mercoledì 8 settembre 2021

Ruby Ter, Berlusconi chiede un nuovo rinvio dell’udienza a Milano per motivi di salute.

 

L’istanza sarà valutata dai giudici della Settima sezione penale, presieduti da Marco Tremolada. Il tribunale aveva già concesso lo scorso maggio un lungo rinvio del processo per tutti gli imputati, sempre a causa delle sue condizioni di salute. Il leader di Forza è stato 3 volte al San Raffaele nelle ultime due settimane.

Richiesta di legittimo impedimento: Silvio Berlusconi ha depositato una richiesta di rinvio per motivi di salute dell’udienza prevista per domani, mercoledì 8 settembre, del processo Ruby Ter a Milano. L’istanza sarà valutata dai giudici della Settima sezione penale, presieduti da Marco Tremolada. Il tribunale aveva già concesso lo scorso maggio un lungo rinvio del dibattimento per tutti gli imputati, a cominciare dallo stesso leader di Forza Italia, sempre a causa delle sue condizioni di salute che aveva portato al rinvio di quattro udienze di seguito.

In quell’occasione i magistrati avevano respinto le istanze di accusa e difesa che chiedevano di separare la posizione di Berlusconi da quella degli altri 28 imputati per corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza nel filone milanese del processo. Analoga richiesta era stata avallata invece dai giudici del filone senese: nel capoluogo, dove la richiesta di condanna dell’accusa pende dal 2020, la posizione di Berlusconi è stata stralciata da quella dell’unico altro imputato, l’amico cantautore Mariano Apicella, che invece deve rispondere di falsa testimonianza.

Nelle ultime due settimane, Berlusconi è stato per tre volte all’ospedale San Raffaele. L’ultima volta è stata lunedì 6 per sottoporsi a un controllo medico di mezz’ora. Giusto una settimana fa, lo scorso primo settembre, il fondatore di Forza Italia era stato nella clinica per circa due ore. Alcuni giorni prima invece c’era stato l’ultimo ricovero, quello del 27 agosto. Il blitz dal medico personale, Alberto Zangrillo, ha ancora una volta agitato gli azzurri, anche se ormai il partito è abituato ai continui pit stop dell’ex presidente del Consiglio legati al suo stato di salute altalenante a causa delle aritmie cardiache dovute all’operazione a cuore aperto subita nel 2016 e agli effetti del long Covid post contagio, avvenuto esattamente un anno fa.

Il tema della separazione delle posizioni nel processo milanese potrebbe riproporsi in aula e già a maggio l’aggiunto Tiziana Siciliano e il pm Luca Gaglio avevano preannunciato la possibilità di richiedere ai giudici una perizia sulle condizioni di salute dell’ex premier. Ad ogni modo, si saprà domani se i giudici decideranno o meno di accogliere l’istanza di legittimo impedimento e di rinviare il processo per tutti e pure quale sarà la posizione della Procura. L’udienza dovrebbe tenersi in mattinata nell’aula bunker davanti al carcere di San Vittore, ma il collegio sta valutando anche se potrà tenersi, invece, al Palazzo di Giustizia e ciò dipenderà dalle attività di udienza che saranno necessarie.

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Per le grandi aziende il Covid è alle spalle: dividendi a livelli pre-crisi. E mentre i salari sono fermi, la paghe degli ad salgono del 19%. - Felice Meoli

 

Secondo l’ultimo aggiornamento del Global Dividend Index sulle 1.200 maggiori aziende al mondo per capitalizzazione di Borsa, nel 2021 i colossi globali pagheranno agli azionisti 1,39 trilioni di dollari. Intanto l'Economic Policy Institute rileva che nel 2020 i ceo delle 350 maggiori imprese Usa sono stati pagati in media 24,2 milioni di dollari, il 18,9% in più rispetto al 2019, grazie anche alla crescita dell’offerta di azioni nei pacchetti di remunerazione. Dal 1978 al 2020, i loro guadagni dei Ceo sono cresciuti del 1.322%, quelli dei lavoratori medi solo del 18%.

