lunedì 3 agosto 2015

Car parking wthout garage at china.




Matteo Renzi, il premier che gettò la maschera. - Saverio Lodato


Detesta la magistratura. 
Detesta il controllo di legalità. 
Detesta le inchieste. 
Mal sopporta Procure e investigatori. Non ritiene che il Paese abbia bisogno di grandi verità sul passato recente e remoto. Non gliene frega niente di stragi, grandi delitti e mandanti esterni. Una volta a Firenze, a una giornalista che gli chiese che ne pensasse della strage di via dei Georgofili, rispose infastidito: "chieda alla mia segretaria". Elegante, non c’è che dire. E soprattutto rispettoso del dolore dei parenti delle vittime.
Detesta il confronto. Detesta la dialettica parlamentare. Gli piace la Cavalcata delle Valchirie, ma a colpi di voti di fiducia.
Non capisce perché lo Stato debba reggersi sull’equilibrio di tre poteri, quando ne basterebbe uno solo, il suo. Odia i giornali e i giornalisti, quelle rare volte che lo mettono in cattiva luce. Gli va il sangue al cervello, e metterebbe, metaforicamente, s’intende, la mano alla fondina, al solo sentir parlare di intercettazioni telefoniche, soprattutto se è anche lui a finirci dentro, come è accaduto quando anticipava che avrebbe licenziato Letta senza preavviso.
Non pronuncerà mai, né l’ha mai pronunciata, la parola "valori". Lo stesso dicasi per la "questione morale" che sembra diventata in Italia, da quando c’è lui, parola ricoperta dalla muffa della Crusca. Se scoppiano scandali che denotano un tasso di corruzione che ha fatto ormai dell’Italia una nazione irrecuperabile, fa finta di reagire con “gli strumenti della politica", nominando "consulenti" e "commissari", pretendendo la verità senza la quale "chi ha sbagliato pagherà". Tutto il mondo ha capito come Roma sia diventata negli anni la capitale dello Stato-Mafia. Ma consulenti e commissari, servizievoli al suo dettato, trovano il modo di non scioglierne il consiglio comunale, quando al Sud, per un decimo di quanto è accaduto a Roma, ne sono stati sciolti a bizzeffe.
Non lo sentirete mai pronunciare il nome di Nino Di Matteo, il pubblico ministero palermitano che rischia la vita. Non hai mai fatto riferimento, né lo farà mai, al processo sulla Trattativa Stato-Mafia che, fosse per lui, andrebbe spianato da una ruspa.
E’ solito abbracciarsi agli "impresentabili" in campagna elettorale, per l’immancabile foto ricordo.
E’ solito bistrattare i suoi stessi compagni di partito, pensiamo alla Bindi, o allo stesso Orfini, quando si sono permessi in alcune occasioni, anche se magari solo a parole, di alzare la cresta innalzando l’asticella della legalità.
Quando poi la temperatura sale eccessivamente, la contesa si fa rovente, i problemi esplodono, è lo specialista della fuga.
Fughe intercontinentali, fughe a lunga percorrenza, da un continente all’altro.
Fugge all’estero, America o Israele non fa differenza, perché aspetta che la situazione interna si calmi e giornali e televisioni abbiano ormai altro a cui pensare.
E lui, che non solo è il premier, ma il segretario del PD, pretende una sua "presenza blindata" alla Festa nazionale dell’Unità. Come se Papa Francesco, per affacciarsi in piazza San Pietro, pretendesse fucili mitragliatori che fanno capolino dalle persiane. Ma c’è di più, e di peggio, come si sarebbe detto una volta. Alla fine, alla Festa dell’Unità non c’è neanche andato, accontentandosi di incontrare, in un’improvvisata, i cuochi che se lo son visti catapultare in mezzo a pentole e padelle. Temeva un fitto lancio di uova e pomodori di stagione.  
Direte che è arrogante.
Che è un cialtrone, un cialtroncello o un cialtronaccio, a usare i diminutivi e i peggiorativi della parola "cialtrone" riportati dal dizionario Treccani. E sbagliereste di grosso. Direte che è un superficiale, un approssimativo, un giovane Narciso dirottato da palazzo Pitti a Palazzo Chigi.
Direte che a suo tempo, uno dei suoi primi gesti mediatici fu rendere omaggio a Silvio Berlusconi nella sua dimora. Questo è vero. Ma può bastare quest’indizio, piatto forte per i "colpevolisti", per spiegare chi è oggi l’uomo che ha definitivamente gettato la maschera? Noi pensiamo di no.
Per giustificare il salvataggio del senatore Azzollini, con intercettazioni a suo carico che chiuderebbero qualsiasi udienza processuale cinque minuti dopo, ha avuto il coraggio, o la faccia tosta, se preferite, di complimentarsi con i senatori che avevano riscontrato il "fumus persecutionis" dei magistrati non accettando di far da "passacarte delle Procure". E le sue ministre ebetine, ma anche qualche suo ministro particolarmente signorsì, annuirono. Come d’abitudine. 
Cosa vi aspettate di diverso da un premier così?
Da un premier che è amico di famiglia, essendone amico anche il suo papà, di un tal Verdini per quattro volte rinviato a giudizio? 
O vi aspettavate che Matteo Renzi, perché è di questo signore che fino a ora abbiamo parlato, fosse un "passacarte delle Procure"?
No, no. Non lo capite? Questo premier sta cambiando l’Italia.
In che modo lo stia facendo, giudicatelo da soli.

