martedì 12 giugno 2012

CARABINIERI AL LAVORO A BASIANO (MI)



Lunedì 11 Giugno. Questa mattina un plotone in tenuta antisommossa della polizia ha replicato l'attacco dell'8 giugno al picchetto dei lavoratori in sciopero davanti ai magazzini del Gigante, il tutto per cercare di far entrare nell'azienda dei crumiri venuti dall'esterno per lavorare al loro posto.

Hanno sparato lacrimogeni ad altezza d'uomo, spezzato le gambe a due lavoratori e pestato duramente gli scioperanti ferendone una quindicina.

Lo scontro è stato violento: gli operai, soprattutto pakistani ed egiziani, hanno tentato di resistere a mani nude alla carica dei carabinieri ma, di fronte all'armamentario messo in campo dagli avversari hanno dovuto soccombere. I crumiri sono, così, entrati grazie al distaccamento armato dei carabinieri sempre al servizio dei padroni per reprimere la lotta dei lavoratori, questi ultimi erano li a difendere il loro posto di lavoro (90 su 120 lavoratori li vogliono licenziare nel cambio d'appalto delle cooperative ). Alla fine dello scontro hanno arrestato e portato via uno dei delegati dei lavoratori in sciopero.



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LA BCE SALVA IL BARCELLONA. - DI PAOLO RICCELLI




In Spagna la BCE sta inviando 100 miliardi di euro per ricapitalizzare le banche in sofferenza, dovuta soprattutto a mutui erogati a PERSONE che, perché licenziate, o perché tutto è aumentato tranne i loro stipendi, non sono riuscite a pagare le rate. In Spagna le banche hanno eseguito azioni di recupero su 320.000 famiglie togliendogli la casa e buttandole in mezzo alla strada! Vorrei capire, in parole semplici "Una volta ricevuti i soldi, le banche spagnole restituiranno la casa ai nostri poveri fratelli spagnoli?".
Il popolo spagnolo è a conoscenza che le banche in crisi hanno eseguito operazioni ad altissimo rischio perdendo miliardi di euro? E che non è vero che la crisi è dovuta solo all'insolvenza dei mutui? E gli spagnoli sanno che le banche hanno erogato prestiti milionari a squadre di club, tra cui Real Madrid e Barcellona *, per l'acquisto dei loro campioni, girati a loro volta a garantire altre operazioni borderline? C'è da consolarsi dicendo che il calcio spagnolo è davvero uno spettacolo! Almeno questo!".

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=10421

lunedì 11 giugno 2012

I ministeri costano 283 miliardi, la metà solo per farli funzionare.

ministero interna

Dal dossier del servizio bilancio del Senato emergono cifre interessanti: 848 milioni pagati per le intercettazioni, poco più di 400, invece, per sostenere l'università. Il ministero della Difesa (quota 19 miliardi) spende quasi tutto (17) per il suo funzionamento, il resto va per la costruzione e acquisto di impianti e servizi.

