venerdì 15 febbraio 2019

Affamare il Venezuela fino alla sottomissione. - Israel Shamir



Ma come siete di buon cuore! Ho versato una lacrima pensando alla generosità americana. “Una montagna di deliziose leccornie: sacchi di riso, tonno in scatola e biscotti ricchi di proteine, farina di mais, lenticchie e pasta, il tutto arrivato al confine di un Venezuela in difficoltà; abbastanza roba per un pasto leggero a testa per cinquemila persone,” dicono gli organi di informazione, con sublime riferimento a quei cinquemila che erano stati sfamati dai pesci e dai pani di Gesù Cristo. C’è da dire però che Gesù non ha mai messo mano nei conti bancari e non ha mai rubato l’oro di quelli che aveva nutrito. Ma il Venezuela del 21° secolo è molto più prospero della Galilea del 1° secolo. Oggigiorno devi organizzare un embargo, se vuoi che le persone ti siano grate per il tuo aiuto umanitario.
Questo non è un problema. La coppia Stati Uniti-Regno Unito l’ha fatto in Iraq, come aveva scritto nell’aprile del 2000 il meraviglioso Arundhati Roy (sul Guardian dei vecchi tempi, prima che diventasse uno strumento dell’imperialismo): dopo che l’Iraq era stato messo in ginocchio, la sua popolazione stava morendo di fame, mezzo milione dei suoi bambini erano stati uccisi, le sue infrastrutture gravemente danneggiate … l’embargo e la guerra erano stati seguiti da … avete indovinato! Aiuti umanitari. All’inizio hanno bloccato forniture di cibo per miliardi di dollari, e poi hanno fatto arrivare 450 tonnellate di aiuti umanitari e hanno celebrato la loro generosità con giorni interi di trasmissioni televisive in diretta. L’Iraq aveva le risorse economiche necessarie per comprare tutto il cibo di cui aveva bisogno, ma era stato sottoposto ad embargo, e la sua popolazione aveva ricevuto solo un po’ di briciole.
E questo era stato abbastanza umano, almeno per gli standard americani. Nel 18° secolo, i coloni britannici del Nord America avevano usato metodi assai più drastici, mentre dispensavano aiuti ai nativi disobbedienti. I pellerossa erano stati espulsi dalle loro terre natie, e poi erano stati forniti di aiuti umanitari: whisky e coperte. Le coperte erano state precedentemente utilizzate da pazienti ammalati di vaiolo. La popolazione nativa del Nord America era stata in questo modo decimata dalle conseguenti epidemie e da altre misure simili. Probabilmente non avrete sentito parlare di questo capitolo della vostra storia: gli Stati Uniti hanno molti musei dell’Olocausto ma non un solo memoriale per un genocidio accaduto vicino a casa. È molto più divertente discutere delle colpe dei Tedeschi e dei Turchi che di quelle dei propri antenati.
All’inizio, si affama la gente, poi le si fanno arrivare gli aiuti umanitari. Una cosa del genere era stata proposta da John McNaughton al Pentagono: bombardare dighe e chiuse, inondare le coltivazioni di riso, procurare una carestia generale (oltre un milione di morti?) “e poi faremo arrivare aiuti umanitari ai Vietnamiti affamati.”  Oppure, “potremmo offrirci di farlo al tavolo delle trattative.” Pianificare un milione di morti per fame, e metterlo per iscritto: se un appunto del genere fosse stato trovato fra le macerie del Terzo Reich, l’episodio sarebbe stato definito un genocidio e se ne sarebbe parlato tutti i giorni. Ma la storia del genocidio dei Vietnamiti, oggigiorno, viene raramente menzionata.
Lo hanno fatto anche in Siria. All’inizio hanno dato armi a tutti gli estremisti mussulmani, poi hanno messo sotto embargo Damasco e infine hanno inviato aiuti umanitari, ma solo nelle aree sotto il controllo dei ribelli.
Questo crudele ma efficace metodo per spezzare lo spirito delle nazioni è stato sviluppato per anni, forse per secoli, dai domatori di leoni. Devi far morire di fame la bestia fino a quando non prenderà il cibo dalle tue mani e ti leccherà le dita. “Addomesticamento da fame,”  lo chiamano.
Gli Israeliani lo praticano a Gaza. Bloccano tutte le esportazioni o le importazioni dalla Striscia, vietano la pesca nel Mediterraneo e alimentano, goccia a goccia, con “aiuti umanitari” i Palestinesi intrappolati. Gli Ebrei, essendo Ebrei, sono riusciti a fare ancora meglio: hanno costretto l’Unione Europea a pagare per gli aiuti umanitari a Gaza, che devono necessariamente essere acquistati in Israele. Tutto questo ha reso Gaza un’importante fonte di profitto per lo stato ebraico.
E così in Venezuela seguono la vecchia sceneggiatura. Gli Stati Uniti e il loro cagnolino londinese hanno sequestrato oltre 20 miliardi di dollari dal Venezuela e dalle compagnie nazionali venezuelane. Hanno rubato oltre un miliardo in lingotti d’oro che il Venezuela aveva fiduciosamente depositato nei forzieri della Banca d’Inghilterra.
Beh, hanno detto che magari daranno questi soldi ad un Signor Nessuno venezuelano. Ad un tizio che ha già promesso di regalare le ricchezze del Venezuela alle multinazionali statunitensi. E dopo questo palese furto, faranno arrivare al confine alcuni container di aiuti umanitari e aspetteranno l’assalto al cibo da parte dei poveri Venezuelani.
Il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha twittato: “Il popolo venezuelano ha disperatamente bisogno di aiuti umanitari. Gli Stati Uniti e gli altri paesi stanno cercando di dare una mano, ma le forze armate venezuelane, agli ordini di Maduro, stanno bloccando gli aiuti con camion e navi cisterna. Il regime di Maduro deve LASCIARE CHE I SOCCORSI RAGGIUNGANO LE PERSONE CHE STANNO MORENDO DI FAME.”
