Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
lunedì 2 maggio 2011
"Impedire il voto è un abuso di potere" Giuristi e intellettuali difendono il referendum. - di Carmine Saviano
Da Zagrebelsky a Rodotà un appello sul sito del Comitato sì acqua pubblica per difendere il diritto dei cittadini ad esprimersi sui beni comuni e il nucleare.
La posta in gioco è alta. E ha a che fare con i beni comuni. Ovvero: con le risorse a cui ogni cittadino deve poter accedere senza nessun tipo di restrizione. "E' la prima volta che si fa una battaglia giuridica e politica su questi temi", dice a Repubblica.it Ugo Mattei, professore di diritto civile a Torino. "Abbiamo la possibilità di invertire la rotta, di fermare le privatizzazioni ideologiche sponsorizzate dal governo. In Italia c'è una possibilità straordinaria". Un'occasione data dalla fisionomia stessa della campagna referendaria. Una battaglia che, grazie al lavoro congiunto di accademici ed esponenti dei movimenti, ha raggiunto "maturità politica e competenza tecnica".
I primi firmatari: Ugo Mattei, Franzo Grande Stevens, Luca Nivarra, Gianni Ferrara, Gaetano Azzariti, Alberto Lucarelli , Giangiacomo Migone, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky, Elisabetta Grande, Giacomo Marramao, Livio Pepino, Nerina Boschiero, Laura Pennacchi, Cristina Trucco, Giorgio Parisi, Eva Cantarella, Pietro Rescigno, Elena Paciotti, Lorenza Carlassarre, Marcello Cini, Luigi Ferrajoli, Guido Martinotti, Elsa Fornero.
Biancofiore dei miracoli.
Per Michela Biancofiore l’uccisione di bin Laden può essere letta “come un nuovo enorme miracolo regalato da Giovanni Paolo II al mondo”.
Difficile crederci, ma ha detto proprio così.
Dunque da oggi sappiamo che il Vaticano ha cambiato i dieci comandamenti, è favorevole alla pena di morte e lo è talmente tanto che se non ci si arriva per vie umane allora si scomodano addirittura i santi e i beati.
Un po’ come se Papa Wojtyla avesse detto ai mafiosi, quel giorno: “Convertitevi, e morite”.
http://bracconi.blogautore.repubblica.it/2011/05/02/biancofiore-dei-miracoli/
..per chi non lo sapesse, questa raffinata Signora è la "costituzionalista" che il 13 gennaio a "8 1/2", tentava di impedire a Stefano Rodotà di dire la sua sulla sentenza della Corte Costituzionale. Sembra che la costituzionalista sia colei che ha scritto materialmente la legge sul legittimo impedimento bocciata impietosamente 12 a 3. Una vera esperta in "sana e robusta costituzione" (magari con l'aiutino di qualche chilo di botulino)... (tafanus)
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Diplomata presso l'istituto magistrale e imprenditrice.
Nel 2005, appena eletta consigliere provinciale di Bolzano per FI, presentò un singolare disegno di legge per dare contributi pubblici del 50% a chi volesse rinnovare il proprio tagliaerbacon un modello nuovo, nella necessità di ridurre l'inquinamento atmosferico (PM10) originato dalle attrezzature per il giardinaggio.
Propose di far sventolare il tricolore da ogni maso del Süd-Tirol. È chiamata anche "Lady Caldarrosta" per aver dato, nella campagna elettorale del 2005, sacchetti di caldarroste ai passanti.
Nel 2005 organizzò un comizio per Berlusconi in Piazza Tribunale a Bolzano ricordato per il solo "collegamento via cellulare" visto che Berlusconi non poté arrivare di persona. Il comizio è ricordato, oltre che per l'assenza di Berlusconi, per il mega "manifesto-bandiera" di 39 metri per 13 posto dinnanzi al Tribunale, che suscitò polemiche e denunce in Tribunale per mancanza di autorizzazioni (decreto legislativo del 22 gennaio 2004, n.42). Sempre nel 2005 fu fotografata accanto al premier Silvio Berlusconi quando questi mostrò il dito medio alzato durante un comizio in Piazza Vittoria a Bolzano.
