lunedì 29 ottobre 2012

Report, inchiesta sui soldi e i rimborsi dell’Italia dei Valori. - Carlo Tecce


Report, inchiesta sui soldi e i rimborsi dell’Italia dei Valori


Il programma si occupa del denaro finito nelle casse del movimento di Antonio Di Pietro che, negli anni, ha aumentato il suo patrimonio immobiliare. Infatti, escludendo le 9 proprietà della moglie e le 2 del figlio maggiore, ne restano 45 comprese di garage e cantine.

Il titolo dice molto: insaziabile. Report si occupa di tutti i soldi finiti nelle casse dei partiti e in larga parte dispersi. L’inchiesta di Sabrina Giannini studia l’Italia dei ValoriAntonio Di Pietro si mostra disponibile, ma imbarazzato: “Prendo atto che a voi interessa più lo stuzzicadenti che la trave. Il nostro partito ha avuto un giudice penale, civile, amministrativo e contabile che ha controllato tutto”. E afferra il telefonino per chiamare Vincenzo Maruccio, capogruppo in Regione Lazio, al momento dell’intervista non ancora indagato per peculato.
Il servizio non inizia benissimo per l’ex magistrato. Prima grana bolognese, dice l’ex dirigente Idv Domenico Morace: “Feci una denuncia querela in Procura che riguardava l’intero partito Idv per il territorio di Bologna e chiedevo di essere sentito sui fondi regionali destinati al gruppo regionale. L’ho chiesto 2 anni fa e non ho avuto mai avuto la soddisfazione di essere chiamato se non in concomitanza, successivamente, alla mia intervista su  Affari Italiani”. E aggiunge: “Le verifiche che io feci riguardarono le entità di queste somme che Nanni aveva a disposizione e scoprì che si stava parlando di circa 90 mila euro l’anno. A fronte di queste segnalazioni verificai anche che per la mole di denaro che veniva impegnata non c’era un’attività politica di riscontro all’utilizzo di queste somme, oggi con le indagini della magistratura in corso cominciamo a intuire che fine facevano questi denari pubblici”. L’associazione che gestisce i soldi del partito viene fondata nel 2000 e per nove anni, ricorda la Giannini, è composta dallo stesso Di Pietro, Di Domenico e Silvana Mura.
La Giannini annota le cifre gestite dall’Idv: “Ma i tesserati non fanno parte dell’associazione che gestisce la cassa e nella quale si entra solo con la firma davanti al notaio. Il giorno dopo l’ingresso della moglie nella società, è il 2004, la Camera approva il piano di ripartizione dei rimborsi elettorali. Arrivano circa 5 milioni di fondi. Come si vede da questo verbale di riunione il rendiconto sarà approvato, anzi auto-approvato, l’anno successivo dal solo Di Pietro. L’unico presente. L’associazione gestisce 50 milioni euro fino al 2009, quando compare il nuovo statuto”. Poi si passa alle proprietà immobiliari di Di Pietro, cresciute esponenzialmente negli anni, secondo l’ex magistrato anche per le vittorie in tribunale grazie alle querele. Report chiede un parere a un geometra che, per conto di Elio Veltri, ex vicepresidente dell’Idv, ha catalogato e stimato gli immobili e le proprietà della famiglia dell’ex pm: “Escludendo da questa lista le 9 proprietà della moglie e le 2 del figlio maggiore, ne restano 45 comprese di garage e cantine”.
Spiega il geometra D’Andrea: “Abbiamo una movimentazione economica del 33% dal 1995 al 2001 e dal 2002 al 2009 che arriva al 67%, prima dei rimborsi elettorali e dopo i rimborsi elettorali, entrambe al netto delle vendite. Dopo il 2001 la famiglia inizia ad acquistare beni”. Nel 1995, racconta la Giannini, Maria Virginia Borletti, figlia del produttore milanese di macchine da cucire, decide di donare a Di Pietro e Romano Prodi una parte dell’eredità, quasi un miliardo di lire (che per l’ex pm non sono più di 500 milioni): “Eppure è lo stesso Di Pietro, nella nota memoria consegnata al magistrato, a dichiarare di avere usato la donazione Borletti per l’acquisto di immobili”. E lui ammette: “Certo che la parte che mi ha dato in donazione l’ho usata personalmente”. La giornalista insiste: “Solo a lei?”. E Di Pietro: “E certo che me l’ha data a livello personale”.
da Il Fatto Quotidiano del 28 ottobre 2012