I Venezuelani non stanno morendo di fame, anche se stanno attraversando delle difficoltà. Quelli che alzano di più la voce sono i ricchi, come sempre. Se Pompeo vuole aiutare i Venezuelani, potrebbe revocare le sanzioni, restituire i fondi rubati, annullare l’embargo. I biscotti che vuole mandare servono poco o  niente.
Il presidente Maduro ha ragione quando si rifiuta di permettere che questa ipocrisia corrompa lo stomaco e il cuore della sua gente. Non si limita a ricordare Virgilio e a conoscere il detto: Timeo danaos et dona ferentes, Temo i Greci anche quando portano doni. Ci sono troppi soldati americani e colombiani nelle vicinanze del luogo previsto per la consegna [degli aiuti] e questo posto è sospettosamente vicino ad un aeroporto con una pista molto lunga, perfetta per un ponte aereo.
Gli Stati Uniti sono noti per la loro propensione ad invadere i loro vicini: Panama è stata invasa nel 1989 per far sì che il Canale di Panama rimanesse in mani americane e per ripristinare l’accordo firmato da Jimmy Carter, il presidente dal cuore d’oro. Il presidente George Bush Senior aveva mandato i paracadutisti, dopo aver definito il presidente di Panama “un dittatore e un contrabbandiere di cocaina”. Questo è esattamente ciò che il presidente Trump dice del presidente del Venezuela.
È probabile che [gli Americani] si servano di questi aiuti per invadere e sottomettere il Venezuela. Saggiamente, Maduro ha dato inizio a grandi esercitazioni militari per tenere pronto l’esercito per un’eventuale invasione. La situazione del Venezuela è già abbastanza grave anche senza un’invasione. I suoi soldi sono stati prelevati, la sua principale compagnia petrolifera è come se fosse stata confiscata e c’è una forte quinta colonna a Caracas che attende gli Yankees.
Questa quinta colonna è composta principalmente da compradors, giovani benestanti con un’infarinatura di educazione e  formazione occidentale, che pensano di poter avere un futuro nell’ambito dell’Impero Americano. Sono pronti a tradire le masse dei poveri e a dare il benvenuto alle truppe statunitensi. Sono sostenuti dai super-ricchi, dai rappresentanti delle multinazionali straniere, dai servizi segreti occidentali. Persone di questo genere esistono ovunque; hanno cercato di organizzare la rivoluzione di Gucci in Libano, la Rivoluzione Verde in Iran, il Maidan in Ucraina. In Russia avevano avuto la loro occasione nell’inverno del 2011/2012, quando c’era stata la Rivoluzione delle Pellicce di Visone nella Piazza Bolotnaya di Mosca.
A Mosca avevano perso quando i loro avversari, quelli di Prima la Russia, li avevano surclassati con una manifestazione infinitamente più grande sulla collina Poklonnaya. Le agenzie di stampa occidentali avevano cercato di coprire la sconfitta trasmettendo immagini della marcia dei sostenitori di Putin, facendo finta che si trattasse della manifestazione filo-occidentale. Altre agenzie occidentali avevano pubblicato  foto dei raduni del 1991, affermando che erano state scattate nel 2012 a Piazza Bolotnaya. A Mosca nessuno era stato ingannato: la folla con le pellicce di visone sapeva di essere stata battuta.
In Ucraina, hanno vinto, perchè il presidente Yanukovich, un uomo titubante e pusillanime, sempre con i piedi in due scarpe, non era riuscito a raccogliere un sostegno adeguato. È una bella domanda, se Maduro sarà in grado di mobilitare le masse di Prima il Venezuela. Se lo sarà, allora avrà vinto anche lo scontro con gli Stati Uniti.
Maduro è piuttosto titubante; non ha messo in riga gli oligarchi ribelli, non controlla i media, prova a giocare alla social-democrazia in un paese che non è neanche lontanamente la Svezia. I suoi sussidi hanno permesso alla gente comune di sfuggire ad una terribile povertà, ma ora vengono usati dai trafficanti del mercato nero per succhiar via la ricchezza della nazione. Lungi dall’essere una zona disastrata, il Venezuela è un vero Bonanza, un Klondike a tutti gli effetti: si può riempire di petrolio una nave cisterna per pochi centesimi, contrabbandarla nella vicina Colombia e venderla a prezzo di mercato. Molti sostenitori del Signor Nessuno hanno fatto piccole fortune in questo modo e sperano di realizzare l’affare del secolo, se e quando arriveranno gli Americani.
Un problema più grande è costituito dal fatto che il Venezuela è diventato un’economia da monocultura: esporta petrolio e importa tutto il resto. Non produce nemmeno il cibo sufficiente per nutrire i suoi 35 milioni di abitanti. Il Venezuela è una vittima della dottrina neoliberale secondo cui si può comprare tutto quello che non si può produrre. Ora non possono comprare e non producono. Immaginate una democratica Arabia Saudita colpita da embargo.
Per salvare l’economia, Maduro dovrebbe prosciugare la palude, dare un taglio al mercato nero e agli speculatori, incoraggiare l’agricoltura, tassare i ricchi, sviluppare qualche industria per il mercato locale. Si può fare. Il Venezuela non è una nazione socialista come la disciplinata Cuba, e neanche uno stato socialdemocratico come la Svezia o l’Inghilterra degli anni ’70, ma persino il suo modesto esempio, che aveva permesso alle masse di sollevarsi dalla miseria, dalla povertà e dall’ignoranza sembra eccessivo per l’Occidente.