Addio a Giovanni Conso, presidente emerito della Corte Costituzionale.




È morto stanotte a Roma Giovanni Conso, presidente emerito della Corte costituzionale. Conso era nato a Torino il 23 marzo 1922. 

Professore ordinario di procedura penale, era stato nominato Giudice Costituzionale il 25 gennaio 1982. Era stato eletto presidente il 18 ottobre 1990 e aveva esercitato le funzioni fino al 3 febbraio 1991.

I funerali si terranno mercoledì 5 agosto alle ore 11, nella chiesa di Santa Maria degli Angeli a Roma. La camera ardente sarà invece domani, dalle 10.30 alle 13.30, presso il Palazzo della Consulta.

Il personaggio. Nato a Torino il 23 marzo 1922, giurista e accademico italiano, Giovanni Conso è stato ministro della Giustizia del governo Amato (12 febbraio - 28 aprile 1993) e del governo Ciampi (28 aprile 1993-16 aprile 1994), e presidente dell'Accademia dei Lincei. Nominato Giudice Costituzionale dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini il 25 gennaio 1982 Conso ne diventa presidente il 18 ottobre 1990 fino al 3 febbraio 1991 quando cessa dalla carica per scadenza del mandato. Avvocato, professore universitario, ha insegnato procedura penale nelle facoltà di giurisprudenza delle Università di Genova, Urbino, Torino, della «Sapienza» di Roma e della Lumsa di Roma. Professore emerito di Procedura penale presso l'Università di Torino è stato membro laico del Consiglio Superiore della Magistratura dal 1976 al 1981. Durante il suo mandato come Guardasigilli, nel marzo del 1993, si aprì a Palermo l'indagine giudiziaria per associazione mafiosa nei confronti di Giulio Andreotti.


http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/CRONACA/giovanni_conso_morto_presidente_consulta/notizie/1498219.shtml

IL NECROLOGIO SUL MULLAH CENSURATO DAL CORRIERE DELA SERA. - Massimo Fini

mullah-omar


L’altro ieri ho telefonato all’Ufficio necrologi del Corriere della Sera. “Qual è il nome del defunto?” mi ha chiesto la gentilissima signorina. “Mullah Omar”. “Lei è un parente?”. “No”. “Pensa che ci saranno altri necrologi per questo defunto? Perché, sa, noi dobbiamo accorparli”. “Credo proprio di no”. “Ma mullah non è un nome e il Corriere ha come regola di mettere nome e cognome del defunto”. “Non è proprio così- ho risposto- molte volte ho visto solo dei Gigi, dei Pigi, dei Lallo. Comunque non ha importanza, si chiamava Mohammed. Quindi mettiamo Mohammed Omar, va bene?”. “Sì. Ma ho un intoppo nel computer. Potrei richiamarla fra dieci minuti?”. 


