venerdì 10 marzo 2017

Mario Sabatelli: "Io, medico e cattolico spengo le macchine ai malati che lo chiedono". - Caterina Pasolini


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Mario Sabatelli - primario Gemelli - Roma

Fine vita. Per il primario del "Gemelli" il rifiuto delle cure per chi soffre di Sla non è eutanasia: "C'è un diritto a morire in tutta serenità, lo dicono la legge e la Chiesa".

ROMA. "Piergiorgio Welby e Walter Piludu? Fossero stati miei pazienti, avrei seguito le loro decisioni senza bisogno di tribunali. Perché il rifiuto delle cure non è eutanasia ma una questione di buona prassi medica. Già oggi la legge, la Costituzione e il codice deontologico lo consentono. Anche il Magistero della Chiesa è chiaro: non c'è un diritto di morire ma sicuramente un "diritto a morire in tutta serenità, con dignità umana e cristiana". Dopo la sentenza di Cagliari che autorizzava Piludu, malato di Sla, a vedersi togliere il respiratore sedato, andandosene senza soffrire, parla Mario Sabatelli, primario al Gemelli di Roma, un ospedale di forti tradizioni cattoliche. Guida "Nemo", il reparto all'avanguardia per i malati di sclerosi laterale amiotrofica: 10 letti,140 nuovi pazienti ogni anno, 250 in cura.

Scegliere allunga la vita?
"Sì. Lo vedo nella mia esperienza. I malati da noi sanno che potranno rinunciare al respiratore, quando per loro dovesse diventare intollerabile. Solo con questa sicurezza il 30 per cento accetta oggi la tracheotomia".

Chi deve decidere?
"Solo il malato può valutare se la ventilazione meccanica è trattamento proporzionato alla propria condizione e quindi non lesivo della propria dignità di vita. Chi accetta ha diritto ad essere assistito a casa, aiutato dalle istituzioni. Chi rifiuta ha diritto a morire con dignità".

Parla di abusi negli ospedali.
"Conosco il calvario di chi vive con la Sla, per questo trovo scandaloso che in molti pronto soccorso i medici si arroghino il diritto di intubare malati che hanno detto di no, o minaccino di mandarli a casa se non accettano la ventilazione forzata. Una follia. Il compito del medico è seguire le scelte del paziente, alleviare le sofferenze. Troppi non lo fanno per paura, ignoranza della Costituzione e dei documenti della Chiesa".

Qual è l'opzione?
"Tra morire senza dolore con una sedazione o accettare l'ausilio delle macchine. Con l'arrivo dei ventilatori portatili la scelta è tra una maschera collegata al macchinario, oppure la tracheotomia".

Scelta etica o medica?
"Sicuramente etica, dipende dalla visione esistenziale che ha il paziente, dalle sue idee, dalla sua persona. A noi medici spetta il compito di informarlo in modo approfondito. Al "Gemelli" studiamo un piano di cura coi malati, ascoltiamo i voleri di chi vive con un tubo in gola, un sondino per nutrirsi. Li seguiamo nel cammino, sino all'ultimo. Perché io non li lascio andare, non li lascio morire. Li accompagno sino alla fine. Mi assicuro che venga seguite la loro volontà e non soffrano".

Li addormenta e toglie il respiratore?
"Sì l'abbiamo fatto a pazienti che, stanchi di vivere immobili, attaccati alle macchine, hanno detto basta. Sono stati sedati profondamente e solo a quel punto spenta la macchina che soffiava aria nei polmoni. Sono morti senza dolore, dormendo".

C'è chi dice: è eutanasia.
"C'è una differenza abissale con l'eutanasia, sia negli obiettivi che nelle procedure. Qui parliamo di scelte terapeutiche, lo dice la legge, la Costituzione nell'articolo 32 sottolinea che nessuno può essere obbligato a subire cure. Sceglie il paziente e il rifiuto della respirazione forzata rientra nel consenso informato. Certo, il risultato finale è la morte, ma è cosa diversa dal dare un farmaco che provoca la fine. Sceglie la persona e il principio che ci guida è la proporzionalità".

