mercoledì 24 febbraio 2021

Dopo il Mes, i Servizi: Renzi ammaina un’altra bandierina anti-Conte. - Lorenzo Giarelli

 

Dall’Ilva alla prescrizione e adesso gli 007, Italia Viva cambia ancora: delega al premier e tutti muti sui pieni poteri.

Mancavano giusto i Servizi segreti. Dopo il Mes, la prescrizione, l’Ilva e i vaccini, Matteo Renzi e i suoi – insieme al resto della maggioranza – si preparano ad ammainare un’altra delle bandiere con cui per un mese avevano riempito giornali e tv nel tentativo – poi riuscito – di far cadere il governo Conte.

Proprio all’ex premier era stato imputato di voler rincorrere “i pieni poteri”, di non “rispettare le regole democratiche”, e tutto perché aveva intenzione di tenere per sé la delega all’intelligence. Un orientamento condiviso adesso da Mario Draghi, che pare intenzionato a occuparsi in prima persona degli 007, senza che nessuno della sua maggioranza alzi un dito per chiedere spiegazioni.

Magari alla fine non se ne farà nulla e Draghi cambierà idea all’ultimo minuto, ma le diverse anticipazioni uscite sui giornali sarebbero dovute bastare per stanare eventuali pasdaran delle deleghe, come era stato a dicembre con Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Oggi invece non c’è traccia delle accuse di un tempo. E pensare che il 17 gennaio, sulla questione dei servizi, Renzi era netto: “Penso che si debbano rispettare le tradizioni democratiche. È l’ennesimo segno di un modello democratico che viene messo in discussione”. Qualche giorno prima, il leader di Iv si era lamentato della deriva autoritaria dell’ex premier: “I pieni poteri non vanno dati a nessuno, nemmeno a Conte. Per questo ho chiesto spiegazioni sulla gestione dei servizi segreti”.

Parole a cui facevano sponda diversi esponenti del Pd, tra cui il capogruppo alla Camera, Graziano Delrio: “Quello dei Servizi è uno dei temi su cui anche noi abbiamo stimolato una riflessione. È una questione che va posta: è chiaro che è in capo al presidente del Consiglio, ma diverse volte è stata delegata ad altri”. Per non dire di Pier Ferdinando Casini, che definiva “incomprensibile” la scelta di Conte, figlia di “un accanimento” che “non dovrebbe esistere”.

Fiumi di parole che ora fanno posto a un ossequioso silenzio, proprio come già successo su alcuni dei temi per i quali – a suo dire – Renzi aveva aperto la crisi. Primo su tutti, quel fantomatico Mes che per mesi era stato descritto come “indispensabile” e per il quale era persino nato un intergruppo parlamentare a cui avevano aderito più di 100 tra deputati e senatori. Tutto finito in soffitta per ammissione degli stessi renziani e dei forzisti, che qualche giorno fa hanno chiarito come il tema “non sia più all’ordine del giorno” e come “non si debba creare problemi al governo Draghi”.

Un cambio di rotta niente male, che fa il paio con quanto successo sulla giustizia. Quasi tutti i partiti di maggioranza, ad esclusione dei 5 Stelle, avevano presentato emendamenti per eliminare il congelamento della prescrizione voluto dall’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede, di cui Renzi aveva chiesto la testa. Al momento, però, il governo ha rinviato tutto a data da destinarsi: troppo divisivo il tema della giustizia per incartarsi al primo mese di esecutivo. Nel frattempo, la legge Bonafede rimane in vigore.