“Senz’altro”. Dopo dieci minuti l’impiegata sempre molto gentile, collaborativa e pure simpatica (mi aveva trovato anche il codice fiscale che non ricordo mai) mi ha richiamato. “Ma lei è uno del mestiere”. “Più che altro un ex. Sono in pensione da anni”. “Dalle fotografie non si direbbe. Sembra molto più giovane”. “Grazie. Purtroppo gli anni ci sono. Possiamo andare?”. Ho dettato quindi il necrologio che recitava così:

Massimo Fini rende onore al Mullah
Mohammed Omar
combattente, giovanissimo, contro gli invasori sovietici, perdendo un occhio in battaglia, combattente, vittorioso, contro i criminali ‘signori della guerra’ che avevano fatto dell’Afghanistan terra di abusi, di soprusi, di assassinii, di stupri, di taglieggiamenti e di ogni sorta di violenze sulla povera gente, riportandovi l’ordine e la legge, sia pure una dura legge, la Sharia, peraltro non estranea, almeno nella vastissima area rurale, ai sentimenti e alle tradizioni della popolazione di quel Paese, infine leader indiscusso per quattordici anni della resistenza contro gli ancora più arroganti e moralmente devastanti occupanti occidentali. Che Allah ti abbia sempre in gloria, Omar”.

Finito il testo lei mi ha detto: “Mi perdoni, per un necrologio del genere devo chiedere l’autorizzazione”. “Capisco. Mi può far sapere nel pomeriggio se la cosa è andata a buon fine?”. “Se non mi sente troverà il necrologio sul Corriere e sul corriere.it. Altrimenti la chiamo”. Verso le sei mi ha telefonato, molto imbarazzata: “Per ordini superiori il suo necrologio non può essere pubblicato. Mi spiace molto, mi scusi”. “Non si preoccupi. Non è lei che, semmai, deve scusarsi”.

E così la censura è arrivata anche sui necrologi. Credo sia la prima volta che ciò accade in una democrazia, luogo deputato della libertà di pensiero e di espressione delle proprie opinioni.
Recentemente sono stato insignito del Premio Montanelli alla carriera che dovrebbe essermi consegnato a ottobre a Fucecchio, a meno che nel frattempo non mi sia revocato per indegnità, sempre in nome della libertà di informazione. Sono certo che il vecchio Indro non avrebbe condiviso nemmeno un fonema del mio necrologio sul Mullah, ma sono altrettanto certo che non si sarebbe mai sognato di bloccarlo. Caso mai ci avrebbe riso su, considerandolo una provocazione, anche se provocazione non era. Perché Montanelli era un vero liberale. Quando i liberali esistevano ancora.

Massimo Fini

Fonte: www.ilfattoquotidiano.it

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15395

CAMBIO DI REGIME IN RUSSIA ? NO GRAZIE. PENSATECI DUE VOLTE, NEOCONS. - NEIL CLARK

putin-ukraine


Come gli eventi in Siria hanno dimostrato, la Russia e’ il mattone piu’pesante da spostare negli infiniti piani delle lobby volti al dominio mondiale; ecco perchè la rimozione di Putin ed il suo rimpiazzo con una marionetta che esegua a bacchetta ogni comando e volere dei neocons e’ l’obiettivo principe dell’intera politica attuale dei neocons suddetti.