Rieletta alle elezioni politiche del 2008 ma nel collegio della Campania, nonostante le origini altoatesine nella lista del PDL. È prima firmataria di alcune proposte di legge, tra cui:
- C.2964, DDL sul legittimo impedimento (approvato come testo unificato)
- C.1483 Modifica all'articolo 7 della Costituzione, concernente l'inserimento del riconoscimento delle radici culturali giudaico-cristiane
- C.1484 Ripristino della festività del 4 novembre quale Festa dell'Unità nazionale e delle Forze armate
Nel 2010 ha festeggiato il proprio compleanno ad Arcore assieme a Silvio Berlusconi. In tale occasione ha dichiarato: «Mi ha praticamente visto crescere politicamente, ormai abbiamo un rapporto quasi filiale. Non credo che ci siano tanti altri berlusconiani accaniti come me». (wikipedia)
Geronzi, che liquidazione. - di Alberto Statera
Ma chi e come ha proposto e approvato questa somma che ha suscitato proteste dei fondi esteri e l'invio di un segnale forte da parte della Banca d'Italia, astenutasi sui piani di incentivazione nell'assemblea di sabato? A delibare il caso e a decidere è stato il Comitato remunerazioni della compagnia, presieduto da Paolo Scaroni, amministratore delegato dell'Eni e membro autorevole della supercordata geronziana incardinata su Gianni Letta e l'ex piduista Luigi Bisignani. Delibera presa senza colpo ferire dal momento che, dopo le dimissioni di Leonardo Del Vecchio, l'unico componente del Comitato oltre al presidente era rimasto Lorenzo Pellicioli. Il 9,7 per cento dei fondi esteri non se l'è sentita di approvare la delibera scaroniana, che potrebbe essere invalidata, e la Banca d'Italia e si è astenuta. Un'astensione che, come è tradizione nei comportamenti dell'istituto, suona come una censura di fatto.
Qualche azionista, in margine all'assemblea di sabato a Trieste, ha fatto un calcolo sommario di ciò che l'ex presidente di Generali ha incassato di emolumenti negli ultimi quattro anni e mezzo, da quando ha lasciato Unicredit con una buonuscita di 20 milioni giustificata come "emolumento straordinario che costituisce anche un premio alla carriera", giungendo a un totale di circa 55 milioni di euro. Ora a Trieste dicono di essere più tranquilli, perché come presidente della Fondazione Generali - non ancora noto l'emolumento - Geronzi può firmare spese fino a un massimo di 9.999 euro, come con qualche vendicativo sogghigno ha assicurato Perissinotto.
Ma, a parte il costoso pensionamento dell'ex "banchiere di sistema", in margine all'assemblea è corsa qualche attendibile indiscrezione sullo stile geronziano, assai poco triestino, negli undici mesi di presidenza del Leone. Quasi sempre vittima dei modi spicci dell'ex presidente, nelle severe sale del Leone, il secondo amministratore delegato Sergio Balbinot. "Oh, a questo gli manca il testosterone", ha esclamato a voce non sufficientemente bassa il presidente in una recente riunione del consiglio d'amministrazione, secondo il ricordo nitido di un testimone. Balbinot, con apprezzabile aplomb, ha fatto un po' di ironia su sé stesso con gli amici: "Ormai mi chiamano 'Coso'". Da quando, uscendo dalla sala di un convegno l'ex presidente chiese ostentatamente al portavoce: "Aho, 'ndo sta Coso ?". E quello: "il dottor Balbinot è ancora dentro".
Solare, arriva il super pannello. - di Valentina Murelli
Copiare la foglia, dunque, o meglio la fotosintesi, il processo biochimico che permette alla pianta di ottenere il suo combustibile, il glucosio, soltanto con acqua, anidride carbonica e luce solare. Non è una prospettiva da poco. Lo scrittore Ian McEwan l'ha messa al centro del suo ultimo bestseller, "Solar", che si dipana proprio attorno allo squallido furto di un progetto di fotosintesi artificiale. Il lavoro di Nocera, però, ci dice che siamo già ben oltre la letteratura e la fantascienza. Gli investimenti nel settore, sempre più consistenti, confermano.
