venerdì 11 marzo 2022

Vengo anch’io, no tu no. - Marco Travaglio

 

Nella rassegna stampa di ieri, spicca per originalità l’analisi di Nathalie Tocci sulla Stampa. Direttore dell’Istituto Affari Internazionali, già “Special Adviser dell’Alto rappresentante Federica Mogherini” (e ho detto tutto), ma specialmente consigliere di amministrazione dell’Eni, la Tocci sostiene che si può negoziare con tutti, ma non con Putin: con lui “è impossibile”. Per due motivi. 1) “Putin vuole l’Ucraina” che, essendo “democratica, è una minaccia per Putin” e su questo “Kiev non è disposta a trattare, né possiamo esserlo noi” (noi maiestatico, non è ben chiaro se nel senso di Eni, di Iai, di Italia o più modestamente di Tocci). 2) “A differenza della Russia di Putin”, che è “autocrazia e cleptocrazia”, l’Ucraina e le altre “liberaldemocrazie sono tali proprio perché proteggono quei valori sui quali sono fondate”. In attesa di conoscere nel dettaglio i valori della democrazia ucraina (esportati a suon di stragi in Donbass) e conoscendo già quelli delle nostre (esportati a suon di massacri in ex Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia e – in combutta coi russi – in Siria ecc.), ci affascina quest’idea di negoziato del tutto inedita.

Non essendo del ramo, pensavamo dovessero parteciparvi – come avviene da millenni – le due parti in conflitto, per la banale ragione che, se non si mettono d’accordo loro, la guerra continua. Invece apprendiamo dalla Tocci che Putin va escluso a priori. Deciderà lei chi ammettere al tavolo per la Russia e naturalmente cosa scrivere nel trattato: “L’unico sbocco sensato” è il “cessate il fuoco immediato e incondizionato”. Il che, a voler sottilizzare, renderebbe superfluo qualunque negoziato: se i russi si ritirano, la guerra finisce da sola. Purtroppo serpeggia il sospetto che i russi non abbiano alcuna intenzione di seguire gli amorevoli consigli della Tocci. Anzi, a dirla tutta, gira voce che la guerra in Ucraina sia un po’ più complicata del derby fra buoni e cattivi, fra liberaldemocrazie e cleptotirannidi, fra amici e nemici della pace che le Sturmtruppen da divano raccontano. Sennò dovremmo dichiarare guerra a tutti i tiranni del mondo, e pure a tutti i guerrafondai, inclusi i nostri. Poi dovremmo espellere dalla Nato la Turchia, che fa strage di curdi, e smettere di lisciare i regimi di Azerbaigian, Qatar, Arabia Saudita, Iran e Venezuela perché ci vendano il gas e il petrolio che non vogliamo più comprare da Mosca. E infine trascinare al Tribunale dell’Aja per crimini contro l’umanità i nostri governanti che bombardarono Belgrado e Baghdad sterminando molti più civili, anche bambini nelle scuole e negli ospedali, di quanti sia riuscito a ucciderne Putin in Ucraina. Anche se, va detto, i bambini serbi e iracheni ebbero l’indubbio privilegio di essere massacrati da bombe liberaldemocratiche.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/11/vengo-anchio-no-tu-no/6522260/

Legge fine vita, approvata.

 

Pochi minuti fa alla Camera dei deputati è arrivata l’approvazione del testo unificato sulla morte volontaria medicalmente assistita, una legge di civiltà che tantissimi cittadini chiedevano da tempo.

È stato un lavoro davvero intenso durato tre anni.
Con questa legge colmiamo finalmente un vuoto normativo segnalato dalla Corte Costituzionale nel 2019.

Da oggi si consente, a chi ne abbia i requisiti, di porre consapevolmente fine alle proprie sofferenze circondato dall’affetto dei propri cari e assistito dal Servizio Sanitario Nazionale.

Questa legge è il frutto di notevoli mediazioni che hanno tenuto conto delle tante e diverse sensibilità presenti in #Parlamento.
Per questo motivo desidero ringraziare i miei colleghi della Commissione e in particolar modo Nicola Provenza, deputato del MoVimento 5 Stelle e relatore del testo, per aver creduto fino in fondo alla possibilità di raggiungere questo straordinario risultato.

