martedì 12 aprile 2022

Colpa di Putin o errore della Nato? Il ruolo americano nella guerra in Ucraina. - Ugo Tramballi

 

Mettiamo a confronto due testi opposti, entrambi interessanti, di due esperti americani molto autorevoli: John Mearsheimer, scienziato della politica all’Università di Chicago e Robert Kagan, storico della diplomazia ed esperto alla Brookings Institution di Washington.

Se sia tutta colpa degli Stati Uniti; se Vladimir Putin sia una vittima della Nato o invece in preda a incontrollabili ambizioni imperiali da XIX secolo – dibattito che in Italia ha assunto la forma di un derby calcistico – è un confronto che esiste da anni, da molto prima della guerra.

L’aggressione russa e le distruzioni in Ucraina lo hanno solo accelerato: il comportamento Usa è stato una provocazione, forse una trappola, oppure Putin ha sbagliato tutto da solo?

Nel tentativo di dare un contributo alla conversazione metto a confronto due testi opposti, entrambi interessanti, di due esperti americani molto autorevoli: John Mearsheimer, scienziato della politica all’Università di Chicago e Robert Kagan, storico della diplomazia ed esperto alla Brookings Institution di Washington.

La tesi di Mearsheimer.

Mearsheimer è sempre stato molto critico riguardo alla Nato; Kagan può essere considerato un atlantista. I due testi che prendo in esame insieme perché credo siano di grande importanza per comprendere il ruolo dell’America, non sono uno la risposta all’altro: quello di Mearsheimer è apparso su The Economist il 19 marzo ; il testo di Kagan uscirà sul numero di maggio di Foreign Affairs. «L’Occidente, e specialmente l’America, è principalmente responsabile della crisi incominciata nel febbraio 2014», afferma il professore di Chicago, riferendosi alla rivoluzione di Maidan, a Kyiv, «sostenuta dall’America». Crisi «diventata ora una guerra che non solo minaccia di distruggere l’Ucraina ma ha il potenziale di degenerare in una guerra nucleare fra Russia e Nato». Allora la strategia Usa era di «portare l’Ucraina più vicina alla Ue e farne una democrazia pro-americana», ignorando le linee rosse di Mosca.

Anche se è dal 2008, vertice di Bucharest, che l’Occidente non parla di ammissione nell’Alleanza Atlantica, Mearsheimer sostiene che l’«Ucraina stava diventando di fatto un membro della Nato». E quando l’amministrazione Trump vendette «armi difensive» a Kyiv, a fine 2017, quella decisione «sembrò certamente offensiva per Mosca e i suoi alleati nel Donbas». Dopo avere inutilmente richiesto una garanzia scritta che l’Ucraina non sarebbe mai entrata nella Nato, «Putin ha lanciato un’invasione per eliminare la minaccia che vedeva».

Perché “«la questione non è cosa dicono i leader occidentali sui propositi o le intenzioni della Nato: è come Mosca vede le azioni della Nato». La conclusione di Mearsheimer è che «la politica occidentale stia esacerbando» i rischi di un conflitto allargato. Per i russi l’Ucraina non è tanto importante perché ostacola le loro ambizioni imperiali: un suo distacco dalla sfera d’influenza di Mosca è «una minaccia diretta al futuro della Russia».

La tesi di Kagan.

Neanche Robert Kagan nega le responsabilità americane: «Per quanto sia osceno incolpare gli Stati Uniti per il disumano attacco di Putin, insistere che l’invasione non fosse del tutto provocata, è ingannevole». La ragione è che gli eventi di oggi «stanno accadendo in un contesto storico e geopolitico nel quale gli Usa hanno giocato e continuano a giocare il ruolo principale». Come l’attacco giapponese a Pearl Harbour del 1941 e l’11 Settembre: non ci sarebbero stati se l’America non fosse stata la potenza dominante allora in Asia e poi in Medio Oriente.

