È ufficiale: da ieri si può dire che il vicepresidente del Consiglio, nonché ministro dell’Interno, nonché capo della Lega, al secolo Matteo Salvini, è un Cazzaro Verde. E il merito di questa storica acquisizione si deve, per quanto strano possa apparire, proprio a lui: al Cazzaro Verde. Era stato lui, infatti, a querelare il sottoscritto per diffamazione, contestando davanti al Tribunale di Milano un editoriale satirico del 6 maggio 2018 intitolato appunto “Il Cazzaro Verde”, in cui si dimostrava per tabulas la sua essenza di Cazzaro Verde che fa politica a suon di “supercazzole” anziché lavorare. L’articolo riscosse un certo successo fra i lettori, tant’è che produsse una rubrica pressoché quotidiana sul Fatto, in cui, anziché inseguire con commenti e cronache sdegnate la sua incessante attività cazzara e supercazzolara sui social, a cura dell’apposita struttura comunicativa denominata orgogliosamente La Bestia, raccogliamo il meglio del peggio delle sue sparate via Twitter e Facebook su tutto lo scibile subumano: dalle colazioni a base di pane e Nutella agli sbarchi dei migranti, dal festival di Sanremo ai vari dl Sicurezza, dagli insulti a chi lo critica alla Flat tax, dalle recensioni del Grande Fratello Vip e di simili programmi culturali agli altri punti programmatici della Lega (che momentaneamente ci sfuggono).
Le querele, si sa, sono armi a doppio taglio: si possono vincere, ma anche perdere; e chi le perde autorizza chi le vince a rivendicare come lecito ciò che chi perde riteneva diffamatorio. È proprio quel che è accaduto al Cazzaro Verde, che ieri s’è visto archiviare la sua denuncia dal gip Luigi Gargiulo, il quale ha accolto la richiesta della Procura di Milano e del mio difensore Caterina Malavenda e respinto il ricorso del suo difensore Claudia Eccher. La Procura riteneva che dare a Salvini del Cazzaro Verde esperto in supercazzole non fosse diffamazione, ma uso legittimo di “espressioni veicolate nella forma scherzosa e ironica propria della satira” che “consistono in un’argomentazione che esplicita le ragioni di un giudizio negativo collegato agli specifici fatti riferiti e non si risolve in un’aggressione gratuita alla sfera morale altrui”. Ora il gip va oltre e nota che il Cazzaro Verde, nella sua querela, “non nega mai i fatti oggetto dell’articolo”, anzi arriva ad ammettere che “nella vita politica la critica può assumere toni aspri di disapprovazione”, pur opinando che “cazzaro verde” e “supercazzola” superino il “requisito della continenza”. E invece no, il giudice Gargiulo ritiene che io non sia (ancora) incontinente.
Alla luce della giurisprudenza della Cassazione sul diritto di critica e di satira, quelle espressioni possono essere “ineleganti, pungenti, inadeguate”, ma non certo diffamatorie in un linguaggio politico ormai “greve e imbarbarito”. Anche grazie al Cazzaro Verde, che non è proprio lord Brummel, anche se ha la querela facile (con noi ne ha già perse otto). E qui il giudice piazza un colpo da maestro, citando una frase di Di Maio che accusa la Lega di avallare “la supercazzola” del Tav Torino-Lione; ma soprattutto due dichiarazioni di Salvini: “Il sindaco di Napoli… ha fatto tutta una supercazzola sulla prevenzione”; “Il piano B del governo per affrontare l’emergenza immigrazione mi sa tanto di supercazzola”.
Cos’abbia indotto il Cazzaro Verde a querelare un giornalista perché gli imputa delle supercazzole, quando è lui stesso a imputare delle supercazzole ad altri, resta un mistero. Spiegabile solo con la sua essenza di Cazzaro Verde. Anche perché – ricorda il gip – “il termine ‘supercazzola’ nel 2015 è persino entrato a far parte del dizionario Zingarelli” (senza offesa per il nostro fiero nemico dei rom). In più, le mie accuse di supercazzolismo sono formulate “a corredo di un ragionamento logico di critica politica”, dunque non ho “mai inutilmente e gratuitamente offeso la sfera morale” del Cazzaro Verde, “impiegando invero termini privi di idoneità lesiva, utilizzati in maniera ironica”. Tantopiù che, con un altro memorabile autogol, è il Cazzaro Verde medesimo a riconoscere nella sua querela che “cazzaro” è “in uso nel linguaggio giovanile per indicare un millantatore di presunte capacità, virtù e successi, di fatto un fanfarone”. Un autoritratto che più somigliante non si poteva, infatti proviene da uno che si conosce bene: “esattamente il profilo tracciato dall’indagato (il sottoscritto, ndr) quando ricordava l’irrealizzabilità delle promesse fatte dal querelante”. Conclusione: “Tale definizione non può certo essere considerata lesiva dell’onore e della reputazione” del Cazzaro Verde, “soprattutto in quanto si tratta di un uomo politico che, per sua natura, è sottoposto non solo alla più feroce critica, ma anche alla satira”. Ergo “la condotta dell’indagato (sempre io, ndr) risulta scriminata dal legittimo esercizio di critica politica” e “si ritiene di dover aderire alla richiesta di archiviazione avanzata dal pm, rilevata l’infondatezza della notitia criminis”. A noi non rimane che ringraziare il Cazzaro Verde per averci querelati: se non l’avesse fatto, non avremmo mai saputo che dargli del Cazzaro Verde e del supercazzolaro è legittimo e avremmo continuato a chiamarlo così col timore di esagerare. Ora invece lo faremo senza più remore. Anche tutti i giorni, prima e dopo i pasti. E siamo lieti di comunicarlo coram populo, affinché chiunque voglia provare la stessa liberatoria ebbrezza segua il nostro esempio sui social, a cena con gli amici, al bar, sui mezzi pubblici, nelle piazze, negli striscioni da balcone che accolgono il Cazzaro Verde nel suo frenetico giro d’Italia per non lavorare. Da oggi dire che il Cazzaro Verde è un Cazzaro Verde si può: grazie al Cazzaro Verde.
Nessun commento:
Posta un commento