Si dice spesso che in Occidente esistono due antagonisti, i populisti e i globalisti, e che il presidente Trump è il leader dei populisti. La crisi del Venezuela ha dimostrato che queste due forze si unificano se c’è la possibilità di attaccare e rapinare un paese esterno. Trump viene condannato in patria quando richiama le truppe dall’Afghanistan o dalla Siria, ma viene appoggiato quando minaccia il Venezuela o la Corea del Nord. Può essere sicuro che sarà acclamato da Macron e dalla Merkel e persino dal Washington Post e dal New York Times.
Lui ha le vere WMD, le armi di ‘distrazione’ massa, per attaccare il Venezuela, e queste WMD sono state attivate con l’inizio di un colpo di stato strisciante. Quando un giovane politico piuttosto sconosciuto, leader in parlamento di una piccola fazione neoliberale rabbiosamente filo-americana, il Signor Nessuno, ha rivendicato il titolo di presidente, è stato immediatamente riconosciuto da Trump e i media occidentali hanno riferito che il popolo del Venezuela era sceso in piazza in dimostrazioni di massa per salutare il nuovo presidente e chiedere la rimozione di Maduro.
Hanno trasmesso il filmato di un’enorme manifestazione a Caracas, in Venezuela. Non molti spettatori all’estero hanno notato che il video era vecchio, girato durante le dimostrazioni del 2016, ma i Venezuelani se ne sono accorti subito. Non si sono fatti ingannare. Sapevano che non c’era nessuna possibilità per una grande manifestazione di protesta in quel giorno, il giorno di una partita di baseball particolarmente importante nel campionato professionisti tra i Leones di Caracas e i Cardenales de Lara di Barquisimeto.
Ma le ADM hanno continuato a mentire. Ecco un articolo di Moon of Alabama: i resoconti di grandi raduni anti-governativi sono notizie false o profezie che sperano di avverarsi:
L’Agenzia France-Press ha dichiarato ieri alle 11:10 utc che “a decine di migliaia” si uniranno ad una manifestazione.
AFP news agency @AFP – 11:10 utc – 2 Feb 2019
Decine di migliaia di manifestanti si riverseranno nelle strade della capitale venezuelana #Caracas sabato per sostenere le richieste di elezioni anticipate del leader dell’opposizione Juan Guaidò mentre aumentano le pressioni internazionali affinché il presidente #Maduro si dimetta http://u.afp.com/Jouu
Tens of thousands of protesters are set to pour onto the streets of Venezuela’s capital #Caracas Saturday to back opposition leader Juan Guaido’s calls for early elections as international pressure increased on President #Maduro to step downhttps://t.co/3uRSRdBBy5 pic.twitter.com/9Z80EuMVZc
— AFP news agency (@AFP) February 2, 2019
Questo quando erano le 7:10, ora locale, a Caracas, diverse ore prima dell’inizio della manifestazione. Una simile “segnalazione predittiva” dovrebbe ora essere una “notizia.”Poco dopo l’AFP aveva postato un video:
AFP news agency @AFP – 15:50 utc – 2 Feb 2019″>
VIDEO: Migliaia di manifestanti dell’opposizione si riversano nelle strade di Caracas per sostenere il leader dell’opposizione del Venezuela, Juan #Guaidò, che chiede elezioni anticipate, mentre aumentano le pressioni internazionali affinché il presidente #Maduro si dimetta
VIDEO: 🇻🇪 Thousands of opposition protesters pour onto the streets of Caracas to back Venezuela’s opposition leader Juan #Guaidò who is calling for early elections, as international pressure increases on President Nicolas #Maduro to step down pic.twitter.com/JdWS12j9KJ
— AFP news agency (@AFP) February 2, 2019
Erano le 11:50, ora locale. Il video allegato non mostrava “migliaia di persone,” ma circa 200 individui che gironzolavano.
Mentono quando dicono che ci sono disertori dell’esercito che desiderano ardentemente uno scontro con i militari. I giovanotti fatti vedere dalla CNN non erano disertori e non vivevano in Venezuela. Persino le loro mostrine d’ordinanza erano di un tipo non più in uso da anni, come aveva fatto notare un nostro amico, The Saker.
In ogni caso, queste menzogne non serviranno a nulla, i miei corrispondenti a Caracas riferiscono che ci sono dimostrazioni a favore e contro il governo (per Maduro folle leggermente più numerose), ma i sentimenti della piazza non sono esasperati. La crisi è fabbricata a Washington, e i Venezuelani non sono propriamente desiderosi di farsi coinvolgere.
Ecco perché possiamo aspettarci un tentativo americano di usare la forza, preceduto da qualche provocazione. Probabilmente non sarà una guerra vera e propria: gli Stati Uniti non hanno mai combattuto un nemico che non fosse già a pezzi prima dello scontro. Se l’amministrazione Maduro sopravviverà al colpo, la crisi prenderà un basso profilo, fino a quando le sanzioni non avranno fatto il loro lavoro e indebolito ulteriormente l’economia.
In questa lotta, il presidente Trump è il peggior nemico di se stesso. Cerca l’approvazione del Partito della Guerra, e la sua base elettorale rimarrà delusa dalle sue azioni. Le sue sanzioni faranno arrivare ancora più rifugiati negli Stati Uniti, muro o non muro. Mette a rischio lo status privilegiato del dollaro USA utilizzandolo come arma. Nel 2020, raccoglierà quello che ha seminato.
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

