martedì 5 luglio 2011

Holding di governo. - Massimo Giannini.



Ormai in conclamata agonia politica, tenuto artificialmente in vita dai "medici" irresponsabili guidati dal leggendario Scilipoti, il governo Berlusconi ha trovato la forza per l'ultimo strappo. Veicolata dalla stangata a orologeria da 47 miliardi congegnata da Tremonti, arriva un'altra legge ad aziendam, 1 costruita a misura delle esigenze questa volta non della persona fisica Berlusconi, ma della persona giuridica Fininvest. Una norma del nuovo processo civile consente al legislatore di sospendere l'esecutività delle sentenze di risarcimento, in primo o in secondo grado, fino alla pronuncia della Cassazione.

Una fattispecie giuridica ritagliata alla perfezione per la holding del premier, sulla quale pende proprio questa settimana il verdetto del giudice di secondo grado, a proposito del maxi-risarcimento dovuto alla Cir per la vicenda del Lodo Mondadori. Grazie al codicillo infilato nottetempo nel decreto che dovrebbe risanare i conti pubblici italiani, dunque, la Fininvest sarà legittimata a non versare un euro di indennizzo alla sua controparte, qualunque sia la somma che i giudici di Milano riterranno opportuna a titolo di risarcimento, per le sentenze a suo tempo comprate dal Cavaliere e dai suoi uomini durante la cosiddetta Guerra di Segrate. In primo grado questa somma era stata quantificata in 750 milioni di euro. In appello potrebbe ridursi, ma non di molto. E dunque potrebbe pesare in modo esiziale sui conti Fininvest, e dunque sul portafoglio della famiglia Berlusconi.

Ecco spiegato l'audace colpo dei soliti noti. Un'altra legge ad aziendam, e il gioco è fatto. Ora si capisce anche perché nei giorni scorsi, al momento di presentare il bilancio della holding, i manager Fininvest avevano annunciato di non aver messo in conto nessun accantonamento, a copertura dell'eventuale risarcimento. Evidentemente il braccio armato aziendale sapeva che non ce ne sarebbe stato bisogno, perché il braccio armato politico stava nel frattempo lavorando per difendere, come sempre, i nobili interessi del premier.

Siamo al consueto, vergognoso e intollerabile rito di una democrazia sotto sequestro e sotto ricatto, piegata ai bisogni di un singolo e umiliata nei suoi valori collettivi. Con questo blitz di una maggioranza screditata e soggiogata, arriviamo all'ennesima legge ad personam, da quando il Cavaliere fece la sua mitica discesa in campo nel 1994. Questa volta il beneficiario è diverso solo nella forma, l'azienda. Ma nella sostanza, è ancora lui, il presidente del Consiglio, che usa la sua funzione per distorcere il codice e abusa della sua posizione per violentare lo Stato di diritto. E quello che è più grave è che non può più farlo fingendo di avere con sè il suo popolo che lo acclama. Gli italiani, persino quelli che lo hanno seguito entusiasti nella folle avventura di questo quasi Ventennio, hanno cominciato a voltargli le spalle. Hanno capito, finalmente, che l'unica "ditta" per la quale il premier ha lavorato e lavora non è l'Italia, ma è la sua.



lunedì 4 luglio 2011

È il nuovo "patto di ferro" portato avanti con la Compagnia delle Opere e la benedizione di Formigoni e Bossi


di Ferruccio Pinotti

da "Il Fatto Quotidiano"1 ottobre 2009

È il nuovo asse segreto della politica, dell'economia e della finanza. È l'intesa di cui non si può parlare. È il "patto di ferro" che nei prossimi mesi muterà molti scenari in una serie di delicati scacchieri fatti di grandi business, di appalti, di equilibri politici e istituzionali. Comunione e Liberazione ha infatti scelto la Lega come partner forte per un progetto di vasto impatto e di lunga gittata. Un disegno che si articola su una serie di capisaldi, per ora percepiti con difficoltà dagli osservatori esterni, ma ben chiari ai vertici di Cl e del Carroccio.

