David Sassoli n.1 dell’Europarlamento.
“Un fallimento di questo Consiglio europeo, senza almeno un accordo politico, rinvierebbe tutto a dopo l’estate con il rischio che ad agosto i mercati si scatenino e tutto diventi più difficile. Se lo schema della Commissione dovesse essere rifiutato, salterebbe. Con effetto deflagrante per tutti. I governi trovino un accordo e il Parlamento è pronto a negoziare”. David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, è a Bruxelles mentre i 27 leader dei paesi Ue sono alle prese con il negoziato più importante della storia dell’Europa. Quando questo giornale va in stampa, i lavori sono in corso. Ieri mattina, nel suo intervento di apertura del Consiglio ha indicato la strada e le priorità dell’Europarlamento.
Presidente, Conte arriva a quest’appuntamento con l’accordo su Autostrade. È un punto che gioca a suo favore?
La soluzione su Autostrade è il provvedimento più importante di questa legislatura, perché contiene una visione sulla necessità di una nuova regia pubblica. È un buon segnale all’Europa, perché si sposa al tema su come si dovranno spendere i soldi che arriveranno per la ricostruzione. Non entro nel contenzioso. Noto però che la soluzione va nella direzione di riaffermare un indirizzo pubblico. E in questo momento ce n’è grande bisogno. In Francia, lo Stato è presente nei Cda delle grandi aziende, in Germania, il sindacato vi partecipa di diritto. L’Italia non può essere un bancomat a disposizione del primo che passa.
Eppure, sull’accordo con Aspi, ci sono una serie di dubbi. A partire dal prezzo della transazione.
Siamo in una fase storica in cui c’è bisogno di una grande responsabilità pubblica. Per l’Italia è il tema dei temi. Ma di questo si discute in tutta Europa. Quando parliamo di ricostruzione, parliamo di come tenere insieme investimenti e riforme strutturali. Solo un nuovo intervento pubblico può indicare la strada da seguire per allineare gli interventi nazionali agli obbiettivi europei, come il Green deal e la digitalizzazione. Non possiamo permetterci il lusso di favorire interessi di parte o sprecare risorse. Segnalo che tutte le polizie europee avvertono che la mafia è già pronta a mettere le mani sulle risorse comunitarie.
Gualtieri sul Corriere di ieri sostiene che il governo non ha mai escluso l’uso del Mes. Ma di veti ce ne sono stati. Anche se poi quei soldi sono conteggiati nel Piano nazionale di riforme. Lei cosa ne pensa?
Gli strumenti non sono totem. Sono buoni se sono utili. Adesso vale la pena aspettare l’ammontare e la portata di tutti quelli che verranno messi in campo. La linea sanitaria del Mes offre prestiti vantaggiosi utili a rafforzare la sanità pubblica.
Ci sono posizioni molto divergenti sulla capienza del Recovery Fund, con i Frugali che mettono in discussione anche l’ammontare dei Grants e la governance, con alcuni che vogliono spostare la sorveglianza dalla Commissione al Consiglio. Intravede un punto di caduta?
La democrazia è compromesso. Nella logica di pacchetto tra Recovery Fund e bilancio pluriennale europeo, sulle grandi linee del piano di ripresa e del bilancio, ci sono convenienze per tutti. Parlo non solo dei trasferimenti previsti dal Next Generation Eu e dai Rebates per i Frugali contenuti nel bilancio, ma anche nella salvaguardia della politica di coesione e della politica agricola, come chiedono i Paesi dell’est. Ci sono convenienze per tutti. È la base della proposta presentata da Ursula von der Leyen. Per quel che riguarda la governance, bisogna rispettare i Trattati, con il rafforzamento del metodo comunitario, che tiene insieme Commissione, Parlamento e Consiglio. Se i governi hanno la prima e l’ultima parola non si fa un buon servizio alla democrazia europea.
Il Parlamento dovrà pronunciarsi sul pacchetto. Quali sono i vostri paletti?
Una governance comunitaria, con un ruolo del Parlamento, un calendario dettagliato di entrata in vigore delle risorse proprie, ovvero contributi che vanno direttamente all’Unione e non passano per gli Stati membri (come la digital tax, il contributo sulla plastica e sul carbonio), il rispetto dello stato di diritto e un’ampiezza del Recovery Fund di 750 miliardi di euro (500 in finanziamenti, 250 in prestiti) come proposto dalla Commissione.