Ad ogni modo, le loro possibilità di raggiungere questo loro ambizioso obiettivo sono parecchio scarne e le motivazioni costruite e pretestuose almeno quanto le fantomatiche armi di distruzione di massa di Saddam in Iraq. La nuova “guerra fredda” contro la Russia, di istigazione neoconservatrice, che avrebbe dovuto indebolire l’economia Russa, così portando a proteste anti-governative stile Maidan, ha in realtà fatto schizzare la popolarità del presidente Putin alle stelle, come evidenziano i sondaggi.
Le percentuali di apprezzamento per quest’uomo, per demonizzare il quale i neocons non hanno risparmiato nessuna energia, almeno negli ultimi 12 anni, sono a livelli di record assoluto, quasi il 90% dei Russi hanno una opinione positiva del loro presidente.
L’appoggio alle sue politiche estere è altrettanto solido, con un 70% che approva le scelte in materia di crisi Ucraina.
Il politico pacifista Britannico George Galloway ha twittato:
“La popolarità di Putin tocca livelli record sfiorando il 90% di gradimento delle sue capacità di gestire gli eventi da parte della popolazione. Un’altra storia di successo per la NATO!!”
Ma non è soltanto la popolarità di Putin a rappresentare un macigno che blocca i piani neoconservatori per il cambio di regime. La principale e più agguerrita opposizione a Putin ed al suo partito Russia Unita non è costituita da liberali pro-NATO e pro-Israele, bensi’ dal partito comunista Russo, che è il secondo maggior partito della Nazione,
Il leader comunista Gennady Zyuganov ha ottenuto il 17% dei consensi alla scorsa tornata elettorale (nel Dicembre 2011), e i comunisti nel loro complesso hanno ottenuto 92 seggi sui 450 seggi totali alla Duma.
I comunisti hanno fatto pressione su Putin nell’assumere un ruolo ancora più fermo e deciso contro coloro che essi considerano nemici della Russia. Nel Maggio 2013 presentarono una mozione per suggerire che la Russia convocasse il consiglio di sicurezza ONU in seguito a bombardamenti illegali Israeliani sulla Siria.

“La Siria non è nè la prima, nè certamente l’ultima tra le vittime dell’espansione globale degli Stati Uniti e dell’alleanza NATO. Gli eventi degli ultimi 20 anni mostrano che la Russia stessa si trova costantemente in bilico. Considerato questo, la protezione dei nostri confini passa anche dalle città Siriane, attualmente scena di duri e intensi combattimenti. La Russia non può permettersi di girarsi dall’altra parte mentre la sovversione violenta degli Americani e dei loro satelliti si scaglia contro i nostri alleati”. Così recitava la dichiarazione del comitato centrale del partito comunista.
I sovvertitori di regime seriali dell’Occidente si trovano di fronte a una situazione in cui l’unica opposizione credibile esistente a un leader che vorrebbero vedere eliminato sarebbe ancora più decisa nel seguire politiche che gli risulterebbero ancora più complicate da digerire.

E allora che fanno? Con evidente disprezzo delle vedute del popolo Russo e totalmente ignorando il fatto che il partito comunista rappresenta il secondo partito nazionale, ci dipingono i cosiddetti “liberali”, che godono di livelli di supporto popolare del tutto esigui (attualmente intorno all’1%!) come l’ “opposizione democratica”!!!

La linea neoconservativa così recita: “in nome della democrazia i partiti più impopolari tra gli elettori dovrebbero governare la Russia”. Una interpretazione della parola democrazia che straccia 1984 di Orwell.
“Per quanto cambio di regime sia diventata una espressione sporca, la cosa migliore che potrebbe accadere alla Russia, ai suoi vicini, ed al mondo intero, sarebbe un cambiamento, dall’autoritarismo dal pugno duro firmato Vladimir Putin a una qualche forma di democrazia”, ha sostenuto Alexander Motyl su Newsweek in Gennaio, articolo che Newsweek riprese da una prima pubblicazione sul blog del Consiglio Atlantico...
Dunque, in altre parole, l’uomo con il gradimento record dovrebbe essere eliminato così che qualcuno molto meno popolare possa governare la Russia. Tutto, certo, come sempre nel nome di “diffondere la democrazia”!