Dopo la fine della Guerra Fredda, sostiene Kagan, Washington non aspirava ad essere potenza dominante nell’Europa ex sovietica. George H.W. Bush aveva denunciato come «nazionalismi suicidi» lo smembramento dell’Urss; successivamente Bill Clinton creò una “Partnership for Peace” come alternativa all’allargamento della Nato. Tuttavia «gli europei dell’Est cercavano di fuggire da decenni – secoli, in qualche caso – d’imperialismo russo e sovietico, e di avvicinarsi a Washington in un momento di debolezza russa». Negli anni ’90 credevamo che anche la Russia e la Cina stessero marciando verso la democrazia e che la Nato non avesse più ragion d’essere.

Ma i paesi dell’Est «vedevano la fine della Guerra Fredda semplicemente come l’ultima fase della loro lotta centenaria. Per loro la Nato non era obsoleta». Ma il punto centrale della tesi di Kagan riguarda le strutture del potere internazionale e il futuro. Molti, sostiene, «tendono a equiparare egemonia e imperialismo». In realtà imperialismo è una nazione che ne forza altre a entrare nella sua sfera, «egemonia è più una condizione che un proposito». Il problema di Putin e di coloro che sostengono l’esistenza di sfere d’influenza russa e cinese è che «tali sfere non sono ereditate né sono create dalla geografia, dalla storia o dalla “tradizione”. Sono acquisite dal potere economico, politico e militare» che gli Stati Uniti possiedono più della Cina e che la Russia non ha. Anche se avessero sbarrato le porte della Nato, «i polacchi e gli altri avrebbero continuato a bussare».

Perché diversamente dall’offerta americana, la Russia è debole «in tutte le forme rilevanti del potere, compreso il potere di attrazione». In conclusione, la sfida che la Russia sta ponendo a se stessa e al mondo «non è inusuale né irrazionale. L’ascesa e la caduta delle nazioni è l’ordito e la trama delle relazioni internazionali».

La deriva social.

Personalmente non mi sento completamente d’accordo con il professor Mearsheimer: ignora il libero arbitrio degli stati minori che invece vede come pedine del confronto fra grandi potenze. Come per esempio avallare in nome della pace nel mondo la pretesa russa di ottenere dall’America la garanzia che un terzo paese, l’Ucraina, non entrerà mai nella Nato. È una logica da XIX secolo decidere del futuro degli altri. Detto questo, non mi passa per l’anticamera del cervello che un’autorità come il professor Mearsheimer sia al soldo di Putin. Il clima sui cosiddetti “social” invece è molto diverso. Infine, vale la pena sottolineare che un confronto d’idee come questo nella Mosca di Vladimir Putin non sarebbe consentito. Qualcuno finirebbe in galera. Non è una differenza di poco conto.

https://24plus.ilsole24ore.com/art/colpa-putin-o-errore-nato-ruolo-americano-guerra-ucraina-AEbDvJQB

domenica 10 aprile 2022

Loro interpretano il nostro pensiero?


Leggo su "la Repubblica":

Sanzioni Russia, gli italiani favorevoli a restrizioni sull'import di gas e petrolio russo. Anche a costi più alti per le bollette. Quasi un italiano su due favorevole  a un blocco integrale delle importazioni da Mosca. Per il 60% è necessario un piano per la riduzione da fondi fossili. E l'80% degli intervistati ha già ridotto o è pronto a ridurre di un grado la temperatura dei termosifoni per ridurre i consumi.

Qui il link:

https://www.repubblica.it/economia/2022/04/08/news/sondaggio_yougov_energia-344643880/


Si, è vero, noi vogliamo sganciarci dall'importazione di gas e petrolio russo, ma solo per renderci indipendenti da chiunque e dopo che il nostro governo avrà predisposto ed effettuato la transizione necessaria per produrre noi stessi energie alternative e rinnovabili.

E' vergognoso dover leggere che il 54% di 1001 individui, e bisognerebbe cercare di sapere in quale contesto, ha deciso, in nome di 59,55 milioni di italiani, che siamo favorevoli alle restrizioni sull'importazione di gas e petrolio russi prima che ci si adoperi per produrne noi stessi.

