L'incontro è stato messo in relazione - da alcune voci interessate a diffondere nervosismo e incertezza - con il ribasso delle Borse e con il "contagio", come se il premier l'avesse scoperto solo allora; i ribassisti sono specializzati nel manipolare i fatti per rendere più profittevoli le loro iniziative. Sta di fatto che il colloquio con il Quirinale aveva tutt'altro tema; un tema che Monti sta rimuginando da tempo e che al punto in cui siamo riteneva indispensabile sottoporre al capo dello Stato: l'eventuale anticipo delle elezioni entro il prossimo ottobre anziché attendere l'aprile del 2013 come finora si pensava e come i tre partiti della "strana maggioranza" si erano impegnati a garantire. Non crisi pilotata, dunque, ma scioglimento delle Camere e nuove elezioni.
Un capovolgimento così imprevisto deriva evidentemente da un accurato esame della situazione politica ed economica.
E Monti lo spiega così: a partire dalla ripresa settembrina i partiti entreranno di fatto in campagna elettorale; le distanze e le crepe all'interno della strana maggioranza aumenteranno per ovvie ragioni elettorali e le forze d'opposizione a loro volta accresceranno i toni per convogliare i voti dei ceti che sopportano i maggiori sacrifici della politica di rigore. Insomma, l'atmosfera peggiorerà e l'azione di governo rischierà di risultare paralizzata, come in parte sta già avvenendo.
I mercati ne approfitteranno spargendo sul fuoco politico il loro olio ribassista. Continuare in queste condizioni fino all'aprile senza sapere come andranno le elezioni, chi verrà dopo Monti e con quale programma, è un rischio enorme che spiega fin d'ora almeno una parte del nervosismo che deprime i listini e accentua lo sbilanciamento degli "spread".
Per stroncare queste aspettative della speculazione e dei mestatori d'ogni risma e colore non sarebbe meglio interrompere subito la legislatura aprendone un'altra? Con una maggioranza non più "strana" ma questa volta politica che abbia come programma di proseguire la linea montiana in un quadro europeo dove il mantenimento del rigore sia finalmente affiancato da un vero sviluppo e da una tangibile equità sociale? Questo è stato l'argomento principale dell'incontro al Quirinale.
Venerdì Monti ha preso il treno per Milano alle 17 per passare finalmente un weekend in santa pace con la moglie sul Lago Maggiore. Evidentemente non era affatto sconvolto dal panico. Sapeva che il collocamento dei titoli alle aste in scadenza non presenta difficoltà, confidava (e confida) che sia l'Olanda sia la Finlandia ritireranno i loro veti all'operazione del fondo "salva Stati" sugli "spread" da lui patrocinata; aveva avuto un colloquio importante e rassicurante con Draghi.
Ora aspetta che Napolitano rifletta sull'ipotesi di elezioni anticipate per poi decidere il da farsi dopo le necessarie consultazioni informali con i partiti che sostengono il governo.
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Che cosa pensi Napolitano su quest'argomento è impossibile dirlo, ma un punto è chiaro: il calendario è strettissimo. Se si decidesse di votare entro la fine di ottobre bisognerebbe sciogliere le Camere nella seconda metà di settembre. Prima di allora occorre che il Parlamento approvi una nuova legge elettorale perché andare a votare con questa è escluso: darebbe legittimamente fiato alle trombe dell'antipolitica con esiti probabilmente catastrofici per la democrazia italiana. Lo sfascismo si rifletterebbe moltiplicato per cento sui mercati. Insomma una vera tragedia non solo per l'Italia ma per l'Europa.
Le conseguenze sul calendario rendono strettissimo il margine di tempo per approvare la legge elettorale: dev'essere approvata entro la prima metà di settembre. Tenendo conto che le Camere lavoreranno fino al 10 agosto e riprenderanno alla fine del mese ci sono venti giorni a partire da domani e quindici giorni in settembre. Il tempo c'è purché ci sia un accordo e l'accordo è in teoria raggiungibile: una legge con criteri proporzionali ma con un premio di governabilità per il partito che raggiunga la maggioranza relativa, restituendo agli elettori la possibilità di scegliere i candidati attraverso collegi uninominali e/o voti di preferenza alle liste, oppure un mix tra questi due sistemi, con soglie per evitare un eccessivo frazionamento. Infine, possibilità di coalizioni e nessun nome di leader sulle schede elettorali.
Questi sono i problemi sul tappeto, derivanti in parte dal calendario in parte dalla capacità dei partiti di varare in tempo utile una legge elettorale decente, più o meno di questo tipo.
