Per l'ex sindaco anche l'interdizione dai pubblici uffici. La sentenza è più pesante della richiesta dall'accusa: il pm Luca Tescaroli, infatti, aveva chiesto per l’ex sindaco cinque anni di carcere. Secondo la procura Alemanno avrebbe percepito oltre 200mila euro senza averne titolo, buona parte dei quali attraverso la fondazione Nuova Italia da lui presieduta. L'ex primo cittadino: "Sentenza sbagliata, ricorso in Appello".
Sei anni di carcere e interdizione perpetua dai pubblici uffici per corruzione e finanziamento illecito. È la sentenza emessa dal tribunale di Roma per l’ex sindaco Gianni Alemanno. La decisione della seconda sezione penale del tribunale capitolino è legata a uno dei filoni dell’inchiesta Mondo di mezzo, l’indagine della Procura di piazzale Clodio che tra il dicembre 2014 e il giugno 2015 cambiò lo skyline politico della Capitale. Ed è più pesante della condanna chiesta dall’accusa: il pm Luca Tescaroli aveva chiesto per l’ex sindaco cinque anni di carcere. “Una sentenza sbagliata. Ricorreremo sicuramente in appello dopo aver letto le motivazioni. Io sono innocente l’ho detto sempre e lo ribadirò davanti ai giudici di secondo grado”, è il primo commento dell’ex esponente di Alleanza Nazionale ed ex ministro delle Politiche agricole e forestali.
Il nome dell’uomo che decise le sorti di Roma tra il 2008 e il 2013 era comparso nelle carte della prima ondata di arresti dell’inchiesta su Mafia Capitale, il 2 dicembre 2014, nel corso della quale erano finite in carcere 37 persone. I magistrati di piazzale Clodio lo accusavano di aver ricevuto oltre 200mila euro, in gran parte attraverso la fondazione Nuova Italia da lui presieduta, per il compimento di atti contrari ai doveri del suo ufficio. I pm gli contestavano anche il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, accusa in seguito archiviata il 7 febbraio 2017.
I fatti risalgono al periodo tra il 2012 e il 2014: l’ex ministro avrebbe ricevuto dall’imprenditore Salvatore Buzzi in accordo con Massimo Carminati, 223.500 euro, dei quali il pm Tescaroli ha chiesto la confisca, attraverso pagamenti alla fondazione e al suo mandatario elettorale e diecimila euro in contanti. Il tutto con l’aiuto e l’intermediazione dell’ex amministratore dell’azienda romana dei rifiuti (Ama), Franco Panzironi, suo stretto collaboratore.
Alemanno è stato “l’uomo politico di riferimento dell’organizzazione Mafia Capitale all’interno dell’amministrazione comunale – aveva sostenuto Tescaroli in dibattimento – soprattutto, in ragione del suo ruolo apicale di sindaco, nel periodo 29 aprile 2008-12 giugno 2013 (e successivamente di consigliere di minoranza in seno al Pdl)”. I suoi “uomini di fiducia – aveva insistito – indagati e alcuni anche condannati in Mafia Capitale, sono stati proiezione della persona di Alemanno, che ha impiegato per la gestione del proprio potere, e si sono interfacciati con gli esponenti apicali di Mafia Capitale, suoi corruttori (Buzzi e Carminati)”.
In che modo? Secondo le accuse pronunciate da Tescaroli durante le 6 ore di requisitoria dell’8 febbraio, Alemanno ha “venduto” la sua funzione anche con l’ausilio “del fidato Franco Panzironi, parimenti corrotto”, al “sodalizio criminale Mafia Capitale” che “è riuscito a ottenere il controllo del territorio istituzionale di Ama spa, società presieduta dal Comune di Roma, incaricata di pubblico servizio, ente aggiudicatore di appalti, target privilegiato dell’organizzazione”. E ancora: Alemanno “ha consentito di porre le strutture del suo ufficio, di Ama Spa e di Eur Spa a disposizione di Buzzi e di Carminati”.
Tra le pene accessorie, il tribunale ha stabilito anche che Alemanno per due anni non potrà contrattare con la pubblica amministrazione e deciso l’interdizione legale per tutta la durata della pena. L’ex sindaco di Roma – al quale sono stati confiscati 298mila euro – dovrà risarcire sia Ama che Roma Capitale ed è stata fissata una provvisionale di 50mila euro sia per la municipalizzata che per il Campidoglio. La sentenza – ha commentato il presidente della commissione Antimafia, Nicola Morra – “potrà soddisfare tanti e scontentare tanti altri, ma sentenza!” e quindi “ragioniamo insieme su come e quanto la cosa pubblica sia stata in passato asservita a logiche di mafia“.
“Provo dispiacere e amarezza”, ha commentato Marco Marsilio, neo presidente della Regione Abruzzo. “Mi auguro riesca a dimostrare la sua innocenza e totale estraneità alla vicenda”.
I 5 Stelle in Campidoglio vanno all’attacco. “Indipendentemente da quale sarà il risvolto nei successivi gradi di giudizio, questa sentenza accende per l’ennesima volta i riflettori su Mafia Capitale – scrive su Facebook il capogruppo del M5S in Campidoglio Giuliano Pacetti – Già, non dobbiamo dimenticare che la mafia ha distrutto Roma. Voglio ricordarlo, ancora una volta, a chi ci accusa di dare sempre la colpa a quelli che ci hanno preceduto. Per ripristinare la legalità siamo partiti dalle macerie. Tenetelo sempre a mente ogni volta che attaccate questa amministrazione dimenticando quello che abbiamo ereditato. #Alemanno#MafiaCapitale”, conclude.