Noi non vogliamo più dipendere da altri, siamo in grado di produrre energia senza doverla comprare altrove, è questo il nostro pensiero!

cetta

Nicola Porro e il video dell'orrore di Toni Capuozzo, i soldati ucraini chiamano le mamme russe: “È rimasto solo il c**o”. - Giada Oricchio


 

La guerra sporca, insudicia, imbratta di odio e orrore il fisico e l’anima. Oggi, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha detto: “Viviamo giorni terribili, travolti da immagini che pensavamo di aver consegnato per sempre all’archivio di orrori non ripetibili nel nostro continente, invece altro sangue innocente, altri crimini spietati, altre vite spezzate stanno popolando gli abissi della disumanità”. Ecco un esempio. L’inviato Toni Capuozzo ha postato un video sul sito di Nicola Porro e l’ha commentato. Partiamo dal fatto: la mamma di un soldato russo in una videochiamata crede che sia il figlio e lo chiama “Iliusha, Iliusha”.

Non è il suo bambino bensì un militare ucraino che le dà la terribile notizia: “È morto. Ha fatto tre errori: si è perso, si è perso in Ucraina, è morto come un cane”. E ride. La donna trema, chiama una ragazza che pretende di vedere Iliusha, ma il soldato, animato da vendetta e odio, risponde con cattiveria: “Non è rimasto niente di questo qui, è rimasto solo il cu*o, la gamba è staccata dal corpo, per fortuna è rimasto solo il telefono per chiamarvi e dirvi che lo stronzo fottuto non c’è più. Il vostro ragazzo dove aveva la testa adesso ha il c**o, grazie all’artiglieria ucraina”. L’ucraino è spietato: “Cosa devo farvi vedere che lo stanno mangiando i cani, non abbiamo tempo per seppellire i vostri russi, li lasciamo finire ai cani, da un lato c’è la gamba, dall’altro la testa, è tutto sparso”. 

Da una parte un pianto disperato, dall’altra una risata sguaiata. Dunque, scrive Capuozzo: “Non è propaganda russa, è girato dalla parte ucraina, da qualcuno che riteneva di potersene vantare. Eh, vabbè, ma hai presente cosa fanno i russi, è normale reagire così. Avrebbe potuto essere lo stesso a ruoli inversi? Credo di sì. La guerra è anche questo, non è mai il Bene contro il Male, è il male che contagia. (…). Qui c’è un invaso e un invasore, e questo non va mai dimenticato, ma da lì ad armare una guerra santa, pulita e trasparente, ne passa”.

Capuozzo afferma che non c’è mai niente di manicheo nei conflitti: “Non è il malanimo dei professionisti dell’informazione o della politica a stupirmi, quando sospettano nelle critiche un fiancheggiamento di Putin. Mi colpisce l’accorato messaggio di persone semplici: “Così semina confusione”.

La guerra è essa stessa un crimine e in guerra i crimini sono pane quotidiano. Però veniamo messi al riparo da un versione confortante: i mostri sono i russi, e solo i russi”.

Cattivi bidelli. - Marco Travaglio

 

Siccome non c’è giornale che non ospiti una rubrica fissa contro Alessandro Orsini, vien da domandarsi che fastidio può dare un prof. che per mezz’oretta a settimana, spalmata su due o tre talk show, stecca nel coro delle Sturmtruppen che cantano h24 marcette militari. La risposta sono i sondaggi fra gl’italiani che, più ascoltano trombe e trombette di guerra, più si oppongono al pensiero unico del riarmo. Orsini dà noia perché, anche quando lo menano in cinque (cioè sempre), la gente ascolta lui e non i picchiatori. Quindi non basta strappargli il contratto, sbeffeggiarlo e linciare chi – come Bianca Berlinguer – osa invitarlo senza farlo bombardare: va proprio eliminato. Ecco dunque un’armata di maestri di giornalismo darsi un gran daffare per giustificare il bavaglio ad personamRepubblica ausculta un noto vessillo della libertà: Bruno Vespa. Che assicura: “Orsini non lo invito” perché, com’è noto, detesta “l’informazione distorta”. Sì, ma Orsini? “Non l’ho mai ascoltato”. Ah ecco, però ne ha sentito parlare: “Se è vero quello che leggo, non l’avrei invitato”. E poi “il budget ospiti di Porta a Porta è la mensa della Caritas, gli opinionisti non sono mai stati pagati”. Tranne Scattone e Ferraro, gli assassini di Marta Russo, pagati 260 milioni di lire nel ‘99 per un’esclusiva al Tg1 e a Porta a Porta: la famiglia Russo fece causa alla Rai, visto che i due giovanotti non avevano pagato i danni previsti dalla condanna; si scoprì che il “servizio pubblico” li aveva pagati sul conto di un prestanome per aggirare il blocco dei beni disposto dal tribunale; e la Rai, per uscire da una causa persa, dovette sborsare altri 200 milioni ai Russo. La mensa della Caritas, appunto. Invece Orsini, non avendo ammazzato nessuno, deve lavorare gratis, anzi tacere.
Il Foglio recluta Costanzo che però, forse memore dell’intervista genuflessa a Gelli, evita di moraleggiare. Va meglio con un celebre premio Pulitzer, Franco Di Mare, che incredibilmente dirige Rai3, piena di talk show, dopo averne condotti un bel po’, infatti dice che fanno “un po’ schifo”, specie se c’è “l’accademico posseduto”: “non è pluralismo né giornalismo, è Bagaglino con fenomeni da baraccone”. Tipo lui che fece una serata per la Pampers lanciando una finta edizione del Tg1. Dunque è un’autorità nel giornalismo e nel pluralismo (c’erano pure i Tampax e i Tempo).