Cosa dice la Chiesa?
"In un documento del 1980 c'è scritto: "È lecito interrompere l'applicazione di tali mezzi, quando i risultati deludono le speranze riposte in essi". Il medico deve assistere chi soffre, eliminare il dolore. Io, medico, riconosco il diritto a rifiutare la cura e assisto il sintomo, il senso di soffocamento, con la sedazione".

C'è chi parla di omicidio.
"Negli anni '50 Pio XII disse: "Compito del medico è lenire le sofferenze e se anche il farmaco dovesse accelerare la fine, il nostro obiettivo è togliere la sofferenza". Quindi la sedazione profonda è eticamente accettabile".

I malati decidono di morire?
"Le persone che rinunciano alle cure non decidono di morire, decidono come vivere. La vita è un valore inestimabile, ma bisogna farsene carico, aiutare le famiglie. Invece vedo malati di Sla, dalle cure costose e complesse, lasciati soli. Ci sono differenze enormi nella qualità dell'assistenza a seconda della città".

Manca una legge su fine vita?
"I cinque a cui abbiamo staccato i respiratori lo avevano chiesto a voce. Il problema è che aggravandosi molti, l'8 per cento, restano lucidi ma non possono comunicare. L'Aisla, l'associazione dei pazienti, sta lavorando a disposizioni anticipate di trattamento che consentano il rispetto della volontà quando non potranno dirla". Perché la legge è ancora un'utopia.


http://www.repubblica.it/cronaca/2016/12/08/news/mario_sabatelli_io_medico_e_cattolico_spengo_le_macchine_ai_malati_che_lo_chiedono_-153716849/

giovedì 9 marzo 2017

Accade oggi, appena dall'altra parte del mare. - Davide Enia


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quando ho visto sbarcare al molo Favaloro circa 400 ragazzine per lo più nigeriane - erano quasi le 2 di notte - un brivido mi ha azzannato la schiena. 
Erano infreddolite, quasi tutte scalze, spaesate. «È quello che penso?», chiesi a Paola ma lei era al telefono, in modalità viva-voce. 
Ascoltai quella telefonata. «Sono arrivate adesso», disse Paola. Stava parlando con un amico siciliano che si occupa proprio dei minori sbarcati. 
«Quante sono?», chiese l'amico. «Assai», rispose Paola. Inspirò con forza e aggiunse: «Hanno dodici, tredici, quattordici anni». All'altro capo, un silenzio di piombo. Poi, una sola parola: «Minchia». Non ci fu bisogno di aggiungere altro. La telefonata si concluse così. Lo avevamo capito tutti, su quel molo: erano merce. È la legge della domanda e dell'offerta. Era partita dall'Europa una richiesta di carne da marciapiede ed ecco un carico di ragazzine sui gommoni. Le ragazzine sul molo, confuse, si stringevano alla coperta termica e attendevano che capitasse loro ciò che sarebbe stato. C'era freddo quella notte di febbraio a Lampedusa. 

Quando si pensa a quanto sta accadendo oggi sul Mediterraneo, bisogna sempre tenere presente che quasi la totalità delle donne sono vittime di abusi sessuali nei carceri libici. Sono le visite ginecologiche ricevute dai nostri medici a dircelo, oltre alle evidenti ferite e mutilazioni di cui sono state vittime. Anche le bambine sono vittime di violenza sessuale. L'enorme quantità di ragazze incinte sui barconi è la stimmate del ripetuto stupro subito: la gravidanza, in un certo senso, le salva, perché la donna incinta si stupra con minore regolarità, allora viene messa sul barcone e la si affida al mare, ìdda e la sua pancia. Il dottor Bartolo me lo disse senza mezzi termini: «Manco all'armàli ci fanno i cose che fanno a i fimmini». Manco agli animali.
Accade oggi, appena dall'altra parte del mare.


https://www.facebook.com/davide.enia?fref=nf&pnref=story

Il castello dei pensieri leggeri. Meteo di venerdì 10 marzo. - Daniele Billitteri


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Un giorno che c'era vintazzo di scippare le balate d'in terra, mi trovavo a casa di mio nanno Peppino e stavo dietro il finestrone con la nasca appuiata al vetro. 
Mi piaceva perché col vintazzo il vetro tremava tutto e mi piaceva questa cosa che io sentivo come una scossa leggera sulla nasca. 
Mentre succedeva questo mi misi a pensare che il vento forte si porta una poco di cose: le foglie degli alberi, i canali dei tetti, qualche alberello sano sano, la rina del deserto e della spiaggia di Mondello ma pure quella di Fondachello che è fatta di pietruzze. 
E poi volano cappelli, paraqqui, sottane delle femmine. 
A quei tempi, infatti, si usavano le gonne lunghe ma scampanate e non c'erano ancora i collant. Così se arrivava un colpo di vento queste gonne si alzavano e uno ci poteva guardale le cosce alle signorine con le quasette dei seta con la riga e il reggicalze. 
Cosa di andarsi a chiudere subito nel cabinetto se uno aveva circaquasi 10/11 anni.


