Convenzioni, rimborsi e false esenzioni: in corsia mancano i soldi, ma più che dei tagli è colpa delle truffe. Di più: oltre il sessantotto per cento dell'intero debito nazionale arriva dal lazio e dalla Campania.
Inutile cliccare, non vi risponderà nessuno. Ieri il sito del ministero per la Salute offriva un edificante rebus a chi voleva farsi un’idea di come sia messa davvero la sanità italiana mentre i disastri dell’Umberto I seppelliscono la residuale fiducia nel sistema pubblico. Nella sezione dedicata al mega ‘Piano di rientro del deficit sanitario’ per le Regioni non virtuose (Piemonte, Liguria, Lazio, Abruzzo, Campania, Molise, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna), la documentazione è un cumulo di notizie imperscrutabili. Riunioni, verifiche, richiami, sospensioni delle erogazioni per mancato rispetto dei comportamenti prescritti. Cioè, siccome i commissari non fanno quanto promesso, lo Stato non sgancia un euro dei dieci miliardi stanziati, e tutto rimane in balia del vuoto anestetico. Ma come se ne esce? E qual è il quadro complessivo? Non si sa, ed è un peccato, perché a questo punto la faccenda s’è fatta davvero interessante. Possibile che il semplice avvio delle politiche di risparmio sul sistema sanitario abbia generato un crollo così vertiginoso delle prestazioni o è forse la corposa voce del bilancio statale – 111 miliardi di euro nel 2010 – a rischiare di travolgere la contabilità generale una volta manifestati in rosso (deficit ufficiali) e in nero (ammanchi mostruosi stile Massa Carrara) i suoi veri conti? Risposta ardua. Bisogna recuperare in fretta i 38 miliardi di buco accumulati negli ultimi dieci anni (dati Sole 24 Ore), eppure l’andazzo generale resta tradizionale: spendi, ruba e spandi.
La Corte dei Conti, impegnata stavolta a guardare nel fondo oscuro della Regione Lazio, ha presentato ieri la sua relazione. Renata Polverini sta giostrando un deficit da un miliardo di euro, un miracolo considerato che nel 2006 era di 11 miliardi. Allora, eliminati sprechi e porcherie, ora funziona tutto bene? “Gravissimi fatti illeciti sono stati riscontrati durante il 2011 nel settore della spesa sanitaria – ha detto Angelo Raffaele De Dominicis, procuratore regionale della Corte -. Casi come quello delle convenzioni con il Gruppo San Raffaele, vicenda che con i suoi 137 milioni di euro di sprechi e di truffe, ancorché limitata ad una tipologia di prestazioni sanitarie (la riabilitazione), desta particolare sconcerto e preoccupazione soprattutto ove si consideri che oltre il 68 per cento dell’intero debito sanitario nazionale è costituito dal disavanzo accumulato da due regioni: Lazio e Campania”. Traducendo, il guaio non sono le – indispensabili – manovre di risparmio quanto il continuo folleggiare nella gestione del sistema sanitario. Che, guarda caso, continua a privilegiare le convenzioni con i privati anche a fronte del progressivo calo delle risorse. È stato il ministro dell’economia Mario Monti a metter giù un po’ di numeri lo scorso dicembre nella sua “Relazione generale sulla situazione economica del Paese”: se per la voce ‘ beni e servizi ’ si è sottolineata una cauta contrazione degli aumenti, continua a briglia sciolta la corsa alla medicina convenzionata e accreditata. Un’operazione della Guardia di Finanza, da poco conclusasi dopo tre anni di lavoro in tutta Italia, disegna un vero e proprio scenario malavitoso tra corsie e lettighe (mancanti): danni erariali per 2 miliardi di euro e altri 500 milioni di frode fiscale.
Come? Il campionario è vastissimo: case di cura private che possono ricoverare in convenzione solo per emergenza e invece ospitano chiunque per qualsiasi ragione (Abruzzo), medici di base rimborsati per assistiti inesistenti e iperprescrizione di farmaci (Taranto), false autocertificazioni per ottenere prestazioni in regime di esenzione e interventi estetici spacciati per medicali (Avellino). Notevole l’episodio laziale denominato ‘ Lazzaro’, ovvero un’organizzazione capace di far riconoscere la mutua a 1. 500 cittadini defunti e a 5. 500 persone delle quali non era nota l’identità (ma ai defunti di Frosinone venivano anche pagate le ricette per farmaci acquistati dopo il decesso).
Dunque, per capire perché manchino le risorse, tocca guardare dentro il sistema più che ai tagli del ministero. Lo ha spiegato bene il procuratore della Corte dei conti della Calabria, Cristina Astraldi De Zorzi, per motivare i 300 milioni di danni causati dalla malagestione della sanità regionale: “Novantuno atti di citazione sono stati emessi verso altrettanti dirigenti medici di Azienda sanitaria che hanno percepito indennità non spettanti per avere esercitato attività libero professionale intramuraria – ha detto inaugurando l’anno giudiziario qualche giorno fa -. Tre atti di citazione sono relativi al risarcimento danni nei confronti di sanitari ospedalieri che hanno causato il decesso di pazienti, uno è invece dovuto alla illegittima trasformazione di 76 rapporti di collaborazione coordinata e continuati-va da parte di azienda sanitaria provinciale con conseguente causazione di danno erariale dell’importo di oltre 23 milioni di euro”.