Sono davvero orgogliosa dell’approvazione di questa norma.
L’Italia fa un importante passo avanti verso la tutela della #dignità e dell’autonomia della persona malata, garantendogli un adeguato sostegno sanitario, psicologico e socio-assistenziale.
Ora auspichiamo ad una rapida approvazione anche in Senato.

Un pensiero di vicinanza a tutte le persone che in questo momento stanno soffrendo e a tutti quelli che si sono battuti assieme a noi per ottenere una legge di civiltà.

Maria Edera

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Guerra Ucraina, l’ex generale Camporini: “Armare Kiev era e resta l’unica alternativa possibile. Non è il tempo di dissertazioni filosofiche”. Ed evoca il Vietnam. - Thomas Mackinson

 

Nei giorni scorsi alcuni analisti ed ex generali hanno messo in dubbio la strategia dell'Europa di fornire armi a Kiev, evidenziandone i rischi e le contraddizioni. L’ex capo di Stato Maggiore della Difesa, che fa parte del direttivo di Azione, rivendica quella scelta. Senza escludere però il rischio di un "pantano Ucraina" e le responsabilità storiche di Francia, Germania e Italia.

Evocare oggi il Vietnam o una Sarajevo non rassicura più di tanto, ma vallo a spiegare ai generali. Alcuni, non tacciabili di “retorica pacifista”, nei giorni scorsi hanno espresso pubblicamente dubbi sulla scelta dell’Europa di armare l’esercito ucraino per una resistenza “senza partita”, che costerà più vittime alla popolazione civile e in futuro spingerà ancor di più la Russia verso l’Asia e la Cina, con tutti i rischi del caso. Così l’ex generale Fabio Mini, su questo stesso sito, e ancora due giorni fa Mario Bertolini, già capo del Comando operativo interforze e presidente dell’associazione dei parà, intervistato dal Messaggero e LaVerità. Ce n’è uno che, in qualche modo, risponde al dilemma nei panni sia dell’esperto militare che dell’uomo politico, difendendo a spada tratta la scelta di leader e colleghi che, ai venti di guerra, han risposto indossando (in senso molto figurato) la mimetica.

È l’ex capo di Stato Maggiore della Difesa Vicenzo Camporini, ex generale dell’Aeronautica e oggi nel direttivo di Azione, il partito di Calenda che – come tutti i gruppi parlamentari – ha votato “sì” in Parlamento all’invio di armi dall’Italia a Kiev. Non solo, Camporini è anche nel direttivo dello IAI, acronimo che sta per Istituto Affari Internazionali, quello fondato da Altiero Spinelli, padre nobile dell’Europa, che profeticamente scrisse: “L’Europa non cade dal cielo”. La figlia, Barbara Spinelli, è stata tra i primi a soffiare in direzione contraria allo “spirito belligerante” dell’Unione, ed è stata additata per questo come “amica di Putin”, per il solo fatto d’aver ricordato ai lettori una serie di impegni mancati da parte dell’Europa e di Washington, per effetto dei quali nel 2022 si è piombati in uno scenario da guerra fredda incendiato dal fuoco delle munizioni e dall’incubo/ricatto di una guerra nucleare.

Generale, l’avanzata russa continua, i negoziati sembrano inconcludenti, si palesa il rischio di un “pantano ucraino”: non le viene qualche dubbio sulla scelta di armare l’Ucraina?
“No, nessun dubbio. Capisco che ora è difficile guardare gli effetti di quella decisione, ma che alternativa avevamo? Se un despota attacca uno stato sovrano alle porte dell’Europa, potevamo lasciarglielo fare? Ritengo che porre oggi “problemi filosofici” sia quantomeno inappropriato. Poi è vero, alcune cose stanno andando diversamente da come si sperava, ma non era preventivabile. Penso ad esempio ai negoziati in corso”.

Appunto. Le pare stiano portando da qualche parte?
Al momento sono purtroppo più il segnale della buona volontà da parte di qualcuno, ma ritengo abbiano poche chance di successo, anche perché la Russia si presenta al tavolo ribadendo sempre la sua posizione: che negoziato è quello in cui uno si presenta e dice “sono disposto a negoziare, basta che accetti le mie condizioni”? Per altro lo fa in luoghi che di per sé suonano come una provocazione o un’umiliazione bella e buona: non solo quelli al confine con la Bielorussia, che spalleggia l’esercito di Mosca, ma a Brest, dove 100 anni fa ci fu l’armistizio zarista. Non si può non cogliere in questa scelta lo spirito di revanscismo che trapela dai discorsi di Putin”.