Pietra angolare dell'intesa è il federalismo. L'obiettivo dei due movimenti è sfruttare la de-strutturazione dello Stato, e il progressivo passaggio di molte sue competenze alle Regioni, per trasferire dal pubblico al privato una serie di aree di lucrose attività che vanno dalle scuole all'energia, dalle autostrade alla sanità, dalla formazione all'immigrazione. Braccio operativo sarà la Compagnia delle Opere, la potentissima organizzazione vicina a CL che raggruppa 34.000 imprese, per un fatturato stimato in 70 miliardi di euro. Spetterà alla CdO il compito di trasformare l'indebolimento dello Stato unitario in una gigantesca opportunità di business.
Il piano prevede una serie di step , che sono stati anticipati da Roberto Formigoni in agosto durante il meeting di Rimini. Il primo ruota intorno ai decreti attuativi della legge sul federalismo già approvata: il governo deve emanarli entro due anni. Ma, nei decreti attuativi è possibile infilare di tutto, e di questo Cl e Lega sono ben consci.

La seconda mossa riguarda, invece, la cosiddetta trattativa con lo Stato. Che cosa sia Formigoni lo ha spiegato il 24 agosto quando, davanti ai vertici entusiasti del movimento di Umberto Bossi, annunciato che Lombardia e Veneto intendono sottrarre al governo centrale il maggior numero possibile di competenze. Le due regioni, insomma, non puntano solo al federalismo fiscale, ma vogliono la gestione di un'ampia serie di aree strategiche che comprendono le strade, l'ambiente, la scuola, forse persino il nucleare, quanto meno in termini di attuazione del piano nazionale di realizzazione delle centrali. Nell'attuazione del federalismo, ha detto il governatore ciellino, "un passo importante è quello di sfruttare la possibilità offerta dall'articolo 116 della Costituzione, come la Lombardia sta cercando di fare. La Carta prevede infatti che, su iniziativa della Regione, lo Stato possa attribuire, con una legge, la competenza esclusiva su alcune materie che sarebbero, di norma, riservate allo Stato". "Molte cose", ha annunciato Formigoni, "si possono fare senza ricorrere ad un cambiamento della Costituzione , ma con una trattativa per ottenere competenze specifiche. Noi siamo pronti ad occuparci esclusivamente delle dodici materie che abbiamo già richiesto". Un'idea che ha trovato subito d'accordo uno degli ospiti d'onore del Meeting di Cl, il ministro leghista Roberto Calderoli, che ha parlato di una "modifica della Costituzione per dare più potere alle Regioni" lasciando intravedere la linea di programma comune tra il movimento fondato da don Giussani e il Carroccio. Così Formigoni ha metaforicamente indossato la camicia verde e, mutuando linguaggio leghista, ha parlato di un "diritto da parte dei cittadini ad autodeterminarsi e scegliere il proprio modello di riferimento". Poi, tra gli applausi scroscianti, ha recitato il mantra "meno burocrazia per le aziende", scandendo gli obiettivi: "La sanità va gestita tutta in ambito regionale. Solo certe materie possono restare al governo. Ogni cittadino ha il diritto di farsi curare dove vuole e di scegliere in quale scuola mandare i figli. Abbiamo finanziato in questi anni 10.000 progetti di famiglie lombarde tramite l'associazionismo, contro la logica centrali-sta. Ricco di prospettive, nell'accordo Cl–Lega, è pure il business delle infrastrutture. Formigoni al Meeting ha ammesso candidamente: "Abbiamo già l'ente lombardo Cal (Concessioni Autostradali Lombarde, ndr) per le autostrade, a metà tra Stato, Anas e Regione. Siamo forti nel trasporto ferroviario per i pendolari con Fs e Ferrovie Nord: è ora di dire basta alla direzione romana".
I leitmotiv del leader politico di Cl sono gli stessi della Lega: "Bisogna stabilire livelli diversi di imposizione fiscale tra regioni e attrarre investimenti; serve un accordo delle Regioni con Province e Comuni per la gestione dei soldi e per il federalismo fiscale".
Anche i servizi pubblici, nella nuova filosofia di Cl e Lega, vanno ricalcolati in base a nuove unità di misura. Per Formigoni "il passaggio dalla logica del costo storico a quella del costo standard, ottenuto con il federalismo fiscale, rappresenta il passaggio dal vizio alla virtù".