In ogni caso, semmai non bastasse quanto è stato detto, i piani neoconservatori per la promozione della loro democrazia non democratica in Russia sono sbarrati da un ulteriore macigno, la legislazione Russa sugli agenti stranieri. La legge prevede che tutte le organizzazioni non governative che ricevono finanziamenti esteri e che svolgono attività politiche debbano registrarsi come “agenti esteri”. Inoltre, per i partiti politici Russi è vietato farsi sponsorizzare o svolgere qualsiasi tipo di affari, o forme di partnership con organizzazioni non governative distinte dallo status di “agente estero”.
Questo rende la possibilità di “rivoluzioni colorate” alimentate da finanziamenti esteri parecchio pià difficile a materializzarsi. E mi sembra scontato dirlo, ai neoconservatori qeusta legge non piace affatto:
“La legge di Putin sugli agenti esteri sta distruggendo alcune delle migliori organizzazioni civili in Russia“ http://t.co/fyAeyqUSa2

— Anne Applebaum (@anneapplebaum) Febbraio 16, 2015
I piani neoconservatori per un cambio di regime in Russia cercano di fare leva sulla crisi Ucraina e sul conflitto Siriano. Possiamo ricondurli indietro fino al 2003 quando iniziò a essere chiaro che Putin non aveva intenzione di fare compromessi sugli interessi nazionali legittimi della Russia, a differenza del più malleabile Boris Yeltsin. Il primo presidente post’perestrojka infatti se ne stette a guardare con una bottiglia di wodka in mano (e bustarelle nelle tasche..) mentre fuori casa la NATO bombardava illegalmente la Jugoslavia e dentro casa oligarchi appoggiati dalle potenze militari Occidentali saccheggiavano la Russia, con l’impoverimento rapido e drastico di milioni di persone come risultato del processo.
Come ho sostenuto in un editoriale precedente, il punto di svolta furono   le azioni decise contro gli oligarchi corrotti con fortissimi legami con l’occidente.
Ricostruire l’economia ed innalzare gli standard di vita dei normali cittadini Russi richiedeva necessariamente una azione forte contro determinati oligarchi, che avevano saccheggiato le loro vastissime fortune durante gli anni di Yeltsin. Tali oligarchi, come Boris Berezovsky o Michail Khodorkovsky godevano di sostenitori potentissimi in Occidente. Come ho esposto in un articolo per il New Statesman nel Novembre 2003, neoconservatori molto influenti in USA, collegati agli oligarchi Russi, colsero l’occasione dell’arresto di Khodorkovsky per frode ed evasione fiscale per spingere verso un inasprimento delle politiche USA verso Mosca.
All’arresto seguirono domande neoconservatrici di sanzioni contro la Russia, richieste poi ripetute all’infinito durante gli anni successivi. Tale crociata anti-Putin si è poi gonfiata a dismisura, raggiungendo un ulteriore livello di gravità, a partire dalla temerarietà di Putin nell’intervenire a bloccare le macchinazioni per un “cambio di regime” in Siria.
Nel suo articolo “come la guerra alla Siria si perse per strada”, l’ex ufficiale CIA Ray McGovern riferisce di come si trovò nello stesso studio della CNN con i due ultrafalchi militaristi Paul Wolfowitz e Joe Lieberman, poco dopo che i piani USA del 2013 per bombardare la Siria furono abbandonati.
McGovern descrisse l’atmosfera come “da funerale”.
“Mi sentivo a una veglia funebre con gente sobriamente vestita, senza cravatte color pastello, che si commiserava per il recente decesso della tanto amata guerra”.