Ecco, le reali intenzioni della Russia. Alcuni analisti richiamano l’attenzione sul fatto che ufficialmente il Cremlino non voglia conquistare l’Ucraina ma reclami garanzie di neutralità rispetto alla Nato e sicurezza dei propri confini, comprese le “repubbliche” filorusse. Lei come la pensa?
“Vedo che nei dispacci ufficiali di Mosca si dice questo, poi ascolto Putin e sento tutta un’altra storia. E purtroppo a comandare è lui. Ha detto che l’Ucraina non avrà più un governo suo, che la vuole schiacciare e far tornare parte dell’impero. Credo non ci siano dubbi sulle sue intenzioni. Può darsi, e me lo auguro vivamente, che all’interno della dirigenza russa qualcuno si stia ponendo il problema e che sia in qualche modo l’espressione di una visione diversa. In quel modo se ne può discutere, però tenendo conto che non bisogna stabilire precedenti. Perché abbiamo situazioni simili al Donbass, sto parlando della Transnitria: nel momento in cui si cede su quello è naturale per Mosca rivendicare quell’altro, e poi magari le ex repubbliche sovietiche che fanno parte dell’Europa. E’ una valanga che non si ferma più”.

E le armi la stanno fermando?
Se stiamo alle operazioni di questi giorni, mi pare indubbio che l’avanzata dell’esercito stia subendo vistosi rallentamenti. Le notizie di ieri parlano di cinque bombardieri abbattuti, e a tirar giù quei Sukhoi 25 sono stati i missili spalleggiabili che fanno parte delle nostre forniture. Sono sistemi che possono mettere davvero in seria difficoltà l’attaccante che si muove con forze convenzionali, soprattutto se come pare non sono addestrate e testate coi metodi di supporto reciproco tra fanteria e mezzi corazzati, e in particolar modo se i militari come sembra sono ragazzi di leva. La storia militare ha dei precedenti importanti, pensi solo al Vietnam. Il rapporto era indubbiamente a favore degli Usa, ma la resistenza vietnamita grazie ai rifornimenti russi ha costretto gli Usa a desistere. Può succedere lo stesso.

Sì, ma dopo 20 anni di guerriglia e 300mila morti: quanto può durare un conflitto a media intensità?
Si spera il meno possibile, ma non si capisce la scelta di fornire armi a Zelensky se non si tengono insieme i due pilastri delle strategia di difesa: quello delle forniture militari e delle sanzioni. Certo, il loro difetto intrinseco è che chi le subisce ne paga il prezzo sul medio periodo e chi le impone subito. E’ uno strumento di delicato, ma è altrettanto vero che un’economia come quella russa non gode di ottima salute ed è possibile che qualcuno a Mosca inizi a fare pressioni che anche Putin non può sostenere. La storia è piena di guerre perse per “default”: l’esercito imperiale tedesco sul terreno poteva resistere a lungo, ma è crollato quando è crollata l’economia del Reich.

L’aggressione militare dei russi sta generando una crisi umanitaria nel cuore dell’Europa. E’ tutta colpa dei russi? Non abbiamo proprio nulla da rimproverare a noi stessi?
Non è così, non sarebbe onesto negare alcuni “errori” e responsabilità. Io stesso ero presente a Bucarest nell’aprile del 2008, quando ci fu l’intenzione iniziale di alcuni di invitare formalmente la Georgia e l’Ucraina a entrare nella Nato, così da togliere l’oggetto del contendere ai russi. Allora ci fu una valutazione non concorde di altri membri dell’alleanza atlantica, in particolare la Francia, la Germania e l’Italia, in rigoroso ordine alfabetico. Ne uscì un documento in cui si diceva genericamente che le porte rimanevano aperte e che in futuro indefinito anche questi paesi avrebbe fatto parte dell’Alleanza. Fu una formulazione molto blanda che dispiacque molto a Mosca e purtroppo diede adito all’allora leader georgiano di avviare una campagna disastrosa contro la Russia nell’agosto 2008. Questo fu sicuramente un errore, ma oggi dico un peccato veniale contro uno mortale.