Ps. Non bastando Orsini, Johnny Riotta lancia la fatwa contro Lucio Caracciolo che – qualunque cosa voglia dire – “diventa per Travaglio e il Fatto-Tass portabandiera dei Putinversteher con il perenne bla bla su peccato originale Occidente. Peccato davvero, ma la deriva era visibile da anni ormai”. La deriva di sapere di cosa parla, ma soprattutto di saper leggere e scrivere.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/10/cattivi-bidelli/6554845/

Kiev compra gas da Putin (che paga per i tubi). - Nicola Borzi

 

ENERGIA - L’Ucraina lo acquista formalmente dai Paesi vicini, ma prelevandolo mentre passa sul suo territorio: Gazprom le sborsa 1,4 mld all’anno per i tubi.

La geopolitica del gas impatta sulla guerra tra Mosca e Kiev. Dopo decenni di scontri politici e di contenziosi economici sul sistema di transito del metano russo verso l’Europa e sui suoi costi, dalla fine del 2019 le due parti del conflitto parevano aver appianato i dissidi grazie a un accordo siglato con la mediazione di Stati Uniti e Germania. A dispetto del conflitto, i due paesi restano comunque legati dalle commissioni incassate da Kiev per il servizio di passaggio e dalla bolletta che l’Ucraina paga alla Russia per la fornitura. Kiev formalmente non dipende più dall’energia di Mosca, ma in realtà acquista un decimo dei suoi consumi ancora da Gazprom, sebbene solo indirettamente. In questa complicata partita doppia, l’Ucraina incassa ogni anno royalties per i servizi di trasporto per oltre un miliardo di dollari, ma poi è costretta a pagare trasversalmente il proprio aggressore.

I dati. Nel 2021 l’Ucraina ha consumato 27,3 miliardi di metri cubi di gas naturale. La sua produzione nazionale è stata pari a circa 19,8 miliardi di metri cubi, il resto è arrivato per 4,9 miliardi di metri cubi dalle riserve stoccate nei suoi depositi sotterranei e per altri 2,6 miliardi di metri cubi dalle importazioni. Secondo Gtsou, l’operatore pubblico del sistema di trasporto del gas dell’Ucraina, l’anno scorso attraverso il territorio di Kiev sono arrivati in Europa 41,6 miliardi di metri cubi di metano russo, in calo del 25% rispetto al 2020. Nello stesso periodo, l’Europa ha formalmente esportato in Ucraina 2,6 miliardi di metri cubi di metano, sei volte in meno rispetto al 2020. In sostanza, i gasdotti ucraini sono stati utilizzati per meno del 30% della loro capacità massima. L’import di gas in Ucraina è avvenuto per l’89% mediante l’inversione virtuale (il cosiddetto backhaul). Si tratta di una forma di trattenuta del gas introdotta da Gtsou all’inizio del 2020. In sostanza, in accordo con i Paesi di destinazione che comprano metano dalla russa Gazprom, Kiev ha trattenuto per sé una quota di metri cubi dalle forniture pattuite da questi ultimi con Mosca. Così ha evitato contatti diretti con l’invasore, come avviene sin dal 2015 dopo l’occupazione militare russa della Crimea e del Donbass.
Prima dell’escamotage introdotto nel 2020, invece, il metano di Mosca attraversava fisicamente l’Ucraina in andata verso i clienti europei e poi da lì tornava fisicamente indietro in direzione di Kiev. Per la loro “riesportazione”, oggi virtuale, l’Ucraina versa ai Paesi limitrofi le somme corrispondenti alla quantità di gas trattenuta, che poi questi ultimi girano a Mosca. L’Ungheria l’anno scorso è diventata il principale fornitore di gas russo a Kiev: oltre 2,2 miliardi di metri cubi di gas (-47% rispetto al 2020). Altri fornitori sono stati poi la Slovacchia (285,3 milioni di metri cubi, -97%) e la Polonia (78,6 milioni di metri cubi, -95%). Oltre alla questione diplomatica, per Kiev c’è un vantaggio formale: comprare gas dai paesi Ue costa all’Ucraina meno che acquistarlo direttamente da Mosca, che le praticava prezzi più elevati.