LA SPARTIZIONE DELLE REGIONI DEL NORD
In questo scenario, una partita chiave è quella della spartizione delle grandi regioni del Nord. Cl ha un ruolo di mediazione chiave tra Pdl e Lega, che si contendono Lombardia e Veneto, con un pensiero attento anche al Piemonte.
La Lega, alle regionali del 2010, vorrebbe prendersi le tre regioni più ricche d'Italia, Lombardia, Piemonte e Veneto, ma sa che se vuole un patto sul fronte degli affari deve arrivare a un compromesso politico. L'ipotesi che sta quindi maturando, all'interno del Carroccio, è lasciare la Lombardia non tanto a Forza Italia, quanto a Formigoni, ovvero a Cl e alla Compagnia delle Opere, in cambio della presidenza del Veneto (il laico Galan non è amato da Cl e il suo regno è messo in discussione dalla Lega) e magari del Piemonte.

Resta l'incognita Udc. Ma di fronte a un patto chiaro con gli uomini di Pierferdinando Casini anche la Lega dirà di sì al governatore Formigoni. Il presidente della Regione Lombardia ne è convinto e ha auspicato che l'alleanza con l'Udc possa essere confermata a cominciare dalle regionali del prossimo anno in Lombardia. "I rapporti con la Lega in Regione", ha detto al Meeting, "sono ottimi. Noi lavoriamo per allargare l'alleanza, per rinnovare il patto con l'Udc su basi chiare e valori condivisi. Spero sia un patto a 360 gradi su tutto il territorio nazionale e sono convinto che anche la Lega, di fronte a una proposta chiara di alleanza, dira di sì. La Lega è un partito intelligente e abile e finché non vede patti chiari dirà di no. Ma la chiarezza interessa anche a noi, non vogliamo papocchi o pasticci. Se faremo un patto chiaro lo sottoporremo agli amici della Lega". Il tema della presidenza della Regione Lombardia continua comunque ad essere spinoso, ha lasciato capire Calderoli. Ma la stanza di compensazione di Cl saprà certamente risolvere i contrasti. La sanità, la scuola e i trasporti sono alcuni tra i molti e ricchi settori di business per Cl. Ma non c'è ambito al quale il braccio della Compagnia delle Opere non guardi con lungimiranza. Uno di questi è il nucleare, una materia in cui la programmazione è ancora tutta da stendere, consentendo perciò alle aziende della Compagnia delle Opere di inserirsi a vario titolo. Non a caso, a discutere di nucleare al meeting erano presenti Fulvio Conti, ad e dg di Enel; Umberto Quadrino, ad di Edison; Giuliano Zoccoli, presidente di A2A, la potente azienda nata dalla fusione tra la Asm di Brescia e la Aem di Milano. I top manager dell'energia italiana si sono definiti "vecchi amici del meeting" e a benedire l'intesa si è mosso fino a Rimini il ministro dello sviluppo economico Claudio Scajola.

RELIGIONE E FINANZA VANNO D'ACCORDO
Ma a progettare il nucleare italiano con i big ciellini erano anche l'ad di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi, così come il responsabile della localizzazione degli impianti nucleari Enel, Igino Chellini; come pure Franco Cotana, promotore della Piattaforma Tecnologica Nucleare Sostenibile Italia; Frantisek Pazdera, vicepresidente della consorella europea Sustainable Nuclear Energy Technology Platform; Silvio Bosetti, dg della Fondazione Energylab.
Cl non aspetta che le occasioni di business succedano, le anticipa. In questo disegno complessivo di appropriazione delle aree in cui la competenza dello Stato verrà progressivamente erosa a favore del business di Cl e Cdo, ha un ruolo importantissimo la finanza, chiamata ad erogare credito alle aziende "amiche" a sostenere grandi progetti infrastrutturali. La Compagnia delle Opere ha costruito un sistema oliatissimo, un network nel quale ogni azienda aiuta l'altra, in un rapporto committente-fornitore che disegna un'economia ciellina forte e integrata, quasi un mondo a parte, isolato dal mercato.