Il più costoso è il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali che, in conto spese, ogni anno mette circa 100 miliardi di euro. In totale, i nostri dicasteri, spendono circa 283 miliardi e la metà serve solo per farli funzionare con una spesa giornaliera di un miliardo. Queste le cifre contenute nel dossier del servizio bilancio dello Senato. Calcoli che servono per garantire il successo della spending review che dovrebbe assicurare risparmi fino a 5 miliardi (cifra ritoccata al rialzo dopo il dramma del terremoto in Emilia). Un correzione che domani dovrebbe essere approvata durante il comitato interministeriale guidato da Mario Monti. Raggiungere una tale riduzione della spesa tra giugno e dicembre 2012, equivale ad avere 8,5 miliardi di risparmi strutturali entro il 2013. Come? Tre miliardi arriveranno dai tagli della spesa sui quali sta ragionando Enrico Bondi. Il resto arriverà dalle varie sforbiciate a carico dei ministeri.
Ed è proprio dal dossierone di palazzo Madama che saltano fuori cifre interessanti e curiosità. Come il miliardo speso ogni anno per le confessioni religiose o gli 848 milioni di euro pagati dal ministero di Grazia e Giustizia per coprire le spese delle intercettazioni.  In totale il conto certificato è di 283 miliardi. Di questi 108 vanno per il semplice funzionamento della macchina. 
Messi insieme i dati, il servizio bilancio del Senato si è concentrato nel segnalare le spese più consistenti. Dal focus sul ministero dell’Economia emergono, in particolare, i trafserimenti di denaro a favore delle società pubbliche. Le più rilevanti? Quasi due miliardi a Ferrovie, Anas e Enav, 4.3 miliardi all’Inps. Decisamente alto il contributo (1,4 miliardi) per rilanciare la lotta all’evasione fiscale.
Il conto più salato spetta, poi, al ministero del Lavoto. Cento miliardi , di cui 98 versati per interventi di politiche sociali, mentre 300 milioni vengono spesi per il funzionamento degli uffici territoriali.
Ed eccoci, quindi, ai conti spesi per la Giustizia. Qui il budget, in fondo, è limitato: circa 7 miliardi. Di questi la metà viene spesa per far funzionare i tribunali italiani. Mentre quasi un miliardo va in copertura per i costi delle intercettazioni.
Tagliare è possibile sul fronte del ministero degli Esteri. Qui il budget è di 1,7 miliardi. Di questi ben 579 milioni vengono spesi per supportare le sedi estere della Farnesina. I conti del Senato, oltre che sprechi, segnalano sbilanciamenti di spesa. E’ l’esempio dell’Istruzione che, su un tesoretto annuo di 44 miliardi, ne spende 40 per l’istruzione scolastica e appena 444 milioni per le università. Appaiono, invece, troppi gli 84 milioni di euro dati agli atenei privati.
Undici miliardi vale, invece, il Viminale. Il ministero dell’Interno spende 486 milioni per fa far funzionare le Prefetture, 84 per i collaboratori di giustizia e 200 per i servizi accoglienza stranieri. Il ministero delle Infrastrutture pesa sul bilancio del Paese per 7,5 miliardi. La Difesa per 19, 17 dei quali consumati per il solo funzionamento del ministero.   

L'Italia in coda al Monte dei Pegni. Ori e pellicce per pagare le bollette.