Si guarda alla guerra in corso, all’accoglienza dei profughi. Ma c’è anche un futuro che si sta decidendo oggi. Per alcuni generali la nostra posizione spinge la Russia sempre più verso l’Asia e la Cina, rischia di isolarla ancora di più ampliando il rischio di nuovi conflitti futuri?
A questa obiezione replico dicendo che proprio la risposta così coesa dei governi europei, forse inattesa da tutti, crea le premesse concrete per un sistema di difesa a autonomia strategica di cui si parla da tanto tempo. Per qualcuno dovrebbe essere del tutto indipendente, io penso non possa che nascere facendo parte della grande famiglia occidentale della Nato che ha permesso ai nostri paesi di prosperare in sicurezza. Ma certamente dovrà avere pari dignità e peso perché non accada più che ogni decisione presa a Washington debba essere trangugiata a Parigi e a Roma.

C’è un’altra asimmetria nello sforzo Nato: i costi della guerra che stiamo armando li pagherà l’Europa, fin da subito visto che a differenza degli Usa si sta facendo carico dei profughi.
Anche questo è un banco di prova, non c’è dubbio. Perché in situazioni come questa qualcuno paga prezzi più alti di altri ed è giusto si trovino gli strumenti per far si che gli oneri siano equamente distribuiti. E’ un bel test della reale possibilità del mondo occidentale di agire in modo organico, insieme, condividendo costi e oneri. Io auspico che le cose andranno così. ma non è scontato, perché effettivamente gli egoismi nazionali ci sono, lo vediamo con gli immigrati nel Mediterraneo. Ci sono grosse faglie e vediamo se in questo caso gli eventi faranno sì che si ricompongano.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/03/10/guerra-ucraina-lex-generale-camporini-armare-lucraina-era-e-resta-lunica-alternativa-possibile-non-e-il-tempo-di-dissertazioni-filosofiche-ed-evoca-il-vietnam/6519514/#

giovedì 10 marzo 2022

UCRAINA, L’IMPERO OFFSHORE DI VOLODYMYR ZELENSKYY: L’ANTIOLIGARCHI FINANZIATO DA UN OLIGARCA?. - 7 Marzo 2022Franz Becchi

 

Nel giro di un paio di settimane, il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelenskyy è diventato il volto della resistenza contro l’invasore russo. Questa perlomeno la rappresentazione che viene fatta del personaggio al momento dai media occidentali.
Ma chi è Volodymyr Zelenskyy, e come è entrato nei palazzi del potere ucraini? Il quarantaquattrenne non è un volto nuovo in Ucraina.
In seguito a una lunga carriera come comico e attore, Zelenskyy ha messo in pratica un copione di un suo film, diventando capo di Stato della repubblica semipresidenziale. “Servitore del Popolo”, il partito da lui fondato nel 2017, è infatti il titolo di un omonima serie televisiva ucraina, in cui Zelenskyy interpreta un insegnante di storia del liceo stanco della corruzione in politica, che riesce nell’impresa di diventare proprio presidente dell’Ucraina.

La nascita della società Kvartal 95 Studio.
Insomma, quando la fiction diventa realtà verrebbe da dire.
Ad ogni modo, i passaggi e i protagonisti che hanno portato all’elezione di Zelenskyy lascerebbero intendere che la consacrazione politica dell’ex comico ucraino sia stata tutto fuorché una coincidenza.
Nel 2003, insieme a Serhiy Shefir e Boris Shefir, Zelenskyy è stato il fondatore di Kvartal 95 Studio, società attiva nel settore dell’intrattenimento televisivo sulle emittenti ucraine. I fratelli Boris e Serhiy Shefir sono stati collaboratori di Zelenskyy nella produzione “Servitore del Popolo”, mentre un altro membro della comitiva, Ivan Bakanov è stato direttore generale di Kvartal 95.
Una volta arrivato al potere, Zelenskyy ha presto conferito incarichi governativi alla sua cerchia di amici.
Bakanov è diventato il capo dei Servizi Segreti dell’Ucraina, mentre Serhiy Shefir è stato battezzato primo assistente dell’allora neopresidente.

Il nesso tra Zelenskyy e l’oligarca Kolomoyskyi.
E qui la trama della sitcom afferente alla vita reale si infittisce.
Nel periodo precedente alla sua elezione avvenuta il 20 maggio 2019, la società d’intrattenimento fondata da Zelenskyy ha registrato un anomalo flusso di finanziamenti gestiti attraverso società off-shore. Secondo quanto emerso dai Pandora Papers (PP), la più grande inchiesta giornalistica della storia, pubblicata la prima volta a ottobre 2021 dal Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi (ICJI), il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy e la sua cerchia sarebbero coinvolti in transazioni milionarie tramite società stabilite in paradisi fiscali.
Attraverso Kvartal 95, l’ex comico avrebbe ricevuto un conferimento di capitale da oltre 40 milioni di dollari, messo in collegamento con l’oligarca Igor Kolomoyskyi.