La decisione naturalmente spetta al presidente della Repubblica al quale la Costituzione conferisce il potere di scioglimento anticipato della legislatura. Dice esattamente così la Costituzione e non mette alcun paletto a questa prerogativa presidenziale. Naturalmente non sarebbe certo uno scioglimento determinato dal cattivo esito della politica di Monti. Al contrario: proverrebbe da una valutazione positiva dell'operato del governo e dai suoi dieci mesi di attività. Di qui la necessità di proseguire quella politica non più affidandola ad un governo tecnico ma con la diretta partecipazione di esponenti politici, come del resto Monti avrebbe voluto che avvenisse anche nel governo attuale. Ma quale maggioranza verrà fuori dalle elezioni? E quale sarà la posizione di Monti nel nuovo governo?
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Sarebbe molto interessante poter entrare nella testa di Giorgio Napolitano ma è escluso che si possa entrare nella testa e nei pensieri di chicchessia, visto che è difficilissimo perfino entrare nella propria. Una cosa però è certa: anche Napolitano starà riflettendo sulle questioni fin qui indicate perché è a lui che tocca decidere ed è molto grande la responsabilità che gli incombe.
Riflettiamo anche noi. È possibile che un partito come il Pd proponga ai suoi elettori un'alleanza politica che attui il programma economico montiano ed abbia come alleato il partito di Berlusconi?
La risposta è sicuramente no. Il Pd è attualmente collocato tra il 25 e il 30 per cento dei voti con un bacino potenziale di oltre il 40 per cento, in presenza di un astensionismo del 35 e d'uno strato di indecisi del 15 per cento. Una parte notevole dei votanti per il Pd e del bacino potenziale ha la fisionomia di quella che un tempo si chiamava sinistra democratica. La sinistra democratica può essere disponibile ad allearsi con partiti d'ispirazione liberale, non certo con il partito proprietario berlusconiano. In esso i veri liberali non mancano. Si facciano avanti.
Se non ora quando?
Pensare che il Pd - auspicabilmente partito di maggioranza relativa - si allei non dico con Berlusconi ma con Cicchitto, Gasparri, La Russa "et similia", sembra da escludere. Nasca una vera destra repubblicana e si alterni in futuro con la sinistra democratica e liberale, ma queste sono ipotesi desiderabili e futuribili. Il tema di oggi è un altro e si risolve con un'alleanza della sinistra democratica con un centro liberale per proseguire il montismo dando spazio allo sviluppo e all'equità, naturalmente nel quadro europeo.
Facile dirlo, ma che cosa significa esattamente "il quadro europeo"?
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Avviso i lettori che hanno avuto la cortesia di seguirmi fin qui che ora il tema diventa più complesso, entrano in gioco altri personaggi e altre forze. Cercherò di essere il più chiaro possibile.
Il quadro europeo ha come obiettivo finale la nascita di uno Stato federale al quale gli Stati nazionali cedano una parte della loro sovranità, soprattutto per quanto riguarda la politica di bilancio e quindi il fisco, la spesa, la politica dell'immigrazione, le grandi opere infrastrutturali europee, i diritti e i doveri di cittadinanza.
In questo quadro, la Germania ha un ruolo di grande rilievo ma insieme con lei ce l'hanno tutti gli altri Paesi dell'eurozona ed anche alcuni che sono al di fuori di essa. Ruoli altrettanto importanti di quello tedesco ce l'hanno la Francia, l'Italia, la Spagna.
Il punto d'arrivo di questo processo è condiviso da tutti i protagonisti a cominciare dalla cancelliera Angela Merkel, quindi si procede compatti verso l'obiettivo finale anche se in tutti i Paesi esistono falchi che si oppongono e interessi che reclamano tutela. Ma c'è un però: anche se la squadra degli esperti sta lavorando intensamente sui dossier del futuro Stato federale, quanto tempo ci vorrà? Gli ottimisti dicono cinque anni, i pessimisti dicono dieci. Ebbene, non si può aspettare tanto, è necessario che nel frattempo accada qualcosa di efficace e di importante.
Efficace e importante è l'unione bancaria, un'assicurazione che garantisca i depositi e la vigilanza sugli istituti di credito demandata alla Bce. Anche su questi obiettivi tutti i protagonisti sono d'accordo ed anche qui esistono falchi e interessi conservatori. Ma quanto tempo ci vorrà? Gli ottimisti dicono un anno, i pessimisti due. Si va avanti a tutta forza ma non basta. A questo punto entra necessariamente in scena Mario Draghi.
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Draghi ha accordato un'intervista a Le Monde che oggi pubblica anche il nostro giornale. L'intervista è importante ed è anche una novità perché il presidente della Bce non ama parlare con i giornali. Questa volta l'ha fatto e l'ha fatto bene. Segno che era il momento giusto.
Enumera anzitutto quali sono i poteri e lo "status" della Banca centrale da lui guidata. Anzitutto la sua indipendenza dai governi, poi le cose che può fare e quelle che non può fare. Non può intervenire a sostegno dei debiti sovrani, cioè non può partecipare alle aste di quei titoli. Deve vegliare sulla stabilità della moneta e dei prezzi. Deve vigilare sulla stabilità finanziaria. Può intervenire per rassicurare quelle due stabilità, ma, ha aggiunto, che per ora non c'è alcuna minaccia né alla moneta né alla finanza, per ora dunque non c'è bisogno d'intervenire.