Fu allora che mi domandavi se per caso il vento, oltre che alle cose, si portava pure i pensieri e ci domandai a mio nonno. 
E ti pareva che lui non lo sapeva?
Prima di rispondermi andò a guardare fuori attraverso le scalette delle persiane chiuse poi andò nella sua poltrona preferita e si mise a contrastare con cuscino prima di sedermi e prendermi, come al solito, sulle ginocchia. Solo ora capisco che tutta quella pupiata gli serviva per prendere tempo e decidere che cosa mi doveva contare, come mi doveva rapire e portarmi nel suo mondo di fantasia. Mio nanno ci riusciva sempre.
“Picciriddu mio – mi spiegò – dipende da che pensieri sono. Perché se sono pensieri pesanti è difficile che il vento se li può portare perché stanno attaccati a noi come la gramigna che è un'erba maligna. E' difficile che il vento riesce a sollevare il pensiero di uno ce ci è molto un amico, tanto per dire, opure che ha perso il lavoro, opure che si sente di avere una malattia grave. Quelli sono pensieri che diventano meglio dei fratelli gemelli, meglio delle cozze”.


“Ma se i pensieri sono leggeri allora il vento se li porta in cielo dove c'è un castello troppo bellissimo fatto da un architetto pacioccone, un poco pazzo ma simpatico, Questo castello è fatto di aria e serve proprio a ospitare i pensieri leggeri, una specie di scuola dove questi pensieri possono abitare insieme e passare la iurnata a giocare. Così capita che c'è il pensiero della voglia di primavera dopo l'inverno, quello che, senza che nemmeno te ne accorgi, ti fa guardare spesso il cielo per vedere se stanno arrivano le rondini. O quello che ti fa passare sempre sotto il finestrone di quella ragazzina che ti piace assai, quella che tu dici che siete fidanzati. Ma lei ancora non lo sa. O quelli della mamma che la sera ti viene a rimboccare le coperte e ti dà un bacio, o quelli di un vecchio bacucco di nonno che ti cunta i cunti”.


“Nel castello dei pensieri leggeri, tutti questi pensieri fanno il girotondo, giocano a acchiana u patri cu tutti i so figghi, opure a Bella e Niente con le monete fatte di nuvole. E a una certa ora arriva una specie di slitta fatta pure lei di nuvole e arrivano le cose di mangiare. Ma che cosa mangiano i pensieri leggeri?”


“Io lo so, nonno. Lo so”.
“Sentiamo se lo sai per vero...”
“I pensieri leggeri mangiano una cosa dolcissima che si chiama speranza. Ed è l'unica cosa che li fa crescere belli e forti. Non è così nonno?”
“E bravo a me niputi. Ma allora i tuoi pensieri leggeri, quelli che se li porta il vento, tu li devi combinare come un aquilone così hanno un filo che li tiene collegati con te. Ma se si perdono non ti preoccupare. I pensieri leggeri sono sempre belli, dolci, amici e buoni”.
Naturalmente, castello a parte, aveva ragione lui. Di cui se domani avete pensieri leggeri, lasciateli al vento che ci sarà e sarà ancora bello robusto e settentrionale. Ma non porta nuvolo perché la pressione si alza e le temperature massime sono in salita. Di cui la giornata sarà ventosa ma buona. Per esempio potete fare lo stenning, Nel frattempo nel castello in cielo ci sarà una grande festa dove siete tutti immitati. Tante belle cose. Ventose.


