giovedì 5 maggio 2011

Alla fine Berlusconi diserta Palermo.



Nonostante gli annunci il premier non è intervenuto al San Paolo Palace Hotel dove invece lo attendevano alcuni contestatori
di Andrea Turco

E alla fine Berlusconi non è venuto. L’attesa venuta del premier a Palermo, in occasione delle “Giornate di studio del Partito Popolare Europeo”, non si è concretizzata. Davanti l’hotel San Paolo Palace, in via Messina Marine, lo attendevano questa mattina i contestatori. Pochi, una cinquantina al massimo, tenuti a debita distanza dalle forze dell’ordine in assetto antisommossa. “Siamo in pochi per poter chiedere di stare più avanti” – constatano con amarezza i presenti: e si accontentano di presidiare l’incrocio con via Adorno, a un centinaio di metri dall’hotel in cui è prevista la presenza, nei prossimi giorni, di Angela Merkel, di Schifani e di Alfano.

Una misura considerata , eccessiva così come le precauzioni in generale, col traffico deviato già a partire da via Lincoln. E’ quello che lamentano i commercianti della zona: oggi gli unici ad essere penalizzati siamo noi, ci dicono.

Va comunque riconosciuto un merito al presidente del Consiglio, questo sì incontestabile: quello di saper riunire, nel fronte di chi si oppone alle sue politiche, i gruppi più eterogenei, che nulla hanno in comune e ben poco hanno da dirsi. Erano presenti, infatti: grillini, popolo viola, collettivi, lavoratori della Gesip, e un trans vestito da infermiera. Con la quale quelli della Gesip si fanno fotografare divertiti, mentre rivendicano la differenza rispetto agli altri manifestanti: "noi siamo tifosi di Berlusconi".

ZEROGAS.IT - DUBAI: La città da non imitare



Si trova a sud del golfo persico nella penisola araba. Dubai ha la più grande popolazione ed è il secondo più grande emirato per area dopo Abu Dhabi. L'organizzazione energetica del luogo è completamente dipendente dal petrolio... tutto viene creato ad hoc... Come se si potesse fare a meno della natura e del rispetto delle sue regole... Non abbiamo ancora capito quale sia la strada giusta...


Brusca: "Il committente del papello era Mancino, Dell'Utri si mise a disposizione"


L'ex boss di San Giuseppe Jato sentito come teste sulle stragi del '93 al tribunale di Firenze:"Riina mi fece il nome di Mancino".
di Giuseppe Pipitone

Giovanni Brusca"Riina non mi disse il tramite del papello, ma il committente finale si, mi fece il nome di Mancino". Sono le ultimissime dichiarazioni di Giovanni Brusca, l'ex boss di Cosa Nostra detto 'u verru (il porco),sentito come teste al processo sulle stragi del 1993, in corso al tribunale di Firenze. Per l'ex boss di San Giuseppe Jato quindi, il capo dei capi indicò nell'allora ministro dell'Interno il "committente finale" del papello, la lista delle richieste di Cosa Nostra allo Stato per trattare sulla fine delle stragi. "Si sono fatti sotto" avrebbe detto Riina a Brusca, aggiungendo che "si sono rappresentati Dell'Utri e Ciancimino che gli volevano portare la Lega e un altro soggetto." Il riferimento alla Lega sarebbe forse proprio alla Lega Nord. Non è mancata la risposta di Nicola Mancino che ha immediatamente replicato a Brusca. "Se Riina ha fatto il mio nome è stato per vendicarsi dato che da ministro ho chiesto e ottenuto il suo arresto".

Sempre secondo Brusca di "papello" si sarebbe parlato prima della strage di Via D'Amelio, che costò la vita al giudice Paolo Borsellino e alla sua scorta, e immediatamente dopo l'assassinio di Giovanni Falcone a Capaci, il 23 maggio 1992. L'assassinio di Falcone sarebbe stato programmato molto prima del 1992, e rinviato più volte. "Le stragi - ha aggiunto il teste - non furono in risposta al 41 bis ma al maxi processo. Servivano per far tornare lo Stato a trattare" Ma dopo la strage di via D'amelio, la trattativa si arenò. A riverarlo a Brusca sarebbe stato lo stesso Riina: "MI diceva: non c'è più nessuno" ha spiegato il pentito.

In seguito Cosa Nostra avrebbe cercato di agganciare Silvio Berlusconi. "Nel 1993 - racconta sempre u'verru -mandai Mangano a Milano ad avvertire dell'Utri e, attraverso lui, Berlusconi che si apprestava a diventare premier, che senza revisione del maxiprocesso e del 41 bis le stragi sarebbero continuate. Mangano tornò dicendo di avere parlato con Dell'Utri che si era messo a disposizione."