Che dire poi del commissario Domenico Arcuri, a cui Renzi e compagni hanno imputato i presunti disastri di una campagna vaccinale che invece, non più tardi di due settimane fa, è stata elogiata dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Arcuri è ancora al suo posto e nel frattempo ha visto pure il nuovo governo confermare l’impianto del precedente esecutivo sulla questione Ilva. Il commissario all’emergenza Covid guida infatti anche Invitalia, l’agenzia pubblica che si farà carico di entrare nel capitale dell’acciaieria con pesanti investimenti statali, in modo da risolvere un contenzioso con Arcelor Mittal che dura da anni. Questa strategia, portata avanti dal Conte-2, è stata benedetta tre giorni fa dal nuovo titolare del Mise, il leghista Giancarlo Giorgetti, che ha incontrato i sindacati auspicando che “Invitalia prosegua nel percorso dell’accordo”. Con tanti saluti, anche in questo caso, a Italia Viva e alle sue rumorose proteste anti-Conte.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/23/dopo-il-mes-i-servizi-renzi-ammaina-unaltra-bandierina-anti-conte/6110369/#

Anche gli atomi hanno "limiti di velocità." - Mara Magistroni

 

Per la prima volta i fisici hanno calcolato la velocità massima che occorre per spostare un atomo da un punto a un altro senza perdere informazioni. Una scoperta che permetterà di ottimizzare le future tecnologie quantistiche.

Qual è la massima velocità che può raggiungere un atomo per spostarsi da un punto a un altro senza perdere informazioni? Per la prima volta i ricercatori dell’università di Bonn (Germania) e dell’università di Padova sono riusciti a calcolarla all’interno di un sistema quantistico complesso. La scoperta di questo limite di velocità avrà importanti ripercussioni sul calcolo quantistico, scrivono gli esperti: “servirà per raggiungere il numero massimo di operazioni che possono essere eseguite dai computer quantistici.

Anche nel mondo dei quanti esistono limiti di velocità. Alcuni, quelli nei sistemi semplici a due stati quantici, già si conoscevano perché prevedibili dalla teoria. Ma nei sistemi complessi, in cui un atomo passa attraverso diversi stati eccitati, previsioni non se ne potevano fare.

Conoscere la velocità massima a cui poter spostare un atomo senza perdere informazioni (ossia facendo in modo che all’arrivo l’atomo si trovi nello stesso stato quantico di partenza) è un’informazione preziosa, che permetterebbe di ottimizzare le future tecnologie quantistiche. Andare troppo lenti, infatti, espone ai disturbi dell’ambiente che fanno calare le prestazioni dei computer quantistici, ma andare troppo veloci fa perdere informazioni.

Ora, per la prima volta, i fisici dell’università di Bonn in collaborazione con (anche) l’università di Padova ce l’hanno fatta: hanno spostato un atomo di cesio nel minor tempo possibile senza perdere informazioni. Ma attenzione: la velocità dell’atomo per raggiungere l’obiettivo non si è rivelata costante.

Per cercare di capire l’esperimento, possiamo immaginare di dover portare un bicchiere d’acqua in equilibrio su un vassoio da un punto a un altro di una stanza, a un altro punto ancora nel minor tempo possibile senza farne cadere una goccia. La tecnica migliore è quella di inclinare un pochino il vassoio mentre stiamo accelerando e inclinarlo nella direzione opposta quando rallentiamo per riportarlo completamente orizzontale solo quando ci fermiamo.

Gli atomi, spiega Andrea Alberti, dell’Istituto di Fisica applicata all’Università di Bonn e leader dello studio, sono come l’acqua nel bicchiere: bisogna pensarli come un’onda di materia più che come palle da biliardo. Il vassoio nell’esperimento, invece, era costituito da due raggi laser sovrapposti e diretti l’uno contro l’altro a formare un’onda stazionaria di luce, con montagne e valli. “Abbiamo intrappolato l’atomo in una di queste valli e poi abbiamo messo l’onda luminosa in movimento spostando la valle in cui l’atomo si trovava confinato”, spiega Alberti. “Il nostro obiettivo era quello di portare l’atomo a destinazione nel più breve tempo possibile senza che fuoriuscisse dalla valle stessa”.

