lunedì 31 luglio 2017

Ater, cronaca di una crisi annunciata. Tra case in cambio di voti e affari dei clan, il 51% degli affitti non viene pagato. - Vincenzo Bisbiglia

Ater, cronaca di una crisi annunciata. Tra case in cambio di voti e affari dei clan, il 51% degli affitti non viene pagato

L’azienda regionale che gestisce le case popolari nella Capitale rischia il fallimento. Che potrebbe sfociare in un'ondata di sfratti. Colpa del maxi debito accumulato negli anni causa incassi mancati, canoni fermi a pochi euro al mese e tentativi di vendita delle abitazioni falliti. Per non parlare degli interessi criminali (nei quartieri di sud-est il cognome di oltre 40 assegnatari è Casamonica) e degli inquilini facoltosi che sfuggono ai controlli.

“Il problema di Ater? Pensa ancora di essere Iacp”. Tradotto: una società di diritto privato – seppure a capitale totalmente pubblico – che si comporta ancora come un istituto assistenziale del secolo scorso. E’ probabile che questa spiegazione, ricorrente fra i sindacati degli inquilini, possa riassumere in un colpo solo i mali endemici che hanno colpito l’Ater di Roma, l’azienda regionale che gestisce le case popolari nella Capitale, fino a spingerla in queste ore sull’orlo di un drammatico fallimento, non ancora scongiurato dall’intervento straordinario di garanzia operato dal suo socio unico, la Regione Lazio. Per i suoi 48.426 alloggi la società – commissariata dal dicembre 2015 – incassa esattamente la metà degli affitti dovuti (48,91% l’ultimo dato aggiornato), non riesce a vendere gli immobili che mette all’asta (sebbene i prezzi siano anche 5 volte più bassi di quelli di mercato) e conta una percentuale di inquilini “senza titolo” o “abusivi” pari a circa il 60% del totale, fenomeno in cui negli anni si sono insinuate le classiche clientele politiche e gli affari di clan criminali come i Casamonica e gli Spada.
MOROSITA’ E CORTE DEI CONTI.Il dato che salta maggiormente all’occhio è quello della morosità. I numeri ufficiali relativi al bilancio 2015 – quelli del 2016 non sono ancora disponibili – parlano di canoni non incassati per il 51,08%. Tradotto in denaro, a fronte di bollette emesse per 78,9 milioni di euro, gli inquilini corrispondono regolarmente appena 38,6 milioni, ben 40,3 milioni di differenza: in 10 anni sarebbero oltre 400 milioni persi per strada. 
I più indisciplinati sono i cosiddetti “occupanti senza titolo”, cioè chi non avrebbe diritto ad abitare quegli alloggi per motivi reddituali o per mancato rispetto delle graduatorie: ogni anno non versano nelle casse Ater ben 28,4 milioni contro i 34,8 milioni emessi in bolletta (84%). Più sostenibile, si fa per dire, la morosità degli utenti regolari (6,1 milioni, il 20,76%) mentre anche coloro che sono “in attesa di regolarizzazione” non pagano canoni per 4,9 milioni l’anno (41,21%). “Tra l’altro l’azienda – spiega Guido Lanciano, segretario dell’Unione Inquilini – ha la pessima abitudine di inserire in bolletta canone e utenze condominiali, per cui i morosi abituali finiscono per non pagare ne’ l’uno ne’ le altre”. Non solo. Sempre nel 2015, il tentativo di “aggredire le morosità” pregresse è miseramente fallito: su un importo di 25,3 milioni ne sono stati recuperati appena 2,3 milioni, più 4 milioni rateizzati. Uno “scandalo” che ha spinto il procuratore regionale della Corte dei ContiGuido Patti, a portare sotto processo contabile ben 20 fra i dirigenti che si sono alternati ai posti di comando dell’ente fra il 2011 e il 2015, contestando loro un presunto danno erariale di ben 24,6 milioni di euro (sarebbero state spedite soltanto 844 diffide contro le 5.486 posizioni critiche): soldi che i manager in caso di condanna potrebbero essere costretti a pagare di tasca loro