Non apppena dopo che Damasco riuscì così a risparmiarsi i bombardamenti aerei, una megaondata di attacchi anti-Russi iniziò ad inondare i mass media dell’elite. Il neoconservatore della “sinistra” Britannica, che nel 2012 scrisse un articolo intitolato “la Russia stra prendendo i democratici europei per il culo”, si lamentò che Putin aveva fatto passare Obama per “un imbroglione al soldo dei conservatori”.

Pensieri simili a quelli di Michael Weiss, che, scrivendo per la ultra-neoconservatrice Henry Jackson society nel 2012 “rimproverò” l’amministrazione Obama per “inisistere ancora a ingraziarsi il Cremlino” dopo due veti consecutivi della Russia al tentativo di fare passare una risoluzione presso il consiglio di sicurezza ONU di “condanna del regime Assad”.
Allora l’Ucraina è stato il terreno dove i neocons hanno cercato vendetta per il blocco delle loro intenzioni bellicose in Siria. Come ho sostenuto in un altro precedente editoriale su RT: “Il cambio di regime a Kiev sotto sponsorizzazione USA, in presa in cui Victoria Nuland, del dipartimento di Stato, moglie del cofondatore del think’thank “progetto per il nuovo secolo Americano”, ha giocato un ruolo chiave, ha finalmente consentito ai falchi di mettere le grinfie su quello a cui da un decennio aspiravano: il sanzionamento della Russia. La politica del pugno duro contro la Russia per cui facevano pressione da un decennio è finalmente la linea ufficiale degli USA e dei maggiori stati Europei. La demonizzazione del presidente Putin in Occidente è ormai mainstream”.
I neocons contavano sulle sanzioni per scatenare proteste di massa contro il governo Putin. Ma , come possiamo osservare dai sondaggi, è successo semmai il contrario e Putin è più popolare che mai. Fare i bulli contro la Russia non ha sortito altro effetto che rendere la popolazione Russa più determinata che mai a opporsi a quello che i falchi occidentali vorrebbero.
La domanda adesso è, che cosa faranno i neoconservatori a questo punto? Ci sono pressioni per sanzioni ancora pià aspre alla Russia, fino al punto di una esplusione dal sistema bancario SWIFT, un esempio:

@b_judah Bandire le banche Russe dal sistema SWIFT. Rispediamo la Russia al medioevo, lasciamoli a minacciare l’Occidente con arco e frecce!
— shay culligan (@shaymultimedia) March 24, 2015
In Febbario, un editoriale intitolato “Niente più concessioni” sul Times, proprietà di Rupert Murdoch, il più estremo tra i quotidiani neoconservatori linea’dura Britannici, dichiara il suo supporto per “sanzioni più dure di quelle già in essere”. Nel frattempo Victoria Nuland ha avvertito pochi giorni fa che “il costo per la Russia salirà” se aumenta la violenza a Donetsk e Lugansk, anche se chiaramente la violenza su iniziativa di Kiev, o tra Kiev stessa e “il settore destro”, quella non conta.
In ogni caso il problema della Nuland e del London Times è che gli stati Europei invece sono al contrario ansiosi di alleggerire le sanzioni, siccome le loro già compromesse economie stanno soffrendo a causa delle controsanzioni del Cremlino.
Quanto a lungo ancora le maggiori compagnie dell’Europa occidentale consentiranno che i loro profitti siano danneggiati da un pugno di estremisti politici con una ossessione per eliminare Putin dal governo? E quanto a lungo ancora i governi europei accetteranno di sottoscrivere una politica di sanzioni palesemente contraria agli interessi nazionali?
C’è chi sostiene che i neoconservatori non si farebbero scrupoli a suscitare la guerra pur di averla vinta loro sulla questione.