Vauro.



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Movimento 5 stelle Sicilia.



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L’Ue approva petizione su trasparenza dei media. Per evitare futuri Berlusconi. - Alessio Pisanò


L’Ue approva petizione su trasparenza dei media. Per evitare futuri Berlusconi


Le firme raccolte in base al "diritto d'iniziativa dei cittadini europei". Ora il parlamento di Strasburgo è obbligato a legiferare. Nel testo, tra gli esempi negativi di concentrazione e conflitti d'interesse politici ci sono il Cavaliere, Murdoch e il premier ungherese Orbàn.

Mentre il Parlamento italiano lavora al bavaglio da mettere all’informazione con effetti potenzialmente letali sul panorama editoriale del Paese, l’Europa chiede più trasparenza ai media. Una delle ultime petizioni popolari arrivate sul tavolo della Commissione Ue nell’ambito del nuovo strumento che consente a un milione di cittadini del Vecchio Continente di chiedere di legiferare su un argomento di rilevanza comunitaria, riguarda proprio il pluralismo dei media.
Il 5 ottobre è stata infatti ufficialmente approvata la raccolta firme che chiede “la parziale armonizzazione delle legislazioni nazionali relative alla proprietà e alla trasparenza, al conflitto di interesse con incarichi politici e all’indipendenza degli organismi di regolamentazione”. In parole povere una serie di standard europei che limitino la concentrazione mediatica nelle mani di pochi, specie se questi “pochi” hanno incarichi politici. In concreto viene chiesta l’adozione di una nuova direttiva, che protegga il pluralismo informativo in tutti i 27 Paesi Ue.
Tre i nomi che vengono fatti a titolo di esempio (negativo) dalla petizione: Viktor OrbánRupert Murdoch e Silvio Berlusconi. Il Premier ungherese tuttora in carica ha cercato in tutti i modi di mettere il giogo statale all’informazione del Paese; Murdoch è l’artefice della scalata ai media britannici tanto da arrivare ad influenza direttamente il governo di Londra (vedasi lo scandalo News International); e poi veniamo a Silvio Berlusconi.
Giovanni Melogli, responsabile affari europei dell’Alliance Internationale de Journalistes, una delle due organizzazioni all’origine della petizione (insieme ad European Altervatives), è categorico: “Il caso Berlusconi deve diventare un antidoto per le future generazioni affinché in nessun Stato dell’Unione ci possa più essere una simile concentrazione di potere mediatico e potere politico”.
Non è la prima volta che si chiede all’Europa di regolamentare e proteggere il pluralismo dei media. Nell’ottobre 2009 il Parlamento europeo si spaccò letteralmente in due in occasione di un voto su una risoluzione, presentata da liberalisinistre e verdi, che chiedeva un intervento Ue per tutelare il pluralismo in Europa. Alla fine la risoluzione non era stata approvata per soli tre voti a causa del blocco del Gruppo Popolare (maggioritario al Parlamento e nel quale rientrano i 35 deputati italiani Pdl) e anche per l’inaspettato voto contrario dei deputati liberali irlandesi, che in seguito confesseranno ad alcuni colleghi italiani di “aver subito pressioni da Dublino” (governo di destra).
Bisognerà vedere cosa succederà ora che la richiesta arriva in base al “Diritto di iniziativa dei cittadini europei”, la novità normativa introdotta dal trattato di Lisbona ed entrata in vigore lo scorso aprile, che permette alla società civile di chiedere alla Commissione europea di legiferare su una certa materia di interesse comunitario e non contraria ai principi fondanti dell’Unione stessa, raccogliendo (anche online) almeno un milione di firme in almeno 7 Stati Ue. Una volta ricevute e controllate le firme, i servizi della Commissione sono obbligati a lavorare sulla richiesta popolare qualora siano rispettati tutti i requisiti di base, iniziando in questo modo un ordinario processo legislativo.