DIATRIBA SUI CANONI.Altro tema è quello dell’importo dei canoni. E’ opinione comune che la quota degli affitti fissati dalla Regione Lazio sia troppo bassa. Gli assegnatari più indigenti, infatti, corrispondono l’importo minimo di 7,75 euro, la traduzione delle vecchie 15.000 lire previste da una legge regionale risalente al 1987. Da allora i canoni non sono stati più aggiornati. Un alloggio medio fra quelli presenti nel patrimonio Ater misura circa 75 metri quadri, mentre il canone mensile medio è di 128 euro, valori validi anche per quartieri romani oggi di pregio come Monti (zona Colosseo), San Saba e Trastevere. Da un confronto fra i ricavi da canoni Erp e i valori di mercato (dati dell’Osservatorio immobiliare) si evince sulla città di Roma una “perdita/utilità sociale” di circa 280 milioni di euro. “Da tempo proponiamo di elevare il canone del 20-25% – sottolinea ancora Lanciano – fattore che consentirebbe all’azienda di respirare. Per i più indigenti non cambierebbe molto spendere 7,75 o 10 euro al mese”.
VENDITE FALLITE.
In una concezione moderna, l’obiettivo finale di un’azienda che gestisce l’edilizia residenziale pubblica dovrebbe essere la vendita: costruisco (o rigenero) e assegno con l’obiettivo di portare la famiglia in graduatoria all’acquisto dell’alloggio. Un meccanismo virtuoso che in Ater Roma non è mai iniziato. “Qui siamo fermi a Petroselli – ricorda Nicola Galloro, consigliere capitolino di centrosinistra ai tempi di Walter Veltroni – quando si toglievano i poveracci dalle baracche e si dava loro un tetto. Una grande stagione, fondamentale per la città, ma ora i tempi sono cambiati: le famiglie vanno aiutate ad emanciparsi”. Dunque, a un certo punto, l’Ater dovrebbe vendere, per monetizzare e tornare a investire. Eppure non ci riesce, nonostante i prezzi fissati siano a dir poco concorrenziali: in media appena 61.000 euro, quanto un privato chiede per un box auto in periferia. Basti pensare che nel 2015 l’azienda è riuscita ad “alienare” solo 283 alloggi, per un incasso di appena 17,2 milioni di euro e anche l’ultima maxi-vendita voluta dalla gestione commissariale è terminata con la cessione di 8 locali e 2 aree di proprietà. Si legge candidamente sulla relazione allegata al bilancio: “I quartieri in lavorazione presentano problematiche di tipo tecnico-catastale”, mentre “i reiterati tentativi di completare le vendite nei condomini costituiti non hanno dato i risultati sperati, trattandosi per lo più di utenza che non ha mostrato interesse all’acquisto’.
CAOS ICI E DEBITI
Il caos generato da anni di “gestioni allegre” e problematiche sociali non semplici da affrontare ha portato all’attuale, drammatica, situazione contabile. Ater Roma ad oggi conta debiti per 1 miliardo e 448 milioni di euro. Il cappio al collo è rappresentato dai 543 milioni di euro dovuti a Equitalia, che grazie alla rottamazionedel debito potrebbero scendere a quota 280 milioni. Ma Ater deve versare entro la mezzanotte del 31 luglio la prima rata da 65 milioni. In pratica, l’azienda non ha mai pagato (dal 2000 a oggi) Ici e Imu, sperando che il governo approvasse una legge che la esentasse, provvedimento che non e’ mai arrivato. “E’ un po’ iniquo – afferma ancora Lanciano – che si debba pagare la tassa sulla casa popolare e il costruttore che ha un alloggio sfitto non debba versare un euro”. Ma non è l’unica voce passiva a preoccupare chi gestisce i conti. Ci sono anche 734 milioni relativi alla “gestione speciale per opere in corso di realizzazione”: in pratica sono soldi prestati dal Comitato Edilizia Pubblica che sarebbero dovuti servire per costruire nuovi alloggi popolari e “opere di urbanizzazione socialmente rilevanti” ma che nel corso degli anni sono stati utilizzati nella spesa corrente come liquidità.