https://www.facebook.com/daniele.billitteri/posts/10210001094877198

martedì 7 marzo 2017

“Memorie di Tiziano”: di Marco Travaglio



(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) 

https://www.nextquotidiano.it/marco-travaglio-intervista-alfredo-romeo/

Dobbiamo prepararci a porgere le nostre scuse a B. e all’avvocato Ghedini. Da anni sghignazziamo sulla loro linea difensiva in Mignottopoli, imperniata su quattro capisaldi: B. credeva che Ruby, marocchina, fosse nipote di Mubarak, egiziano; ad Arcore nessun bungabunga, solo cene eleganti; lui pagava la giovane prostituta perché non si prostituisse e le olgettine perché disoccupate a causa della sua persecuzione giudiziaria; e comunque è innocente perché fu al massimo l’utilizzatore finale delle mignotte. Ma ora, dinanzi alle difese di babbo Renzi e dei compagni di merende, dobbiamo cospargerci il capo di cenere: B. al confronto aveva un alibi di ferro. Anzi, di acciaio inox – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano nell’editoriale di oggi 5 marzo 2017, dal titolo “Memorie di Tiziano” –.Il padre pellegrino.

Il renziano Luigi Marroni, ad di Consip nominato da Renzi, racconta ai pm di aver incontrato babbo Tiziano che, con Carlo Russo, gli fece pressioni e ricatti per favorire Alfredo Romeo in un mega-appalto; e che ad avvertire i vertici Consip delle indagini furono i generali Del Sette e Saltalamacchia, il sottosegretario Lotti e il presidente di Publiacqua Vannoni (che conferma), così lui fece rimuovere dagli uffici le microspie piazzate due giorni prima e rovinò l’indagine. Ma babbo Renzi nega pressioni e ricatti, giura di non conoscere Romeo (invece il commercialista di Romeo parla di un pranzo fra i due in una bettola) e accusa Russo di “abuso del mio cognome”. Poi cala l’arma segreta: incontrò due volte Marroni, ma per parlargli della Madonna di Medjugorje e aiutarlo col parroco che lo guardava storto perché separato dalla moglie. La prima chiese a Marroni di “mettere una statua della Madonna di Medjugorje davanti all’ospedale pediatrico di Firenze”. La seconda, dopo oltre un anno di macerazione interiore, Marroni gli comunicò che “la statua non si poteva mettere per una questione di rispetto delle altre religioni”. Più che il padre del premier, il padre pellegrino: diceva ”Maria” e l’altro capiva “Romeo”; diceva “miracolo” e l’altro capiva “soldi”.

Mister Pirl.
Il 7 dicembre, tre giorni dopo la disfatta referendaria, Tiziano parte da Rignano in auto per l’aeroporto di Fiumicino: 300 km all’andata e 300 al ritorno per un colloquio di 40 minuti con Mister X nel parcheggio dell’area riservata. Al suo rientro, Russo viene chiamato da Roberto Bargilli detto Billy, già autista del camper di Matteo alle primarie 2012, ora assessore a Rignano, che gli dice a nome del “babbo” di “non chiamarlo e mandargli sms”. Gli investigatori deducono che Mr. X sia dei servizi o dell’Arma (ha accesso all’area riservata e a notizie riservate sulle indagini). E che sia incaricato di fornire al padre dell’ormai ex premier nuovi particolari su intercettazioni e pedinamenti per salvare lui, Russo & C. da guai peggiori. Tutti timori infondati. Tiziano infatti non c’entra con Marroni, Romeo e gli appalti: lui si occupa solo di Madonne e di parroci. Dunque Marroni si suicida sputtanando il padre di Renzi (che l’ha nominato), due alti ufficiali e un ministro di Gentiloni (che l’ha riconfermato) ed esponendosi al rischio di una raffica di querele per calunnia (che però non arrivano) e alla sicura cacciata (che però non arriva): il tutto per niente. Oppure, in alternativa, i vertici dell’Arma e l’allora sottosegretario Lotti si rovinano la reputazione (la carriera no, ci mancherebbe) per allertare la Consip sulle microspie appena piazzate e proteggere così quel sant’uomo del babbo dell’allora premier, sospettando (i malpensanti) che si stia occupando di affari e di tangenti, mentre quello è tutto preso dai pellegrinaggi mariani e dalle statuette della Vergine. E che dire di Mister Pirl che convoca d’urgenza il pio Tiziano per tappargli la bocca, ignaro del fatto che lui parla solo della Madonna di Medjugorje (che fra l’altro secondo il Vaticano neppure esiste)?