“La pià risoluta spinta guerrafondaia nel 2015 arriva da neoconservatori e vari interventisti che vogliono uno scontro diretto anti-Putin e un cambio di regime in Russia ad ogni costo”, avvisa il commentatore paleoconservatore Americano Patrick J. Buchanan qualche mese fa.
Sicuramente durante i periodi di conflitto a fuoco più accesi in Ucraina è sembrato proprio che tutto quello che alcuni, in Occidente, desideravano fosse una escalation definitiva: “Bisogna fermare Putin, e a volte per fermare qualcuno armato di pistola occorre avere una pistola!” era il titolo di un articolo sulla linea guerrafondaia firmato Timothy Garton-Ash, articolo in cui incensava di lodi il guerrafondaio seriale Sen. USA John McCain, meritevole di aver operato decise pressioni sul Congresso per il passaggio dell’ “atto di sostegno alla libertà Ucraina”, che consistette in pratica nell’autorizzazione a rifornire il governo Ucraino di armamenti.
Vale la pena di notare, però, che ai conservatori piace attaccare i paesi deboli, non certo quelli forti. Iraq si è beccata l’operazione “Shock and awe” (“sciocca e sorprendi”) non perchè aveva armi di distruzioni di massa, ma casomai perchè non ne aveva! La Libia era vulnerabile perchè le sue difese erano deboli e Muhammar Ghedddafi aveva tempo prima decommissionato le sue armi ad alto impatto. 

La Russia, al contrario, ha un arsenale nucleare enorme, armi convenzionali allo stato dell’arte, e 771.000 soldati in servizio permanente attivo.
Un attacco diretto alla Russia su istigazione neocon è un evento improbabile, ma non possiamo sentirci di escluderlo al 100%, visto il cieco fanatismo del genere di gente di cui stiamo parlando. Lo scorso Dicembre, Robert Parry ha scritto proprio delle caratteristiche di patologia mentale del progetto di cambio regime forzato istigato dai neocon per fare cadere Vladimir Putin:
“Assistiamo ad un tipico processo passo dopo passo verso un sovvertimento di regime per mano neocon, in quanto il demonio straniero bersagliato continua a rifiutarsi di compiere i ragionevoli passi indietro dettati da Washington e quindi va affrontato, non importa il livello di escalation necessario, nel modo più severo possibile a forzare il demone a farsi da parte, possibilmente facendo soffrire il suo popolo finchè queste sofferenze non aprano gli spazi per il cambio di regime desiderato”

Perry ha messo in guardia che addirittura il futuro del pianeta era a rischio, se questi “sforzi occidentali” per il cambio di regime in Russia fossero proseguiti ad oltranza.
L’anziano giornalista pluripremiato John Pilger ha ammonito di un “nuovo Olocausto” se non si riuscirà a fermare il fanatisco dei guerrafondai seriali. “Quando l’uomo a Mosca era Boris Yeltsin, uno che mentre si ubriacava regalava pezzi della sua nazione agli Occidentali, tutto andava benissimo. 

Poi è arrivato Vladimir Putin a ristabilire la Russia come Nazione sovrana, e questo è il suo crimine”.

Pochi giorni fa il New York Times ha pubblicato uno scritto dell’ex ministro degli esteri nel governo Yeltsin, Andrei Kozyrev, intitolato “cambio di regime in vista in Russia”, dove ha sostenuto che tale cambio di regime fosse “inevitabile, probabilmente imminente”. Ma sondaggi che mostrano un apprezzamento del leader al 90% non credo proprio che consentano di prendere questa visione per realistica.
Nonostante tutti gli sforzi titanici ed ossessivi, forzare un cambio di regime a Mosca è una questione troppo grossa per essere alla portata persino dei neocons. I Russi sicuramente possono desiderare tutto meno che essere rispediti al 1990 e ovviamente non accetterebbero mai un pupazzo verificato e certificato dai neocon come presidente. Inoltre la Russia è preparata tecnicamente e psicologicamente a difendere se stessa semmai l’incubo della guerra dovesse per forza materializzarsi. E se avete qualche dubbio al riguardo, andate a rivedere i filmati della parata per il giorno della vittoria nella grande guerra patriottica.