I ricercatori hanno così fatto percorrere all’atomo di cesio una distanza di 0,5 micrometri, scoprendo che il trucco per mantenere la massima fedeltà (la somiglianza degli stati iniziale e finale) non è mantenere una velocità di crociera costante ma apportare una serie di aggiustamenti fatta di accelerazioni e decelerazioni: con una velocità media inferiore a circa 17 millimetri al secondo, la fedeltà era molto buona, ma scendeva a valori molto più bassi a velocità medie più elevate.

https://www.wired.it/scienza/lab/2021/02/23/atomi-limite-velocita-computer-quantistico/?fbclid=IwAR1DhCKgmsVAOM-pVMAfjC4Q3eEsGZbdpw4TL2v58U_e_FryeUmm3lwfq6c&refresh_ce=

Il sistema 15%: il libro mastro della lega. - Andrea Sparaciari e Stefano Vergine

 

Esclusivo. Il registro lombardo dei soldi. Soldi&Poltrone 2015-2017: tutti i “contributi liberali” al partito di Salvini. Tra i donatori, anche il ministro Garavaglia, il senatore Romeo e Attilio Fontana.

Lo scorso dicembre abbiamo raccontato come la Lega, dal 2004 al 2014, abbia organizzato un sistema di finanziamento interno basato sui nominati: dirigenti sanitari, consiglieri d’amministrazione e revisori contabili che per dieci anni hanno restituito al partito il 15% del proprio stipendio pubblico. Ora possiamo svelare che il famoso “sistema del 15%” è continuato anche sotto la gestione di Matteo Salvini: ribassato a un più contenuto 10%, ma organizzato in modo ancor più maniacale. A dirlo è un registro di contabilità interna – di cui il Fatto è entrato in possesso –, una trentina di pagine che riassumono nei dettagli tre anni di gestione finanziaria della sezione lombarda della Lega: 2015, 2016 e 2017. Periodo in cui a capo del partito in regione c’era Paolo Grimoldi, deputato, fedelissimo di Salvini, nominato proprio dal leader nazionale del partito. I documenti ottenuti grazie a una fonte interna alla Lega, contengono la lista di chi in quegli anni girava parte del proprio stipendio al Carroccio. Nomi, cognomi, posto d’assegnazione e cifra versata. Nell’elenco ci sono attuali ministri del governo Draghi, consiglieri e assessori (quindi politici), ma anche tanti dirigenti pubblici. Che, in teoria, dovrebbero essere nominati solo sulla base di merito e competenze.

Tutti questi soldi confluiti nelle casse del partito sono stati versati come “erogazione liberale”. Una dicitura che permette di ottenere un trattamento fiscale di favore: chi dona può infatti detrarre la somma dalle tasse. Di certo con questo sistema la Lega in Lombardia ha raccolto parecchi soldi: 660mila euro nel 2015, altri 640mila nel 2016. E questo riguarda solo la Lombardia; esclusi quindi i quattrini bonificati alla sede centrale del partito e a tutte le altre sezioni regionali.

“La pazienza delle persone perbene ha un limite, da oggi querelo chiunque accosti il mio nome a gente mai vista né conosciuta”. Così parlava Salvini il 16 luglio 2020, all’indomani della notizia dell’inchiesta aperta dalla Procura di Milano sulla Lombardia Film Commission, l’ente pubblico vittima di un peculato da 800mila euro architettato, secondo le accuse dei magistrati, da Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, i due commercialisti scelti per gestire le malandate finanze del partito insieme al compagno di università Giulio Centemero, deputato e tesoriere della Lega. Nei documenti interni ci sono i nomi di Centemero, Manzoni e Di Rubba, con i loro versamenti fatti in relazione alle nomine pubbliche. Di Rubba, stando al registro, ha versato 1.000 euro alla Lega nel 2016 proprio per la poltrona da presidente della Lombardia Film Commission. Lo stesso ente da cui, secondo i magistrati di Milano, in quegli anni avrebbe fatto uscire 800mila euro con l’intento di prendersene una buona parte e investirla in due villette sul Lago di Garda, una per lui e una per il collega Manzoni.