Il contesto economico continua a essere incerto, il monte salari delle aziende stenta a recuperare i livelli pre-pandemia e i sussidi finiscono nel mirino perché secondo gli imprenditori – e qualche politico – “scoraggiano il lavoro”. In un quadro a tinte fosche, l’altro lato della medaglia è vissuto invece da azionisti e amministratori delegati delle più grandi aziende del pianeta: i dividendi hanno ormai quasi chiuso il gap provocato dalla discontinuità pandemica e gli stipendi dei loro amministratori delegati, nell’anno della crisi sanitaria, sono cresciuti a doppia cifra. Con la crescita dell’offerta di azioni nei pacchetti di remunerazione i due gruppi – soci e ad – sempre di più vanno a sovrapporsi, determinando anche distorsioni nella governance, negli obiettivi e nella conduzione delle aziende. E ovviamente un aumento delle disuguaglianze: basti dire che dal 1978 al 2020 i guadagni dei Ceo sono cresciuti del 1.322%, mentre quelli dei lavoratori medi solo del 18 per cento.

Secondo l’ultimo aggiornamento del Global Dividend Index, studio trimestrale del gestore patrimoniale globale Janus Henderson sul pagamento delle cedole agli azionisti delle maggiori aziende del pianeta, dopo un anno di magra i colossi globali hanno riavviato la distribuzione dei dividendi, e nel 2021 saranno pagati 1,39 trilioni di dollari. In crescita rispetto agli 1,36 della precedente edizione dello studio, quasi al livello pre-pandemia. L’84% delle aziende considerate dal gestore patrimoniale ha aumentato o mantenuto stabili i dividendi nel secondo trimestre 2021 rispetto allo stesso periodo del 2020, dividendi che nel trimestre sono cresciuti complessivamente del 26,3 per cento. La parte del leone l’ha fatta l’Europa, dove i dividendi sono saliti del 66,4 per cento. Alle sue spalle il Regno Unito (+60,9%), mentre il Giappone (+0,4%) e il Nord America (+5%) in questo frangente temporale solo apparentemente sono rimasti al palo. Risultati eclatanti per il Vecchio Continente, sia perché il secondo trimestre è tradizionalmente l’arco dell’anno in cui le società europee staccano le cedole in un’unica soluzione, sia perché dall’altra parte dell’Atlantico di fatto la distribuzione dei dividendi non si è mai interrotta, nemmeno nelle fasi più delicate della crisi.

L’indice analizza nel dettaglio le 1.200 maggiori aziende al mondo per capitalizzazione di Borsa, che distribuiscono il 90% di tutti i dividendi globali. Le successive 1.800 aziende, nell’insieme considerato, rappresentano solo il 10% complessivo, con effetti dunque limitati sui risultati generali. Per lo stesso principio idealmente paretiano, anche le prime 20 aziende della speciale classifica dell’Index, dunque meno del 2% del totale, distribuiscono il 20% dei dividendi complessivi. Samsung, Nestlé, Rio Tinto, Sberbank e Sanofi sono le 5 società che nel secondo trimestre di quest’anno hanno distribuito più dividendi agli azionisti. Insieme ad Allianz, China Mobile, Microsoft, Axa e AT&T completano le prime 10 posizioni. Queste aziende nel secondo trimestre di quest’anno hanno pagato agli azionisti dividendi per 59,9 miliardi di dollari. Altre cedole per 33,1 miliardi di dollari sono state staccate da Exxon, Apple, Toyota, Basf, Deutsche Telekom, Zurich Insurance, Walmart, HSBC, Credit Agricole e Johnson & Johnson. Secondo gli analisti, la crescita più importante nel periodo considerato ha riguardato le società minerarie, che hanno beneficiato del boom dei prezzi delle materie prime. Anche le società industriali e i produttori di beni di consumo hanno sperimentato una decisa ripresa, nonostante alcuni sotto-settori, come quello del tempo libero, rimangano sotto forte pressione. Le società finanziarie restano invece vincolate alle decisioni dei regolatori e ai limiti imposti in alcune aree del globo alle banche.

Ma non sono solo gli azionisti delle più grandi multinazionali a sorridere, secondo i dati dell’Economic Policy Institute, che ha invece analizzato gli stipendi degli amministratori delegati delle 350 maggiori aziende americane, nell’ultimo anno cresciuti più del mercato borsistico e dei salari dei lavoratori. Due gruppi – azionisti e amministratori delegati – che diventano sempre più coincidenti. Nel 2020, i ceo sono stati pagati in media 24,2 milioni di dollari, il 18,9% in più rispetto al 2019, grazie anche alla crescita dell’offerta di azioni nei pacchetti di remunerazione e all’esercizio di stock option. Nel 2020 il rapporto tra la retribuzione del ceo e quella del lavoratore medio è stato mediamente di 351 a 1, ovvero per ogni dollaro di salario del lavoratore medio, l’amministratore delegato ne ha guadagnati 351. Nel 2019 questo rapporto era di 307 a 1, nel 1989 di 61 a 1, nel 1963 di 21 a 1. Dal 1978 al 2020, i guadagni dei Ceo sono cresciuti del 1.322%, mentre quelli dei lavoratori medi solo del 18 per cento.

