sabato 14 aprile 2012

Arrestato a Piacenza ex assessore leghista all’ambiente per corruzione e concussione.



Le accuse riguarderebbero il business del fotovoltaico che gestiva quando era alla Provincia. Due mesi fa Rosi Mauro e Angelo Alessandri in merito all'inchiesta parlarono di "montatura dei giornali".

Rosi Mauro e Angelo Alessandri, due mesi fa, quando partì l’indagine, si precipitarono a Piacenza per difenderlo “dalle montature create ad arte dalla stampa”. Stamani Davide Allegri ex assessore leghista alla Protezione civile e all’Ambiente della Provincia di Piacenza e già assessore all’Urbanistica del Comune di Cortemaggiore, è stato arrestato dai carabinieri del Comando provinciale di Piacenza per corruzione e concussione.

La vicenda gravita attorno ad autorizzazioni a realizzare impianti fotovoltaici. Al termine di indagini cominciate due anni fa, Allegri è stato sottoposto dai militari a un’ordinanza di custodia per concussioni consumate e tentate e per corruzione.

Per mezzogiorno è annunciata una conferenza stampa alla Procura della Repubblica di Piacenza, alla presenza del pm Antonio Colonna.
L’ex assessore provinciale era già stato iscritto nel registro degli indagati per concussione ed abuso in atto d’ufficio, nell’ambito della gestione delle autorizzazioni su alcuni impianti fotovoltaici. La notizia era stata resa nota dal quotidiano piacentino Libertà il primo marzo 2011 e subito dopo Allegri aveva lasciato l’incarico, che all’epoca ricopriva, di assessore comunale a Cortemaggiore.
Nei giorni precedenti un misterioso plico inviato da un ‘corvo' era pervenuto alla procura della Repubblica. Conteneva, a quanto si era appreso, registrazioni telefoniche fra due esponenti leghisti con tanto di trascrizioni, fotocopie di richieste di rimborso spese e un memoriale riguardante l’installazione di impianti fotovoltaici nel Piacentino.
Allegri si era dimesso da assessore provinciale nel settembre 2010, motivando la propria decisione con “le difficoltà di conciliare gli impegni politici e quelli professionali di architetto e docente universitario”. Sulle sue dimissioni aveva apertamente polemizzato l’opposizione.
Dopo aver appreso, a marzo 2011, di essere stato indagato, Allegri aveva poi diffuso una lunga dichiarazione in cui affermava tra l’altro che gli iter autorizzativi degli impianti fotovoltaici “sono totalmente esterni ed indipendenti dalla volontà politica di chicchessia. Mentre sono del tutto dipendenti da passaggi e da valutazioni di carattere tecnico e normativo, e quindi oggettivi nel loro sviluppo”.
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Piazza della Loggia, in appello tutti assolti i quattro imputati per la strage.



Per il tribunale di Brescia, Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte e il generale dei carabinieri Francesco Delfino non devono andare in carcere. In primo grado, il 16 novembre 2010, i 4 erano stati assolti con formula dubitativa.



E così anche questa volta giustizia non è stata fatta. Nessun colpevole per la strage di Piazza della Loggia (28 maggio 1974, otto morti e oltre cento feriti): trentotto anni dopo, la Corte d’assise d’Appello di Brescia ha assolto Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte (neofascisti di Ordine nuovo) e il generale dei carabinieri Francesco Delfino nel quarto processo per la strage.

Per sovrappiù, la beffa: le parti civili dovranno accollarsi le spese processuali del ricorso contro contro Pino Rauti, ritenuto inammissibile, per il quale la stessa accusa aveva chiesto l’assoluzione.

Non che i parenti delle vittime e i bresciani che hanno seguito con trepidazione il dibattimento in aula si fossero fatte molte illusioni. Una maledizione, o per meglio dire una congiura del silenzio, sembra colpire i processi che riguardano lo stragismo nero, variamente supportato da servizi segreti deviati e apparati dello stato infedeli. Piazza Fontana docet.

Eppure, fin dall’inizio erano state percorse le piste giuste. Nel 1975, per la bomba di Brescia vengono inquisiti i neofascisti Ermanno Buzzi e Angelino Papa, che nel 1979 saranno condannati in primo grado. Ma già 1981 le acque diventano torbide. Poco prima del processo d’Appello, Buzzi, personaggio in bilico fra criminalità comune e neofascismo, viene ammazzato nel supercarcere di Novara dai camerati Mario Tuti e Pierluigi Cocutelli: perché era un “pederasta”, si giustificano i due. Perché intendeva “cantare” nell’imminente processo di secondo grado, il movente più accreditato, come risulterebbe anche da una lettera di Buzzi medesimo.