Tra le società più grandi citate nei tabulati c’è poi Fiera Milano Spa. Quotata a Piazza Affari e controllata da Regione Lombardia, gestisce lo spazio fieristico più grande d’Italia. I documenti raccontano che Attilio Fontana, quando era vicepresidente della Fiera, per quell’incarico avrebbe versato soldi alla Lega: 5mila euro all’anno, nel 2015 e nel 2016. Poco più del 10% previsto, visto che il contratto con la Fiera prevedeva una paga annua di 43.050 euro.

Tra i tanti pagatori spicca poi Andrea Mascetti, avvocato presente nei cda di alcune delle più importanti società italiane, da Intesa Sanpaolo a Italgas: avrebbe versato al partito 4.741 euro nel 2015, quando è diventato (a giugno) presidente di Nord Energia, e 8mila esatti euro l’anno dopo, praticamente il doppio, mentre anche lo stipendio da manager pubblico raddoppiava.

Il dirigente in quota Lega più generoso è stato però Andrea Gibelli: 15mila euro nel 2015, 20mila euro nel 2016. D’altra parte anche lo stipendio da nominato era di tutto rispetto. Sotto il nome di Gibelli, come per tutti gli altri, il funzionario della Lega che ha compilato il tabulato ha segnato la qualifica: presidente di Fnm, la holding dei trasporti lombardi quotata in Borsa. La regola del 10% è stata rispettata anche in questo caso. Nel 2015 lo stipendio di Gibelli come presidente di Fnm (per mezzo anno di servizio) è stato di 153mila euro. Nel 2016 è aumentato a 290mila euro e parallelamente è cresciuto il suo contributo alla causa salviniana.

Tra i donatori più fedeli ci sono poi alcuni politici che nel frattempo hanno fatto carriera. Come Massimo Garavaglia, neo ministro del Turismo. Tra il 2015 e il 2017, quando era assessore al Bilancio in Lombardia, Garavaglia – secondo la contabilità interna – avrebbe versato 32.500 euro. Soldi donati insieme alla moglie, Marina Roma, oggi sindaco nel Comune milanese di Marcallo, ovviamente leghista. Ancor più generoso è stato Massimiliano Romeo, all’epoca consigliere regionale al Pirellone, oggi capogruppo della Lega al Senato e in corsa per un posto da sottosegretario nel governo Draghi: dal 2015 al 2017 Romeo avrebbe versato alla Lega Lombarda 50.300 euro.

Fatta eccezione per i politici di professione, il grosso della lista dei donatori è costituito però da semisconosciuti “piazzati” su varie poltrone pubbliche. Il presidente dell’Aler Milano (Mario Angelo Sala), il consigliere d’amministrazione del Policlinico San Matteo di Pavia (Giuseppe Zanoni), quello dell’Istituto dei Tumori (Andrea Gambini) e dell’Istituto Besta (Ivano Locatelli Paola Bergamaschi), il revisore contabile della Fondazione Stelline (Simona Ferraro).

E poi i dirigenti sanitari, pezzo forte delle nomine padane da oltre dieci anni. Nei nuovi documenti sono elencati i vertici di tutta la sanità lombarda. Compresi alcuni di quelli già trovati nelle liste del decennio 2004-2014. Ci sono ad esempio Mara Azzi Mauro Borelli, direttori generali della sanità, oggi in carica rispettivamente alla Ats di Pavia e alla Asst Franciacorta. Manager pubblici che hanno versato ininterrottamente alla Lega per almeno 13 anni. E che oggi sono ancora in carica, sempre più in alto nelle gerarchie della sanità lombarda. Carriere da urlo per gli aficionados dell’obolo leghista.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/24/il-sistema-15-il-libro-mastro-della-lega/6111699/?fbclid=IwAR36B9L2bGyZWLNhwgoUqtb5j0E8E9OTKjhjoBMbPlYoRR18l_utacKnTnM

Covid: Dia, le mani delle mafie su 'green' e sanità. -

 

'Seri rischi infiltrazione, crescono riciclaggio e corruzione', l'allarme nella relazione semestrale della direzione investigativa Antimafia.