Già nel 2000 il titolare dell'impresa edile Romagnoli, Camillo Agnoletto, impegnato nella ricostruzione del Teatro La Fenice di Venezia, raccontava all'Espresso: "Noi non abbiamo aderito per motivi ideali. Con Cl io non c'entro, sono un uomo di sinistra. Ma l'adesione ti garantisce le informazioni giuste sui bandi di gara, i finanziamenti Ue, le opere pubbliche; ti offre un colloquio privilegiato con le banche; può sveltire i rimborsi dalla Regione; ti assiste nel ginepraio delle leggi urbanistiche. In due parole, se ti metti con loro hai dei vantaggi". Dal 2000 la situazione nell'economia e nella finanza è molto peggiorata, l'11 settembre 2001 e lo tsunami finanziario del 2008 hanno reso fragili molte imprese, che sono divenute estremamente bisognose di una "rete", di un network efficiente e solidale.

Proprio ciò che la Compagnia delle Opere è in grado di offrire. Dall'86 ad oggi la Cdo ha compiuto passi da gigante, divenendo un sistema di assistenza alle imprese estremamente integrato ed efficiente. "Ormai, se non sei della Compagnia delle Opere ormai non hai quasi più accesso al credito; con la Cdo invece entri dappertutto, hanno le "loro" banche, in qualche modo garantiscono per te anche se hai problemi", racconta al Fatto il titolare di un'impresa veneta che preferisce non essere menzionato. In effetti la Cdo ha stretto in questi anni rapporti preferenziali con molti istituti, in molti casi anche informaufficiale.Traglisponsordel30°meetingdi Cl c'era il primo gruppo bancario italiano, Intesa-San Paolo. Il suo ad Corrado Passera si muoveva con scioltezza nei palazzi della fiera di Rimini, regalando sorrisi e predicando la necessità di "un piano concreto di lungo termine", per "uno shock positivo all'economia ed alla società", "investendo sulla coesione sociale".

Passera suadente annunciava: "Fra i 500 miliardi di Intesa per il credito, una cifra considerevole, un terzo del Pil, ci sono 60-70 miliardi di linee di credito affidate ma non utilizzate, soprattutto alle medie, piccole e piccolissime imprese". Un chiaro messaggio al
mondo della CdO. Un altro big presente al Meeting era Carlo Fratta Pasini, presidente del Banco Popolare, il colosso della finanza cattolica che negli anni del cattolicissimo Fazio a Bankitalia è stato un protagonista nell'ambito delle merger & acquisitions bancarie.
La presenza di Passera e Fratta Pasini delina bene i contorni di una finanza ciellina da tempo in movimento. A ben guardare, l'abbraccio tra Lega e Cl ha radici profonde nel progetto di una grande Banca Padana caldeggiato da Giampiero Fiorani nel tentativo di scalata alla Banca Antonveneta, poi fallito per l'esplodere delle inchieste giudiziarie sul banchiere. Ma in questa direzione si muoveva anche la banca della Lega, la Credieuronord (un buco da14miliardidilire),salvata proprio da Fioranicon l'assenso del governatore di Bankitalia An toni o Fa-zio. Una compagnia di giro, ora rinviata a giudizio, che fu sul punto di far sua, con le complicità della sinistra impegnata in Unipol-Bnl, una fetta importante della finanza nazionale, ma anche il Corriere della Sera.

