionale, e del vice presidente del Consiglio presidenziale libico, Fathi Majburi, che continuano a osteggiare la missione bilaterale volta a stroncare il traffico di esseri umani.
Così, mentre prosegue il confronto tra le autorità militari italiane e libiche per trovare un punto d'accordo su come e quando operare, e si sta decidendo l'area da pattugliare e i mezzi da utilizzare, Al-Mejbari prende le distanze dall'autorizzazione data da al Sarraj alla missione navale italiana, che - come riporta il sito della Tv LibyaChannel - rappresenta «un'infrazione esplicita dell'accordo politico» e delle sue clausole, in particolare quelle relative alla «sovranità della Libia». Al Mejbari ha sottolineato come la decisione di al Sarraj «non esprime né la volontà dell'intero Consiglio presidenziale né tantomeno del governo di intesa». Così chiede all'Italia di «cessare immediatamente la violazione della sovranità della Libia, di rispettare gli accordi internazionali, di mantenere delle relazioni di buon vicinato e di rispettare gli accordi in vigore tra i due Paesi». E ha lanciato un appello alla comunità internazionale e al Consiglio di Sicurezza Onu di «esprimersi riguardo alla violazione» e alla Lega Araba e all'Unione Africana di condannare la violazione.
Intanto a Tripoli, dove era in visita per la prima volta, ieri l'inviato delle Nazioni Unite in Libia, Ghassan Salamé, che ha assunto il suo incarico lo scorso 22 giugno, ha incontrato al Sarraj, e il ministro degli Esteri, Mohamad al Taher Siala. «Assumo il mio ruolo con il più grande rispetto per la sovranità nazionale, l'indipendenza e l'unità della Libia. Abbiamo avuto un incontro costruttivo sulle sfide economiche, politiche e di sicurezza - ha detto - Abbiamo convenuto sull'urgenza di porre fine alle sofferenze del popolo libico».

L’arroganza delle Ong è il modo peggiore per aiutare i migranti. - Fulvio Scaglione

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Sono 9 le ONG che hanno navi base sul Mediterraneo, e solo una al Viminale ha firmato il codice presentato dai funzionari del Ministero, e mentre l'Europa "discute" del problema l'Italia è l'unica a occuparsene. Gli altri? Ancora fermi ai loro discorsi "umanitari".


Per carità. Chiunque abbia fatto il giornalista in giro per il mondo ha un debito di riconoscenza con una qualche Ong. Per un aiuto insperato, una “dritta” in un Paese complicato, un buon consiglio, un passaggio prezioso in auto o in aereo, anche solo un pasto caldo e una risata in un giorno freddo e triste. Ma di fronte a quanto sta avvenendo tra le nove Ong che agiscono nel Mediterraneo per la salvezza dei migranti e le autorità italiane, viene crudamente da chiedersi: ma chi credono di essere?

Ricapitoliamo. Il ministero degli Interni ha elaborato un codice di condotta teso non a impedire le operazioni di soccorso ma piuttosto a regolamentarle e a coordinarle al meglio con le esigenze dello Stato italiano, ovvero dell’organismo che si fa carico non solo dell’emergenza in mare ma anche di tutto il resto. Dove “tutto” vuol dire proprio tutto: accoglienza dei migranti, censimento, verifiche legate ai problema della sicurezza, rapporti con altri Paesi europei dove la gran parte dei migranti vorrebbe in realtà recarsi.

Il risultato è stato questo: delle nove Ong che hanno navi nel Mediterraneo (cioè Moas, Seawatch, Sos Mediteranée, Sea Eye, Medici senza Frontiere, Proactiva Open Armas, Life Boat, Jugend Rettet, Boat Refugee e Save the Children), sei non si sono presentate alla riunione con i funzionari del Ministero. Delle tre presenti, solo una, Save the Children, ha firmato il codice. Le altre due, Medici senza Frontiere e Jugend Rettet, l’hanno respinto. Delle sei assenti, il Moas maltese ha fatto sapere di voler firmare. La spagnola Proactive Open Arms ha fatto sapere che firmerà solo se nel codice sarà evidenziato un qualche impegno a proteggere i diritti umani dei migranti eventualmente riportati in Libia.