La pandemia di Covid-19 rappresenta una "grande opportunità" per le mafie e lo snellimento delle procedure d'affidamento degli appalti e dei servizi pubblici comporterà "seri rischi di infiltrazione mafiosa dell'economia legale, specie nel settore sanitario". E' poi "oltremodo probabile" che i clan tentino di intercettare i finanziamenti per le grandi opere e la riconversione alla green economy. L'allarme è contenuto nell'ultima Relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia (Dia), che evidenzia seri rischi di infiltrazione e la crescita di riciclaggio e corruzione. 

Le indagini raccontano di una criminalità organizzata che durante il lockdown ha continuato ad agire sottotraccia, con un calo delle "attività criminali di primo livello" (traffico di droga, estorsioni, ricettazione, rapine), ma un aumento al Nord ed al Centro dei casi di riciclaggio e, al Sud, i casi di scambio elettorale politico-mafioso e di corruzione.

Stabile l'usura, fattore sintomatico di una pressione "indiretta" comunque esercitata sul territorio. Si tratta, segnala la Dia, "di segnali embrionali che, però, impongono alle Istituzioni di tenere alta l'attenzione soprattutto sulle possibili infiltrazioni negli Enti locali e sulle ingenti risorse destinate al rilancio dell'economia del Paese". Sono cresciute anche le segnalazioni di operazioni sospette (Sos) pervenute alla Direzione rispetto allo stesso periodo del 2019. Un dato, viene sottolineato, "indicativo se si considera il blocco delle attività commerciali e produttive determinato dall'emergenza Covid della scorsa primavera". La disponibilità di liquidità delle cosche punta ad incrementare il consenso sociale anche attraverso forme di assistenzialismo a privati e imprese in difficoltà, con il rischio che le attività imprenditoriali medio-piccole "possano essere fagocitate nel medio tempo dalla criminalità, diventando strumento per riciclare e reimpiegare capitali illeciti". Diventa pertanto fondamentale, si legge nella Relazione, "intercettare i segnali con i quali le organizzazioni mafiose punteranno, da un lato, a 'rilevare' le imprese in difficoltà finanziaria, esercitando il welfare criminale ed avvalendosi dei capitali illecitamente conseguiti mediante i classici traffici illegali; dall'altro, a drenare le risorse che verranno stanziate per il rilancio del Paese". Da Nord a Sud, infatti, il comune denominatore delle strategie mafiose, in questo periodo più di altri, pare collegato alla capacità di operare in forma imprenditoriale per rapportarsi sia con la Pubblica Amministrazione, sia con i privati. Nel primo caso per acquisire appalti e commesse pubbliche, nel secondo per rafforzare la propria presenza in determinati settori economici scardinando o rilevando imprese concorrenti o in difficoltà finanziaria. La Dia parla di "propensione per gli affari che passa attraverso una mimetizzazione attuata mediante il "volto pulito" di imprenditori e liberi professionisti attraverso i quali la mafia si presenta alla pubblica amministrazione adottando una modalità d'azione silente che non desta allarme sociale".

https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2021/02/24/covid-dia-le-mani-delle-mafie-su-green-e-sanita_c2298c69-8188-4d4d-9f60-dd949ff03bc7.html

Più Reddito di cittadinanza. Ce lo chiede pure l’Europa. Bruxelles sconfessa Confindustria, Renzi & C. “Misura da rafforzare con gli aiuti del Recovery fund”. - Raffaella Malito

 

Uno dei motivi per cui il M5S ha deciso di sostenere il governo Draghi è difendere le sue battaglie, a partire da quella sul Reddito di cittadinanza. Al termine delle consultazioni col premier incaricato di formare il nuovo esecutivo, la preoccupazione di Vito Crimi e Beppe Grillo è stata quella di rassicurare che il “Reddito di cittadinanza non si tocca”.