Proprio le complicità segrete della sinistra rendono forte e pregnante l'intesa tra CL e Lega. Al meeting di Rimini 2009 gli invitati d'onore, oltre ai vertici della Lega, sono stati Luigi Bersani ed Enrico Letta, non Silvio Berlusconi, il cui mancato invito (il Cavaliere non è stato gradito nemmeno per un saluto) è apparso un segnale chiarissimo: la galassia di Comunione e Liberazione considera già archiviato Berlusconi. E guarda con interesse a chi, come la Lega,garantiscevantaggiosealleanzeanchesulpiano dei progetti imprenditoriali. Ma pure a chi, come certe componenti della sinistra, è pronto ad accordi operativi nelle aree di proprio dominio.
In questo caso, il terreno d'intesa è quello delle cooperative (una grande realtà, che vale il 7% del Pil nazionale) in cui Cl e Cdo hanno avviato accordi che prefigurano un "super inciucio" degli affari. Il presidente di Coop Italia - che raggruppa 10.000 imprese agricole - Vincenzo Tassinari, non ha esitazione ad ammettere, da noi intervistato per Il Fatto al Meeting di Cl: "Sono 15 anni che siamo presenti al Meeting di Cl e riconosciamo che la Compagnia delle Opere ha gli stessi valori predicati e praticati da noi. La Cdo ha un grande patrimonio di valori: lavoreremo insieme per altri 30 anni".

Ai vertici delle cooperative rosse evidentemente non disturba il fatto che nel 2007 l 'ex presidente regionale della CdO in Calabria, l'imprenditore An toni o Saladino, sia stato coinvolto nell'indagine giudiziaria della Procura di Catanzaro curata fino al mese di ottobre 2007 dal sostituto procuratore Luigi de Magistris.
Né il fatto che nel 2008 a seguito di un'indagine della Guardia di Finanza per un giro di tangenti, corruzione e turbativa d'asta, l'ex presidente della sezione trentino della CdO, Giuseppe Todesca, avrebbe confessato di aver chiesto una tangente di 260.000 euro in favore della Compagnia delle Opere ad un imprenditore.

GLI AFFARI TRASVERSALI CON LA POLITICA

Proprio l'inchiesta Why Not ha mostrato quanto forti siano le trasversalità di Cl e Compagnia delle Opere. Alleanze così estese da riflettersi nel cosiddetto "Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà", nato nel 2003 come tavolo di discussione bipartisan sulla sussidiarietà, la parolina che è il grande "cavallo di Troia" con il quale si fa a pezzi il pubblico per favorire il business dei privati. Il promotore, l'onorevole Maurizio Lupi del Pdl, è vicepresidente della Camera ed un politico in forte ascesa. Insieme a lui, nell'Intergruppo, gli azzurri Luigi Casero, Angelino Alfano, Gianfranco Blasi; per l'Udc la senatrice Maria Grazia Sestini e Luca Volontà; per la sinistra il diessino Pierluigi Bersani, Enrico Letta ed Ermete Realacci della Margherita. Tutti insieme appassionatamente per battaglie come la legge 80, inserita nel decreto sulla competitività, nota come la "Più dai, meno versi" e l'introduzione del 5 per mille nella Finanziaria 2006, ma anche per l'approvazione della legge delega in materia dell'impresa sociale.

Ma la vera novità, oggi, è senza dubbio quell'intesa organica di Cl con la Lega che ha spinto Bossi a recarsi in Vaticano e a dichiarare "Siamo noi il vero interlocutore della Chiesa", così come a utilizzare la battaglia del Giornale contro Dino Boffo per piazzare alla guida del quotidiano dei vescovi,Avvenire, un direttore (il nome che più circola è quello del ciellino doc Roberto Fontolan) gradito alla grande lobby di Comunione e Liberazione. Sul territorio, intanto,fioriscono poi realtà, come Padania Cristiana, che costituiscono il trait d'union naturale tra il leghismo militante e integralismo cattolico.
Si prepara così,a poco a poco, un blocco moderato, cattolico e affaristico, pronto a gestire con efficacia e preparazione il tramonto dell'Unto del Signore.

http://www.cdbchieri.it/rassegna_stampa_2009/cl_e_lega.htm

Lodo Mondadori, nella manovra norma che mette a rischio condanna a Berlusconi.