Il codice proposto dal Ministero, diciamolo chiaro, è di fatto simbolico. Consta di 13 punti e quasi tutti hanno influenza zero sulle attività delle Ong. Basta confrontarli con quanto Medici senza Frontiere, la capofila dei renitenti, già afferma di fare durante le proprie operazioni. Il codice chiede di non entrare nelle acque territoriali libiche e MsF dice che non lo fa, così come già non fa tutte le altre cose che il Ministero chiede di non fare: non fa comunicazioni per agevolare la partenza dei barconi dalla Libia nè spegne o ritarda la trasmissione dei segnali di identificazione. In compenso, sempre stando a MsF, sono applicate tutte le buone pratiche richieste dal Ministero: non si trasferiscono i migranti a bordo di altre navi se non “su richiesta del Centro di coordinamento del soccorso marittimo”, che viene tenuto sempre al corrente dell’andamento delle operazioni di soccorso e delle azioni intraprese.

Con questo abbiamo già fatto fuori una decina degli articoli del codice. Il problema, quindi, deve stare negli articoli rimanenti. Che chiedono di: “Informare il proprio Stato di bandiera quando un soccorso avviene al di fuori di una zona di ricerca ufficialmente istituita” (art.5); “Ricevere a bordo, eventualmente e per il tempo strettamente necessario, funzionari di polizia giudiziaria che possano raccogliere prove finalizzate alle indagini sul traffico” (art.7); “Dichiarare le fonti di finanziamento alle autorità dello Stato in cui l’Ong è stata registrata”. Davvero, come ripete Medici senza Frontiere, è un ostacolo insormontabile avere a bordo, “eventualmente e per il tempo strettamente necessario”, un funzionario di polizia con l’arma di ordinanza? Sono, queste, condizioni capestro, tali da impedire il salvataggio di chi rischia la vita sui barconi? Per nulla. E con lo stesso rispetto con cui ho tante volte raccontato le buone azioni delle Ong in giro per il mondo, ma con un poco meno di ammirazione, giudico la mancata firma del codice un segnale di sconvolgente presunzione.

Nessuna Ong, quindi, può sostenere che lo Stato italiano non si preoccupi della salvezza dei migranti. Chiunque invece può notare che lo Stato italiano, attraverso il suo Governo, non solo se ne preoccupa (i dati lo dimostrano) ma se ne preoccupa anche per conto di tutto il resto dell’Unione Europea, che invece se ne frega.
Intanto va detta una cosa. Le navi delle Ong salvano tante vite ma pur sempre una minoranza delle vite che vengono ogni giorno salvate. Nel 2016, le Ong hanno soccorso circa 47 mila persone, mentre i soli militari italiani (Guardia costiera, Guardia di finanza, Marina militare, Carabinieri) ne hanno messe in salvo quasi 74 mila, alle quali vanno aggiunte le 7.500 delle unità militari estere, le quasi 23 mila della missione Eunavfor Med, le quasi 14 mila di Frontex e le quasi 15 mila delle navi mercantili di passaggio. Negli ultimi quattro anni, le navi delle Ong (intervenute per la prima volta nell’agosto 2014) hanno soccorso 68.309 persone. La Guardia costiera italiana 77.216, la Marina militare 154.400, la Guardia di finanza 13.500. Per non parlare degli altri.
 
In più, lo stesso Governo cerca per quanto può di trovare il modo di disciplinare i flussi, di dar loro un ritmo più sostenibile, insomma di uscire dall’emergenza del giorno per giorno, regolata solo dalle condizioni meteorologiche e dalle trame dei trafficanti di esseri umani, che è la causa principale delle morti in mare.

Ecco quindi i tentativi di coinvolgere altri Paesi europei, chiedendo loro di mettere a disposizione i porti. Ecco le trattative con il Governo della Libia, per coordinare con esso la gestione dei migranti e il pattugliamento delle coste. Il nostro Governo è debole, e qualche volta pure indeciso. Ma dobbiamo riconoscergli un’onestà d’intenti e una correttezza di fondo che infatti sono diventate il principale bersaglio dei siluri di chi, invece, dovrebbe darci una mano. Basta vedere le ultime iniziative del presidente francese Macron, le dichiarazioni di quello ungherese Orban, le proposte dell’Austria e le sempre deludenti risposte dell’Europa per capire che con Roma bisognerebbe collaborare, non polemizzare. Soprattutto se si ha a cuore la sicurezza dei migranti.