L’Italia salva la dignità dell’Europa sulla prepotenza Usa in Venezuela. - Malachia Paperoga

conte

Mentre in Italia qualche politico autolesionista non perde occasione di schierarsi contro il proprio popolo, il quale ricambia generosamente nelle urne, nel dibattito internazionale il comportamento coraggioso dell’attuale governo in politica estera viene apertamente elogiato. Chi ne esce con le ossa rotte è l’ipocrita Macron, che non tollera l’appoggio di Di Maio al popolo francese in rivolta contro lui stesso, ma riconosce un presidente del Venezuela non eletto da nessuno in aperto spregio alle leggi internazionali. 

Editoriale di Strategic Culture, 8 febbraio 2018

È comicamente ironico. La Francia ha richiamato l’ambasciatore di Roma a causa delle crescenti tensioni sulla presunta “interferenza” italiana negli affari politici interni francesi. Questo avviene proprio mentre la Francia e altri Stati europei si uniscono a una spudorata campagna degli Stati Uniti per rovesciare il presidente eletto del Venezuela, Nicolas Maduro. Non è facile pensare a qualcosa di più ironico.

Il dissidio tra Francia e Italia non è che l’ultimo capitolo di una lunga polemica tra il presidente francese Emmanuel Macron e il neoeletto governo di coalizione a Roma. Il governo italiano è formato da un’improbabile coalizione tra il sinistrorso Movimento 5 Stelle e un partito di destra, la Lega.

Entrambi i partiti sono molto critici verso l’establishment Ue e le politiche neoliberali capitalistiche che sono impersonificate dall’ex banchiere di Rothschild – diventato presidente francese – Macron.

Roma ha anche criticato la Francia per la sua responsabilità nel fomentare i problemi europei e italiani legati all’immigrazione di massa, in particolare attraverso i criminali interventi militari di Parigi, al fianco degli Usa e di altre potenze Nato, nel Medio Oriente e in Nord Africa.

La situazione è arrivata allo scontro aperto questa settimana, quando si è saputo che il vice primo ministro italiano Luigi Di Maio (leader del M5S) ha incontrato alcuni membri del movimento di protesta dei Gilet Gialli in Francia. Il movimento dei Gilet Gialli ha tenuto dimostrazioni in tutta la nazione nelle ultime dodici settimane, protestando contro le politiche economiche di Macron e contro quello che definiscono il suo stile elitista di governo. Di Maio e l’altro vice premier Matteo Salvini (leader della Lega) hanno apertamente appoggiato i contestatori francesi, con cui si identificano, in quanto espressione di una rivolta popolare contro l’austerità neoliberale in tutta Europa.

Reagendo a notizie di contatti tra il governo italiano e i contestatori francesi, il ministro francese degli Esteri – Jean-Yves Le Drian – li ha definiti una “oltraggiosa interferenza” negli affari interni del suo Paese. La polemica è aumentata ulteriormente dopo che la Francia ha richiamato il suo ambasciatore a Roma. L’ultima volta che ciò avvenne era stato nel 1940, durante la Seconda Guerra Mondiale. Si tratta di un deterioramento importante nelle relazioni tra due membri fondatori dell’Ue.

Questo è il punto in cui l’ironia sconfina nella farsa. La Francia tuona con rabbia contro la presunta interferenza italiana nei suoi affari interni, mentre nello stesso preciso momento il governo francese prende parte a un tentativo internazionale guidato dagli Usa di mettere in atto un cambiamento di governo in Venezuela. L’arroganza ipocrita non ha prezzo.

Questa settimana la Francia e diversi altri membri dell’Unione europea, incluse la Germania, l’Inghilterra, la Spagna e l’Olanda, hanno annunciato che “riconoscevano” l’auto-proclamatosi presidente del Venezuela.

Juan Guaido – una marginale figura dell’opposizione – si è autodichiarato “presidente a interim” del Paese sudamericano il 23 gennaio. Esistono legami ben documentati tra Guaido, il suo partito di opposizione di estrema destra e la CIA americana. La mossa di delegittimare il presidente eletto, Nicolas Maduro, è stata orchestrata dall’amministrazione Trump. Si tratta di una manovra palesemente illegale di cambio di regime, che viola la Carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale. Il governo socialista di Maduro e la ricchezza petrolifera naturale della nazione – parliamo delle più grandi riserve conosciute sul pianeta – sono l’ovvio obiettivo di Washington e delle capitali europee.

La Russia, la Cina, l’Iran e la Turchia, così come alcuni paesi dell’America Latina, compresi il Messico, il Nicaragua, la Bolivia e Cuba, hanno giustamente denunciato l’interferenza negli affari sovrani del Venezuela. La richiesta di Washington che Maduro si dimetta sotto la minaccia di un’invasione militare Usa è un preoccupante sfoggio di aggressione imperialista. Ma questo comportamento da gangsters internazionali viene sostenuto da alcuni paesi europei, in primis la Francia, che concedono una parvenza di legittimità a questo vergognoso affare.

L’Italia è uno dei pochi paesi Ue che si sono rifiutati di seguire la criminale campagna guidata dagli Usa per un cambiamento di regime in Venezuela. Il governo italiano ha impedito alla Ue di emettere un comunicato politico congiunto di riconoscimento di Guaido come “presidente” al posto di Maduro. Le potenze europee che si stanno associando alle violazioni di Washington nei confronti del Venezuela lo stanno facendo di loro iniziativa, non nel nome della Ue.

La presa di posizione dell’Italia, insieme alla Russia e alla Cina, in difesa della sovranità del Venezuela è una meritoria adesione al diritto internazionale. Non consentendo alla Ue di associarsi alla prepotenza Usa, ha inferto un colpo vitale alle macchinazioni di Washington.

Pertanto, il governo italiano ha evitato che la Ue si screditasse completamente. Già è abbastanza grave che alcuni membri, come la Francia, si stiano associando alle operazioni gangsteristiche degli Usa contro il Venezuela, ma l’azione frenante dell’Italia ha quantomeno impedito all’Ue in blocco di farsi complice.

Se il fondamentale principio di non-interferenza negli affari sovrani degli stati-nazione non viene rispettato, l’intero sistema del diritto internazionale collassa. Il principio è stato violato molte volte negli anni più recenti, in particolare con le guerre illegali condotte dagli Usa e dai loro partner della Nato nel Medio Oriente e nel Nord Africa. Ma quest’ultimo episodio di cambio di regime in Venezuela è forse il più audace mai visto. Washington e i suoi lacchè europei sono impegnati ad abolire il mandato democratico del presidente Maduro e la sentenza della Suprema Corte Venezuelana.

Washington e i suoi patetici complici europei stanno aprendo il Vaso di Pandora dell’anarchia globale se riescono a farla franca con il loro bullismo criminale contro il Venezuela.

La Russia, la Cina, l’Italia e altre nazioni stanno essenzialmente mantenendo la linea tra un’apparenza di ordine e un caos incontrollato.