Roma, 4 lug. (Adnkronos) - Potrebbe avere conseguenze sulla decisione del tribunale d'appello civile in merito al lodo Mondadori la norma contenuta nel testo della manovra varata dal Governo alla fine dell'articolo 37 recante ''Disposizioni per l'efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie''. In essa si definisce la modifica a due articoli del codice di procedura civile che in sostanza determinerebbe la sospensione in appello all'esecuzione delle condanne civili che superino i dieci milioni di euro e la sospensione in Cassazione per quelle che vanno oltre i 20 milioni, in cambio di una ''idonea cauzione''. Nella norma della manovra si legge infatti che: ''Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 283, dopo il primo comma èinserito il seguente: 'la sospensione prevista dal comma che precede e' in ogni caso concessa per condanne di ammontare superiore a dieci milioni di euro se la parte istante presta idonea cauzione'''. E, ancora: ''b) all'articolo 373, al primo comma, dopo il secondo periodo e' inserito il seguente: 'la sospensione prevista dal presente comma e' in ogni caso concessa per condanne di ammontare superiore a venti milioni di euro se la parte istante presta idonea cauzione''

Durissima la replica alle indiscrezioni della Associazione nazionale magistrati. Per il segretario Luca Palamara ''se confermata'' la norma sul lodo Mondadori ''sarebbe una norma che nulla ha a che vedere con il tema dell'efficienza del processo civile, che determinerebbe una iiniqua disparità di trattamento e che sarebbe, quindi, incostituzionale''.Un coro di no arriva subito dall'opposizione. "Se le notizie relative alla norma sui maxi-risarcimenti contenuta nella manovra venissero confermate, ci troveremmo di fronte all'ennesimo regalo per Berlusconi confezionato dal suo governo e fatto recapitare dalla sua maggioranza. E' davvero scandaloso e imbarazzante che in una manovra destinata a pesare sulle spalle già provate dalla crisi delle famiglie e dei cittadini normali sia introdotta una norma che sospende gli effetti di una sentenza, a vantaggio delle societa' del Presidente del Consiglio. Siamo per l'ennesima volta di fronte al conflitto di interesse e a un provvedimento da furbetti", attacca Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato. "Da importanti esponenti della maggioranza - prosegue la Finocchiaro - sono venuti, anche di recente, appelli al confronto. Con le furbate non ci si confronta e questa, se fosse confermata, ci sembra l'ennesima furbata che noi non accettiamo. Il testo di questo decreto non è ancora stato depositato e inviato in Parlamento e dunque non sappiamo ancora se queste anticipazioni verranno confermate. Siamo però curiosi di capire - conclude la presidente dei senatori del Pd - come le forze di maggioranza, e la Lega in particolare che ha fatto della lotta ai privilegi un cavallo di battaglia, spiegheranno tutto questo agli italiani".

Un passo indietro e le scuse chiede Enrico Letta, vice segretario del Pd. "La norma sul Lodo-Mondadori è il primo banco di prova per il 'partito degli onesti'. Se essa non verrà immediatamente cancellata con scuse pubbliche a quegli italiani che nella stessa manovra sono chiamati è pesantemente a sacrifici, il nuovo corso del Pdl sarà in semplice continuità con quel disprezzo delle regole troppe volte dimostrato dal vecchio corso".


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«Un Vietnam per la Lega».





NO TAV 3 LUGLIO 2011...NON SOLO GUERRA



Sono arrivati da tutta l'Italia per sostenere questa battaglia e per dire basta a questo sistema politico che continua ad ignorare il suo popolo, un fiume in piena ha inondato la valle di energia positiva, la lotta continua, loro non molleranno mai...noi neppure!



Golpe sul web: fermiamoli. - di Guido Scorza


Un'Autorità amministrativa di emanazione politica assumerà il controllo esclusivo di ogni contenuto in Internet. E' un 'codice di guerra' per trasformare la Rete italiana in una grande tv controllata da un pugno di politici e manager. Ed è una prova generale per violentare, sotto i nostri occhi, il principio della separazione dei poteri.

L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il prossimo 6 luglio varerà le nuove regole per la tutela del diritto d'autore in Rete autoattribuendosi il potere assoluto di vita e di morte su ogni contenuto pubblicato dagli utenti on line attraverso servizi resi disponibili da soggetti italiani o stranieri.