Ci sono poi gli incassi per Kiev, regolati da un contratto di transito tra Naftogaz, la società nazionale ucraina del metano, e la compagnia nazionale russa Gazprom. Queste transazioni commerciali e finanziarie sono regolate da un’intesa, patrocinata da Washington e Berlino e firmata il 30 dicembre 2019 per un periodo di cinque anni. Il contratto prevedeva la prenotazione da parte di Gazprom di capacità di transito pari a 65 miliardi di metri cubi nel 2020 e a 40 miliardi di metri cubi nel quadriennio 2021-24. Per i suoi servizi di trasporto, nel 2020 Naftogaz ha incassato da Gazprom royalties di passaggio per 2,11 miliardi di dollari. Altri 1,27 miliardi di dollari l’anno sono previsti come entrate minime garantite, per un totale superiore a 7,1 miliardi nel quinquennio e pari a una media di oltre 1,4 miliardi di dollari l’anno. In questo modo, Mosca paga Kiev anche dopo averla aggredita (e di qui si spiega l’attenzione a non bombardare le pipeline), mentre l’Ucraina però deve restituire il favore alla Russia versandole attraverso Ungheria, Slovacchia e Polonia milioni di dollari che finiscono per finanziare indirettamente la macchina bellica di Putin. Un paradosso della geopolitica del metano e dei gasdotti che testimonia ancora una volta, se ve ne fosse ulteriore bisogno, quanto intricate e oscure siano le relazioni che passano, come i tubi del metano, sotto la superficie del campo di battaglia.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/10/kiev-compra-gas-da-putin-che-la-paga-per-il-transito/6554818/

sabato 9 aprile 2022

Lo Scemo osceno. - Marco Travaglio

 

Quando abbiamo scritto che i morti di Bucha sono quasi certamente vittime dei russi, ma che la ricostruzione minuziosa della strage – qualunque esito darà l’indagine indipendente – non sposterà di un millimetro il giudizio sulla guerra, come non lo sposteranno le atrocità ucraine (sempre più frequenti anch’esse), lo Scemo di Guerra Collettivo ci tacciò di putinismo. Poi il Dipartimento di Stato Usa disse di non avere elementi certi: putinista? Poi Francesca Mannocchi (Stampa) spiegò a La7 che la fossa comune accanto alla chiesa è il cimitero del vicino ospedale che, non potendosi celebrare funerali, getta lì i corpi dei caduti: putinista? Poi il sottosegretario ai Servizi, Franco Gabrielli, dichiarò che “al momento riteniamo che sia stato un eccidio, ma sulle responsabilità dobbiamo essere molto cauti. Se ci sono situazioni che possono essere rappresentate in maniera diversa, la lesione alla credibilità di una narrazione è devastante”: putinista? Poi si scoprì che i famosi “boia di Bucha” non erano mai stati lì. E molti osservano che i cadaveri ai bordi della strada sono privi di sangue, in condizioni incompatibili con una permanenza di quasi un mese, a distanze troppo regolari per essere morti lì. Altri notano l’assurdità di ordinare contemporaneamente di occultare i cadaveri nelle fosse comuni e di esibirli in strada. Come scrivemmo il primo giorno, l’unica certezza è che quegli esseri umani sono morti, quasi certamente per mano russa, perché la guerra è questo (basta leggere Gino Strada): 9 morti civili su 10. E chi è più bravo (o più creduto) sui media li usa a proprio vantaggio, mentre nasconde i propri (8 anni di orrori del nazi-battaglione Azov in Donbass chi li ha visti?).