Ignorare tutto questo o, peggio ancora, entrare pretestuosamente in contrasto con l’unico Paese che dei migranti si occupa seriamente e davvero, cioè l’Italia, è un atto di arroganza e presunzione. Ma non solo. È anche il cascame di quella politica della “ingerenza umanitaria” delineata negli Usa ai tempi della presidenza Carter (1977-1981) ma poi compiutamente affermatasi negli anni Novanta dopo il crollo del Muro di Berlino. L’idea, tanto cara agli americani, era che i singoli Stati fossero ormai delle variabili dipendenti dalla volontà delle grandi potenze, pronte a prendere su di sé la funzione di supreme regolatrici dell’ordine mondiale. Da allora, al mondo anglosassone, è bastato mettere l’etichetta di “umanitario” per sentirsi autorizzato a qualunque impresa, anche la più ipocrita, sballata e sanguinosa.

Ovviamente non è questo il pensiero delle Ong. Ma quel certo senso di onnipotenza che a volte le anima deriva da quel modo di pensare. Mentre la crisi drammatica che da anni si svolge nel Mediterraneo dimostra proprio il contrario. Che i singoli Stati contano, eccome. Che smantellarli, come è stato fatto con la Libia nel 2011, con l’Iraq nel 2003 e come si è cercato di fare con la Siria, proprio in nome di quel presunto “ordine superiore”, è una tragedia. Che non aiutarli, come invece si fa con l’Italia, è l’esatto contrario dello spirito umanitario di cui tanto si parla. E che invece fare politica, attività peraltro non estranea alle grandi Ong, può servire ad aiutare l’umanità più bisognosa.

domenica 6 agosto 2017

Adesso l'Anac inguaia la Consip: "Gara truccata per 2,7 miliardi". - Luca Romano



Secondo l'Anac guidata da Raffaele Cantone, l'appalto di 2,7 miliardi di euro per la gestione dei servizi della pubblica amministrazione potrebbe essere stato truccato.

Colpo di scena nel caso Consip. Secondo l'Anac guidata da Raffaele Cantone, l'appalto di 2,7 miliardi di euro per la gestione dei servizi della pubblica amministrazione potrebbe essere stato truccato.

E di fatto l'Anac, come rirporta il Corriere, sottolinea un presunto accordo d cartello tra le imprese concorrenti. Il dossiere adesso arriverà sui tavoli della Procura di Roma che è titolare dell'inchiesta per cui è finito in carcere l'imprenditore Alfredo Romeo e sotto indagine Tiziano Renzi e Carlo Russo. Questi ultimi due sono indagati per traffico di influenze illecite. E nella stessa inchiesta sono conincolti anche Luca Lotti, ministro dello sport, e il comandante dei carabinieri Tullio Del Sette con il generale Saltalamacchia.
Ora nell'indagine si apre un nuovo filone che mette nel mirino i vertici della "centrale acquisti". Bisognerà definire il loro ruolo nella spartizione tra le aziende delle commesse. Inoltre nel corso delle verifiche sull’appalto Fm4, Anac ha valutato anche la posizione della Manital, un'azienda esclusa dalla gara dopo aver vinto quattro lotti. Ad escluderla dalla gara una contestazione fiscale. Poi il ricorso al Tar. Secondo l'Anac l'esclusione dell'azienda dalla gara "presenta ripetute omissioni in materia di verifica, e l’avvio della procedura che determinò l’esclusione viene definito "irrituale". insomma a quanto pare il caso Consip non è del tutto chiuso. E adesso il nuovo filone delle indagini alla luce della relazione dell'Anac potrebbe avere nuovi colpi di scena.

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/adesso-lanac-inguaia-consip-gara-truccata-27-miliardi-1428758.html

Primi respingimenti in Libia Fermati in mare 800 migranti. - Valentina Raffa



Sono stati arrestati dalla Marina libica. Missione italiana, il governo assicura: nessuna minaccia.