FATTORE CLAN E CRIMINALITA’
Naturalmente, per analizzare a dovere la questione Ater, non si può far riferimento solo alla lettura dei bilanci e alle analisi economiche. L’edilizia residenziale a Roma, infatti, è da decenni preda delle organizzazioni criminali della capitale, le quali – al netto delle singole illegalità – hanno dato vita a un vero e proprio mercato nero degli alloggi. Basti pensare all’operazione “Sub Urbe”, grazie alla quale la Dda di Roma sgominò una parte degli affari del clan Spada a Ostia, protagonista di sfratti “coatti”, usura e traffico di alloggi. Situazione simile a quella che si vive nei quartieri a sud-est di Roma, dove il cognome di oltre 40 assegnatari è Casamonica e il prezzo è quasi sempre quello base di 7,75 euro. Secondo i rapporti della Polizia Locale – che negli anni ha indagato e provare ad arginare i fenomeni di illegalità – gli interessi degli “zingari” (Casamonica, ma anche Spada e Di Silvio) si incrociano con i “napoletani”, varie famiglie camorristiche fuggite dalle faide anni ’80 e ’90 all’ombra del Vesuvio e stabilitesi nella periferia romana. “Non mi stupirei se trovassi qualcuno dei Casamonica in case da sessanta metri quadrati e con la Ferrari in garage”, affermava beffardo qualche anno fa l’attuale deputato Pd Stefano Esposito. Secondo la Guardia di Finanza, il “traffico di alloggi” nella Capitale si aggira sui 1.500 appartamenti.
LA POLITICA E GLI INQUILINI “FACOLTOSI”Ma non è solo questione di criminalità. Anche (o soprattutto) la politica, negli ultimi decenni e con tutti i colori politici, ha sguazzato nel far west delle case popolari a Roma. D’altronde il tetto – insieme al lavoro – è da sempre merce di scambio elettorale, specie fra le classi meno abbienti. “Sindacati e politica – denuncia a IlFatto.it Annamaria Addante, voce storica dell’Associazione Inquilini e Proprietari Ater – si sono spartiti da sempre la torta. Per anni ho denunciato i funzionari che hanno portato avanti il business delle occupazioni: davano le dritte per sfondare, poi prendevano mazzette e voti”. E nelle case ci finivano anche vip e personaggi “facoltosi”. Celebre il caso del quartiere San Saba, una delle zone più affascinanti del centro capitolino, dove un tempo furono costruiti alloggi destinati alle famiglie dei ferrovieri. Oggi, in quelle case popolari – è la stessa Ater a dirlo – ci vivono decine di avvocatimedicidiplomatici, professionisti e familiari di politici, i quali puntualmente, all’arrivo dei controlli, non si fanno trovare in casa. Celebre il caso dell’ex marito di Renata PolveriniMassimo Cavicchioli, venuto alla luce poco le elezioni regionali del 2010: l’uomo, esperto informatico ed ex sindacalista, venne sfrattato nel 2014 dalla casa in cui era nato e che aveva “ereditato” dalla madre scomparsa, ma che aveva anche più volte subaffittato.
COSA ACCADE SE FALLISCEIl quadro, dunque, è questo. Ma cosa accade se Ater fallisce (oggi o fra qualche mese)? La prima conseguenza è quella comune a tutte le aziende in default: si blocca il pagamento degli stipendi (circa 460 persone) e delle fatture ai fornitori, creando un primo serio problema all’amministrazione regionale. C’è però dell’altro. Se il socio unico (la Regione Lazio) non ripianasse i debiti e, in pratica, internalizzasse la struttura, ai creditori potrebbe essere consentito di aggredirne il patrimonio, prendendo in custodia i quasi 50.000 immobili e, attraverso il curatore fallimentare, procedere alla vendita. A quel punto, non ci sarebbe alcuno spazio per la trattativa politica: indigenti o no, regolari o no, agli inquilini potrebbe essere concessa una prelazione (a prezzi di mercato), la cui alternativa sarebbe solo la vendita all’esterno e, quindi, lo sfratto. Con conseguente disastro sociale.