E che pensare di quel frescone di Romeo, convinto che babbo Renzi lo stia aiutando “ai massimi vertici politici” e si accinge a stipendiarlo con 30 mila euro al mese (più 5 mila a bimestre per il fido Russo), mentre il padre pellegrino si occupa solo dei massimi vertici celesti?

ProvinciaLotti.
Sentito in tutta fretta, a sua gentile richiesta, dai pm di Roma il 27 dicembre, il neoministro dello Sport Luca Lotti racconta un episodio davvero curioso occorsogli appena sei giorni prima. Il 21 dicembre, alle 6.30 del mattino, si trova alla stazione di Firenze davanti al Frecciarossa in partenza per Roma. E chi ti incontra, “casualmente”? Il presidente di Publiacqua Vannoni, amico suo e di Matteo, a sua volta in partenza per Napoli. I due non si vedono “da sei mesi”. Vannoni sta andando dai pm di Napoli a testimoniare sulla fuga di notizie Consip, ma a Lotti non lo dice, anche se non è un segreto. Nel pomeriggio Lotti è in un corridoio di Palazzo Chigi e chi ti reincontra? Vannoni. Toh, che combinazione: per sei mesi niente, poi due volte in un giorno, prima e dopo il pasto. Vannoni è lì per dirgli ciò che non gli ha detto al mattino: è stato dai pm. E per spifferargli il suo verbale che, a differenza della convocazione, è top secret: “Imbarazzato e concitato, Vannoni mi ha informato di aver riferito a Woodcock di aver ricevuto da me informazioni sulle indagini Consip; alle mie rimostranze circa la falsità di quanto affermato, ha ammesso di aver mentito e si è scusato imbarazzato”. Al che Lotti narra di avergli detto: “Non ti do una testata per rispetto del luogo nel quale siamo”. Cioè: per rispetto del luogo in cui sono, un ministro indagato per violazione del segreto minaccia un testimone che sta violando il segreto. Poi che fa? Si precipita in Procura a denunciare Vannoni per calunnia, o dal sindaco Dario Nardella per farlo cacciare da Publiacqua? Nossignori: sta fermo e zitto per due giorni, finché il 23 dicembre il Fatto gli rivela che è indagato. Allora scrive su Facebook che la notizia “non esiste”, poi chiede ai pm di esser interrogato perché la notizia esiste.

L’Insaputo.
Intanto, nel Giglio Fracico, c’è solo un uomo che non sa nulla: Matteo Renzi. Delle indagini Consip sanno suo padre Tiziano (e forse anche sua madre Lalla, al secolo Laura Bovoli, new entry dell’inchiesta grazie alla telefonata di Russo con Romeo su una Srl a cui destinare o meno certi soldi), l’amico Russo, gli amici Marroni e Vannoni, l’amico e finanziatore Romeo, probabilmente gli amici generali Del Sette e Saltalamacchia, persino l’amico Billy, autista del suo camper, ma nessuno gli dice mai nulla. Nemmeno il suo tesoriere Francesco Bonifazi, che ha incontrato Russo per parlare dell’eventuale salvataggio dell’Unità ad opera del solito Romeo. Nemmeno il tesoriere della sua fondazione Open-Big Bang (che raccoglie i finanziamenti alla corrente renziana e alla Leopolda, compresi quelli di Buzzi e quelli di Romeo), l’amico avvocato Alberto Bianchi, che lavora da quattro anni per la Consip per la modica cifra di 300 mila euro. E Matteo non è mica un tipo curioso, infatti non chiede nulla a nessun genitore né amico, nemmeno quando il Fatto racconta tutto. Che ragazzo riservato. Solo Vannoni sostiene che anche Matteo sapeva dell’inchiesta e gli disse di “stare attento a Consip”, ma chi potrebbe mai credere a un teorema così bislacco? Chi potrebbe mai sospettare che qualcuno dei suoi famigliari o fedelissimi parlasse con lui dell’indagine che avrebbe potuto segnare la fine prematura della sua carriera? Al massimo, sapeva ma a sua insaputa. Rovesciando il detto socratico: non sapeva di sapere.