Anche in Italia. Il Politecnico di Torino ha inaugurato nella sua sede di Alessandria il Biosolar Lab, laboratorio dedicato alla ricerca sulla foglia artificiale, con la direzione scientifica di uno dei pionieri del settore, il biochimico James Barber dell'Imperial College di Londra. Sul versante privato, l'Eni ha appena stanziato 106,5 milioni di euro nella ricerca sul solare, fotosintesi artificiale compresa, promuovendo anche una collaborazione con il Mit di Boston. Petra Scudo, fisica del Centro ricerche sulle energie non convenzionali dell'Istituto Eni Donegani di Novara, riassume così la questione: "In natura, la fotosintesi si divide grosso modo in tre fasi. Primo: la foglia assorbe energia solare e la trasferisce a uno speciale complesso di molecole. Secondo: questo complesso rompe l'acqua in ossigeno e idrogeno. Terzo: l'idrogeno si combina con anidride carbonica formando glucosio. Stiamo tentando di riprodurre con sistemi artificiali in particolare le prime due".
Per ottimizzare ancora di più i processi di fotosintesi artificiale, Eni e Mit hanno avviato un progetto di ricerca che chiama in causa la fisica quantistica, quella fisica ostica e controintuitiva che descrive il comportamento di atomi e particelle subatomiche. Alcuni anni fa, infatti, si è scoperto che l'assorbimento e il trasferimento di energia solare nelle foglie non avvengono secondo le leggi della fisica classica, ma appunto secondo fenomeni quantistici. La faccenda è complicata, ma ci basti sapere, spiegano i ricercatori, che i processi quantistici aumentano l'efficienza del sistema. E quindi, capire meglio come funziona la natura può permettere di sviluppare dispositivi artificiali più efficienti.
Chi vuole far soldi con l'acqua. - di Maurizio Maggi e Stefano Vergine
Fino a qualche settimana fa un massiccio afflusso di investimenti privati pareva ineluttabile, grazie alla prospettiva di vendere l'acqua a prezzi remunerativi, cioè crescenti. Ora però, sia i gestori che gli operatori guardano preoccupati al referendum del 12 e 13 giugno. "Se vince il sì all'abrogazione dei due articoli sull'affidamento ai privati e sulla remunerazione del capitale, ci vorranno anni per riattivare il flusso di denari per modernizzare la rete", dice Roberto Bazzano, presidente dell'Iren, società nata dalla fusione di ex aziende municipalizzate (tra cui quelle di Genova, Torino e Reggio Emilia), e numero uno di Federutility, la federazione delle utilities che aderisce a Confindustria.
La battaglia si fa effervescente dal punto di vista politico. Al governo piacerebbe far saltare anche questo referendum, dopo quello sul nucleare, per far mancare il quorum al quesito sul legittimo impedimento, temuto da Silvio Berlusconi. Si aggiunge lo scontro ideologico che verte sul quesito: "E' giusto fare i soldi con l'acqua?". Il fronte del no, mosso da sinistra, conquista adepti anche nelle fila degli amministratori locali espressi dal centro destra.
Dietro l'aspetto politico e ideologico si nasconde in realtà una questione legata agli affari possibili. I players, italiani ma anche stranieri, sono più che agguerriti. A partire dal gruppo di Francesco Gaetano Caltagirone, azionista privato sempre più "pesante" dell'Acea, e dai francesi di Gdf-Suez (che sono soci della stessa Acea ma giocano anche in proprio) o degli altri francesi di Veolia. In teoria, la torta potenziale è talmente grossa che non ci sarà bisogno di sventolare l'italianità contro i colonizzatori d'Oltralpe. I due colossi Gdf-Suez e Veolia sono già ben radicati sull'italico suolo, e anche se la stessa Acea, la Iren con l'appoggio strategico del Fondo per le Infrastrutture (F21) guidato da Vito Gamberale o la bolognese Hera aspirassero davvero a divenire dei "campioni nazionali", ci sarebbe spazio per tutti.
"Entrare nel business dell'acqua è proficuo soprattutto per chi realizza infrastrutture. Prendiamo come esempio l'Acea: se la società decidesse di realizzare un grosso lavoro di ristrutturazione della rete idrica, probabilmente lo farà fare a Vianini Lavori, impresa controllata dallo stesso Caltagirone", sottolinea Marco Bersani, uno dei fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua. Ma non ci sono le gare d'appalto? "Nessun problema. Anche se dal primo gennaio 2010, l'Unione europea ha abbassato la soglia minima per le gare pubbliche da 5,1 milioni di euro a 4,8, chi vuole affidare i lavori senza essere costretto a indire una gara può sempre spezzettare le opere in più parti", afferma ancora Bersani. Tra le aziende interessate ai molti business legati all'acqua sul fronte delle opere spiccano nomi celebri di società quotate in Borsa: come Impregilo (azionisti Benetton, Gavio e Ligresti) e Trevi Group, che nel realizzare pozzi per l'estrazione d'acqua può affiancare alle macchine perforatrici le pompe e le vasche per il trattamento del fango. Amministratore delegato del Trevi Group è Cesare Trevisani, vicepresidente di Confindustria. Senza dimenticare grandi cementieri come i Pesenti, patron di Italcementi, certo attenti agli sviluppi dei futuri progetti su acquedotti, depuratori e fognature.