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Via D'Amelio, Tranchina accusa Graviano: ''Mi disse: mi metto comodo in giardino''



Dopo le bugie di Scarantino e i silenzi degli altri collaboratori, partita la caccia ai riscontri. Anche Giovambattista Ferrante aveva parlato di un muro dietro cui si era nascosto uno degli attentatori.
di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza

Come Brusca a Capaci, anche per la strage di via D’Amelio Cosa Nostraavrebbe scelto un capo militare cui affidare il telecomando di morte: l’ora x sarebbe scattata dietro un muretto di cemento che taglia via D’Amelio, un muretto all’ombra del quale il boss Giuseppe Graviano si sarebbe appostato fin dalle prime ore del pomeriggio a pochi metri dall’autobomba imbottita di esplosivo, per far saltare Paolo Borsellino e gli uomini della scorta. Dopo 19 anni trascorsi tra le bugie di Scarantino, l’assenza di indicazioni di pentiti e numerose ipotesi investigative cadute nel vuoto un collaboratore di giustizia indica per la prima il luogo dove si apposto’ il commando di morte di via d’Amelio aggiungendo anche il nome di chi aziono’ il pulsante: Giuseppe Graviano, capo mandamento di Brancaccio. La rivelazione e’ di Fabio Tranchina uomo di fiducia di Graviano e recente neo pentito dopo due tentativi di suicidio compiuti nel carcere di Pagliarelli. Tranchina avrebbe compiuto alcuni sopralluoghi in via d’Amelio prima della strage, accompagnando il suo boss: ‘’mi chiese di trovargli un appartamento in via d’Amelio e visto che non l’avevo trovato ebbe a dirmi che allora si sarebbe messo comodo nel giardino. Dov’e’ avvenuta la strage in effetti c’era un muro e un giardino’’.

E’ li’, dietro quel muro che interrompe l’asfalto della strada e protegge un piccolo giardino, che Madre Natura (questo il soprannome del padrino di Brancaccio), dunque, avrebbe schiacciato il pulsante per provocare l’impulso elettrico e scatenare l’esplosione assassina. Un nascondiglio ravvicinato, a pochi metri dal portone del palazzo dove abita la madre diBorsellino, dove Graviano avrebbe potuto ascoltare direttamente le sirene delle blindate che, quella domenica del 19 luglio 1992, alle ore 16,58, accompagnarono il giudice in via D’Amelio. Da quel punto esatto, il boss avrebbe potuto seguire agevolmente tutte le fasi cruciali del piano di morte, controllando il suo bersaglio dall’abbandono della Croma, parcheggiata al centro della strada, al momento della citofonata alla madre, che coincide con la deflagrazione. Fin qui la ricostruzione inedita fatta nei giorni scorsi ai magistrati di Firenze, e poi ai pm di Caltanissetta e di Palermo, dal neo pentito che dice di averla appresa direttamente dallo stesso Graviano. Alla procura di Caltanissetta e’ partita la caccia ai riscontri, e gli inquirenti stanno rileggendo la dichiarazione di un altro collaboratore, Giovambattista Ferrante, che disse di aver saputo come durante l’eliminazione di Borslelino, qualcuno del commando appostato dietro un muretto di via D’Amelio per la violenza dell’esplosione aveva temuto che la parete di cemento crollasse e lo seppellisse sotto i detriti. I pm, inoltre, ritengono ‘’perfettamente coerente’’ la partecipazione diretta di un capomandamento sul luogo della strage ricordando, come riferimento analogo, l’esempio di quanto accaduto sull’autostrada di Capaci, dove a pigiare il telecomando per uccidereFalcone e’ il boss Giovanni Brusca, componente del gotha mafioso. Quella del neo pentito Tranchina e’ comunque una ricostruzione, tutta ancora da verificare, che, se accertata, spazzerebbe via, dopo vent’anni, l’ipotesi investigativa finora piu’ accreditata: quella cioe’ che il pulsante del telecomando fosse stato premuto dagli stragisti appostati nei pressi del Castello Utveggio, in cima al monte Pellegrino, che dall’alto offre una visuale da cartolina di tutta la via D’Amelio.