Chi è Igor Kolomoyskyi?
Sin dalle sue prime apparizioni politiche, Zelenskyy è stato accusato dall’opposizione politica di legami dubbi con Kolomoyskyi. Il miliardario è stato uno dei maggiori sponsor delle produzioni televisive di Zelenskyy, trasmettendo i contenuti del comico sui suoi canali televisivi (1+1 Media Group).
Durante la campagna elettorale, l’opposizione ha accusato Zelenskyy di aver ricevuto, tra il 2012 e il 2016, 41 milioni di dollari da Kolomoyskyi che sarebbero direttamente confluite attraverso le società off-shore dell’attuale presidente.
Le transazioni sarebbero avvenute quando Igor Kolomoisky era ancora proprietario di PrivatBank, la più importante banca in Ucraina.

Pensare che a marzo del 2021, l’amministrazione Joe Biden ha deciso di imporre sanzioni a Igor Kolomoisky.
Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha accusato il cinquantanovenne di spostare centinaia di milioni di dollari ottenuti da finanziamenti fraudolenti attraverso PrivatBank, di cui era comproprietario, incanalandoli in un sistema di scatole cinesi.
Il segretario di Stato statunintense Antony Blinken aveva dichiarato che Kolomoisky aveva “calpestato lo stato di diritto” e sfruttato la sua posizione per “i suoi interessi personali”.
Oggi Blinken annuncia invece il pieno supporto morale e bellico al pupillo di Kolomoisky, appunto Volodymyr Zelenskyy.

L’origine dei gruppi paramilitari neonazisti in Ucraina.

Inoltre, Igor Kolomoisky è stato uno dei principali finanziatori di alcuni dei gruppi paramilitari di estrema destra che hanno rovesciato il governo di Janukovich in seguito alle movimentazioni violente filoccidentali conosciute come Euromaidan.
In molti casi si tratta appunto di battaglioni privati che ottengono finanziamenti da oligarchi.
Ovvero, unità militari accusate di crimini di guerra da parte di Amnesty International, ma anche dalle Nazioni Unite.
Secondo quanto riportato da Reuters, i Battaglioni Azov e Aidar, sono stati fondati in parte anche grazie all’aiuto dell’oligarca di origine ebraica.
Un ebreo che sponsorizza gruppi militari neonazisti sembrerebbe un’assurdità, se non si trattasse della vita reale.

Le società offshore connesse a Zelenskyy.
Secondo quanto emerso dai PP, due società offshore appartenenti ai soci di Zelenskyy sarebbero state utilizzate per acquistare tre proprietà di lusso nel pieno centro di Londra. Prima di diventare presidente, Zelenskyy ha dichiarato pubblicamente alcune delle sue proprietà, scordandosi tuttavia alcuni tasselli di non poca importanza.
Oltre a case e macchine, Zelenskyy detiene quote azionarie di tre società off-shore.
Una di queste, Film Heritage, è registrata in Belize.
Dalla documentazione spicca che Film Heritage detiene il 25% delle quote societarie di Davegra, azienda con sede a Cipro.

A sua volta, Davegra possiede Maltex Multicapital Corp, società registrata nel paradiso fiscale delle Isole Vergini Britanniche.
Zelenskyy e i fratelli Shefir detenevano ciascuno il 25% delle quote societarie.
In un documento diffuso da ICIJ, emerge che il 13 marzo 2019, a sole due settimane dalla prima tornata elettorale, Volodymyr Zelenskyy ha ceduto il suo quarto di azioni al suo braccio destro Serhiy Shefir.

Circa sei settimane dopo la vittoria di Zelenskyy, l’avvocato di Kvartal 95 ha siglato un ulteriore documento. Si legge che Maltex avrebbe continuato a pagare i dividendi alla società di Zelenskyy, la Film Heritage, nonostante quest’ultima non possedesse più alcuna azione della società. Dal 2019, unica proprietaria di Film Heritage è Olena, moglie di Zelenskyy. Alla luce di questi fatti resta da chiedersi se il presidente ucraino sia davvero l’eroe che i mass media occidentali stanno rappresentando.