Al momento di congedarsi, l’ex ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo (nella foto), ha ribadito che è “necessario assicurare piena continuità e realizzazione al Reddito di cittadinanza. Se l’Italia è riuscita a contenere l’impatto sociale ed economico della pandemia è anche grazie a questa riforma il cui ruolo è e sarà determinante per garantire la ripresa del nostro Paese”.

E adesso è dall’Europa che arriva il riconoscimento al lavoro fatto dal M5S a sostegno dei più fragili. “Un riconoscimento che ci rassicura che la strada intrapresa sin qui è lungimirante, una misura che permette inclusione e giustizia sociale, e allo stesso tempo immette liquidità nell’economia”, scrive la pentastellata Paola Taverna.

La novità di oggi è che il regolamento di istituzione del Recovery fund, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, spiega che il rispetto delle ultime raccomandazioni dell’Ue all’Italia è tra i principali parametri di cui la Commissione terrà conto nel valutare i Recovery plan nazionali. E che, viceversa, la mancata adesione a quei “suggerimenti” potrebbe comportare la bocciatura del documento necessario a ottenere le ingenti risorse provenienti da Bruxelles.

Ebbene, una delle raccomandazioni inviate a maggio all’Italia è stata quella di “fornire redditi sostitutivi e un accesso al sistema di protezione sociale adeguati, in particolare per i lavoratori atipici” e “attenuare l’impatto della crisi sull’occupazione”. La Commissione Ue si è soffermata sul reddito di cittadinanza e ha rilevato che “si potrebbe migliorarne la diffusione tra i gruppi vulnerabili”, ricordando che il governo ha dovuto introdurre un ulteriore reddito di emergenza temporaneo per le fasce di persone non raggiunte dal Rdc, come lavoratori in nero ed extracomunitari residenti in Italia da meno di 10 anni.

Gli ultimi dati disponibili ci dicono che nel mese di gennaio hanno percepito il Reddito di cittadinanza 1,2 milioni di nuclei familiari, con 2,8 milioni di persone coinvolte e un importo medio a nucleo pari a 573 euro. I nuclei percettori di Pensione di cittadinanza sono stati invece 115 mila, con 129 mila persone coinvolte e un importo medio di 240 euro. Complessivamente, quindi, a gennaio hanno ricevuto il beneficio 1,3 milioni di nuclei, con un importo medio pari a 543 euro.

La regione che a gennaio ha avuto più nuclei beneficiari di reddito o pensione di cittadinanza (266mila, pari al 21% del totale) è stata la Campania, a seguire la Sicilia (231mila, pari al 18% del totale). Nel solo mese di gennaio, ha indicato inoltre l’Inps, è stato revocato il beneficio a 15 mila nuclei, per mancanza di uno dei requisiti; nello specifico, prevalentemente per dichiarazioni non conformi rispetto ai redditi da attività lavorativa e al patrimonio mobiliare.

E che l’area della povertà e dell’esclusione sociale in Italia si sia ridotta anche grazie al Reddito di cittadinanza lo dicono i dati Eurostat. Al netto dei furbetti. Secondo i dati Eurostat, riferiti al 2019, la percentuale di popolazione a rischio di povertà ed esclusione sociale, ovvero coloro che hanno un reddito disponibile inferiore al 60% del reddito mediano nazionale, o sono in una situazione di deprivazione materiale o vivono in famiglie con bassa intensità di lavoro, è scesa al 25,6% dal 27,3% del 2018. In pratica le persone in questa situazione di disagio nel 2019 erano 15.388.000, in calo di oltre un milione rispetto alle 16.441.000 del 2018 (erano quasi 18,2 milioni nel 2016).