“Le paga esorbitante dei Ceo è una delle principali cause dell’aumento della disuguaglianza che potremmo tranquillamente eliminare. I Ceo stanno ottenendo di più grazie al loro potere di fissare gli stipendi e perché gran parte della loro retribuzione (oltre l’80%) è correlata alle azioni di Borsa, non perché stiano aumentando la produttività o posseggano competenze specifiche e molto richieste”, afferma l’Economic Policy Institute. Il think tank ha infatti messo a confronto le retribuzioni dei Ceo anche con i salari dello 0,1% che guadagna di più, ovvero il gruppo di lavoratori che guadagna più del 99,9% degli altri salariati. Nel 2019, ultimo anno di disponibilità dei dati per i migliori salariati, la retribuzione dei Ceo è stata 6,44 volte maggiore dello 0,1% dei più ricchi salariati, un rapporto che nel periodo 1947-1979 si fermava a 3,18 volte. Eppure, anche questo gruppo non è rimasto al palo, e ha visto crescere i propri guadagni dal 1978 al 2019 del 341 per cento. Ma le retribuzioni dei Ceo, nello stesso periodo, sono cresciute ben tre volte tanto.

La maggior parte dei pacchetti retributivi dei Ceo prevede un aumento della paga ogni volta che il valore delle azioni dell’azienda aumenta; cioè, consentono agli amministratori delegati di incassare le stock option indipendentemente dal fatto che l’aumento del valore delle azioni dell’azienda sia stato maggiore rispetto ad altre società dello stesso settore. Allo stesso modo, i premi in azioni aumentano di valore quando il prezzo delle azioni dell’impresa aumenta a seguito di una escalation dei prezzi delle azioni nel mercato borsistico. “Se le tasse sulle società vengono ridotte e i profitti aumentano, portando a prezzi delle azioni più alti, è corretto affermare che i Ceo hanno migliorato le prestazioni delle loro aziende?”, si chiedono retoricamente i ricercatori. Che indicano anche qualche strada da percorrere: aliquote marginali più alte per i redditi dei vertici della piramide, più tasse per le aziende con un rapporto elevato tra retribuzione del Ceo e salario medio del lavoratore, interventi di antitrust e regolatori e voce in capitolo di tutta la compagine azionaria sulle retribuzioni dei top executive.

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Abbiamo scherzato. - Marco Travaglio

 

Più passano i giorni, più appare chiaro che Draghi non ha alcuna intenzione di imporre i vaccini forzati a 4-5 milioni di No Vax: il suo annuncio “si va verso l’obbligo vaccinale” era una boutade, un ballon d’essai, uno spaventapasseri per indurre il fu Salvini a più miti consigli sul Green Pass. Come quando i genitori, per costringere il bimbo riottoso a fare qualcosa, lo minacciano: “Guarda che chiamo il babau e ti faccio mangiare”. Il bello è che nel frattempo la sparacchiata draghiana, come ogni sospiro o droplet che esce dalla sua bocca, ha già fatto il pieno di consensi: un festival di lingue, salmi, cantici e gridolini di giubilo (Evviva! Era ora! Lo dicevo, io! Sante parole! È un bel presidente!), seguiti dalla scomunica per chiunque obietti qualcosa (Vergogna! Orrore! No Vax che non siete altro!). Figurarsi che faccia faranno i turiferari quando si scoprirà che quel mattacchione di SuperMario scherzava. La scena ne ricorda una del 2006, quando B. in forma smagliante dichiarò testualmente: “Nella Cina di Mao i comunisti non mangiavano i bambini, ma li bollivano per concimare i campi”. L’ambasciatore cinese protestò. Ma lui insistette: “Ma è la Storia! Mica li ho bolliti io, i ragazzini. Se poi non si può nemmeno esprimere una certezza…”.