Roma - (Adnkronos) - La crisi cambia le abitudini anche al Monte dei Pegni. Ieri si impegnavano preziosi per andare in vacanza, oggi per fare fronte alle spese quotidiane e alle tasse. Qui si incontra quella parte della città che non riesce ad arrivare alla fine del mese. Difficile tracciare un identikit delle persone che si trovano allo sportello, ma il denominatore comune è sempre lo stesso, i soldi che non bastano. Il direttore Unicredit della sede storica della capitale all'Adnkronos: "Il lavoro non manca, un giorno ho dovuto chiudere in anticipo perché c'era troppa gente
Roma, 11 giu. (Adnkronos) - La crisi cambia le abitudini, anche al Monte dei Pegni. Ieri si impegnavano gioielli e pellicce per andare in vacanza, oggi per fare fronte alle spese quotidiane, a partire da bollette e tasse. Lo dicono soprattutto le testimonianze raccolte a piazza Monte della Pietà, nella sede storica di Roma. Massimo Satta, direttore Unicredit di Monte della Pietà a Roma, sintetizza con l'Adnkronos: "La struttura è depotenziata, potremmo fare di meglio, diciamo che potremmo assorbire altro personale''. Come dire, il lavoro non manca. ''Un giorno ho dovuto chiudere in anticipo perché c'era troppa gente- continua Satta - ma non è un fatto di crisi, questo è sempre stato un mondo a sè stante''. Secondo il direttore del Monte dei Pegni è difficile tracciare un profilo della clientela. ''Se anche il ricco imprenditore non è più ricco noi non lo sappiamo, per noi non è verificabile se i nuovi poveri siano in aumento''. In sostanza, non si vuole avallare la tesi che sia la crisi a far aumentare i carichi di lavoro. Ma il flusso di gente comunque è costante e continuo. ''Solo in quest'agenzia- spiega- si aprono circa centocinquanta polizze in una giornata, ma durante il periodo estivo o natalizio registriamo un aumento e il numero arriva anche a raddoppiare''. L'attività del vecchio palazzo, insiste Satta, non ha subito un particolare incremento con l'intensificarsi della crisi economica. ''Una credenza diffusa- dice- che non corrisponde alla verità, anche perché chi è veramente in difficoltà, non ha più oro da impegnare''.
Al Monte dei pegni si possono impegnare oro, argento e diamanti. Il metallo giallo, quotato giornalmente in borsa, è spesso considerato un bene di rifugio. Il prezzo di vendita dell'oro si aggira attorno ai quaranta euro al grammo e allo sportello della Unicredit gli estimatori lo valutano un quarto del valore rispetto a quello di mercato. Il finanziamento minimo è di sessanta euro e non c'è valutazione massima. ''Con le dovute autorizzazioni possiamo arrivare a rilasciare qualsiasi cifra'', sottolinea Satta. ''Con le leggi antiriciclaggio il problema è ciò che la persona farà con quel contante e, anche se la normativa non lo impone, è buon senso del tecnico informarsi sulla provenienza''. Il contratto normalmente ha una durata di tre mesi e può essere rinnovato fino ad un massimo di tre anni, ma l'oggetto può essere riscattato anche il giorno successivo. La banca trattiene il 10,4% di interesse annuo, troppo alto secondo alcuni. ''Sono strozzini- si sfoga una signora venuta a farsi valutare un orologio a carica d'oro- considerano solo il peso e non il valore. Mi volevano dare 13,50 euro al grammo. E' poco, anzi niente. Quand'è così te lo tieni. Gli interessi sono altissimi, forse è meglio andare dal gioielliere ma bisogna vedere, perché pure quelli? Non sai mai bene a chi ti affidi''.
Se entro trenta giorni dalla scadenza la polizza non viene estinta o rinnovata, il bene finisce all'asta. Alla vendita la banca recupera il credito e la differenza, al netto delle commissioni bancarie, spetta a chi ha impegnato i preziosi. La percentuale delle persone che non riscattano la polizza, dicono dal Monte dei Pegni, si aggira attorno al 7-8%. Non molti, come gli oggetti che alle aste pubbliche restano invenduti perché tanto ci sono sempre ''i soliti noti''. A partecipare infatti, pare ci siano pochi privati e molti operatori del settore. Un mercato che non conosce crisi. Sulla piazza si affacciano infatti diversi negozi 'Compro Oro''. Un fenomeno che ha registrato un aumento negli ultimi anni ''perché è un'attività nuova- afferma Satta- che ha avuto un periodo di boom, ma sembra che adesso si stia un po' sgonfiando. Anche perché, chi doveva legiferare a riguardo si è reso conto che la situazione andava tenuta più sotto controllo e quindi adesso sono stati inseriti dei paletti e reso più complessa la loro attività''. Sullo stesso marciapiede dei negozi regolari però, si possono incontrare anche persone che intercettano chi è venuto a vendere i propri preziosi. Propongono l'acquisto e offrono di più rispetto alla banca o al negozio. ''E' dal 1539 che a Roma girano queste persone'' chiosa Satta ''fanno dei compro oro abusivi ma non costringono nessuno. Se vediamo delle persone che presentano sempre oggetti qui da noi, di cui sospettiamo la provenienza, anche se non siamo obbligati ad entrare nel merito, li consideriamo come indesiderabili''.
Qui al Monte dei Pegni, nel cuore di Roma, si incontra quella parte di città che non ce la fa ad arrivare a fine mese. Una realtà quotidiana fatta di giovani madri e signore anziane che da sole non riescono a sostenere le spese. Sotto il portone di piazza della Pietà ogni giorno passano centinaia di persone, centinaia di storie che rispecchiano i cambiamenti sociali e culturali che stiamo vivendo. ''Quando sono arrivato al Monte- racconta Satta - mi è capitato di incappare in una signora che stava lasciando in pegno le sue fedi nuziali. Ero quasi commosso, così la collega dello sportello mi ha chiesto di avvicinarmi e a quel punto la signora mi ha spiegato che degli anelli dell'ex marito voleva solo disfarsene''. Una donna sui cinquanta, pantalone e giubbetto jeans, con commozione racconta di aver portato l'oro di famiglia per far fronte a delle spese impreviste, ''ma dal gioielliere non ci vado, a costo di fare sacrifici metto i soldi da parte e me li vengo a riprendere''. E' difficile tracciare un identikit delle persone che passano dagli sportelli del Monte dei Pegni, ma il denominatore comune è sempre lo stesso, i soldi che non bastano. Un problema di molti, forse oggi più di ieri.

Per i salvataggi europei l'Italia pagherà 48,2 ml




http://video.sky.it/news/economia/per_i_salvataggi_europei_litalia_paghera_482_mld/v123950.vid

On. Barbareschi ruba un telefono alle Iene. Ma i carabinieri non lo arrestano.

barbareschi internja nuova


Il deputato ex Pdl e produttore tv aggredisce una troupe che gli fa domande sui finanziamenti da parte della Rai. Distrugge una telecamera. E poi sottrae un telefonino con cui era stata ripresa la scena.