Ps. Tutti i protagonisti del caso, grazie alla rocciosa credibilità delle loro versioni, restano al loro posto: Lotti ministro, Del Sette comandante generale dei carabinieri, Saltalamacchia capo dell’Arma in Toscana, Marroni a Consip, Vannoni a Publiacqua, Bargilli assessore del Pd a Rignano. Tutti, tranne i carabinieri del Noe che, avendo scoperto lo scandalo, non possono continuare a investigare un solo giorno di più.

Ieri la Procura di Roma, così distratta sulle fughe di notizie su Muraro, Marra, Raggi, Di Maio e Romeo (l’altro, Salvatore, quello delle polizze), li ha sollevati dall’incarico. Le indagini saranno trasferite, per competenza, a Medjugorje.

https://infosannio.wordpress.com/2017/03/05/memorie-di-tiziano-di-marco-travaglio/

lunedì 6 marzo 2017

Bancarotta Chil Post, “padre di Luca Lotti firmò l’ok al mutuo per Tiziano Renzi”. Nei giorni in cui Matteo fu eletto sindaco.

Bancarotta Chil Post, “padre di Luca Lotti firmò l’ok al mutuo per Tiziano Renzi”. Nei giorni in cui Matteo fu eletto sindaco

Secondo il quotidiano Libero, il 26 giugno 2009, 4 giorni dopo la vittoria dell'allora "rottamatore" alle elezioni comunali a Firenze, il funzionario della Bcc di Pontassieve Marco Lotti dava il primo parere favorevole alla concessione di un prestito da 697 mila euro alla società del papà del presidente del Consiglio. Che da primo cittadino assunse Luca e la moglie Cristina nella sua segreteria.

di  | 17 settembre 2015

Ventidue giugno 2009. Matteo Renzi diventa sindaco di Firenze. Nelle stesse ore la Bcc di Pontassieve, città dove vive la famiglia del presidente del Consiglio, concede al suo papà Tiziano un mutuo da 697mila euro. A firmare le carte è il funzionario della banca Marco Lotti, papà di Luca – oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio e braccio destro del premier – che poco dopo sarebbe diventato responsabile della segreteria del neo sindaco. Che avrebbe poi assunto nella sua segreteria anche Cristina Mordini, che di Luca Lotti è la moglie. 
E’ la ricostruzione fatta dal quotidiano Libero dei giorni in cui alla Chil Post, società del padre del premier, veniva concesso il prestito: oggi a Genova davanti al gip Roberta Bossi si teneva l’udienza preliminare per sciogliere la riserva sulla posizione di Tiziano Renzi, nelle vicende della società è indagato per bancarotta fraudolenta. Il 9 giugno il gip non aveva accolto la richiesta della Procura, che a fine marzo aveva chiesto che il padre del premier fosse scagionato.

Una storia di paese risalente al 2009, che con la veloce ascesa politica di Matteo Renzi assume rilievo nazionale. Tutto ruota attorno ad un muto concesso quell’anno alla Chil Post, fondata nel 1993 per la distribuzione di giornali e la realizzazione di campagne pubblicitarie e ceduta nel 2010 dalla famiglia del premier, da parte della Banca di credito cooperativo di Pontassieve. 

Dalle carte sul procedimento sul fallimento che Libero dice di aver letto, emerge il nome di Marco Lotti, ascoltato dalla procura di Genova come persona informata dei fatti. Ad attirare l’attenzione degli inquirenti è il ruolo avuto dall’uomo nella concessione del mutuo da quasi 700mila euro. Tutto ha inizio il 15 giugno 2009, quando la finanziaria regionale, la Fidi Toscana, firma la delibera con cui garantisce la copertura dell’80% del prestito. Una settimana dopo, il 22 giugno, Matteo Renzi vince le elezioni e diventa primo cittadino di Firenze: quel giorno la banca di Pontassieve apre l’istruttoria per l’anticipo di 697mila euro alla Chil.