Putin caccia 755 diplomatici americani da Mosca.

Vladimir Putin © EPA

Presidente russo, 'è venuto il momento di rispondere a Usa'.

Vladimir Putin caccia 755 diplomatici americani dalla Russia in ritorsione alle sanzioni contro Mosca approvate dal Congresso statunitense. L'annuncio del presidente russo conferma il pugno duro di Mosca e arriva nonostante il provvedimento non sia entrato ancora in vigore.
Il testo del progetto di legge e' infatti sul tavolo del presidente Donald Trump che, pur essendosi impegnato a firmarlo, ancora non lo ha fatto. "Ha detto chiaramente che lo farà" precisa il vice presidente Mike Pence, smorzando le critiche.
In un'intervista a Rossiya 1, Putin parla di pazienza esaurita: "abbiamo aspettato per un po'" un cambiamento e un miglioramento dei rapporti con gli Stati Uniti, "ma giudicando da tutto, se qualcosa cambierà non sarà a breve" afferma il presidente russo. I diplomatici americani dovranno lasciare la Russia entro l'1 settembre: a partire da quel momento gli Stati Uniti potranno contare al massimo 455 diplomatici nelle loro rappresentanze in Russia, cioe' esattamente quanti ne ha il Cremlino fra ambasciata e consolati americani.
''E' venuto il momento di mostrare agli Stati Uniti che non lasceremo le loro azioni senza risposta. Washington ha assunto posizioni che peggiorano i nostri rapporti bilaterali e possiamo mettere in campo anche altre misure per rispondere" aggiunge Putin, confermando le parole del vice ministro degli esteri Sergei Ryabkov. In un'intervista ad Abc, Ryabkov ha parlato di ''varie opzioni'' a disposizione di Mosca, senza sbilanciarsi sui dettagli. L'annuncio di Putin rappresenta un'escalation negativa nei rapporti con Washington, nonostante il dialogo ''costruttivo'' fra Trump e il presidente russo ad Amburgo a margine del G20.
Non è escluso che Mosca possa inasprire ulteriormente la sua ritorsione contro gli Stati Uniti per sanzioni ritenute ingiustificate. Sanzioni criticate duramente anche dall'Unione Europea. E accolte con scetticismo anche da Trump: il provvedimento approvato dal Congresso non impone solo sanzioni alla Russia, ma limita allo stesso tempo l'autorità del presidente su una loro eventuale abolizione. Pur non convinto Trump ha assicurato che firmerà il progetto, decidendo cosi' di non aprire un nuovo fronte di scontro con il Congresso sulla Russia, che già è al centro delle indagini che vendono coinvolto il presidente.

sabato 29 luglio 2017

Perchè protestiamo.

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Il problema della nostra continua protesta nei confronti di chi ci governa sta nei paradossi che compiono regolarmente legiferando.

Sta nel fatto che ci impongono cure che non vorremmo fare, ci impongono di tenere in vita ammalati senza speranza (accanimento terapeutico) e, nello stesso tempo, permettono alle fabbriche di veleni di continuare ad avvelenare l'aria che respiriamo, la terra che coltiviamo, l'acqua che beviamo; 
oltretutto, non fanno nulla per salvare la terra dal surriscaldamento globale, il mare dall'inquinamento e tanto ancora.
Il problema sta nel fatto che sono poco credibili, ed è per questo che ci sentiamo in diritto di dubitare di ciò che dicono quando legiferano volendoci far credere che lo facciano per il nostro bene.
Quando si legifera per il bene comune la cittadinanza vive bene, è soddisfatta.
Non non viviamo bene, non siamo soddisfatti e ci sentiamo oppressi dalle tasse che paghiamo senza ricevere nulla in cambio; 

se ne deduce, pertanto, che chi ci governa non legifera per soddisfare i nostri interessi, ma per agevolare chi gli permette di mantenere potere e prestigio.

Non ci sono alternative.