In ogni caso, al processo d’Appello Papa viene assolto e, a sorpresa, arriva anche l’assoluzione “post mortem” di Buzzi. Fra annullamenti e nuovi appelli, le assoluzioni vengono confermate fino in Cassazione.

Non è l’unica stranezza di questa storia infinita. Nel 1975, a raccogliere la soffiata su Buzzi era stato il capitano dei carabinieri Francesco Delfino il quale, come si scoprirà molti anni dopo, conosceva benissimo Buzzi, che era un suo informatore fin dal 1973: un informatore speciale, che veniva da lui addirittura mandato a colloquio con i detenuti in carcere per carpirne informazioni. Bell’informatore. O meglio: bella coppia di informatore e servitore dello Stato.

Ma facciamo un passo indietro: da uno stralcio della prima istruttoria (“gruppo Buzzi”) era nata un’ “inchiesta bis” imperniata su Ugo Bonati, uno dei principali testimoni dell’accusa, che sosteneva d’aver assistito a tutta la vicenda, dal trasporto dell’esplosivo alla Piazza fino al deposito della bomba. La sua posizione di “testimone inconsapevole” della strage si fa presto insostenibile e viene rinviato a giudizio come componente del gruppo degli attentatori, in concorso con Buzzi e Papa, con conseguente mandato di cattura. Ma nel ’79 fugge da Brescia e da allora non è più stato rintracciato. Il 17 dicembre 1980, comunque, il giudice istruttore dispone l’assoluzione nei suoi confronti, accertando che le sue affermazioni sono false, sul ruolo degli altri imputati come sul proprio.

Altre due istruttorie si risolvono in un nulla di fatto: nel 1987 vengono assolti gli estremisti di destra Cesare Ferri Alessandro Stepanoff. Nel 1993 il giudice istruttore Gian Paolo Zorzi non riesce ad accertare le responsabilità penali di un altro gruppo di neofascisti, fra i quali Giancarlo Rognoni. Nell’ordinanza di rinvio a giudizio Zorzi denuncia la protezione di esecutori e mandanti della strage a opera di servizi segreti e apparati dello Stato, evidenziando “l’esistenza e costante operatività di una rete di protezione pronta a scattare in qualunque momento e in qualunque luogo”.

Passano 15 anni prima che vengano rinviati a giudizio, nel 2008, altri esponenti neofascisti (Pino Rauti, Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi, già inquisiti per piazza Fontana) e, questa volta, anche un informatore del Sid e un rappresentante delle istituzioni: il comandante, nel frattempo diventato generale, Francesco Delfino.

L’accusa di strage nei confronti Maggi e Zorzi (quest’ultimo, residente da decenni in Giappone, è accusato di aver confezionato e procurato l’ordigno esploso in piazza della Loggia), si basa sulle veline al Sid di Padova e sulle successive dichiarazioni dell’agente Maurizio Tramonte, nome in codice Tritone, e sulle dichiarazioni del pentito Carlo Digilio, ex agente Cia, armiere di Ordine Nuovo.

Nelle sue veline, l’infiltrato Tramonte-Tritone raccontava in tempo reale (1974) di riunioni svoltesi ad Abano Terme con lo scopo di creare “ … una nuova organizzazione extraparlamentare di destra che comprenderà parte degli ex militanti di Ordine Nuovo. L’organizzazione sarà strutturata in due tronconi. Uno clandestino … opererà con la denominazione Ordine Nero sul terreno dell’eversione violenta contro obiettivi che verranno scelti di volta in volta”. Una dichiarazione d’intenti che non poteva essere presa sottogamba, ma che fu invece ignorata all’epoca dei fatti e considerata ininfluente al processo del 2008, così come non rilevante fu considerata la testimonianza di Digilio, già considerato non credibile come teste nel processo di piazza Fontana e, per estensione, anche in quello di Brescia. Risultato: tutti assolti, sia pure con formula dubitativa.