Intanto i suoi servi sciocchi, anziché sorvolare per carità di patria, si scapicollarono a dargli ragione. Il più lesto, oltre ai camerieri di FI, Lega e An, fu Renato Farina che lanciò la lingua oltre l’ostacolo su Libero: “Ecco le prove: mangiavano i bimbi. Un libro conferma la verità di Berlusconi. E la sinistra, negando, uccide un’altra volta… Su questi bambini ci si scherza su. Come se fosse una barzelletta. Siccome la frase è di Berlusconi, diventa una battuta… Altro che balle. Balle una sega… Ha assolutamente ragione”. Un altro noto sinologo di scuola arcoriana, Filippo Facci, scodellò sul Giornale un altro studio molto accurato sul tema, dal titolo: “Li mangiano ancora”: “In Corea del Nord ultimamente si sono perpetuati cannibalismi e assassini a scopo alimentare a causa di carestie, inondazioni e disperazione”, senza peraltro spiegare che diavolo c’entrasse la Corea del Nord con i “bambini bolliti per concimare i campi” nella Cina di Mao. Mentre Betulla, Facci e gli altri scudi umani sudavano le sette camicie su Google a caccia di altre minchiate da appiccicare a quella del padrone, quello se ne uscì bello fresco con una ritrattazione in piena regola: “Be’, sì, sulla Cina ho fatto un’ironia discutibile, non mi sono trattenuto…”. E li lasciò lì con le lingue a penzoloni, esposti al ludibrio generale: avevano trasformato in dogma una battuta. La cosa comunque non arrecò nocumento alle loro carriere: per non perdere la faccia, il segreto è non averne una.

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martedì 7 settembre 2021

Draghi ordina, Salvini si piega: adesso più Green pass per tutti. - Giacomo Salvini

 

Il cul de sac è evidente anche ai suoi fedelissimi: “Come si muove, Matteo prende sberle”. Così è stato giovedì scorso quando il presidente del Consiglio, Mario Draghi, per reagire al voto contrario della Lega in commissione sul Green pass, ha rilanciato sull’estensione del certificato verde e sull’obbligo vaccinale, e così sarà nei prossimi giorni quando Matteo Salvini dovrà ingoiare anche l’estensione del pass per i lavoratori. A spiegarglielo sarà Draghi in persona nelle prossime ore a Palazzo Chigi: “Sul Green pass non sono ammessi scherzi” è la linea del premier. E Salvini dovrà accettarlo. Il leader della Lega dunque è isolato e, dicono, sempre più nervoso. Perché sulle misure anti-pandemia alla fine si piegherà alla volontà del premier e alle altre forze di maggioranza che stanno appoggiando in toto la linea di Draghi: tra oggi e domani arriverà il voto alla Camera sul decreto che ha introdotto il Green pass e la Lega sarà costretta a dire “sì” – fiducia o non fiducia – rimangiandosi il voto in commissione per abolirlo; poi in cabina di regia i leghisti appoggeranno anche l’estensione del certificato verde per i dipendenti pubblici. Ipotesi che fino a qualche giorno fa Salvini vedeva come fumo negli occhi. E invece, su pressione dei governatori del nord e dei governisti guidati da Giancarlo Giorgetti, il segretario dovrà cambiare idea. Lo ha spiegato ieri proprio il ministro dello Sviluppo Economico che prevede “un’estensione del Green pass” per i lavoratori perché il certificato deve essere “uno strumento di sicurezza nei luoghi affollati”. D’accordo Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli-Venezia Giulia: “Il certificato serve per migliorare la nostra vita”.

Ma Salvini ha grossi problemi anche fuori dal governo. L’altro incubo è quello delle prossime amministrative che potrebbero segnare non solo una pesante sconfitta nelle grandi città ma anche il sorpasso di Fratelli d’Italia nel voto di lista. E i sondaggi che girano a via Bellerio non sono rassicuranti: secondo le ultime rilevazioni FdI triplicherebbe la Lega a Roma (20 a 7%), la doppierebbe in Calabria (16 a 8%) e i due partiti sarebbero appaiati intorno al 10-11% a Milano e Napoli. Il sorpasso nel capoluogo lombardo, spinto dalla candidatura di Vittorio Feltri con Giorgia Meloni, sarebbe una batosta pesante per Salvini, perché Milano è la sua città natale e considerata un luogo simbolo del Carroccio. Per questo ieri pomeriggio Salvini ha convocato la segreteria federale e ha dato la sveglia ai suoi: “Bisogna fare una campagna pancia a terra a Roma, Milano e Napoli – ha detto – io farò 80 comizi in un mese”. Ma l’isolamento e le sberle ricevute negli ultimi giorni stanno portando Salvini ad aprire sempre nuovi fronti nel governo: l’abolizione del Reddito di cittadinanza, gli attacchi alla ministra Lamorgese sugli sbarchi, la battaglia su Quota 100 e l’appoggio a Roberto Cingolani sul ritorno al nucleare. Un modo per mettere pressione su Draghi. “Ma così Salvini spara a salve – attacca un ministro – perché non può permettersi di lasciare l’esecutivo con tutti i soldi del Pnrr”.