Lo strano caso della morte di Albino Luciani. A cura di Giuseppe Ardagna
Il 26 Agosto del 1978 Albino Luciani divenne ufficialmente Vescovo di Roma (cioè fu eletto Papa) e successore di Paolo VI. In Vaticano, parecchie persone non erano contente dell’elezione di Luciani al soglio pontificio ma, forse, il più scontento di tutti era monsignor Marcinkus che fino all’ultimo istante aveva sperato nell’elezione del candidato Giuseppe Siri.
Ma chi era questo Marcinkus? Era una delle pedine fondamentali di quella partita a scacchi che da anni si giocava fra Vaticano e grandi banche e che metteva in palio la possibilità di vedere il proprio capitale aumentare sempre di più[1]. Marcinkus era il più alto in grado all’interno dello I.O.R., l’Istituto per le Opere Religiose. Egli intuì immediatamente i pericoli dell’elezione di questo pontefice che, sin dai suoi primi discorsi, aveva lasciato chiaramente intendere di voler far tornare la chiesa cattolica a quegli ideali di carità cristiana propri del primo cattolicesimo, rinunciando alle ricchezze superflue che troppo avevano distolto gli uomini di chiesa dai propri sacri compiti. Figuratevi il capo della banca vaticana come avrebbe mai potuto vedere un tipo del genere sul più alto gradino del proprio stato…
Marcinkus diceva ai suoi colleghi: «Questo Papa non è come quello di prima, vedrete che le cose cambieranno»[2].
Su due punti Luciani sembrava irremovibile: l’iscrizione degli ecclesiastici alla massoneria, e l’uso del denaro della chiesa alla stregua di una banca qualunque[3]. E l’irritazione del Papa peggiorava al solo sentire nominare personaggi come Calvi e Sindona dei quali aveva saputo qualcosa facendo discrete indagini[4].
In coincidenza con l’elezione di Luciani venne pubblicato un elenco di 131 ecclesiastici iscritti alla massoneria, buona parte dei quali, erano del Vaticano. La lista era stata diffusa da un piccolo periodico «O.P. Osservatore Politico» di quel Mino Pecorelli destinato a scomparire un anno dopo l’elezione di Albino Luciani in circostanze mai chiarite.[5] Secondo molti, O.P. era una sorta di «strumento di comunicazione» adoperato dai servizi segreti italiani per far arrivare messaggi all’ambiente politico. Pecorelli, tra l’altro, era legato a filo doppio con Gelli come lo erano Sindona e Calvi[6].
Ma, tornando alla lista ecclesiastico-massonica, questa comprendeva, fra gli altri, i nomi di: Jean Villot (Segretario di Stato, matr. 041/3, iniziato a Zurigo il 6/8/66, nome in codice Jeanni), Agostino Casaroli (capo del ministero degli Affari Esteri del Vaticano, matr. 41/076, 28/9/57, Casa), Paul Marcinkus (43/649, 21/8/67, Marpa), il vicedirettore de «L’osservatore Romano» don Virgilio Levi (241/3, 4/7/58, Vile), Roberto Tucci (direttore di Radio Vaticana, 42/58, 21/6/57, Turo).[7]
Di Albino Luciani cominciò a circolare per la curia l’immagine di uomo poco adatto all’incarico, troppo «puro di cuore», troppo semplice per la complessità dell’apparato che doveva governare.