Giusto 4 giorni più tardi, il 26 giugno, scrive ancora Libero, e Lotti senior dà il primo via libera: “Potremmo diventare la banca di riferimento del richiedente”, scrive il funzionario nel suo report vergato e firmato quel giorno. Tutto ciò accadeva “nel giugno del 2009, negli stessi giorni in cui il figlio Luca diventava il capo della segreteria politica di Matteo Renzi appena eletto sindaco di Firenze”, si legge in una nota firmata dal capogruppo di Fratelli d’Italia in Regione Toscana Giovanni Donzelli e diramata in seguito alle notizie pubblicate da Libero. Il 14 luglio Lotti scrive un secondo parere favorevole e il 22 arriva la delibera della banca per la concessione del muto e degli anticipi di cassa. Una manciata di giorni prima la segreteria del sindaco Renzi si era arricchita di un’altra professionalità: quella di Cristina Mordini, moglie di Luca Lotti.

Il paese è piccolo, ci si conosce tutti e quando si può ci si aiuta. Così, scrive ancora Libero, quando nel 2011 Tiziano Renzi ottiene di rimpiazzare l’ipoteca sulla casa di famiglia, tre amici dicono sì a versare 75mila euro in un libretto di pegno come garanzia: sono Alfio Bencini, candidato nel 2009 nella lista Renzi alle comunali, Mario Renzi, cugino di Matteo, e Andrea Bacci, ex socio di Tiziano e chiamato da Matteo nel 2006 a dirigere l’agenzia di comunicazione della provincia di Firenze e promosso nel 2009 presidente della Silfi, società comunale che si occupa di illuminazione. Nonché l’uomo che nel 2004 con la sua impresa edile ristruttura la villa del futuro sindaco a Pontassieve.

Aggiornamento dell’1 agosto 2016 – In data 30 luglio 2016 l’inchiesta per bancarotta a carico di Tiziano Renzi, nell’ambito del fallimento della Chil Post, è stata archiviata. Nelle motivazioni del gip del tribunale di Genova Roberta Bossi si legge che Renzi padre “non operò come socio occulto dopo la cessione del ramo d’azienda della Chil Post”. La bancarotta “fu determinata da altri” e “la cessione del ramo d’azienda non ha determinato la diminuzione del patrimonio ai danni dei creditori”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/17/bancarotta-chil-post-padre-di-luca-lotti-firmo-lok-al-mutuo-per-tiziano-renzi-nel-giorno-in-cui-matteo-fu-eletto-sindaco/2044580/

sabato 4 marzo 2017

Fossa comune in orfanotrofio cattolico, il caso che scuote l’Irlanda. - Luigi Ippolito

L’ingresso del sito dove è stata trovata la fossa comune (Reuters)
        L’ingresso del sito dove è stata trovata la fossa comune (Reuters)

Centinaia di sepolture non classificate di bambini. Chiusa l’indagine: il dna dei loro resti conferma che i bimbi avevano età comprese fra 35 settimane e 3 anni.

La Chiesa e i tabù
La Chiesa cattolica ha avuto una presa fondamentale sulla società irlandese per secoli e solo di recente sono stati rotti i tabù che impedivano di parlare di vicende dolorose. Si pensi al film Magdalene del 2002 in cui si raccontavano le angherie e i soprusi subiti in convento da ragazze rinchiuse lì perché “peccaminose”. O al più recente Filomena, del 2013, su una donna costretta ad abbandonare il figlio partorito in convento. Nel caso delle fosse comuni di neonati fa specie la mancanza di pietà umana e religiosa mostrata da istituzioni che si suppone fossero fondate sulla fede. Ora si è deciso di dare nuova, dignitosa sepoltura ai resti di tutti quegli innocenti.

Palermo: sfonda il portone con l'auto e finisce nella rampa delle scale.

Palermo: sfonda il portone con l'auto e finisce nella rampa delle scale
(foto di Igor Petyx)

Un automobilista ha scambiato l'ingresso del condominio per un garage. L'uomo, probabilmente ubriaco, ha abbattuto il portone d'ingresso ed è rimasto incastrato nella vettura fino a quando non è stato liberato. Per fortuna ha riportato lievi ferite. Nell'impatto ha distrutto la portineria ed è finito nella rampa delle scale, provocando vari danni. E' successo in via Nicolò Turrisi al numero 48 in pieno centro. Sono intervenuti i carabinieri, i sanitari del 118 e i vigili del fuoco. 

http://palermo.repubblica.it/cronaca/2017/03/03/foto/palermo_sfonda_il_portone_con_l_auto_e_finisce_nella_rampa_delle_scale-159698872/1/#1