Da quattro ore lo ‘controllano’ sei unità della Stazione dei carabinieri di Casal Bertone, a Roma. Lui, all’interno di una fabbrica di via Giulio Verne, ai Monti Tiburtini, continua a fare il suo mestiere: sta girando “Mi fido di te”, serial Rai ambientato per metà a Roma e per l’altra metà in Cina. Chi è il lui in questione? Un regista e produttore cinematografico. Anzi, un parlamentare che fa il regista e il produttore cinematografico. Insomma: Luca Barbareschi, ex Pdl, ex Fli, ora gruppo misto dopo aver abbandonato il partito di Gianfranco Fini a pochi mesi dalla nascita. Cosa ha fatto? Ha distrutto una telecamere e rubato uno smartphone alla troupe delle Iene guidata da Filippo Roma. E a quanto pare non ha nessuna intenzione di restituirlo.
Tutto ha avuto inizio stamattina alle 11, subito dopo l’arrivo degli inviati della trasmissione di Italia 1 sul set del film. Normali domande alle maestranze, uno degli operai rivela che sul posto è presente Barbareschi e, neanche il tempo di nominarlo, il ‘produttore parlamentare’ va incontro alla troupe e succede il finimondo. “Gli abbiamo solo chiesto di questo rapporto tra cinema italiano e cinese, del tipo ‘complimenti, stai portando il cinema italiano in Cina’ e lui ci ha aggredito” ha detto Filippo Roma. Nessun accenno, quindi, ai finanziamenti della Rai alla sua creatura e al fatto che nel mese di maggio lui era praticamente assente in parlamento (si parla del 90 per cento di assenze, ndr). Forse non hanno fatto in tempo. A Barbareschi, infatti, sin da subito la presenza delle Iene non è andata giù. E ha reagito in malo modo. “Ha strappato dalle mani la telecamera all’operatore, l’ha scaraventata a terra, distruggendola, mi ha messo le mani in faccia e mi ha spinto. Poi ha iniziato ad apostrofarci in malo modo con termini irripetibili”. Non solo. Luca Barbareschi, infatti, prima di ritornare all’interno del set di “Mi fido di te”, ha visto Marco Occhipinti delle Iene con in mano il suo smartphone e, forse per eliminare ‘eventuali prove’ del misfatto, ha pensato bene di rubarlo e portarlo con sè all’interno. E di non restituirlo.
E sì, perché a questo punto gli inviati di Italia 1 non hanno potuto far altro che chiamare i carabinieri. Oltre ad aver distrutto la telecamera, del resto, Barbareschi si è impossessato di un cellulare contenente dati sensibili. Un furto vero e proprio. I carabinieri sono arrivati sul luogo della segnalazione, sono entrati all’interno del capannone, ma di riavere il telefonino neanche a parlarne. Dopo ore di attesa (e di trattativa con il parlamentare), un esponente delle forze dell’ordine (al momento sono presenti tre pattuglie, due auto in borghese e un’unità motociclistica) è uscito dall’edificio che ospita il set, è andato da Marco Occhipinti e gli ha chiesto una sorta di collaborazione per “localizzare” il telefonino rubato. “Una storia incredibile – ha detto Filippo Roma – Uno spiegamento di forze dell’ordine che neanche se avessero rapito Monti. certo, se il telefonino lo avesse rubato un marocchino lo avrebbero arrestato subito”. 
Intorno alle 18, inoltre, un’auto con a bordo Barbareschi è uscita dalla fabbrica di via Monti Tiburtini. All’interno – come ha scritto Giulia Innocenzi sul suo profilo Facebook – potrebbe esserci il telefonino di Marco Occhipinti e, quindi, il filmato dell’aggressione del parlamentare alla troupe delle Iene (sempre se le immagini non sono state cancellate da qualcuno). Se tutto ciò fosse vero – ma in tal senso non ci sono ancora conferme -, significherebbe che i carabinieri non sono riusciti a farsi restituire lo smartphone rubato.  

Il record dell’istituto per l’agroalimentare: avviate 36 pratiche in sette anni. - Caterina Perniconi

istituto per lo sviluppo dell'agroalimentare interna nuova

Costa oltre 5 milioni all'anno ed è una società partecipata al 100 per cento dal ministero, ma è sopravvissuta anche all'ultima sforbiciata del governo. Dal 2004 ha viaggiato al ritmo di 5 finanziamenti ogni anno. Ha 34 dipendenti e 4 sono dirigenti:l'ad, Annalisa Vessella, moglie di un deputato del Pid di Romano, è anche consigliera regionale in Campania.