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Una società fittizia girava a Morisi & C. i fondi del Senato. - Davide Milosa

 

LE CARTE - Si chiama Vadolive ed è definita come il “bunker”. Nel 2018 veicolò 260 mila euro del gruppo leghista alla cosiddetta "Bestia", la struttura per la propaganda social di Matteo Salvini.

A fine aprile del 2018, i vertici della Lega mostrano una strana fretta. E non per le elezioni vinte, ma per l’apertura di una piccola e sconosciuta società bresciana. Il 20, Alberto Di Rubba, allora contabile del partito per il Senato, scrive ad Andrea Paganella, tra le persone più vicine a Matteo Salvini. “Società ok trovato tutto!”. Paganella: “Procedete in modo definitivo e risolutivo, altrimenti non tengo più le truppe. E i generali”. Il 2 maggio il tesoriere del partito, Giulio Centemero, scrive all’amico Di Rubba: “Alby il bunker è ok?”. Di Rubba: “Tra un’ora è costituita”. Centemero: “Grande!”. Il 21 maggio l’allora capo della macchina social di Salvini, Luca Morisi, scrive anche lui a Di Rubba: “Ciao Alberto, ti scrivo qui la riga generica sulla mansione dei miei ragazzi bunker”. Il bunker è il nome con cui i “generali” del partito chiamano la Vadolive srl nata il 2 maggio 2018 e nelle cui casse (unica voce di entrata), per circa sei mesi, sono arrivati 260 mila euro pubblici dal gruppo parlamentare del Senato a loro volta, in violazione del regolamento di Palazzo Madama, usati per pagare i collaboratori della stessa società, vicini alla cerchia di Salvini e poi in parte assunti dal Viminale di cui Salvini a giugno diventerà ministro, percependo due stipendi.

Insomma, la storia segreta della Vadolive svela gli interessi non proprio chiari di buona parte dei vertici leghisti, segretario federale compreso. Gestita da prestanomi legati ai due ex contabili del partito, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, ma di fatto diretta dai più stretti collaboratori di Salvini, Luca Morisi e Andrea Paganella, la vicenda di questa srl è riassunta in una annotazione di circa 60 pagine scritta dalla Guardia di finanza di Milano nel gennaio scorso e depositata agli atti dell’ultima chiusura indagine che ha riguardato fatti e protagonisti minori della maxi-inchiesta sulla fondazione regionale Lombardia Film Commission. Il documento, per il quale ancora non è stata fatta un’iscrizione, è al vaglio dei magistrati. Tutto si svolge dal maggio 2018 con Salvini prossimo vicepremier e ministro dell’Interno. Scrive la Finanza: “Vadolive” appare “preordinata all’appropriazione di fondi di natura pubblica erogati, per legge, a favore dei Gruppi Parlamentari”. Il regolamento del Senato, come quello della Camera, consente l’utilizzo dei soldi solo per “scopi istituzionali” dei vari gruppi parlamentari. La fretta si diceva. Il 2 maggio 2018 nasce “il bunker” leghista, il 9 Morisi e amici sono assunti da Vadolive che il giorno dopo firma un contratto per 480 mila euro annui con il gruppo Lega al Senato. A siglarlo per il partito è l’allora presidente del gruppo Gian Marco Centinaio, deputato leghista e sottosegretario di Stato nel governo Draghi. Vadolive si impegna alla “promozione social delle attività del Gruppo”. Nulla che si riferisca all’assunzione degli stessi leghisti. Tra questi, Morisi e Paganella, i quali, scrive la Finanza, “con la loro società Sistemaintranet.com vantano rapporti attivi (come fornitori) con la Lega o con entità alla stessa riconducibili, dal 2017 al 2020, per 1,1 milioni”. A chiarire il vero scopo del “bunker” è una nota riservata in cui Di Rubba elenca i collaboratori, pagati con oltre 80 mila euro e precisa: “Costituzione società con spese anticipate da persone di nostra fiducia perché c’era solo fretta di iniziare”. Quindi aggiunge 43 mila euro di spese per “affitto costo loro abitazione”. E cioè un appartamento nel centro di Roma in via delle Tre Cannelle 7. Un simile contratto sarà pensato anche tra “il bunker” e la Camera. Tanto che Andrea Manzoni, contabile per Montecitorio, scrive al deputato Fabrizio Cecchetti, vicepresidente del gruppo, proponendo un contratto annuo con Vadolive per oltre 1 milione. La email è di giugno. Nello stesso mese alcuni collaboratori della srl vengono assunti al Viminale. La cosa crea allarme. Manzoni scrive a Centemero: “Bisogna essere più accorti (…). Molinari (presidente allora del gruppo alla Camera) solleva più di un dubbio sull’eventuale contratto”. Centemero: “È una cosa cui tiene Salvini. Va fatta. Molinari vada lui da Matteo a dire che non può”. Alla fine Molinari non firmerà il contratto, quello con il Senato sarà chiuso nell’ottobre 2018. In totale Vadolive veicolerà per le varie spese legate ai fedelissimi di Salvini 260 mila euro di denaro pubblico.