Potremmo considerare il contatto tra il vice premier italiano e i contestatori francesi come una politica scarsamente accorta. Ma qualsiasi errore possa aver fatto l’Italia a riguardo, è trascurabile se paragonato all’incredibile arroganza e criminalità della Francia e degli altri Stati europei nella loro violazione della sovranità del Venezuela. L’arroganza della reazione francese alla presunta interferenza dell’Italia di questa settimana è uno spettacolo imperdibile.

Se proprio dobbiamo dire qualcosa, l’Italia merita applausi e rispetto per avere smascherato l’ipocrisia della Francia e degli altri aspiranti neo-colonialisti europei.

Il lato amaro dell’ironia è questo: il presidente francese e gli altri disprezzano la democrazia e il diritto internazionale – non solo in Venezuela – ma nei confronti dei loro stessi popoli.

Matteo Renzi è fermo al 4 dicembre. - Alessandro De Angelis



Nessuna autocritica, toni grillini col governo, pubblico è una curva. L'Altra strada è l'eterna riproposizione di sé come progetto politico.


Anche la presentazione del libro diventa uno spettacolo populista, che affoga la riflessione nei decibel di un comizio. L'Altra strada di Matteo Renzi è questo. Ciò che abbiamo visto finora: il Capo, un popolo sempre più stretto come una setta, nulla in mezzo. L'altra strada è l'opposizione come invettiva più che come alternativa, un progetto politico che non c'è, affogato in una acritica e parossistica riproposizione di sé, nel mito di un passato mitizzato e mai analizzato. Perché "l'autocritica" la fanno i comunisti. Ci mancava solo un bel vaffa: opposizione urlata, "cialtroni", "incompetenti", ancora "cialtroni", battutismo esasperato – massì, diciamolo – quasi grillina del metodo, compiaciuta che l'ululato sia sinonimo di forza. Che denuncia lo sfascio, e lì si ferma, nella saccente presunzione di avere il monopolio della competenza.
Sembra forza, in verità è una grande debolezza. Una debolezza grande quanto la rimozione di ciò che è stato. Non c'è niente da fare: l'orologio biologico e politico del renzismo è fermo al 4 dicembre, lutto mai elaborato che, come insegna Freud, alimenta reazioni sempre più rabbiose, perché la realtà, con i suoi complessi principi, è dolorosa da elaborare quanto l'entità di una sconfitta storica con cui Renzi non vuole fare i conti. Sconfitta che è una gigantesca rottura sentimentale tra Pd e paese, perdita di senso, smarrimento identitario. La rabbia, nel corso della presentazione del libro, esplode tra il pubblico, quando il direttore di questo giornale, pone la domanda sul punto dolente: "Ma se è andato tutto bene e questi sono incompetenti e cialtroni, come te lo spieghi che li ha votati la metà del paese?". La sala non gradisce, critica, qualcuno si alza, rumoreggia, contesta.
È l'istantanea di un legame settario col proprio popolo, perché il popolo, nel renzismo, non è una costruzione politica che si alimenta a pane e consapevolezza, ma è il pubblico di un talk, o se preferite una curva, una setta sempre più stretta che si nutre del culto del Capo e, per dirla col poeta, della favola bella che ieri ci illuse e che oggi ci illude. Per i pochi che restano, ovviamente. C'erano una volta i grandi partiti di massa che trasformarono le plebi in popolo, grandi protagonisti dell'alfabetizzazione democratica del paese. Ci sono oggi, nell'Italia del presentismo senza memoria, i partiti personali, che giocano a trasformare il popolo in plebi, grandi protagonisti di un analfabetismo di ritorno. È evidente, in un gioco di detti e non detti, smentite fatte apposta per alimentare l'attesa, che Renzi si appresta, dopo le Europee a farsi il suo, perché la separazione emotiva col Pd si è già consumata. Del tre, quattro, cinque per cento, quel che sarà. Perché, vuoi mettere, un ego così deve sentirsi padrone in casa sua. Ed è meglio comandare in una casa piccola che costruire, con gli altri, una casa più grande.
La domanda, in questa circostanza, l'ha posta Lucia Annunziata sul "perché" della sconfitta. L'avrebbe posta qualunque persona con i piedi piantati e per terra e la testa lucida, non alterata dal pregiudizio o dalla sbornia dell'adorazione fideistica. Resta, e resterà, senza riposta il perché cotanto pericolo al governo è stato vissuto dal paese come un vettore di cambiamento col Pd percepito come establishment e travolto. C'è un passaggio, del discorso di Renzi, che dice tutto, accompagnato dal boato di chi, nel mito di quegli anni, punta sul fallimento di questo Pd: "Mi si dice che noi non abbiamo fatto l'analisi della sconfitta. Noi non abbiamo fatto l'analisi della vittoria. Il 41 per cento che la sinistra ha perso alle europee, non l'ha mai visto nemmeno in cartolina. L'analisi di quel miracolo non è mai stata fatta. E noi il Pd lo abbiamo lasciato al 40 per cento col referendum". Sic!. Dunque è colpa di Mattarella che non ha concesso il voto anticipato, colpa di chi ha voluto e sostenuto il governo Gentiloni, di quegli "amici che hanno fatto carte false perché rimanessi in campo tranne poi fare di tutto per non mandarmi a votare", colpa sempre degli altri se, negli anni del renzismo, la sinistra ha perso il suo popolo, le periferie di Roma, Torino, o le tante periferie sociali che si sono rivoltate a un blairismo di maniera, negli anni della rivolta del ceto medio schiantato dalla grande crisi. E Renzi continua a riproporlo, in un discorso che, assieme alla sconfitta, rimuove la gigantesca domanda di protezione sociale che ha portato il Sud a votare per il reddito di cittadinanza, banalizzandolo come un aiuto ai fannulloni, a chi non vuole "studiare, faticare, perché tanto un modo si trova".
L'unica proposta concreta, nell'ambito di questo déjà vu, è – udite, udite – una commissione parlamentare d'inchiesta sulle fake news. Proposta che rivela l'essenza del ragionamento renziano e cioè che la sconfitta è dovuta non ad una incomprensione politica di ciò che è accaduto in questi anni, ma alla comunicazione, terreno sottovalutato e lasciato arare dalla macchina della propaganda leghista e pentastellata. Solito Renzi, ormai incapace di stupire, di cambiare passo, di crescere nell'elaborazione e nella consapevolezza, come un cantante che resta inchiodato alla canzone con cui vinse un Sanremo da giovane, di quelli che poi finiscono nei programmi sulle "meteore". L'aspettativa, che pure in alte epoche suscitò, è affogata nel reducismo. Non c'è, in due ore di comizio, un solo messaggio che non sia contro qualcuno, sia esso il governo, siano essi i "compagni" che "chiedono autocritica" e non c'è uno straccio di capacità di comprensione delle ragioni degli altri che poi, diceva quel comunista di Gramsci, è la chiave per costruire una egemonia. Altrimenti, la politica, racchiusa nella dimensione del potere, crolla con esso. Il film è stato già visto, il libro è stato già letto, tutto questo avvenire è già avvenuto e dimenticato dai più. Dalla sera del 4 dicembre.