Ma soprattutto il Rdc ha fatto da argine al dilagare del disagio sociale ed economico in piena crisi Covid. L’Eurostat conferma – ha detto il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico – che in Italia c’è stato “un calo importante del numero di coloro che sono in povertà o a rischio di povertà ed esclusione sociale nel 2019, primo anno di introduzione del Reddito di cittadinanza. La pandemia nel 2020 ha ridotto i redditi degli italiani, ma grazie al Rdc e alle politiche sociali di contenimento messe in atto tempestivamente, il calo del reddito nel 2020 è stato inferiore del 51% rispetto a quello che sarebbe potuto essere in assenza di politiche anti Covid”.

“Il 2021 – ha concluso il numero uno dell’Inps – dovrà essere l’anno del rilancio anche delle politiche attive e degli investimenti, sfruttando al massimo le capacità del Paese e le opportunità del Recovery fund”. E oggi non è solo il M5S a chiederlo. è l’Europa che chiede di rafforzare il Reddito di cittadinanza. E il Recovery plan ne dovrà tener conto.

https://www.lanotiziagiornale.it/piu-reddito-di-cittadinanza-ce-lo-chiede-pure-europa-bruxelles-sconfessa/

martedì 23 febbraio 2021

“Così Palamara spifferava notizie sulle indagini in corso”. - Antonio Massari

 

Corruzione in atti giudiziari - Si aggrava la posizione dell’ex pm.

Nuove accuse per Luca Palamara: corruzione in atti giudiziari. In questa sorta di elastico – le contestazioni sono già mutate tre volte – nell’inchiesta perugina prende un ruolo centrale Piero Amara, l’eminenza grigia delle maggiori inchieste per corruzione di magistrati degli ultimi anni.

Sentito a Perugia come persona informata sui fatti, Amara ha spiegato che riusciva a ottenere informazioni riservate sulle indagini che lo riguardavano a Roma e Messina. La sua fonte era l’imprenditore Fabrizio Centofanti, il quale prendeva notizie da Palamara che, a sua volta, da un lato le carpiva al pm di Roma, Stefano Fava – che indagava su Amara nella Capitale – e dall’altro attraverso l’attuale procuratore generale di Messina, all’epoca procuratore aggiunto, Vincenzo Barbaro. Quest’ultimo ieri ha precisato: “La rivelazione di notizie è palesemente insussistente, come potrà essere comprovato nelle competenti sedi con inoppugnabile produzione documentale, oltre che con la deposizione di tutti i soggetti che a vario titolo si sono occupati del processo. Preannuncio iniziative giudiziarie nei confronti dei responsabili”.

I pm di Perugia – Gemma Miliani e Mario Formisano, coordinati dal procuratore capo Raffaele Cantone – hanno cercato riscontri alla versione di Amara e sono convinti di averli trovati. Prima di passare ai riscontri, però, riordiniamo la matassa delle accuse e mettiamo a fuoco la figura di Amara e Centofanti. Amara – avvocato ed ex legale esterno di Eni – è da anni al centro di numerose inchieste in tutta Italia. È stato condannato a Messina per aver corrotto l’ex pm di Siracusa, Giancarlo Longo, affinché istruisse un fascicolo farlocco, quello sull’inesistente complotto per far cadere l’ad di Eni Claudio Descalzi e finalizzato a depistare il fascicolo in cui lo stesso Descalzi è accusato, a Milano, di corruzione internazionale per l’acquisto del giacimento nigeriano Opl 245 da parte del colosso petrolifero italiano. Per questo “depistaggio” è indagato a Milano. È stato accusato a Roma di aver corrotto magistrati amministrativi per pilotare sentenze.