Le ultime speranze erano riposte nel processo d’Appello, iniziato due mesi fa. Ma le cose sono andate male fin dall’inizio: non sono state accolte le nuove prove prodotte dall’accusa, fra le quali le dichiarazioni di un altro agente del Sid, Fulvio Felli, il quale ammetteva che la velina di Tramonte sulla riunione di Ordine nero in cui si preannunciava la strage era stata posdatata, risultando evidente che, se scritta e letta da chi di dovere prima dei fatti, la strage si sarebbe potuta prevenire.

La ridefinizione del ruolo di Delfino e dei suoi rapporti con Buzzi non sono stati presi in considerazione. E lo stesso si dica per il ritrovamento del casolare, indicato da Digilio, dove Zorzi avrebbe accompagnato il camerata Marcello Soffiati per la consegna della valigetta che conteneva l’ordigno destinato a Brescia.

È stato accettato, soltanto, un approfondimento sulle perizie balistiche: in pratica una discussione astratta su reperti che non esistono (la piazza fu lavata subito dopo l’esplosione) ingaggiata fra i periti dell’epoca, che avevano almeno annusato dal vivo l’odore dell’esplosivo, e quelli di oggi, che hanno lavorato solo sulle carte. Era tritolo, sostengono questi ultimi, no c’era anche gelignite o dinamite, dicono i vecchi, in accordo con quanto dichiarato da Digilio.

Con queste premesse, dicevamo, i parenti delle vittime che da 38 anni conducono la loro caparbia battaglia per la ricerca della verità, non si facevano illusioni. E però la delusione è stata forte. «La verità giudiziaria dal punto di vista delle singole responsabilità non l’abbiamo. Abbiamo invece ormai acquisito una verità storica sui fatti» ha dichiarato Manlio Dilani, presidente dell’Associazione vittime della strage di piazza della Loggia.

venerdì 13 aprile 2012

Ex manager si lancia sotto un treno aveva perso il lavoro da 4 mesi. Luca Serranò







E' accaduto alla stazione di Neto vicino a Sesto Fiorentino. L'uomo, abitava a Lucca, aveva lavorato per un'azienda del settore del marmo. Investito da un treno merci sulla Firenze-Prato.


Aveva perso il lavoro quattro mesi fa e da allora la sua vita era come precipitata in un pozzo. Si sentiva inutile, non se ne faceva una ragione. Chi lo conosce dice che "soffriva di depressione". Aveva provato ad avviare con un gruppo di amici una attività, ma non era andata bene. Si è ucciso lanciandosi sotto un treno merci questa mattina in una piccola stazione alla periferia di Firenze.

Stazione di Neto, a Sesto Fiorentino. Lì nessuno lo conosceva e nessuno ci ha fatto caso. Giuliano V. aveva 42 anni, abitava nella zona di Lucca, era un manager. Aveva lavorato alla Seves e poi in una azienda del settore del marmo, fino a quattro mesi fa quando ha perso il lavoro. Giuliano lascia la moglie e una figlia di 13 anni. 
Sul posto sono intervenuti polfer, vigili del fuoco e personale inviato dal 118.
L'uomo avrebbe detto a un suo vicino di casa di voler cercare lavoro all'estero. In particolare l'uomo, disoccupato dal novembre del 2011, nei giorni scorsi avrebbe manifestato l'intenzione di tornare in Francia, dove era nato e dove aveva compiuto gli studi pur essendo cittadino italiano.
Secondo quanto emerso, aveva lavorato come dirigente d'azienda per alcune società toscane, tra cui un'azienda fiorentina entrata in crisi alcuni anni fa. Nel novembre del 2011 era stato lui stesso a licenziarsi dall'ultimo impiego presso una ditta di Lucca.


Caso G8, sigilli alle proprietà di Anemone Sotto sequestro beni per 32 milioni.


Il costruttore è sotto processo a Perugia insieme all’ex provveditore ai lavori pubblici Angelo Balducci e all'ex capo della protezione civile Guido Bertolaso. Provvedimento anche per le palazzine nel comprensorio del Salaria Sport Village. Gli avvocati: "Valutazione esorbitante, faremo ricorso".

Sequestro di beni e proprietà per oltre 32 milioni di euro alla famiglia Anemone. I beni appartengono oltre che a Diego, imprenditore coinvolto nell’inchiesta Grandi Eventi, anche alla moglie Vanessa Pascucci e allo zioLuciano Anemone.