mercoledì 13 febbraio 2019

Ue, Conte attaccato in Aula: ‘Io burattino? No, forse quelli al servizio delle lobby. Alcuni interventi offendono me e italiani’.

“Io burattino non lo sono. Interpreto e sono orgoglioso di rappresentare un intero popolo e di interpretare la voglia di cambiamento del popolo italiano e di sintetizzare una linea politica di un governo che non risponde alle lobby. Forse i burattini sono coloro che rispondono a lobby e comitati d’affari”. Lo afferma, rispondendo all’attacco di Guy Verhofstadt, il premier Giuseppe Conte alla plenaria del Parlamento Ue.  “Alcuni interventi non andrebbero commentati, perché hanno pensato di offendere non solo il sottoscritto ma l’intero popolo che rappresento”.
Poi c’è stato un botta e risposta tra l’europarlamentare Pd Daniele Viotti e lo stesso Giuseppe Conte. Viotti, tra i tanti eurodeputati critici intervenuti in Aula, ha letto i numeri, molto bassi, delle presenze dei ministri del governo giallo-verde alle riunioni del Consiglio europeo. “Chiedete scusa, all’Italia serve un governo presente in Europa”, ha attaccato Viotti. “Grammatica vuole che un governo possa essere rappresentato anche da un sottosegretario o da un delegato”, ha sottolineato Conte nella sua replica, non risparmiando una frecciata al Pd: “Lei è un esponente di un partito che non ha presidiato adeguatamente per l’Ema e ne paghiamo ancora le conseguenze”, ha affermato il premier rivolgendosi a Viotti.

martedì 12 febbraio 2019

Abruzzo, il M5S non è davvero arrivato terzo: da solo elegge 7 consiglieri, il centrosinistra (con 8 liste) 6.



Non corrisponde al vero la narrazione di gran parte dell'informazione secondo cui, alle elezioni regionali in Abruzzo, il Movimento Cinque Stelle si sarebbe classificato terzo. Il centrodestra ha sì raccolto il 48,03%, il centrosinistra 31,28% e i pentastellati il 20,20%, ma questi ultimi - con una lista sola - hanno ottenuto 7 consiglieri (uno in più della legislatura precedente), mentre il centrosinistra solamente 6 (4 Pd, 1 Legnini Presidente, 1 Abruzzo in Comune): 5 delle 8 liste della coalizione, infatti, hanno drenato voti al candidato presidente, ma non sono riuscite ad eleggere nessun consigliere.

"In Abruzzo ci saremmo aspettati di più, anche se i numeri ci dicono che non abbiamo perso", ha commentato via Facebook il deputato M5S Francesco D'Uva. Che ha aggiunto: "Ovviamente accettiamo democraticamente il verdetto delle urne, consci del fatto che come in ogni competizione amministrativa e regionale il MoVimento 5 Stelle si ritrova a dover fronteggiare accozzaglie di coalizioni fatte da 'portatori di voti' che passano da una parte all’altra, trascinando con sé migliaia di preferenze personali".