Amara e Palamara hanno un amico in comune: l’imprenditore Fabrizio Centofanti. E proprio nell’inchiesta romana i finanzieri del Gico hanno individuato un giro di fatture sospette emesse da Amara e Centofanti. Quest’ultimo, a sua volta, è l’uomo che ha pagato a Palamara viaggi e soggiorni in hotel, nonché la ristrutturazione dell’appartamento di una donna all’epoca a lui vicina. In sostanza, secondo la procura di Perugia, Centofanti avrebbe corrotto Palamara. In cambio di cosa? Nella prospettazione iniziale era indagato a Perugia anche Amara: Palamara – fatto poi ritenuto insussistente dai pm – avrebbe incassato 40mila euro per interessarsi alla nomina di Longo (mai avvenuta) come capo della procura di Gela. Amara viene poi archiviato e i pm derubricano l’accusa, per Palamara, in corruzione per esercizio della funzione. Accusa nuovamente cambiata ieri perché, interrogando Amara il 4 febbraio (e non soltanto lui), emerge un fatto nuovo: Amara sostiene di aver avuto notizie sulle sue indagini da Centofanti – sia su Roma sia su Messina – attraverso Palamara che le carpisce in qualche modo a Fava e Barbaro (non indagati). Un primo riscontro può giungere dagli atti d’indagine: Barbaro, da procuratore aggiunto a Messina, partecipava al coordinamento delle indagini con Roma. Ma c’è di più. Il suo nome compare nelle chat con Palamara – al solito si discute di nomine – e, soprattutto, il 14 ottobre 2017 Barbaro scrive una relazione al procuratore capo di Messina sostenendo che l’ex presidente dell’Anm gli aveva dimostrato di conoscere elementi del fascicolo in cui era indagato un suo amico. L’amico – che nella relazione non è menzionato – potrebbe essere proprio Centofanti sul quale, in quel momento storico, non c’era atti ufficiali: era tutto coperto dal segreto istruttorio.

La difesa di Palamara – sostenuta dagli avvocati Benedetto e Mariano Buratti e Roberto Rampioni – ha un’altra tesi. Le interlocuzioni con Barbaro riguardavano un procedimento disciplinare su Longo (che era appunto indagato a Messina): Palamara si informava per avere elementi utili alla decisione finale. Le conversazioni riguardavano anche la nomina da procuratore generale di Barbaro che infatti promette in chat di ringraziarlo con dei torroncini. Secondo Amara, il secondo canale informativo – ammesso che sia riuscito a carpirgli qualcosa, essendo noto il suo rigore – riguarda invece l’inconsapevole pm Fava. L’occasione – emerge da alcune chat con il poliziotto Renato Panvino – era rappresentata da alcuni incontri a tennis tra i due. Panvino ha confermato che, quando nelle chat citava le partite a tennis, intendeva riferirsi a incontri tra Palamara e Fava. Anche Amara ha fornito la stessa versione.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/23/cosi-palamara-spifferava-notizie-sulle-indagini-in-corso/6110365/

SpaceX laboratorio-Covid: studio su anticorpi 4mila dipendenti.

Elon Musk Patron di Tesla e SpaceX



Pubblicato su Nature, indagine per approdofondire immunità.

SpaceX, l'azienda di Elon Musk dedicata ai voli spaziali, è diventata un laboratorio per il Covid. I suoi oltre 4mila dipendenti - come riporta il Wall Street Journal - si sono messi a disposizione per una ricerca sull'immunizzazione poi pubblicata sulla rivista scientifica Nature Communications.

I lavoratori di SpaceX si sono resi disponbili per un certo periodo di tempo, in questi mesi, a prelievi di sangue in modo che i ricercatori potessero analizzare il contenuto degli anticorpi.

Il risultato suggerisce che una certa soglia di anticorpi potrebbe fornire alle persone una protezione duratura contro il virus ma che non si diventa immuni. Inoltre, il 61% dei 120 dipendenti che ha contratto il coronavirus ha riferito di aver manifestato sintomi lievi dell'infezione.

Lo studio pubblicato include dati compresi in un periodo che va da aprile a giugno scorso, ma secondo il Wsj, test regolari sono ancora in corso.

https://www.ansa.it/sito/notizie/tecnologia/internet_social/2021/02/22/covid-studio-su-anticorpi-per-4mila-dipendenti-di-elon-musk_076fe099-d8bf-4c19-9965-15341a69009b.html?fbclid=IwAR1REpL-zsl2OYBAao0cPmbvX3OpOjRfC1fSVIhQ1loxstw_E2g8qXAAR_c