Secondo la nuova disciplina toccherà, infatti, agli uffici dell'Autorità, su segnalazione dei titolari dei diritti, ordinare, all'esito di un procedimento sommario destinato a concludersi in cinque giorni e senza contraddittorio con l'autore e/o l'utente che ha caricato on line il video, ordinarne ai provider l'immediata rimozione o, qualora il contenuto risultasse ospitato da fornitori di servizi stabiliti all'estero, un filtraggio che valga a renderlo inaccessibile ai naviganti italiani.

Non appena le nuove norme entreranno in vigore, dunque, potremo dire addio – ad esempio - ai capolavori di creatività satirica che, negli ultimi anni hanno portato una ventata d'aria fresca e fatto circolare idee ed opinioni contrarie al "pensiero unico televisivo" nella Rete italiana (vi ricordate ad esempio "The Arcore night's"?), salutare le centinaia di migliaia di pillole di informazione prodotte da altrettanti videoblogger e semplici utenti della Rete allo scopo di raccontare fatti e misfatti del loro territorio, spesso trascurati dalle grandi Tv o, peggio ancora, censurati e, soprattutto, rinunciare al sogno che presto, persino nel Paese del telecomando, Internet potesse offrirci un'informazione libera, pluralista e indipendente dai poteri politici ed economici.

Con l'alibi della tutela del diritto d'autore, nei prossimi mesi, un'Autorità amministrativa semi-indipendente, anche perché di diretta emanazione politica, assumerà il controllo esclusivo di ogni contenuto in circolazione nello spazio pubblico telematico.

In termini di diritto internazionale e se si considerasse come romanticamente talvolta ancora si fa, Internet come un territorio - il cyberspazio - saremmo di fronte ad un autentico golpe.

Un Sovrano che si auto-proclama tale, scrive le leggi - o piuttosto un Codice di guerra - e si autoarroga il potere di applicarle e farle eseguire, esautorando il potere giudiziario (Allo stato i poteri che Agcom sta per attribuirsi sono regolarmente esercitati dalle sezioni specializzate di proprietà intellettuale istituite presso i nostri Tribunali e composte da giudici ordinari).

Un sovrano, dunque, che come avviene nei più comuni ordinamenti anti-democratici riassume in sé tutti e tre i poteri: quello legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario. Questi i fatti.

Il resto, ovvero la pretesa opportunità di correre ai ripari rispetto alla dilagante pirateria audiovisiva che rischierebbe di mettere in ginocchio l'industria italiana della musica, del cinema, dei giornali e della creatività sono solo la giustificazione in nome della quale si sta per aprire nel nostro Ordinamento una ferita profonda e difficilmente rimarginabile.

Il rischio, infatti, non è solo - e sarebbe già abbastanza - che Internet venga trasformata in una grande televisione le cui trasmissioni sono decise da un pugno di politici manager e da un manipolo di manager politici ma è che si affermi il principio perverso e pericoloso, nemico dei più elementari principi democratici secondo il quale l'esigenza di garantire un surrogato della giustizia, in tempi rapidi ed ad uso e consumo di pochi, giustifica l'attribuzione ad un'Autorità amministrativa di poteri eccezionali da Stato di polizia con conseguente esautorazione della magistratura.

Stanno violentando, sotto i nostri occhi, il principio della separazione dei poteri, il diritto alla difesa e quello ad un giusto processo.

Se si applicassero le stesse regole a materie diverse dal diritto d'autore, ne avremmo che il proprietario di una casa che ritenga inadempiente il proprio inquilino anziché rivolgersi ad un giudice potrebbe chiedere ad un'Autorità amministrativa, magari composta da proprietari di altre case, di sbatterlo fuori in cinque giorni senza neppure consentirgli di spiegare le sue ragioni o, piuttosto, che il creditore di una somma di denaro potrebbe chiedere direttamente alla polizia di entrare dentro casa del suo debitore ed aiutarlo ad impossessarsi di beni sufficienti a saldare il suo credito.

E' questo il Paese che vogliamo? Se si, aboliamo l'ordine giudiziario, smettiamola di perder tempo ad inseguire il sogno di un giusto processo, veloce, equo ed imparziale ed affidiamo al governo ed alle autorità che da esso dipendono il compito di fare giustizia o quella che riterranno essere giustizia.