Il primo test arriverà oggi sul voto alla Camera. Ieri la Lega ha chiesto in una riunione di maggioranza di non mettere la fiducia ma allo stesso tempo ha deciso di non ritirare i 5 emendamenti che chiedono di eliminare l’obbligo del pass per gli under 12, di introdurre i test salivari e il risarcimento danni da vaccino. Che, se aggiunti ai 10 di FdI, potrebbero mettere in crisi la maggioranza nei voti segreti. Draghi deciderà se mettere o meno la fiducia ma se non lo farà la norma passerà con il voto della Lega. Poi arriverà il decreto per estendere il pass: la cabina di regia non è stata ancora convocata e potrebbe slittare alla prossima settimana. Ma, nel giorno in cui Roberto Speranza annuncia la terza dose da fine settembre e l’estensione “a breve” del pass, il governo vuole introdurre l’obbligo del certificato per i lavoratori da ottobre, dando 15 giorni di tempo ai non vaccinati per fare la prima dose: riguarderà i dipendenti pubblici e quelli di ristoranti, bar, palestre e mezzi pubblici. Per questo ieri Draghi ha ricevuto a Palazzo Chigi il segretario della Cgil Maurizio Landini e in serata i sindacati hanno visto i vertici di Confindustria per parlare del tema. Ma la strada ormai è tracciata.

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Quirinale a ore. - Marco Travaglio

 

Dopo Benigni al Festival di Venezia, anche il cantante Marco Mengoni al Salone del Mobile di Rho-Pero, forse influenzato dal clima di antiquariato e modernariato, ha chiesto a Mattarella di restare ancora un po’. Come nel 2013 con Re Giorgio I e poi II, è partita la rumba delle perorazioni al capo dello Stato perché accetti la rielezione. Non per 7 anni, come prevedrebbe quel testo desueto chiamato Costituzione, ma solo un po’, per tenere in caldo la poltrona a Sua Altezza Reale Mario I, che poi deciderà quando ascendere al Colle dopo avere spicciato le ultime faccende a Palazzo Chigi. Come se il Quirinale fosse un albergo a ore. Immaginate cosa pensano all’estero di un Paese che, su 950 parlamentari, non ne trova uno in grado di fare il presidente della Repubblica, cioè di dire quattro banalità a Capodanno (“vestitevi che fa freddo, mettetevi le galosce”), baciare bambini, tagliare nastri ed estrarre dal cilindro un banchiere o chi per lui nelle crisi più serie. Anzi, uno ce l’avremmo, ma purtroppo fa già il premier e, se trasloca, restiamo senza e non troviamo più nessuno in grado di guidare il governo, pur formato integralmente da Migliori.

Questa barzelletta fa ridere in Italia, figuriamoci fuori dalla cinta daziaria. Eppure è il mantra che salmodiano i giornaloni e seguiteranno a biascicarlo fino alla data di scadenza di Mattarella. I Costituenti, che avevano chiara la distinzione fra una Repubblica e una Monarchia (gli italiani avevano appena scelto la prima e salutato la seconda), assegnarono al capo dello Stato un mandato settennale per sganciarlo dalla logica maggioranza-opposizione e affinché l’interessato ne avesse abbastanza. Infatti nessun presidente pensò al bis fino a Napolitano, che ruppe la tradizione. E non, come ci fu raccontato, perché non c’erano alternative, ma proprio perché c’erano: Prodi e Rodotà, che però minacciavano un governo coi vincitori delle elezioni (M5S e Pd), anziché con gli sconfitti. Infatti i padroni del vapore imbalsamarono il loro santo patrono al Colle per propiziare il governo Letta, cioè l’ammucchiata fra Pd e sconfitti (FI e montiani), e tagliar fuori i vincitori. Ora i soliti noti ritentano l’audace colpo per tagliar fuori M5S e Meloni dal prossimo governo con un’ammucchiata ancor più vasta (ora c’è pure la Lega perché i partiti “affidabili” si sono ristretti un altro po’). Se Mattarella e i suoi fan pelosi vogliono provarci, liberissimi. Ma ci risparmino le balle tipo “non ci sono alternative”, “ce lo chiede l’Europa” e “il presidente è costretto al bis”. Le alternative sono almeno 950. In Europa, quando scade un presidente, se ne fa un altro. E nessun presidente può essere costretto al bis: se non vuole, lo dice chiaro e il Parlamento elegge un altro.