M5S: un gigante con i piedi di argilla. - Rosanna Spadini



Grande festa oggi per tutto il mainstream, perché in Abruzzo ha perso il M5S e ha vinto la Lega. Esultano tutti i media neoliberisti, rappresentati da Gruber, Mentana, Vermigli, Vespa, Merlino, Panella… gongolano i politici dell’ancien régime, come Cacciari, Renzi, Berlusca &C… tripudiano le lobby affaristiche esperte di privatizzazioni, perché Salvini è il loro naturale interlocutore.
Esultano dunque i gufi e gli sciacalli della stampa e della politica italiana, per la vittoria in Abruzzo del Cdx, con Marco Marsilio il nuovo governatore, che ottiene il 48% dei voti, poi a seguire Giovanni Legnini Csx molto distanziato al 31,3%,  e infine Sara Marcozzi del M5S al 20,2%.
Esultano anche gli oligarchi e i tangentari, che denunciano il fallimento del MoV in Abruzzo, ricordando che solo un anno fa alle politiche era primo partito in regione con quasi il 40% dei voti… che ci azzecchino poi le regionali con le politiche sarebbe interessante saperlo.
Annoiato e divertito appare invece Andrea Scanzi, che dice: “Il centrodestra coincide con Lega e Salvini. E’ il più forte, vincerà tutto e sarà il prossimo Presidente del Consiglio.” Daje!
Mentre i vertici del MoV probabilmente minimizzeranno: “Sono solo regionali, abbiamo confermato i dati del 2014”. Vero che non si possono amalgamare completamente regionali con politiche, perché per le ultime il MoV non ha problemi a fare ampie scorpacciate di voti, ma per le amministrative in genere la formula da adottare dovrebbe essere completamente riveduta e corretta.
Il MoV è un gigante politico a livello nazionale, ma sfiora il territorio con i suoi piedini di argilla, pronti a sgretolarsi al primo vento avverso. Piedini di argilla, di ceramica, di porcellana, adatti per camminare sulle punte, su lastre di ghiaccio facilmente scalfibili, senza calcare troppo i sentieri regionali e le vie cittadine, senza disturbare troppo il marasma affaristico mafioso gestito dai partiti, senza troppo incidere sui legami d’interesse tra la casta e le lobby privatistiche.
Ci sono molte ragioni per la débâcle del MoV alle regionali abruzzesi, sempre le stesse, sempre quelle, già presenti da tempo nell’agenda di chi si occupa di politica, ma che probabilmente i vertici non hanno ben chiare, o forse semplicemente vogliono coscientemente ignorare.
La strategia del non-statuto, del non-regolamento, dell’uno vale uno, poteva avere un senso nei primi anni dell’affermazione politica del MoV, quando ancora stava vivendo la fase della crescita, ma non aveva ancora acquisito importanti postazioni di governo.
Ora il MoV sta governando il Paese, alleato con una forza politica complementare ma anche allo stesso tempo antitetica, quindi si dovrebbe dotare di rappresentanze locali all’altezza del compito, capaci e competenti, e non dei soliti improvvisati avventurieri, che si limitano a postare copia e incolla su FB, organizzare banchetti per le manifestazioni paesane con la presenza di qualche stranito portavoce, e di 4 gatti come pubblico.
Piazze stracolme quindi quando parlano i big, Grillo, Di Maio e Dibba… sale mezze vuote invece quando qualche meetup organizza incontri con esperti e cittadini. Un’incongruenza che corre subito agli occhi, e svela il vero tallone d’Achille del MoV: il suo mancato radicamento sul territorio.
L’organizzazione interna infatti è (dis)ordinata in termini assolutamente anarchici, i vari meetup nati sul territorio sono destinati spesso ad entrare in conflitto tra di loro, perché rivaleggiano per la vittoria di un loro candidato, e gareggiano per boicottare tutti gli altri. Mancano completamente i legami tra i vertici e la base, tranne che in alcuni casi, in cui una delle correnti abbia individuato un soggetto apparentemente vincente, magari anche privo di competenze e professionalità, ma che dovrà rispondere unicamente al prototipo dello yes man, e piegarsi ai voleri dei capi bastone di quella circoscrizione.
Questo anarchismo ottuso e suicida favorisce necessariamente figure opache, prive di qualità professionali, disposte a subire i diktat dei loro capi pur di arrivare a rivestire qualche ruolo politico, e pur essendo assolutamente ignoranti in ambito storico politico, ma pronte a documentarsi all’occasione e prepararsi lo spot del momento.
Non è certo il caso di Sara Marcozzi, una persona delle più competenti e preparate, ma è solo l’eccezione che conferma la regola. Di conseguenza il MoV lievita a livello nazionale con il suo 32,5% dei consensi, ed è sistematicamente condannato a perdere quasi tutte le amministrative.
Una sorta di triste avatar postmoderno del David di Michelangelo, il mitico pastore che osò sfidare il temibile Golia, scolpito però con una testa troppo pesante e ingombrante per un corpo decisamente troppo fragile ed esile.  Troppo ingombrante infatti è sembrato il MoV ai padroni del vapore, che sono stati in grado di pilotare perfino l’ultimo Sanremo, con la vittoria del sardo egiziano Mamhood, per affermare il loro credo migratorio, mentre la vittoria di Salvini è apparsa pienamente funzionale al sistema.
Le élites affaristiche sono per il Sì-Tav (come Salvini), adorano il golpista massone venezuelano Guaidò (come Salvini), difendono Macron contro le proteste dei Gilets Jaunes (come Salvini), hanno boicottato il Dl Dignità (annacquato dai leghisti, ma che limita il precariato, reintroduce la Cassa Integrazione straordinaria e l’art.18), hanno sabotato il ddl Anticorruzione (con agenti infiltrati, aumenti di pena e premi ai pentiti), hanno intralciato il blocca-prescrizione (dal 1° gennaio 2020), il veto al nuovo voto di scambio politico-mafioso, l’abolizione dei vitalizi, i fondi in manovra per RdC, i rimborsi ai truffati dalle banche, lo stop al bavaglio sulle intercettazioni e alla svuotacarceri.
Poi non bastasse sono scese in piazza insieme con i sindacati contro il RdC e l’aumento delle pensioni minime a 780€, caso unico nella storia d’Italia, in cui le élites affaristiche manifestano insieme con i sindacati.
Il M5S si afferma così come unica forza antisistema, che combatte contro le lobby di potere (Iren, inceneritori, Tav, Mose, banche…), mentre la Lega appare come un partito pienamente integrato nel sistema neoliberista, sostiene le privatizzazioni al pari di Confindustria (sanità, welfare, concessioni), asseconda le cattedrali nel deserto delle grandi opere inutili… ma nonostante ciò il cdx ha vinto la regione Abruzzo, quella dei terremotati de L’Aquila, miseramente frodati dalle news town di plastica di Berlusconi.
La guerra di Davide contro Golia è una guerra all’ultimo sangue, cruda e violenta, quindi non può accontentarsi di candidati inesperti e incapaci, ignari delle battaglie pregresse, privi di un attivismo incisivo e di una dialettica eloquente, capaci solo di fare i lacché di sciacalli dorati, attorniati da altri veri sciacalli pronti a mordere mortalmente la preda.

Perché allora dovrebbe essere la stessa cosa votare Lega o votare M5S? Dato che la guerra contro il sistema la fa solo il MoV, ma sarebbe decisamente più determinante se finalmente si risolvesse l’anarchismo parassitario e clientelare dell’organizzazione interna. Arridaje!