Primum Vivendi, deinde philosophari. - Marco Travaglio



Flavio Cattaneo non mi è mai stato particolarmente simpatico. L’ho attaccato duramente nel 2004, quand’era Dg della Rai berlusconiana che chiuse Raiot di Sabina Guzzanti (Rai3) dopo una sola puntata dedicata ai conflitti d’interessi di B., anche se poi si scoprì che il programma stava quasi più sulle palle alla sinistra che alla destra (il direttore di Rai3 Ruffini e la presidente Annunziata non mossero un dito). Ma confesso che il dibattito sulla sua buonuscita milionaria mi appassiona fino a un certo punto. È un bravo manager Cattaneo? Pare di sì, a giudicare dai risultati: ha fatto bene a Terna, ha fatto bene a Ntv (la società dei treni Italo), ha fatto bene a Telecom-Tim. Il mese scorso bastarono le prime indiscrezioni sulla sua cacciata dalla compagnia telefonica italo- francese (la controlla Vivendi di Vincent Bolloré), perché il titolo in Borsa perdesse 4 punti in un giorno: gli azionisti, soprattutto i fondi d’investimento internazionali, si fidano di lui. Poi quelle voci si rivelarono fondate e allora, per tranquillizzare i soci, Vivendi si affrettò a far circolare la leggenda che l’addio dell’Ad è concordato e consensuale: invece lo sanno tutti che un manager di quel livello non se ne va d’amore e d’accordo con la proprietà dopo appena un anno e mezzo. In caso di divorzio spontaneo, il suo contratto – ovviamente analogo a quello lasciato a Ntv – prevedeva una “penale” di 40 milioni: troppo alta? Può darsi, ma chi l’ha concessa doveva pensarci prima, quando firmò il contratto che, come per ogni top manager, anche per Cattaneo contemplava la possibilità del licenziamento senza giusta causa – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano nell’editoriale di oggi 28 luglio 2017, dal titolo “Primum Vivendi, deinde philosophari”.
In ogni caso, pare che Cattaneo uscirà con meno: circa 25 milioni lordi, inclusi i compensi legati ai risultati ottenuti. Per capire se la cosa deve impensierire noi comuni mortali, che quelle cifre non le vedremo mai neppure in cartolina, o se invece possiamo allegramente infischiarcene, dobbiamo porci una domanda: chi paga il conto? Se la Telecom fosse di Stato, il conto lo pagheremmo noi, dunque dovremmo preoccuparcene eccome. Ma dal 1999 la Telecom è privata: il governo D’Alema la vendette ai “capitani coraggiosi” Colaninno, Gnutti, Consorte & C., che poi la vendettero alla Pirelli di Tronchetti Provera, che poi la vendette alla spagnola Telefonica e ad alcune banche italiane, che poi la vendettero a Vivendi (che è pure azionista di Mediaset). Quindi la buonuscita a Cattaneo la pagano gli stessi privati che ne hanno decretato l’uscita: monsieur Bolloré&C.
I quali sborseranno un bel po’ di milioni di euro, in gran parte stranieri, su cui oltretutto il manager italiano pagherà le tasse in Italia. C’è però un aspetto che ci riguarda, come cittadini e consumatori italiani: quel che è accaduto, sta accedendo e accadrà nella principale compagnia telefonica italiana. Cioè esattamente ciò di cui i nostri giornaloni e giornalini, così appassionati al chissenefrega della liquidazione, non si occupano. E perché non se ne occupano, continuando a guardare il dito anziché la luna? Perché dovrebbero rispondere a qualche domandina semplice semplice. Perché Cattaneo lascia Telecom dopo meno di un anno e mezzo da quando arrivò lasciando Ntv, di cui è pure azionista? Nessuno lo ha spiegato. C’entra qualcosa l’ansia di compiacere Matteo Renzi che, dopo aver ostacolato la nomina di Cattaneo a Telecom tramite la Cassa depositi e prestiti dei soliti Costamagna &C, ha sabotato in ogni modo il piano di banda larga targato Tim per sponsorizzare anche con bandi di gara compiacenti quello molto più costoso (per le nostre tasche) targato Enel (società amica del Giglio Magico, ma totalmente neofita nel ramo telefonico), col risultato che, più che larga, la banda è lentissima? È vero, come ha scritto La Stampa, che Renzi detesta a tal punto Cattaneo da arrivare a protestare con Bollorè per le critiche della sua compagna, l’attrice Sabrina Ferilli, al Pd, al governo e alla controriforma costituzionale? È vero che le perquisizioni disposte nei giorni scorsi dalla Consob con 60 militari della Guardia di Finanza per sequestrare computer e caselle di posta elettronica nelle sedi dirigenziali Tim di Milano e Roma erano finalizzate a verificare il sospetto – affacciato da varie fonti interne al Gruppo – che i francesi tentassero di usare risorse di Telecom per sistemare i conti delle proprie società, proponendo acquisti di fiction e nuovi fornitori parigini “amici” e caldeggiando joint venture con il pericolante Canal Plus (alleanza guarda caso ufficializzata in contemporanea con l’annuncio dell’uscita di Cattaneo)?
E ancora: le Procure di Milano e di Roma si stanno interessando al caso per gli eventuali profili penali?
E il governo italiano non ha nulla da dire su un’azienda non più pubblica, ma comunque fra le più strategiche rimaste nel nostro Paese (65mila dipendenti), fra l’altro proprio mentre il presidente Emmanuel Macron interviene a gamba tesa nel libero mercato per bloccare i legittimi interessi di Fincantieri oltralpe? Possibile che i nostri politici, da sempre aggreppiati a Telecom per i loro giochetti, improvvisamente se ne freghino, anziché domandare una volta per tutte a monsieur Bollorè che ci è venuto a fare in Italia? Ha investito contemporaneamente sia in Mediaset (socio di minoranza) sia in Telecom (azionista di controllo): ora, a parte le supercazzole sulle “sinergie” fra i due gruppi rimaste nel libro dei sogni, che progetti ha, se ne ha? E, visto che se lo chiede persino la Consob: i francesi vogliono gestire Telecom nell’interesse della Telecom oppure di Vivendi? Non è affatto detto che le due cose coincidano.