Su quella montagna, secondo il vicequestore Gioacchino Genchi (che partecipo’ alle prime fasi delle indagini, scoprendo una serie di contatti telefonici tra uomini di Cosa nostra e alcune utenze del Cerisdi, il centro di eccellenza ospitato all’interno del Castello Utveggio), era attiva una cellula ‘’coperta’’ del Sisde. La pista diGenchi, che per la prima volta lanciava le indagini verso una ipotesi di possibili ‘’coperture’’ di pezzi dei servizi sulla strage di via D’Amelio, e’ tuttora all’attenzione dei pm di Caltanissetta che nei mesi scorsi hanno iscritto nel registro degli indagati l’ex agente del Sisde Lorenzo Narracci, ipotizzando a suo carico il reato di concorso in strage con finalita’ terroristiche. L’esistenza di quella base segreta del servizio civile, che poi sarebbe stata smantellata in fretta e furia per sparire nel nulla, non e’ mai stata confermata ufficialmente dai vertici del Sisde.

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K-Pax - Da Un Altro Mondo (K-PAX)




Trama

Lo psichiatra Mark Powell comincia ad occuparsi di un paziente che afferma di chiamarsi Prot e di venire da K-Pax, un pianeta distante anni luce dalla Terra. Secondo il racconto di Prot, su K-Pax non esistono legami familiari e tutti vivono in pace tra loro. Prot riesce a vedere i raggi ultravioletti e dimostra di avere conoscenze scientifiche superiori agli scienziati convocati per esaminarlo. La presenza di Prot nell'ospedale, inoltre, semina entusiasmo negli altri pazienti: i suoi racconti su K-Pax danno la speranza di poter vivere in un mondo diverso. Prot dice che farà ritorno a K-Pax il 27 luglio, e promette che porterà con sé uno dei pazienti. Nel frattempo, per capire chi sia in realtà Prot, Powell decide di farlo regredire trasmite ipnosi e scopre che si tratta di un uomo qualunque, Robert Porter, un macellaio che, dopo aver ucciso - il 27 luglio di cinque anni prima - l'assassino di sua moglie e sua figlia, è caduto in uno stato catatonico. Nel frattempo, però, la data fatidica si avvicina.

Un film di Iain Softley. Con Kevin Spacey, Jeff Bridges, Alfred Woodward, Mary McCormack, Peter Gerety, Saul Williams, David Patrick Kelly, Celia Weston, Frank Collison. Genere Drammatico, colore 120 minuti. - Produzione USA 2001.


E non scordiamo che....




Siamo stati venduti!


mercoledì 4 maggio 2011

Nove Premi Nobel contro il nucleare. - di Giovanna D'Arbitrio



In occasione del 25° anniversario del disastro di Chernobyl, e ricordando la catastrofe di Fukushima, nove Premi Nobel hanno inviato una lettera aperta a 31 capi di stato invitandoli a riflettere sui pericoli del nucleare e sollecitandoli a investire su fonti energetiche alternative, più sicure e rinnovabili.

Essi hanno affermato di essere “fermamente convinti che se si cominciasse adesso a dismettere il nucleare in tutto il mondo, le generazioni future, soprattutto quelle giapponesi che hanno sofferto fin troppo, vivrebbero in un mondo più sicuro e pacifico”.

Ecco i loro nomi: Betty William (Irlanda), Mairead Macguire (Irlanda), Rigoberta Menchu Tum (Guatemala), Jody Williams (USA), Dhirin Ebadi (Iran), Wangari Maathai (Kenya), Desmond Tutu (South Africa), Adolfo Perez Esquivel (Argentina), Jose Ramos Horta (East Timor).

Anche l’italiano Carlo Rubbia, Premio Nobel per la fisica 1984, in una recente intervista su “Repubblica” si è schierato contro la costruzione di nuove centrali nucleari che nel nostro paese in particolare richiederebbe tempi troppo lunghi per dare risultati apprezzabili e privi di rischi.

In Italia intanto slitta la firma del decreto interministeriale sulle energie rinnovabili. Pare ci siano opinioni diverse in merito e che si voglia tener conto delle richieste delle regioni.
Dopo la rinuncia all’utilizzo del nucleare, rinuncia che bloccherà anche il prossimo referendum sullo stesso, fu annunciato un grande piano energetico nazionale, ma pare sia necessario ora trovare punti d’incontro tra pareri contrastanti.

Intanto, per lo slittamento del decreto, molti posti di lavoro sono a rischio: l’impasse nel settore impedisce la pianificazione degli investimenti.

Pare che le centrali nucleari sul nostro pianeta siano complessivamente 442, concentrate soprattutto negli USA (104), in Europa (148), Russia, Giappone, senza contare quelle in fase di costruzione (soprattutto in Cina).

Ancora troppi i reattori più vecchi e pericolosi, costruiti in un periodo in cui non si teneva conto dei territori a rischio sismico.
Ci auguriamo pertanto che non ne vengano costruite altre o che almeno si riducano i pericoli di quelle già esistenti, per il bene dei nostri figli.