La morte subitanea, dopo trentatre giorni di pontificato, suscitò incredulità e stupore, sentimenti accresciuti dalle titubanze del Vaticano nello spiegare il come, il quando ed il perché dell’evento. In questo modo, l’incredulità diventò prima dubbio e poi sospetto. Era morto o l’avevano ucciso?[8]
Fu detto all’inizio che Luciani era stato trovato morto con in mano il libro «l’imitazione di Cristo», successivamente il libro si trasformò in fogli di appunti, quindi in un discorso da tenere ai gesuiti ed infine, qualche versione ufficiosa volle che tra le sue mani ci fosse l’elenco delle nomine che il Papa intendeva rendere pubbliche il giorno dopo.[9]
Dapprima, l’ora della morte fu fissata verso le 23 e, quindi, posticipata alle 4 del mattino. Secondo le prime informazioni, il corpo senza vita era stato trovato da uno dei segretari personali del Papa, dopo circolò la voce che a scoprirlo fosse stata una delle suore che lo assistevano. C’erano veramente motivi per credere che qualcosa non andasse per il verso giusto.
Qualcuno insinuò che forse sarebbe stato il caso di eseguire un’autopsia e questa voce, dapprima sussurrata, arrivò ad essere gridata dalla stampa italiana e da una parte del clero. Naturalmente l’autopsia non venne mai eseguita ed i dubbi permangono ancora oggi.
Di questo argomento si occuperà approfonditamente l’inglese David Yallop, convinto della morte violenta di Giovanni Paolo I.
Il libro dello scrittore inglese passa in rassegna tutti gli elementi di quel fatidico 1978 fino a sospettare sei persone dell’omicidio di Albino Luciani: il Segretario di Stato Jean Villot, il cardinale di Chicago John Cody, il presidente dello I.O.R. Marcinkus, il banchiere Michele Sindona, il banchiere Roberto Calvi e Licio Gelli maestro venerabile della Loggia P2.[10]
Secondo Yallop, Gelli decise l’assassinio, Sindona e Calvi avevano buone ragioni per desiderare la morte del Papa ed avevano le capacità ed i mezzi per organizzarlo, Marcinkus sarebbe stato il catalizzatore dell’operazione mentre Cody (strettamente legato a Marcinkus) era assenziente in quanto Luciani era intenzionato ad esonerarlo dalla sede di Chicago perché per motivi finanziari si era attirato le attenzioni non solo della sua chiesa ma addirittura della giustizia cittadina e della corte federale. Villot, infine, avrebbe facilitato materialmente l’operazione[11].
La ricostruzione fatta da Yallop degli affari di Sindona, di Calvi, di Gelli e dello I.O.R., conduce inevitabilmente all’eliminazione del Papa.
Tuttavia la ricostruzione dello scrittore inglese pone alcuni problemi, primo fra tutti la netta sensazione che, in alcuni passi della ricostruzione, gli episodi, le date e le circostanze, tendano ad «esser fatte coincidere» troppo forzatamente.
Tuttavia il lavoro investigativo di Yallop è comunque buono e non si può non tener conto del lavoro dell’inglese soprattutto considerando il fatto che troppi sono i dubbi inerenti le ultime ore di vita del Papa.
Perché e soprattutto chi ha fatto sparire dalla camera del Papa i suoi oggetti personali? Dalla stanza di Luciani scompariranno gli occhiali, le pantofole, degli appunti ed il flacone del medicinale Efortil. La prima autorità di rango ad entrare nella stanza del defunto fu proprio Villot, accompagnato da suor Vincenza (la stessa che ogni mattina portava una tazzina di caffè al Papa) che verosimilmente fu l’autrice materiale di quella sottrazione.
Perché la donna si sarebbe adoperata con tanta solerzia per far sparire gli oggetti personali di Luciani? Perché quegli oggetti dovevano sparire?
Domande destinate a restare senza risposta anche in considerazione del fatto che la diretta interessata è passata a miglior vita.
Una curiosità per chiudere l’argomento: sulla scrivania di Luciani fu trovata una copia del settimanale «Il mondo» aperta su di un’inchiesta che il periodico stava conducendo dal titolo: «Santità...è giusto?» che trattava, sotto forma di lettera aperta al pontefice, il tema delle esportazioni e delle operazioni finanziarie della banca Vaticana. «E’ giusto...» recita l’articolo «...che il Vaticano operi sui mercati di tutto il mondo come un normale speculatore? E’ giusto che abbia una banca con la quale favorisce di fatto l’esportazione di capitali e l’evasione fiscale di italiani?»[12].
http://www.disinformazione.it/albinoluciani.htm