Perché il voto in Sicilia è lo specchio di un Paese. - Gian Antonio Stella


«E allora, perché non andare in Argentina? Mollare tutto e andare in Argentina...». Potete scommettere che stanotte, in attesa dei risultati siciliani, il segretario del Pdl Angelino Alfano ha risentito nelle orecchie la sua canzone preferita, Argentina , di Francesco Guccini. Dovesse andargli male, addio: lo sbranerebbero. Gli andasse bene, potrebbe invece provare a svoltare. E a ricostruire il partito oltre il suo mito, Silvio Berlusconi.
Le «Regionali» isolane di ieri, tuttavia, sono destinate a pesare a livello nazionale non soltanto sul destino personale di Angelino. Potrebbero pesare sulle decisioni future di Antonio Di Pietro e Nichi Vendola, che hanno scelto di scartare l'accordo a sinistra e presentare un candidato loro (sulle prime Claudio Fava, poi sostituito in corsa con la sindacalista della Fiom Giovanna Marano dopo un pasticcio sul certificato di residenza) per smarcarsi dall'alleanza col Pd rinfacciando al partito di avere troppo a lungo fatto da spalla a Raffaele Lombardo e rimproverando a Rosario Crocetta di essere una specie di foglia di fico chiamato a coprire l'accordo con Udc. Vale a dire il partito che per anni ha avuto come socio di maggioranza Totò Cuffaro. 
Si sparano a pallettoni, a sinistra. Anche sul piano personale. Nella scia dell'altra faida che qualche mese fa aveva visto, alle «comunali» di Palermo, non solo la sfida fratricida tra Leoluca Orlando e Fabrizio Ferrandelli, ma il commento apocalittico dell'entourage di quest'ultimo dopo la vittoria dell'ex-fondatore de La Rete: «È stata sconfitta la democrazia».
E potrebbe pesare a Roma la quantità di voti che spera di raccogliere Gianfranco Micciché, a sua volta accusato di essere la foglia di fico, sia pure assai meno battagliera sul versante della lotta alla mafia, al clientelismo, alla politica delle nomine, di Raffaele Lombardo. Che dopo avere scelto di puntare su Nello Musumeci, un politico di mestiere de La Destra che però ha sempre saputo presentarsi con un piede dentro e un piede fuori dal Palazzo, l'hanno scaricato appena si è aggregato il Pdl proprio perché a loro preme mettere in mostra il proprio patrimonio elettorale in vista delle prossime politiche.
«Il 30% in Sicilia vale il 3% a livello nazionale: potrebbe bastare, con un altro paio di punti raccolti nel resto del Mezzogiorno, per essere l'ago della bilancia della futura maggioranza». Così come spera di mostrare di avere ancora qualche consistenza nelle urne Gianfranco Fini, che se dovesse uscire con le ossa rotte anche dal voto isolano e dall'alleanza con Lombardo, alleanza in contraddizione con tanti discorsi fatti in questi anni, vedrebbe il suo percorso ancora più in salita.
E Beppe Grillo? Con una spettacolare «tournée» che l'ha visto attraversare a nuoto lo Stretto, salire a piedi sull'Etna «sulle orme di Pitagora», annullare solo all'ultimo istante la mungitura d'una vacca (figurarsi i paragoni col Capoccione che andava petto in fuori a mietere il grano) e riempire all'inverosimile le piazze con 38 comizi di invettive contro tutto e tutti, il fondatore del Movimento 5 Stelle si gioca a Canicattì e a Mazara, Alcamo e Caltagirone qualcosa di più di un successo regionale. Vuole smentire l'antico adagio