Apprendiamo sgomenti che lo scandalo che investe il Csm è “come quello della P2”. Parola di Giuseppe Cascini, leader della corrente progressista Area, che ringrazia il presidente Sergio Mattarella e il vicepresidente David Ermini per averci salvati dalla nuova P2, spingendo fuori chi ne era stato infettato.
In effetti era dal 1981, cioè dalla pubblicazione delle liste di Licio Gelli, che non rotolavano tante teste al Csm: al momento cinque consiglieri, uno dimissionario perché indagato e quattro autosospesi per aver discusso del nuovo procuratore di Roma con Luca Lotti, Cosimo Ferri e Luca Palamara. Cioè con due deputati del Pd e col leader della corrente Unicost. Dei tre, gli intrusi erano i primi due: Palamara faceva il suo sporco mestiere di capocorrente, come tutti i capicorrente da che mondo è mondo e Csm è Csm. Almeno finché le correnti non verranno stroncate con l’unica riforma in grado di neutralizzarle: il sorteggio dei membri togati e la cancellazione della quota parlamentare, che porta nel Csm gl’interessi dei partiti.
Ma torniamo alla “nuova P2”. Se, come dice Cascini, esiste ed è stata respinta con la ritirata delle toghe in contatto con Lotti e Ferri, non si scappa: la “nuova P2” sono Lotti e Ferri. B. e i gialloverdi non c’entrano nulla: c’entra solo il Pd. Eppure del Pd non si parla e il Pd non parla (i possibili motivi del silenzio li spiega Lillo a pag. 4). Se quattro membri del Csm si autosospendono senz’aver commesso reati, ma solo per aver parlato con Lotti e/o Ferri, possibile che il Pd non dica nulla su Lotti e Ferri? Che Zingaretti non chieda loro di dimettersi? E che nessun giornalone associ la “nuova P2” al Pd e chieda al segretario di disinfettarlo dai neopiduisti?
Lotti e Ferri non sono due marziani insospettabili, che nessuno immaginerebbe a impicciarsi in nomine togate. Lotti, lo spicciafaccende di Renzi, è imputato per rivelazione di segreti e favoreggiamento nel processo Consip e ciononostante, o forse proprio per questo, fu promosso da Gentiloni e Mattarella ministro dello Sport (quand’era già indagato) e ricandidato in un posto sicuro alle elezioni del 2018.
Ferri, figlio del ministro dei 110 all’ora, magistrato, ras di Magistratura indipendente, presenza fissa nelle intercettazioni di gravi scandali (P3, Calciopoli, i traffici di B. e Agcom contro Annozero), divenne sottosegretario alla Giustizia in quota B. nel governo Letta, poi restò lì in quota Verdini nei governi Renzi e Gentiloni, infine Renzi lo impose come candidato sicuro alle elezioni del 2018. Eppure lo stesso Renzi l’aveva definito “indifendibile” per un altro scandalo.
Nel 2014 Ferri era stato beccato a inviare centinaia di lettere agli ex colleghi in toga per invitarli, da sottosegretario, a votare al Csm due Carneadi di MI suoi amici, puntualmente eletti. Di Lotti e di Ferri, dunque, si sapeva tutto: due personaggi al di sotto di ogni sospetto. Il Fatto li inserì nella lista degli impresentabili alle elezioni del 4 marzo, ovviamente in beata solitudine: quelli che oggi menano scandalo tacevano e acconsentivano.
Ora indovinate un po’: chi tirò i fili, nel settembre scorso, dell’elezione a vicepresidente del Csm del deputato renziano Ermini, che ora ci avrebbe salvati dalla “nuova P2”? La “nuova P2”. Cioè Lotti e il suo Pd, Ferri e la sua MI, Palamara e la sua Unicost. Il Plenum doveva scegliere fra Alberto Maria Benedetti, un docente mai iscritto a partiti, indicato come laico dai 5Stelle.
Finì 13 a 11: per Ermini votarono il Pd (cioè lui), i 10 togati di MI e Unicost e i due capi della Cassazione (Mammone di MI e Fuzio di Unicost); per Benedetti, i laici di M5S e Lega, i togati di Area e di AeI (Davigo e Ardita).
Fu così che, col plauso dei giornaloni, fra un vicepresidente apolitico e un deputato renziano come Ermini, la maggioranza del Csm preferì il secondo. Quello che aveva passato gli ultimi due anni ad attaccare i magistrati che avevano osato indagare sul padre e i compari di Renzi coinvolti nello scandalo Consip (“Notizie di una gravità inaudita. Prima si prende di mira Renzi e poi si lavora sulle indagini? Ci sono mandanti?”, “Scafarto non può aver fatto tutto da solo… vogliamo i mandanti”, “Inchiesta inquietante per colpire l’allora presidente del Consiglio Renzi”, “Un atto gravissimo, una caccia all’uomo per attaccare un organo dello Stato”). E oggi viene spacciato per il salvatore della patria dalla “nuova P2”, cioè dagli amici che l’hanno fatto eleggere appena otto mesi fa.
Ieri, mentre Zingaretti pigolava “chiedo chiarezza”, solo l’ex procuratore antimafia Franco Roberti, ora eurodeputato indipendente del Pd, ha squarciato il muro dell’omertà e dell’ipocrisia, chiedendo la condanna politica di Lotti e Ferri e ricordando gli effetti devastanti della “riforma” Renzi che prepensionò per decreto centinaia di magistrati per impossessarsi delle Procure-chiave. Se l’indagine su Palamara fosse scattata mesi o anni fa, durante la nomina dei dirigenti di altri uffici giudiziari, avrebbe squadernato le stesse contiguità e complicità fra magistrati e politici, e magari pure le interferenze del Quirinale. Che, ai tempi di Napolitano, interferiva addirittura in pubblico, con lettere e comunicati (dal caso De Magistris allo scontro Robledo-Bruti Liberati allo scandaloso stop al voto sul procuratore di Palermo perché – anche allora – il Csm intendeva bocciare Lo Voi e votare il più titolato Lo Forte): figurarsi in privato.
Ps. Ieri, su Repubblica, Carlo Bonini è tornato a calunniare il Fatto (“macchina del fango”) perché abbiamo dato notizie che lui preferisce occultare. È lo stesso giornale che il 23 maggio, per questa partita scandalosa tutta targata Pd, titolava, restando serio: “Destra e gialloverdi alla conquista della Procura di Roma”.
Vergogniamoci per loro.
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