È l'inizio di una nuova era? Guardia costiera e marina militare libiche hanno raggiunto in mare e bloccato diversi gommoni stracolmi di migranti che erano diretti verso le coste italiane o magari, visto l'andazzo degli ultimi tempi, speravano di potere essere trasbordati su qualche nave dei soccorritori per essere poi condotti nel Belpaese.
Secondo quanto riferisce il portavoce della Marina militare libica, Ayoub Qassem, i migranti sono stati riportati sulla terraferma per venire consegnati all'organismo di lotta alla migrazione clandestina. Sono 826, tra cui anche bambini, di nazionalità libica, marocchina, tunisina, algerina, sudanese, siriana e dei Paesi subshariani. Viaggiavano su tre gommoni e due barche in legno. Di questi, 464 sono stati recuperati dalla guardia costiera di Zawia a bordo di due barconi. In un'altra operazione i guardiacoste di Sabrata hanno fermato 360 persone su dei gommoni. Giovedì hanno recuperato 128 immigrati a nord di Sabrata, venerdì la Guardia costiera di Misurata ne ha riportati in patria 43. Pare dunque che qualcosa si sia messa in moto e che finalmente le acque libiche siano pattugliate per impedire i viaggi della speranza.
Intanto procede apparentemente senza problemi la fase preliminare di ricognizione del pattugliatore «Comandante Borsini» della Marina militare italiana nelle acque territoriali libiche nel quadro di una missione «bilaterale e su richiesta delle stesse autorità libiche» dicono fonti di governo italiane. «Non c'è sentore di minaccia» malgrado le dichiarazioni belliche dei giorni scorsi del generale Khalifa Haftar, rivale del premier libico Fayez al-Sarraj riconosciuto dalla comunità internazionale, e del vice presidente del Consiglio presidenziale libico, Fathi Majburi, che continuano a osteggiare la missione bilaterale volta a stroncare il traffico di esseri umani.
Così, mentre prosegue il confronto tra le autorità militari italiane e libiche per trovare un punto d'accordo su come e quando operare, e si sta decidendo l'area da pattugliare e i mezzi da utilizzare, Al-Mejbari prende le distanze dall'autorizzazione data da al Sarraj alla missione navale italiana, che - come riporta il sito della Tv LibyaChannel - rappresenta «un'infrazione esplicita dell'accordo politico» e delle sue clausole, in particolare quelle relative alla «sovranità della Libia». Al Mejbari ha sottolineato come la decisione di al Sarraj «non esprime né la volontà dell'intero Consiglio presidenziale né tantomeno del governo di intesa». Così chiede all'Italia di «cessare immediatamente la violazione della sovranità della Libia, di rispettare gli accordi internazionali, di mantenere delle relazioni di buon vicinato e di rispettare gli accordi in vigore tra i due Paesi». E ha lanciato un appello alla comunità internazionale e al Consiglio di Sicurezza Onu di «esprimersi riguardo alla violazione» e alla Lega Araba e all'Unione Africana di condannare la violazione.
Intanto a Tripoli, dove era in visita per la prima volta, ieri l'inviato delle Nazioni Unite in Libia, Ghassan Salamé, che ha assunto il suo incarico lo scorso 22 giugno, ha incontrato al Sarraj, e il ministro degli Esteri, Mohamad al Taher Siala. «Assumo il mio ruolo con il più grande rispetto per la sovranità nazionale, l'indipendenza e l'unità della Libia. Abbiamo avuto un incontro costruttivo sulle sfide economiche, politiche e di sicurezza - ha detto - Abbiamo convenuto sull'urgenza di porre fine alle sofferenze del popolo libico».

Hiroshima, 72 anni da disastro nucleare.

 © EPA


50mila nel Parco della Pace.

Circa 50mila persone si sono radunate nel parco della Pace di Hiroshima per commemorare il 72esimo anniversario del bombardamento atomico sulla città a ovest del Giappone. Insieme a loro rappresentanti di 80 nazioni e una delegazione degli 'Hibakusha', i sopravvissuti al disastro nucleare, la cui età media supera di poco gli 81 anni.
Alle 8:15 il rintocco della campana ha scandito il minuto di silenzio, nell'ora esatta di quel 6 agosto del 1945 in cui l'ordigno atomico fu sganciato dal bombardiere americano, provocando 140.000 morti. Una seconda bomba venne lanciata su Nagasaki il 9 agosto, decretando di fatto la fine della Seconda guerra mondiale in coincidenza della resa incondizionata del Giappone nei 6 giorni successivi. Il sindaco della città di Hiroshima, Kazumi Matsui, nel tradizionale discorso ha fatto un riferimento al trattato Onu che proibisce l'uso delle armi atomiche, firmato da 122 paesi ma non dalle potenze nucleari come gli Usa - che hanno boicottato i negoziati - e dallo stesso Giappone.