Infine, come possiamo mettere termine a questa “nuova guerra fredda? Non sta alla Russia cambiare atteggiamento, dal momento che non ha fatto niente di sbagliato o avventato, ma certamente a questi cosiddetti neoconservatori Occidentali....Ma quale parte della parola NYET! Non riescono a capire?

Neil Clark
Fonte: www.rt.com
Link: http://www.rt.com/op-edge/310744-neocons-regime-change-russia/
25.07.2015

Traduzione per www.comedonchisciotte.porg a cura di CONZI

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15396

Porto Rico e il debito da 72 miliardi: oggi fallisce la Grecia degli Stati Uniti. - Paolo Mastrolilli



L’isola caraibica è insolvente, ma le conseguenze le paga Washington.

Oggi, a meno di improbabili sorprese, fallisce Porto Rico. O quanto meno comincia il processo del default relativo ai suoi 72 miliardi di dollari di debito, che ormai fanno descrivere l’isola caraibica come la Grecia degli Stati Uniti.  

In queste ore, infatti, scade il primo pagamento che Porto Rico non sarà in grado di onorare, cioé 58 milioni di dollari dovuti a chi aveva comprato i suoi bond. E’ il week end, in teoria la resa dei conti potrebbe essere rinviata a lunedì, e la cifra in discussione è ancora molto ridotta. La sostanza, però, non cambia: il governo dell’isola è insolvente, e senza un serio intervento di ristrutturazione provocherà guai seri anche a Washington. 

Porto Rico non è uno stato americano, ma un territorio che appartiene agli Usa a tutti gli effetti. In teoria potrebbe avere un’economia florida, soprattutto grazie al turismo e ai servizi, ma nella pratica è in recessione ormai da nove anni. La crisi è stata provocata da una gestione scellerata delle finanze pubbliche, evasione fiscale, costi troppo alti di energia e trasporti, obbligo di garantire lo stesso livello di retribuzione minima degli Stati Uniti, cioé 7,25 dollari all’ora che sull’isola caraibica sono un’enormità insostenibile. La disoccupazione giovanile è schizzata sopra al 25% e, trattandosi di un territorio americano, chi ha potuto è emigrato negli Usa, riducendo ancora di più la forza lavoro e la base contributiva locale.  

Il governo ha cercato di contenere gli effetti della crisi offrendo un’assistenza pubblica insostenibile, che ormai beneficia circa il 40% della popolazione. Nello stesso tempo ha emesso obbligazioni con enormi facilitazioni fiscali, che hanno attirato gli investimenti dei locali in cerca di soluzioni per le loro pensioni, ma naturalmente non hanno prodotto ricavi per l’amministrazione pubblica.  

Così il debito si è gonfiato fino a 72 miliardi di dollari, e il mese scorso il governatore Alejandro Garcia Padilla è stato costretto ad ammettere che non ha i soldi per ripagarlo. Il problema è che la legge vieta al governo federale americano di andare in soccorso di Porto Rico, e quindi la soluzione deve essere interna: ristrutturazione del debito, aumento delle tasse e taglio dei servizi.  

Tutti questi provvedimenti, però, ricadrebbero in larga parte sulle spalle degli stessi abitanti dell’isola, perché sono loro i principali sottoscrittori dei bond in scadenza. Quindi sarebbero loro che dovrebbero nello stesso tempo perdere buona parte dei propri investimenti, pagare più tasse e ricevere meno benefici e servizi.  

Il segretario al Tesoro Lew ha chiesto al Congresso di cambiare le leggi, in modo da consentire il salvataggio di Porto Rico, ma intanto da oggi cominceranno a saltare i primi pagamenti. 

Marco Manera e la "regia trazzera"