Perdere l'onore. - Marco Travaglio

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Fra le tante spiegazioni possibili del voto in Abruzzo, col trionfo del centrodestra e il crollo dei 5Stelle e del Pd, la più semplice ed evidente è questa: cinque anni fa Salvini non c’era, il suo partito si chiamava ancora Lega Nord e da quelle parti non si faceva proprio vedere.
L’uomo forte, l’uomo del momento, era l’altro Matteo, che portava il Pd al 40,8% alle Europee e trascinava D’Alfonso al 46% strappando la Regione alla destra.
Ora l’uomo forte, l’uomo del momento, è Salvini, che porta la Lega da zero al 27% e quasi raddoppia i consensi in un anno (il 4 marzo scorso era al 14), in linea con i sondaggi nazionali.
Il Pd ha poco da esultare: nel 2014 era primo partito al 25,5, nel 2018 era terzo col 14,3 dietro M5S e quasi alla pari di FI, ora – dopo cinque anni di governo – resta terzo ma all’11,3, lontanissimo dalla Lega e perfino dal M5S. Che col suo 19,5 appare come l’unico sconfitto solo perché Legnini è riuscito a mascherare l’ennesima débâcle dem con ben sette liste civiche o civetta.
Ma ormai l’allergia dei vertici pidini all’autocritica non fa più notizia: si attendono ancora le analisi delle disfatte del 2016, del 2017 e del 2018, a parte quella renziana secondo cui non è il Pd che sbaglia, ma gli elettori. I quali, infatti, continuano a sbagliare.
Dalle prime reazioni alla batosta, anche i 5Stelle paiono contagiati dal virus dei facili alibi: “Voto locale”, “trascurabile”, “il governo non c’entra”, “nulla da rimproverarci”, “colpa della legge elettorale”, “il Pd ha perso di più”, “mantenuti i voti di cinque anni fa” e altre cazzate.
È vero, il voto regionale con le preferenze e le liste civetta penalizza il voto di opinione rispetto a quello controllato, clientelare, compravenduto: ma qui un bel po’ di voti di opinione sono andati alla Lega.
È vero, la regola dei due mandati scoraggia i candidati migliori dal giocarsi un bonus in un’elezione locale: ma era vero già in passato e nessuno ha toccato quel tabù.
È vero, l’assenza di una struttura solida e radicata penalizza il M5S alle Amministrative e premia i partiti organizzati: ma anche questo è un problema antico e non si vede cosa impedisca ai 5Stelle di organizzarsi meglio, anche con scuole di politica, per darsi uno straccio di classe dirigente un po’ meno casuale e improvvisata.
Poi c’è il giudizio della gente sugli otto mesi di governo con la Lega, che in Abruzzo ha influito in parte, ma condizionerà le Europee. Su questo Di Maio&C. dovrebbero farsi un esame di coscienza. Prendersela con la stampa che gonfia Salvini come la rana di Fedro per screditare il M5S ha poco senso: chi fa politica contro tutto e tutti non può stupirsi di avere contro tutto e tutti.
Era così anche un anno fa, eppure i 5Stelle balzarono quasi al 33%. Nell’ultimo mese prima aggiunsero un buon 5% al 27-28 fisso dei sondaggi. E fu merito della svolta governista, plasticamente raffigurata dalla presentazione all’americana della squadra di governo: tutte personalità competenti e titolate, da cui poi Di Maio pescò il premier Conte, la ministra Trenta e vari sottosegretari.
Il fatto che ora Conte sia il politico più stimato dagli italiani, appaiato o addirittura davanti a Salvini, la dice lunga su ciò che deve fare il M5S per recuperare terreno: impresa non impossibile con un elettorato così liquido. Ma a patto di imboccare la strada giusta.
Buttar giù il governo così popolare alla vigilia di appuntamenti cruciali come Europee, no al Tav e spin off del reddito di cittadinanza, sarebbe un autogol. Ma inseguire Salvini sul suo terreno, le gare di rutti, rincorrendo ogni sua sparata per farne una più grossa, è inutile: quella partita la vincerà sempre lui.
L’unica strada è lavorare sodo e parlare poco restando fedeli ai valori originari: sul breve periodo può non pagare, ma potrebbe dare frutti sul lungo, quando svanirà l’infatuazione per l’uomo forte che parla tanto e fa poco (come già B. e Renzi).
Esempio. 
La critica a Bankitalia è sacrosanta, viste le scandalose culpae in vigilando di Visco&C.; ma, prima di opporsi al vicedirettore Signorini e prossimamente al dg Rossi, servono alternative credibili.
Nel 2005 due coraggiosi ispettori di Palazzo Koch, Giovanni Castaldi e Claudio Clemente, bocciarono l’assalto del banchiere di Lodi Gianpiero Fiorani ad Antonveneta, benedetta dal governatore Fazio e dal fronte trasversale FI-Lega-Ds che sponsorizzava le scalate parallele di Unipol a Bnl e dei furbetti Ricucci&C. al Corriere.
Partì l’inchiesta, Fazio si dimise, ma Clemente e Castaldo, anziché premiati, furono degradati. Che aspetta il “governo del cambiamento” a fare i loro nomi per una scelta interna di forte discontinuità e trasparenza?
Altro esempio. L’analisi costi-benefici dei tecnici del governo (non del M5S) sul Tav è devastante e incompatibile con qualsiasi compromesso: va fatta conoscere all’opinione pubblica e Salvini va richiamato agli impegni presi nel Contratto di governo. Che, in caso contrario, non ha più ragione di esistere.
Ultimo esempio: il voto sull’autorizzazione a procedere per Salvini. In passato, di un ministro indagato per sequestro di persona, i 5Stelle avrebbero chiesto le dimissioni. Ora non possono perché hanno condiviso la sua scelta sulla nave Diciotti e la rivendicano: ma negare ai giudici il diritto-dovere di stabilire se fu lecita o illecita, specie dopo la relazione-autodenuncia di Conte, Di Maio e Toninelli, sarebbe assurdo.
Trasparenza, lotta agli sprechi e legge uguale per tutti sono i valori fondativi del Movimento e le ragioni del suo successo: derogare a uno solo di quei tre principi sarebbe imperdonabile.
Perdere voti per restare se stessi, accontentando alcuni e scontentando altri con il reddito di cittadinanza o con altre scelte tanto doverose quanto divisive, è un onore.
Il vero disonore è perdere voti per aver perso se stessi.


Il fatto Quotidiano del 12 febbraio 2019