Ma se quel bisogno ci fosse? "Allora si vedrà" ha risposto. Poi, sollecitato ulteriormente: "Probabilmente qualche cosa faremo".
Qual è esattamente l'intervento che potrebbe effettuare oltre a quello "non convenzionale" che fece nel dicembre e nel gennaio scorsi prestando a tre anni e all'1 per cento di interesse mille miliardi al sistema bancario europeo?
Può intervenire sul mercato secondario dei titoli per calmierare lo "spread". L'ha già fatto ampiamente nell'autunno del 2011 acquistando titoli italiani e spagnoli ma anche francesi e austriaci, forse perfino tedeschi.
Questo dovrebbe fare adesso. È necessario? Sì, caro Mario Draghi, è necessario e nessuno lo sa meglio di te. Basterebbe l'annuncio e un inizio d'intervento per spuntare le unghie della speculazione che vuole disarticolare il sistema euro.
Questo tipo d'intervento consentirebbe di arrivare in buone condizioni alla nascita dell'unione bancaria, darebbe tranquillità ai governi che potrebbero procedere al taglio delle spese non necessarie e all'abbattimento di alcune imposte sul lavoro e sugli investimenti.
Draghi è il guardiano della stabilità del sistema, i poteri li ha. E anche qui diciamo: se non ora quando?
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C'è un ultimo tema che merita qualche riflessione. Apparentemente non ha alcun collegamento con gli argomenti trattati fin qui, ma non è così, il collegamento c'è: l'attacco in corso contro il presidente della Repubblica persegue un fine di destabilizzazione al tempo stesso istituzionale e politico. Vuole colpire Napolitano e indebolire Monti. Non a caso è portato avanti da gruppi e persone che mettono sotto accusa sia Napolitano sia Monti: Grillo, Di Pietro, i giornali berlusconiani, "il Fatto Quotidiano". L'accusa a Monti è la solita: ha imposto sacrifici insopportabili ai soliti noti. Tralascio di confutarlo visto che lo faccio da quando questo governo si è insediato.
L'accusa contro Napolitano è di voler impedire l'accertamento della verità nella trattativa tra lo Stato e la mafia. Risale, quella trattativa, agli anni 1992-93. Napolitano non era al Quirinale, c'è arrivato nel 2006, tredici anni dopo e si è sempre battuto affinché quella verità fosse accertata. L'ha ricordata nel suo messaggio di tre giorni fa nella ricorrenza della morte di Borsellino e della sua scorta, indirizzato a tre destinatari: il Consiglio superiore della magistratura, la Procura di Palermo e la moglie e il figlio del magistrato ucciso in via D'Amelio a Palermo.
Ha ricordato le sue battaglie contro la mafia, ha indicato le date e i nomi dei caduti, dei sindacalisti, dei magistrati, dei politici di sinistra, a partire della strage di Portella della Ginestra.
Ha confermato che le indagini della Procura di Palermo possono e debbono proseguire, che raggiungere la verità è un impegno che lo vede parte attiva e partecipe. Ha ripetuto che quell'accertamento deve avvenire nel rispetto della normativa evitando sovrapposizioni ed errori e poi ha ribadito il suo diritto-dovere di chiedere alla Corte costituzionale il chiarimento sulle prerogative del Quirinale sulla base dell'articolo 90 della Costituzione.
Qual è dunque l'accusa? Non c'è, è inventata, è una manipolazione di marca eversiva. Il tema è di capire se il ricorso - necessario - di Napolitano alla Corte impedisca l'accertamento della verità sulla morte di Borsellino. Un accertamento che non ha e non può avere come obiettivo la cosiddetta verità storica, ma la verità che riguarda i reati, quali reati e commessi da chi. Finora e da vent'anni questa verità non è stata accertata o lo è stata in modo drammaticamente sbagliato. Speriamo che in futuro lo sia. Di questo si tratta e non di altro.
E' forse utile ricordare a chi finge di non saperlo che questo giornale ha fatto della lotta contro la mafia uno dei suoi compiti principali nel quale si sono impegnati i nostri migliori giornalisti da Giorgio Bocca a Giuseppe D'Avanzo a tutta la redazione di Palermo. Mafia siciliana, mafia calabrese e camorra. Grillo a quell'epoca faceva un altro mestiere e Travaglio aveva i calzoni corti.
La Procura di Palermo farà ciò che deve e aspetti, solo per quanto riguarda il tema delle attribuzioni, la sentenza della Corte col rispetto che le è dovuto. E ricordi che le Procure cercano indizi e prove ma chi poi accerta i fatti è il giudice e non il titolare dell'accusa. La mia laurea in Legge mi consente di ricordare questo aspetto elementare che molti ignorano ed alcuni fingono di dimenticare.
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