Da quel giorno i negoziati sono evaporati. La parola d’ordine è quella dell’invaso invasato Kuleba: “Armi armi armi”. Biden e i suoi Lukashenko europei illudono Zelensky che sta vincendo, Putin batte in ritirata e, se tutto va bene, l’Ucraina (già sull’orlo del crac prima della guerra) invaderà presto la Russia. E ci prepariamo alla pioggia di fuoco incrociata nel Sud-Est con dieci, cento, mille Bucha. Sempre a scapito dei civili: più li armiamo, più è difficile distinguerli dai militari. Domenico Quirico (Stampa) dice che “Biden non vuole trattare con Putin, ma rovesciarlo. La sua guerra è diversa da quella europea: non gliene importa niente dell’Ucraina” (putiniano anche lui?). I veri amici di Putin sono proprio i suoi finti nemici: quelli che mandano altri tank e promettono la Nato pure alla neutrale Finlandia, così i pochi russi che ancora non si bevevano la propaganda di Putin sull’accerchiamento atlantico ora ci credono. L’elmetto è l’ultima maschera dello Scemo di Guerra per nascondersi meglio.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/09/lo-scemo-osceno/6553996/

Coglione sì, bimbominkia no. Ecco il tariffario degli insulti. - Ilaria Proietti

 

LE SENTENZE, I POLITICI E I POVERI CRISTI - Dire o non dire. “Rompiballe” va bene, che Salvini non abbia mai lavorato pure. Renzi “ebetino” invece no. 

“Rompiballe” si può dire, per quanto sia assai “inurbano”. E pure “coglione”, ma sempre che si sia voluto dare alla parola il significato bonario di “sprovveduto”. “Talebano” non è lesivo della onorabilità, ma a patto “che rimanga nell’ambito di un dibattito politico”. Con “Bimbominkia” scatta la diffamazione aggravata, come ha invece stabilito l’altro giorno la Cassazione decidendo sul caso di Mavie Cattoi, colpevole di aver offeso la reputazione di Enrico Rizzi, segretario del Partito animalista europeo. Altro che fallo di reazione, per il Rizzi in questione neppur lui un amante del tiro al fioretto: quando è morto Diego Moltrer, presidente del consiglio regionale della Regione Trentino-Alto Adige e appassionato di caccia, dalla sua bocca non erano esattamente usciti petali di rosa, ma tant’è: non meritava di essere comunque “additato come mentalmente ipodotato”, ossia come un “bimbominkia”. Ancorché sull’insulto c’è dottrina: anche per i giudici, per dire, ormai un “vaffanculo” non si nega a nessuno, anche se esistono pronunce di segno opposte a quella del 2007 per la quale l’espressione è sì ingiuriosa, ma ormai entrata nell’uso comune, e quindi pace. Sulle offese a sfondo razziale sono stati scritti fiumi di inchiostro: “Sporco negro” si può dire più o meno impunemente o è solo un’aggravante razziale che scatta in presenza di un altro reato come in quel caso di Palermo in cui ci fu un’aggressione col cric? Sul termine “frocio” e/o “frocio schifoso” invece si va a sbattere di sicuro: ne sa qualcosa Bal Efe “transessuale esercente la prostituzione”, come scrivono gli Ermellini, che si è beccata una condanna per diffamazione per aver sostenuto su Facebook l’omosessualità di un suo presunto amante, apostrofato appunto “frocio” e “schifoso”. A scorrere le sentenze, “cornuto” resta un grande classico che fa il paio con “fedifraga” – pardon – “mignotta”: per i giudici specie se riferito a donna e moglie è tabù e integra il reato di diffamazione attribuire una storia extraconiugale con un altro uomo che non sia il legittimo consorte, perché “elemento intrinsecamente idoneo a vulnerare non l’opinione che la persona offesa ha di sé, bensì, oggettivamente, l’apprezzamento da parte della storicizzata comunità di riferimento del complesso dei valori e delle qualità che la vittima esprime, quale dinamica sintesi della sua dignità personale, apprezzamento cui si correla la lesione dell’altrui reputazione”.