Sigilli anche le palazzine G ed H (con relative piscine) di proprietà della Società Sportiva Romana nel comprensorio del Salaria Sport Village. Il sequestro è avvenuto in esecuzione del provvedimento firmato dal gip del tribunale di Roma, Nicola Di Grazia su richiesta dei pmRoberto Felici, Ilaria Calò Sabina Calabretta, coordinati dal procuratore aggiunto Alberto Caperna.

Anemone è una della figure chiave dell’inchiesta sugli appalti del G8 alla Maddalena. Proprio sulla base delle carte trasmesse dalle procure di Firenze e Perugia e dai successivi accertamenti delle Fiamme gialle, gli inquirenti hanno ricostruito i flussi di denaro frutto dei reati di appropriazione indebita e riciclaggio. Il costruttore è sotto processo a Perugia insieme all’ex provveditore ai lavori pubblici Angelo Balducci e all’ex capo della protezione civile Guido Bertolaso, oltre ad altri funzionari pubblici.

Le palazzine sotto sequestro all’interno del comprensorio del Salaria Sport Village erano già finite sotto sequestro diversi mesi fa nell’ambito del procedimento sui mondiali di nuoto a Roma. I difensori degli indagati annunciano che faranno ricorso al tribunale del Riesame per chiedere il dissequestro ritenendo “esorbitante la valutazione del patrimonio fatta dagli inquirenti”.


La lettera di dimissioni di Renzo Bossi.


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Crisi: imprenditore agricolo suicida nel ragusano.



AGI) - Ragusa, 13 apr. - Un imprenditore agricolo in difficolta' a causa della crisi economica si e' suicidato a Donnalucata (Ragusa). L'uomo, Vincenzo Tumino, 28 anni, lascia moglie e due figli. Era titolare di impianti serricoli, ed e' qui che ha deciso di mettere fine alla sua vita, impiccandosi.
Il cadavere e' stato ritrovato dal padre, che ha avvertito i carabinieri. Secondo quanto si e' appreso, Tumino negli ultimi tempi era apparso ai familiari depresso per le incerte prospettive della sua attivita' imprenditoriale.



http://www.agi.it/in-primo-piano/notizie/201204131652-ipp-rt10211-crisi_imprenditore_agricolo_suicida_nel_ragusano

Terremoto sanità in Lombardia: fondi neri per 56 milioni di euro.


LA SCHEDA- Che cos'è la Fondazione Maugeri 

Arrestato l’ex assessore Simone e altre cinque persone: distratti soldi dalla Fondazione Maugeri

MILANO
L’ex assessore alla Sanità della Regione Lombardia, Antonio Simone (con la Dc nei primi anni ’90) e altre 5 persone sono state arrestate dalla Gdf nell’ ambito dell’inchiesta della Procura di Milano sulla Fondazione Maugeri da cui sarebbero stati distratti 56 milioni. La vicenda è una "costola" dell’inchiesta sul dissesto del S.Raffaele.

Le manette sono anche scattate ai polsi di Costantino Passerino, direttore amministrativo della stessa fondazione e di altre 3 persone compreso Pierangelo Daccò, raggiunto dall'ordinanza di custodia cautelare ma già in stato di detenzione nell'ambito dell'inchiesta sul San Raffaele. Arresti domiciliari, invece, per Roberto Maugeri, presidente dell'omonima fondazione. I reati contestati nei loro confronti sono a vario titolo quelli di associazione a delinquere aggravata dal carattere transnazionale e finalizzata al riciclaggio, appropriazioni indebite pluriaggravate, frodi fiscali ed emissioni di fatture per operazioni inesistenti. Le ordinanze di custodia cautelare sono state chieste dai pm milanesi Luigi Orsi e Laura Pedio e sono state disposte dal gip Vincenzo Tutinelli.

Sono stati proprio Orsi e Pedio, i due magistrati milanesi titolari dell'inchiesta sul dissesto finanziario del San Raffaele a scoprire - dall'analisi di documenti sequestrati a Daccò - una consistente somma di denaro (pari a 56 milioni di euro) distratta dalla fondazione Maugeri e finita, attraverso una serie di fondi neri, nelle disponibilità di Daccò e dello stesso Simone.  Umberto Maugeri, presidente dell’omonima fondazione, è formalmente irreperibile e si trova probabilmente all’estero. Le accuse per tutti sono associazione a delinquere, aggravata dal carattere transnazionale e finalizzata al riciclaggio, appropriazione indebita pluriaggravata, frode fiscale ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. I reati sarebbero stati commessi dal 2004 al 2011.