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Jean Paul Belmondo.

 

Un mito del passato, un mio mito, ci ha lasciati ieri, se n'è andato via, per sempre.

Ma io lo porterò sempre nel cuore, come un caro ricordo della mia passata gioventù.

Cetta

Casa, acquirenti giovani e prezzi stabili. Ecco dove si risparmia. - Laura Cavestri

 

Nella prima parte del 2021 si conferma la preferenza degli investitori per il bilocale (39,9%) a seguire il trilocale (31 per cento).

Gli investitori restano, comunque, prudenti in questo momento, anche se il mattone attira ancora.

Le compravendite per investimento nel I semestre del 2021 hanno rappresentato il 16,3% del totale delle transazioni effettuate dalla rete del gruppo Tecnocasa. Tra queste Bologna e Palermo sono le uniche due che hanno registrato, rispetto a un anno fa, un aumento della percentuale per investimento, rispettivamente, del 30,5 e del 31 (nel 2020 era del 26,2% e 30,6 per cento) . Nelle altre realtà se ne segnala, invece, una contrazione, soprattutto a Verona (passata da 28,1% a 23,2%) e a Bari (da 30% a 25 per cento).

La mappa dei prezzi.

I prezzi, naturalmente, sono enormemente diversificati in base alla città, alla zona di riferimento e alla tipologia di appartamento.

Secondo un’elaborazione di Tecnocasa, sui prezzi al metro quadrato, tra centro, semicentro e periferia in una decina di capoluoghi che sono anche sedi universitarie, tra i monolocali, i più convenienti si trovano alle periferie di Lecce (1000-1400 euro al mq), Perugia (1100-1750 euro al mq) e Trieste (1300-1600 euro al mq circa). I più cari sono in centro a Milano, in un range al mq che va dagli 8500 a sfiorare i 10mila euro. Poco sotto, Roma.

Su fronte di bilo e trilocali, il minimo, alla periferia di Perugia, può essere sotto i 1000 euro al mq, mentre a Milano si parte da 2800-3mila euro al mq a salire.

Sulle aree centrali, spicca Milano (il minimo per un trilocale è di 6500 euro al mq), seguita da Roma (sopra i 5mila euro al mq per 3 vani) e Bologna (a 3500 euro al mq di base, in centro). Le più “abbordabili”, Genova, Lecce. Trieste, Bari e Perugia.

Congiuntura favorevole

Del resto, il mix di bonus fiscali - dal risparmio energetico all’arredo - e le condizioni di estremo vantaggio per accedere a mutui, si coniugano con un prezzo delle case usate in Italia, che - secondo l’ultimo indice dei prezzi immobiliari di Idealista - ha registrato un calo dello 0,4% ad agosto, attestandosi a 1.718 euro/mq.

Chi compra cosa compra?

Cosa si compra? Nella prima parte del 2021 si conferma la preferenza degli investitori per il bilocale (39,9%) a seguire il trilocale (31 per cento). Gli acquirenti sono soprattutto coppie (46,3%), dato in aumento rispetto ad un anno fa (43,6%) così come si segnala un leggero aumento tra i single (da 24,8% a 26,9%)

Infine, fa notare ancora Tecnocasa, aumentano gli acquisti per investimento nella fascia più giovane, tra 18 e 34 anni, con un interesse proprio nei giovani intorno ai 30-34 anni che hanno una situazione economica stabile e già in possesso della prima casa. Ma non di rado, dietro, ci sono i genitori, che intestano ai figli appartamenti non solo come prima abitazione, ma anche acquisti a scopo di investimento a sostegno dei reddito dei giovani.

Illustrazione di Giorgio De Marinis

IlSole24Ore