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Armando Siri, lo scudo del Senato al leghista: negato anche l’uso di intercettazioni casuali. “La procura non ha provato la loro necessità”. - Ilaria Proietti

 

I magistrati di Roma che indagano il senatore per corruzione attendono il verdetto da settembre scorso. L'Aula ha approvato a larga maggioranza la parte della relazione che ha chiesto di respingere la richiesta di autorizzazione all'uso per le intercettazioni con l'imprenditore Paolo Arata successive al 15 maggio 2018, in quanto non occasionali. Ma è passata anche la parte della relazione che nega l'autorizzazione alle due intercettazioni precedenti a quella data.

Il Senato dice no ai magistrati di Roma: non potranno utilizzare nessuna delle intercettazioni allegate agli atti dell’inchiesta per cui il leghista Armando Siri è a processo per corruzione con l’accusa di essersi dato da fare, a colpi di provvedimenti ed emendamenti vari (in cambio della promessa di una mazzetta da 30mila euro), per favorire Paolo Arata, l’imprenditore in affari con il re dell’eolico Vito Nicastri considerato uno dei finanziatori di Matteo Messina Denaro. L’ex sottosegretario avrebbe asservito i suoi poteri a “interessi privati, proponendo e concordando con gli organi apicali dei ministeri competenti per materia” provvedimenti e emendamenti volti a incentivare il minieolico. Gli inquirenti di Roma, che avevano sviluppato un’indagine partita dalla Procura di Palermo, gli contestano il reato di corruzione anche per un altro episodio, in concorso con Arata, l’intermediario Valerio Del Duca e i funzionari di Leonardo Spa Simone Rosati e Paolo Iaboni: in questo caso Siri – allora uno delle personalità più in vista della Lega di Matteo Salvini – si sarebbe attivato, dietro promessa di lauti guadagni, per ottenere un provvedimento normativo ad hoc che finanziasse il progetto di completamento dell’aeroporto di Viterbo, di interesse per future commesse della Leonardo. E anche per far rimuovere un contrammiraglio della Guardia Costiera critico su alcuni aspetti della fornitura di sistemi radar affidata alla stessa azienda.

Ma palazzo Madama ha detto niet, le intercettazioni sono state ritenute tutte inutilizzabili. Perchè? La gran parte sono state ritenute non fortuite perchè gli inquirenti avrebbero proseguito con le captazioni nonostante potessero già aver consapevolezza che riguardassero un parlamentare: in questo caso hanno votato a favore di Siri in 158 tra Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Italia Viva ma anche il Pd. Contro in 64, senatori del M5S e Leu. Ma il semaforo rosso è arrivato anche per quelle chiaramente casuali, ossia le prime due conversazioni captate tra l’imprenditore Arata (la cui utenza era intercettata) e il senatore leghista all’epoca ancora non iscritto sul registro degli indagati: per Palazzo Madama anche in questo caso l’operato dei magistrati andava bocciato perchè non avrebbero motivato a sufficienza le ragioni del loro utilizzo. Hanno votato in questo senso in 120 ossia Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e Italia Viva, contro in 104 (Pd, M5S e LeU).