delle «piazze piene ed urne vuote» ma più ancora la tesi che il suo partito (per quanto lui rifiuti la parola) sia in grado di raccogliere consensi solo là dove c'è un tessuto sociale industriale deluso, un popolo massicciamente collegato a Internet, un mondo giovanile che ha trovato nel web lo spazio per condividere il disagio, la collera, la protesta. Dovesse andargli bene, e i sondaggi questo sembravano dire in questi giorni, la strada per le politiche di primavera potrebbe essere spianata. Al punto che c'è chi scommette che sotto sotto il comico-trascinatore genovese, che nel 2008 con la lista «Amici di Beppe Grillo» incassò un modesto 1,7%, spera di fare il bottino più grosso possibile ma restano un pelo sotto la vittoria: se governare è una grana, governare la Sicilia è una grana al cubo. 
Ma è Angelino Alfano, come dicevamo, che rischia davvero tutto. Alle «comunali» della primavera scorsa, salvata Trapani (grazie a un candidato estraneo, un generale dei carabinieri) è uscito bastonato dappertutto, perfino nelle roccaforti di Marsala e Paternò, Barcellona Pozzo di Gotto e Pozzallo, nonostante un'alleanza incestuosa col Pd e l'Udc. Per non dire della batosta a Palermo, dove il giovane Massimo Costa, il candidato «civico» soffiato ai concorrenti della destra, non arrivò neppure al ballottaggio in una città da anni al Cavaliere quasi quanto a Santa Rosalia. E ad Agrigento, la «sua» città, dove l'aspirante sindaco «civico» anche in questo caso arruolato all'ultimo istante, venne seppellito dall'uscente Marco Zamputo sotto una slavina di voti: 75% contro 25%.
Sia chiaro: addebitare tutte le responsabilità dello smottamento al segretario del Pdl sarebbe non solo ingeneroso ma scorretto. L'ormai ex «picciotto prodige» (il copyright è di Denise Pardo) sa però che una nuova disfatta non gli sarebbe perdonata. Tanto più in una terra come la Sicilia dove la destra alleata con il Mpa e l'Udc, anche senza più ripetere il trionfale cappotto (61 parlamentari a 0) del 2001, stravinse solo quattro anni fa col 65,3% dei voti contro il 30,4 raccolto da Anna Finocchiaro che pure aveva dalla sua non solo il Pd ma l'Idv e la Sinistra arcobaleno. Tanto più che proprio lui, Angelino, si era assunto la responsabilità (raccogliendo i malumori di una larga parte del partito, a partire dai giovani) di convincere Sua Emittenza a ritirare l'investitura troppo frettolosa, a suo avviso, su Micciché...
Quando chiedevano a Nello Musumeci se avrebbe desiderato che il Cavaliere sbarcasse in Sicilia per appoggiarlo o se piuttosto (come a suo tempo Giorgio Guazzaloca a Bologna) preferisse che il dominatore della destra degli ultimi venti anni se ne restasse lontano e silente, fino a tre giorni fa il candidato destrorso cercava di non stare alla larga dal rispondere. L'irruzione improvvisa, torrenziale e collerica dell'ex premier in tutti i Tg, tutti i quotidiani, tutti i giornali radio, ha dato uno scossone squassante, scusate il pasticcio, alla chiusura della campagna. Seminando tra gli stessi berlusconiani un dubbio: aiuterà o piuttosto farà danno al profilo di «forza tranquilla» e non aggressiva scelto da Musumeci? Poche ore e sapremo. Dovesse andare ancora male: chi farà il processo a chi?

Vauro.



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