Trentasei pratiche di finanziamento in sette anni. È questo il risultato del lavoro dell’Istituto per lo sviluppo Agroalimentare, società finanziaria partecipata al 100% dal ministero delle Politiche agricole. Difficile non catalogarlo tra gli enti inutili. Eppure è sopravvissuto anche all’ultima sforbiciata del governo di Mario Monti. Una resistenza difficile da giustificare in tempi di spending review per una mole di lavoro che potrebbe essere smaltita da un ufficio del ministero.
Trentaquattro dipendenti, 4 sono dirigenti
Entro questa settimana il ministro delle Politiche agricole, Mario Catania, dovrà rispondere in Aula a Montecitorio all’interpellanza urgente presentata dall’Italia dei valori che ha chiesto spiegazioni sull’eccessivo esborso di denaro pubblico.
All’Isa, infatti, ci sono 34 dipendenti (4 dirigenti, 16 quadri e 13 impiegati) e per i loro stipendi, più quelli di 7 collaboratori a progetto e dei vertici dell’Istituto, lo Stato paga ogni anno 5 milioni e 721 mila euro. Cioè una media di oltre 100 mila euro l’anno a compenso. L’obiettivo della società, con un capitale di 300 milioni, è quello di promuovere lo sviluppo agroindustriale con prestiti a tassi vantaggiosi per le imprese che possono restituirli in 10 anni. Una volta questo compito era svolto da Sviluppo Italia ma per volontà dell’allora ministro Gianni Alemanno poteri e soldi furono trasferiti sotto il controllo diretto del ministero di via Cristoforo Colombo. Che però finanzia una media di 20 milioni l’anno a una platea evidentemente ristretta di fruitori. “Le aziende che avrebbero bisogno di questo tipo di incentivi sono almeno 2500 – spiega il responsabile Agricoltura dell’Idv, Ignazio Messina – ma fonti interne all’istituto mi hanno confermato che quest’anno per ora gli interventi finanziati sono solo 3. Una situazione che grida vendetta”.
Amministratrice politica
Agli agricoltori, quindi, i soldi non arrivano ma c’è chi invece grazie all’Isa ne guadagna molti. Da luglio 2011 l’amministratore delegato della società è Annalisa Vessella, 140mila euro l’anno di stipendio base. Compenso che va ad aggiungersi a quello di consigliere regionale della Campania (che porta nelle sue tasche altri 115mila euro). Ma non si può notare un’altra coincidenza: la Vessella è moglie dell’onorevole Michele Pisacane, passato dall’Udeur di Clemente Mastellaall’Udc di Pierferdinando Casini fino al Pid con Saverio Romano. Proprio quel Romano – imputato per concorso esterno in associazione mafiosa – che a luglio scorso era ministro delle Politiche Agricole e che ha nominato amministratore delegato dell’Isa la Vessella. Ruolo fino a quel momento coperto dallo stesso presidente dell’Istituto, Nicola Cecconato, commercialista in quota Lega. Raggiungere l’amministratrice telefonicamente è stato impossibile. Bocche cucite anche tra i funzionari che hanno rivelato alle telecamere di La7 di aver ricevuto un’e-mail che li obbligava al silenzio.
Indennità triplicate
Ma il doppio stipendio della signora Vessella Pisacane non è l’unico a essere lievitato: nel 2011, prima del rinnovo estivo del Cda, il compenso spettante ai consiglieri uscenti dell’Isa ammontava a 25mila euro su base annua, tranne un’indennità aggiuntiva al presidente e all’amministratore delegato. In base a un decreto legge del 2010 le indennità dei Cda delle società interamente pubbliche dovevano essere ridotte del 10%, in questo caso a 22.500 euro. All’Isa è successo il contrario: l’assemblea ha “rideterminato i compensi su base annua prevedendo per i consiglieri uno stipendio da 80 mila euro”. Come se non bastasse, il Cda successivo ha attribuito a presidente e amministratore delegato indennità aggiuntive: 137.500 euro per il primo e 117.500 per la seconda “oltre al riconoscimento di un rimborso spese forfettario per alloggio ed auto pari a euro 55mila annui ciascuno”. L’irregolarità è stata denunciata dal Partito democratico in un’interrogazione parlamentare lo scorso anno che non ha mai avuto risposta. Oggi, alla luce dell’esiguo numero di finanziamenti arrivati alle aziende agricole, l’Idv ha chiesto al governo di riferire con urgenza. Anche sul perché – sebbene l’85% dei prestiti dovrebbero essere destinati al sud Italia – il bilancio 2011 rivela che per ora il 70% sono andati ad aziende del nord. “L’importanza di investire in imprese agricole è vitale per il Paese – conclude Messina – dobbiamo impedire di tenere in piedi un istituto costosissimo che non lo fa”.