Sarà quel che sarà, assisteremo alla macellazione dei diritti fondamentali degli uomini e dei cittadini ma saremo veloci ed efficaci.

L'autore di questo articolo, Guido Scorza, è docente universitario e giurista ed esperto di Rete, presidente dell'Istituto per le politiche dell'Innovazione



domenica 3 luglio 2011

Tra l'incudine e il martello.


Il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto. La manovra non aumenta il disavanzo di bilancio: questa è una buona notizia, e non era affatto scontata. Va dato atto a Giulio Tremonti di non aver seguito la reazione pavloviana di tanti suoi colleghi di governo di fronte ad una sconfitta elettorale: aumentare la spesa pubblica, o promettere una riforma fiscale in deficit, per riguadagnare consensi.

Proprio per questo attendersi di più era forse politicamente irrealistico, dopo una sconfitta elettorale e in pieno sfilacciamento della coalizione. Ma governo, Bruxelles e molti commentatori stanno partecipando ad una finzione pericolosa in cui il re è nudo (la manovra quasi non esiste, ci sono quasi solo annunci per il futuro) ma non hanno il coraggio di dirlo. Il dibattito odierno sulla manovra è quasi puramente accademico: in gran parte verte su provvedimenti che potranno essere facilmente rivisti o annullati da qui a due o tre anni, quando dovrebbero entrare in vigore. Ed è inevitabile che sia così: nessun governo si sente vincolato da decisioni prese due o tre anni prima, magari da un governo differente.

Si può discutere all' infinito se una manovra restrittiva in questo momento avrebbe ucciso quel poco di ripresa che c'è, o se invece avrebbe generato più crescita rendendo più credibile la promessa di minori tasse in futuro (per quel che può valere, mentre in passato avrei sostenuto la seconda posizione, oggi ne sono meno convinto). Ma quello che è certo è che se si vuole fare un aggiustamento di bilancio credibile bisogna partire da subito con un segnale deciso.

Un approccio del tipo "armiamoci e partite" verso i futuri governi non funziona, perché questi ultimi non hanno alcun motivo di attuare ciò che è stato deciso dal governo di oggi; se il governo attuale non vuole prendere decisioni impopolari, perché dovrebbero prenderle loro? Quando Gran Bretagna e Germania l' anno scorso hanno deciso di ridurre il disavanzo di bilancio, l' hanno fatto subito, non hanno posticipato le misure necessarie.

Come mostra uno studio recente di Adi Brender della Banca centrale israeliana, dal 1985 sette governi israeliani hanno annunciato piani di stabilizzazione della finanza pubblica, ma gli unici due che ci sono riusciti sono quelli che hanno tagliato il disavanzo subito, senza affidarsi ad annunci sul futuro. È vero che un consolidamento di bilancio serio va fatto su di un orizzonte temporale che va oltre l'anno corrente; ma promuovere o bocciare i governi sulla base di piani multiannuali sottoposti da ogni paese, come concordato recentemente dal- l'Unione europea, è un' arma a doppio taglio, perché invita inevitabilmente i governi a sottoporre dei piani di rientro in cui le scelte difficili e dolorose sono sempre rimandate al futuro, e mette al tempo stesso il timbro di approvazione europea su questa strategia ambigua.

Questo è esattamente ciò che è successo con questa manovra, che formalmente può affermare di essere consistente con le richieste di Bruxelles, ma per due anni fa poco o niente. Temo che ci vorrà di più per convincere i mercati, soprattutto se il problema greco si riacutizzerà dopo la tregua di questi giorni; d' altra parte, "fare di più" avrebbe attirato le ire di molti ministri. È inutile illudersi: preso tra l' incudine dei mercati e il martello delle pressioni politiche dalle frange meno responsabili, questo governo non poteva e non potrà far altro che barcamenarsi fino alle elezioni. Poi si vedrà.


roberto.perotti@unibocconi.it

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-07-02/incudine-martello-081031.shtml?uuid=Aak48hkD