Il ministro Tommaso Padoa Schioppa, nel lontano 2007, aveva tentato la compilazione di un Libro Verde sulla spesa pubblica invocando una diversa qualità della spesa, piuttosto che una strage dei finanziamenti. In quel rapporto si dava per certa la possibilità di spendere con maggior profitto i 680 euro di spesa sanitaria pro capite, ma nella generale sollevazione contro le previsioni di un rigido burocrate nessuno ebbe l’ardire di immaginare che solo cinque anni dopo la cifra sarebbe salita agli attuali 1. 800 euro. La solita Corte dei Conti, analizzando le carte fornite dalle Regioni commissariate (Lazio, Abruzzo, Molise, Campania e Calabria), ha denunciato la difficoltà di comprendere il reale stato dell’arte a partire dalla compilazione dei bilanci ufficiali: “In alcuni casi il debito è attualizzato, in altri tiene conto solo di valori finanziari – dicevano i magistrati nel 2009 -. I coefficienti di incognita legati alla parifica tra pretese creditorie e scritture contabili, alla possibilità di sovrapposizioni di debiti appartenenti a tranches di deficit diverse, a duplicazioni di pretese, rendono i saldi perennemente provvisori e controvertibili. Ciò senza dire delle stime di copertura, talvolta labili, talvolta caratterizzate da coefficienti variabili”. Credeteci o no, la prossima volta che entrerete in un pronto soccorso, sarà questo il vostro vero problema.
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Come? Il campionario è vastissimo: case di cura private che possono ricoverare in convenzione solo per emergenza e invece ospitano chiunque per qualsiasi ragione (Abruzzo), medici di base rimborsati per assistiti inesistenti e iperprescrizione di farmaci (Taranto), false autocertificazioni per ottenere prestazioni in regime di esenzione e interventi estetici spacciati per medicali (Avellino). Notevole l’episodio laziale denominato ‘ Lazzaro’, ovvero un’organizzazione capace di far riconoscere la mutua a 1. 500 cittadini defunti e a 5. 500 persone delle quali non era nota l’identità (ma ai defunti di Frosinone venivano anche pagate le ricette per farmaci acquistati dopo il decesso).
Dunque, per capire perché manchino le risorse, tocca guardare dentro il sistema più che ai tagli del ministero. Lo ha spiegato bene il procuratore della Corte dei conti della Calabria, Cristina Astraldi De Zorzi, per motivare i 300 milioni di danni causati dalla malagestione della sanità regionale: “Novantuno atti di citazione sono stati emessi verso altrettanti dirigenti medici di Azienda sanitaria che hanno percepito indennità non spettanti per avere esercitato attività libero professionale intramuraria – ha detto inaugurando l’anno giudiziario qualche giorno fa -. Tre atti di citazione sono relativi al risarcimento danni nei confronti di sanitari ospedalieri che hanno causato il decesso di pazienti, uno è invece dovuto alla illegittima trasformazione di 76 rapporti di collaborazione coordinata e continuati-va da parte di azienda sanitaria provinciale con conseguente causazione di danno erariale dell’importo di oltre 23 milioni di euro”.
Il ministro Tommaso Padoa Schioppa, nel lontano 2007, aveva tentato la compilazione di un Libro Verde sulla spesa pubblica invocando una diversa qualità della spesa, piuttosto che una strage dei finanziamenti. In quel rapporto si dava per certa la possibilità di spendere con maggior profitto i 680 euro di spesa sanitaria pro capite, ma nella generale sollevazione contro le previsioni di un rigido burocrate nessuno ebbe l’ardire di immaginare che solo cinque anni dopo la cifra sarebbe salita agli attuali 1. 800 euro. La solita Corte dei Conti, analizzando le carte fornite dalle Regioni commissariate (Lazio, Abruzzo, Molise, Campania e Calabria), ha denunciato la difficoltà di comprendere il reale stato dell’arte a partire dalla compilazione dei bilanci ufficiali: “In alcuni casi il debito è attualizzato, in altri tiene conto solo di valori finanziari – dicevano i magistrati nel 2009 -. I coefficienti di incognita legati alla parifica tra pretese creditorie e scritture contabili, alla possibilità di sovrapposizioni di debiti appartenenti a tranches di deficit diverse, a duplicazioni di pretese, rendono i saldi perennemente provvisori e controvertibili. Ciò senza dire delle stime di copertura, talvolta labili, talvolta caratterizzate da coefficienti variabili”. Credeteci o no, la prossima volta che entrerete in un pronto soccorso, sarà questo il vostro vero problema.
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