giovedì 27 luglio 2017

Uguaglianza.

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Vuoi il vitalizio?
Concedilo a tutti, così non si potrà dire che esistono disparità di trattamento.
Vuoi una congrua buonuscita? Concedila anche agli impiegati comuni, affinché non si dica che esiste una disparità di trattamento.
Ricorda, inoltre, che la disparità di trattamento potrebbe anche essere dichiarata anticostituzionale....
Art. 3 della Costituzione:
"E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese."

Tratta, una vittima su quattro è minorenne.

 © ANSA

In Italia nel 2016 censite 1.172 vittime, quasi tutte di sesso femminile.

Il fenomeno della tratta e dello sfruttamento di minori nel mondo è largamente sommerso, ma i dati disponibili in 106 Paesi sono allarmanti. Su 63.251 casi rilevati, ben 17.710 (uno su 4) riguardano bimbi o adolescenti, con una larga prevalenza femminile (12.650). E' quanto emerge dal dossier "Piccoli Schiavi Invisibili 2017" di Save the Children. Il fenomeno è radicato anche nell'Ue, dove risultano almeno 15.846 vittime, di cui le donne sono il 76% e i minori il 15%.
Le principali forme di sfruttamento sono la prostituzione (67%) e il lavoro (21%) soprattutto in ambito agricolo, manifatturiero, edile, domestico e nella ristorazione. In Italia, nel 2016, le vittime di tratta censite e inserite in programmi di protezione sono state 1.172, di cui 954 donne e 111 bambini e adolescenti, in gran parte femmine (84%). Le vittime under 18 sono soprattutto nigeriane (67%) e lo sfruttamento sessuale rappresenta la maggioranza dei casi, con un andamento crescente.

Latina, scoperta enorme discarica di rifiuti tossici: 20 arresti.

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Nei pressi del sito decine di camion e macchinari utilizzati per il trasporto e lʼinterramento immediato delle sostanze pericolose.


La polizia ha scoperto una cava dismessa in provincia di Latina, trasformata in un'enorme discarica per rifiuti tossici. Nei pressi del sito decine di camion e macchinari utilizzati per il trasporto e l'interramento immediato delle sostanze pericolose. Una ventina di persone arrestate, accusate a vario titolo di far parte di un'associazione dedita al traffico illecito di rifiuti pericolosi.

I provvedimenti sono stati emessi dal giudice del tribunale di Roma su richiesta della Dda. In mesi di accertamenti, con intercettazioni e sistemi di videosorveglianza, i poliziotti hanno scoperto che a partire da marzo del 2016 l'organizzazione aveva trasformato una cava di pozzolana dismessa da anni in una enorme discarica dove far sparire le sostanze pericolose. I rifiuti arrivavano a bordo di decine di veicoli pesanti, anche di notte, e venivano immediatamente interrati con delle pale meccaniche, in modo da far sparire ogni traccia.

Al vertice dell'organizzazione che si occupava del trasporto e dello smaltimento dei rifiuti pericolosi, sostengono gli investigatori, c'era un romano di 53 anni e suo figlio 22enne. Risultano indagati numerosi imprenditori di Roma e Latina operanti nel settore dei rifiuti. Effettuati sequestri di società, quote societarie, abitazioni, fabbricati industriali e terreni per diversi milioni.


Chi pagherà per questo?
Se un'associazione dedita al traffico illecito di sostanze nocive non è mafia, che cosa è?