E quando c’è di mezzo la politica? Nel 2006 la Cassazione stabilì per esempio che era diffamazione dire dell’avversario “Giuda Escariota” in un comizio elettorale. O descrivere nei volantini il tal candidato come “gaglioffo” e “azzeccagarbugli”. Il che fa ben sperare chi querela a tutto spiano anche per le intemperanze via social: nel 2014 Ilda Iadanza, una signora friulana, raccontò di esser stata denunciata da Matteo Renzi per diffamazione per un “ebetino” che le era scappato sul blog di Grillo. Matteo Salvini ha di recente avuto soddisfazione contro Oliviero Toscani che lo aveva dileggiato per il servizio fotografico apparso sul settimanale Oggi, in cui il Capitano leghista si era fatto ritrarre a letto, coperto da un piumino e rivestito della sola cravatta verde: “Una pompinara da due soldi” lo aveva apostrofato, salvo poi precisare che non aveva voluto gettare discredito sulla sua persona, ma stigmatizzarne i comportamenti politici e l’inclinazione a offrire in vendita persino il suo corpo agli ingenui elettori del suo partito. Ma niente: la Cassazione ha stabilito nel 2021 che la fellatio sarà stata pure una metafora politica, ma il fotografo aveva esagerato assai. Ma in altri casi gli è andata peggio: nel 2016 ad esempio il Tribunale di Bergamo ha stabilito che dire che Salvini non ha mai lavorato non è reato perché nonostante la querela al Fatto Quotidiano che lo ha definito “politico di professione” effettivamente “non svolge e non ha mai svolto nessuna attività civile”.

Sempre nel 2016, il Tribunale di Milano aveva archiviato una sua querela nei confronti dell’ex sindacalista Marco Bentivogli, che lo aveva preso di petto in tv: “Ma lei ha l’autoblu pagata dallo Stato, di cosa parla? Lei gira in autoblu. È andato una volta a Bruxelles. È il più grande assenteista di Bruxelles e parla delle condizioni delle persone. È andato a Bruxelles l’altro giorno e gli uscieri neanche si ricordavano di lei. Sono sicuro che da 25 anni mantengo lei con le mie tasse. Di questo sono sicuro. Lei fa politica da 25 anni mantenuto dai contribuenti italiani”. Gli è andata male anche con Carlo De Benedetti, che durante il Festival di Dogliani non era stato tenero: “Salvini? È il peggio. Antisemita, xenofobo e antieuropeo e finanziato da Putin”. Il Tribunale di Cuneo pochi giorni fa ha assolto De Benedetti con tanti saluti ai 100 mila euro di risarcimento chiesti dal leghista anche se ancora non sono note le motivazioni. Certe invece quelle del Tribunale di Milano che nel 2021 ha archiviato la querela di Salvini contro Ilaria Cucchi che lo ha aveva definito uno “sciacallo che fa politica di basso livello sulla morte di mio fratello”: è diritto di critica.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/09/coglione-si-bimbominkia-no-ecco-il-tariffario-degli-insulti/6553856/?utm_content=marcotravaglio&utm_medium=social&utm_campaign=Echobox2021&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR3i_Ba5FO4qI_pSVu7LJG37C3FxTN6mZOgZVd_jslJ2rji-aC7QKcdVp5Y#Echobox=1649493310


Quindi, per la Cassazione noi cittadini dobbiamo subire le angherie dei politici, ma non possiamo ribellarci anche solo a parole, insultandoli, perchè i parlamentari, con i nostri soldi, possono difendersi ad oltranza incanalando, dopo aver apportato le opportune modifiche alle loro stesse leggi, le decisioni dei giudici in loro favore. Per noi sempre meno diritti e più doveri, per lor signori più diritti, meno doveri e tanta, tantissima stravaganza e strafottenza da sbandierare a mo' di "io sono io e tu non sei un cabbaso!"

cetta