Sulla questione i magistrati della Capitale attendono il verdetto del Senato da settembre scorso. E l’esito del voto odierno era pressoché scontato dal momento che già a febbraio, in Giunta per le autorizzazioni, l’asse centrodestra-renziani aveva bocciato l’uso di tutte le intercettazioni e pure la richiesta del Pd, LeU e Movimento 5 Stelle di procedere per parti separate al voto, nel tentativo di autorizzare almeno quelle evidentemente fortuite. Stamattina l’Aula ha consentito lo “spacchettamento” dello scrutinio ma l’esito non è cambiato. È stata approvata a larga maggioranza la relazione di Lucio Malan di Fratelli d’Italia che ha chiesto di respingere la richiesta di autorizzazione all’uso per le intercettazioni successive al 15 maggio 2018, in quanto non occasionali. Ma è passata – sebbene con pochi voti di scarto – anche la parte della relazione che nega l’autorizzazione alle due intercettazioni precedenti a quella data. Che Malan ha motivato così: Siri aveva assunto la carica di Sottosegretario per le Infrastrutture e i Trasporti il 13 giugno 2018 e “tale elemento rende implausibile la sussistenza del requisito della necessità con riferimento alle due telefonate intercettate anteriormente all’assunzione della carica governativa in questione. Questa contraddittorietà motivatoria crea un margine rilevante di incertezza rispetto al requisito della necessità delineato dalla Corte costituzionale”. E poco importa che Siri fosse comunque senatore, come ha evidenziato in aula Pietro Grasso di LeU. “L’argomentazione utilizzata dal relatore circa la non titolarità a quella data della carica di sottosegretario appare incongrua in quanto il senatore Siri aveva comunque la qualifica di parlamentare e in virtù di tale status aveva presentato emendamenti che secondo l’accusa erano correlati alla dazione di utilità”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/03/09/armando-siri-lo-scudo-del-senato-al-leghista-negato-ai-pm-anche-luso-delle-intercettazioni-casuali-non-sono-necessarie-allindagine/6520452/#

No law zone. - Marco Travaglio

 

Commosso a favore di telecamera per l’eroica resistenza ucraina, il Partito Unico dell’Impunità Pd-Lega-FI-FdI-centrini approfitta della distrazione generale per combattere l’unica guerra che non comporta rischi, ma solo vantaggi: quella contro la Giustizia. In due mesi il Parlamento ha negato ai giudici l’autorizzazione all’arresto di Luigi “Giggino ’a Purpetta” Cesaro (senatore FI, imputato per camorra) e all’uso delle intercettazioni indirette di Cosimo Ferri (deputato Iv, sotto azione disciplinare al Csm per le cene con Palamara, Lotti&C.). Ha dichiarato insindacabile Carlo Giovanardi (ex deputato Ncd, imputato a Modena per “rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio e minaccia o violenza a corpo dello Stato con l’aggravante di aver rafforzato l’associazione mafiosa”). Ha trascinato alla Consulta col conflitto di attribuzioni i pm di Firenze che hanno osato acquisire le chat di un privato cittadino a colloquio con Matteo Renzi (senatore Iv, imputato per finanziamento illecito nel caso Open). E ieri ha negato ai giudici di Roma l’autorizzazione all’uso delle intercettazioni indirette di Armando Siri (senatore leghista, imputato per due corruzioni). In tutti questi casi, escluso quello di Giovanardi, il Pd ha votato col fronte centrodestra-Iv, lasciando soli 5Stelle e LeU (con i rispettivi ex) a votare contro.

Una mano sporca lava l’altra e trasforma il Parlamento in una fabbrica di abusi di potere incostituzionali. La Costituzione vieta di intercettare senza autorizzazione i membri del Parlamento, non chi da fuori parla con loro. Ma, vista l’abitudine di molti eletti di commettere reati e di parlarne con i complici, Camera e Senato si sono inventati un’“immunità contagiosa” che copre anche i non parlamentari. Il caso Siri è tipico: nel 2018 il sottosegretario leghista viene beccato sei volte al telefono con l’imprenditore Paolo Arata (legato a un finanziatore di Messina Denaro e intercettato) a parlare di norme e altri favori ai suoi affari nell’eolico: Conte lo caccia. Ieri il Senato, su richiesta del Pd, spacchetta le sei conversazioni in due voti: no alle prime due “per l’incerta e implausibile configurazione del requisito di necessità”; no alle altre quattro perché “la Procura poteva rendersi conto del coinvolgimento di un parlamentare e sospendere immediatamente le captazioni”. Due voti fuorilegge: sulla necessità di un’intercettazione decide il gip, non il Senato; ed è demenziale smettere di intercettare un soggetto intento a delinquere perché ogni tanto parla con un parlamentare (sennò a uno stragista, per evitare le intercettazioni, basterebbe fare il numero di un deputato). Mentre sproloquia di No fly zone, questa banda di impuniti si è già creata la No law zone.

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