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sabato 29 luglio 2017

Primum Vivendi, deinde philosophari. - Marco Travaglio



Flavio Cattaneo non mi è mai stato particolarmente simpatico. L’ho attaccato duramente nel 2004, quand’era Dg della Rai berlusconiana che chiuse Raiot di Sabina Guzzanti (Rai3) dopo una sola puntata dedicata ai conflitti d’interessi di B., anche se poi si scoprì che il programma stava quasi più sulle palle alla sinistra che alla destra (il direttore di Rai3 Ruffini e la presidente Annunziata non mossero un dito). Ma confesso che il dibattito sulla sua buonuscita milionaria mi appassiona fino a un certo punto. È un bravo manager Cattaneo? Pare di sì, a giudicare dai risultati: ha fatto bene a Terna, ha fatto bene a Ntv (la società dei treni Italo), ha fatto bene a Telecom-Tim. Il mese scorso bastarono le prime indiscrezioni sulla sua cacciata dalla compagnia telefonica italo- francese (la controlla Vivendi di Vincent Bolloré), perché il titolo in Borsa perdesse 4 punti in un giorno: gli azionisti, soprattutto i fondi d’investimento internazionali, si fidano di lui. Poi quelle voci si rivelarono fondate e allora, per tranquillizzare i soci, Vivendi si affrettò a far circolare la leggenda che l’addio dell’Ad è concordato e consensuale: invece lo sanno tutti che un manager di quel livello non se ne va d’amore e d’accordo con la proprietà dopo appena un anno e mezzo. In caso di divorzio spontaneo, il suo contratto – ovviamente analogo a quello lasciato a Ntv – prevedeva una “penale” di 40 milioni: troppo alta? Può darsi, ma chi l’ha concessa doveva pensarci prima, quando firmò il contratto che, come per ogni top manager, anche per Cattaneo contemplava la possibilità del licenziamento senza giusta causa – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano nell’editoriale di oggi 28 luglio 2017, dal titolo “Primum Vivendi, deinde philosophari”.
In ogni caso, pare che Cattaneo uscirà con meno: circa 25 milioni lordi, inclusi i compensi legati ai risultati ottenuti. Per capire se la cosa deve impensierire noi comuni mortali, che quelle cifre non le vedremo mai neppure in cartolina, o se invece possiamo allegramente infischiarcene, dobbiamo porci una domanda: chi paga il conto? Se la Telecom fosse di Stato, il conto lo pagheremmo noi, dunque dovremmo preoccuparcene eccome. Ma dal 1999 la Telecom è privata: il governo D’Alema la vendette ai “capitani coraggiosi” Colaninno, Gnutti, Consorte & C., che poi la vendettero alla Pirelli di Tronchetti Provera, che poi la vendette alla spagnola Telefonica e ad alcune banche italiane, che poi la vendettero a Vivendi (che è pure azionista di Mediaset). Quindi la buonuscita a Cattaneo la pagano gli stessi privati che ne hanno decretato l’uscita: monsieur Bolloré&C.
I quali sborseranno un bel po’ di milioni di euro, in gran parte stranieri, su cui oltretutto il manager italiano pagherà le tasse in Italia. C’è però un aspetto che ci riguarda, come cittadini e consumatori italiani: quel che è accaduto, sta accedendo e accadrà nella principale compagnia telefonica italiana. Cioè esattamente ciò di cui i nostri giornaloni e giornalini, così appassionati al chissenefrega della liquidazione, non si occupano. E perché non se ne occupano, continuando a guardare il dito anziché la luna? Perché dovrebbero rispondere a qualche domandina semplice semplice. Perché Cattaneo lascia Telecom dopo meno di un anno e mezzo da quando arrivò lasciando Ntv, di cui è pure azionista? Nessuno lo ha spiegato. C’entra qualcosa l’ansia di compiacere Matteo Renzi che, dopo aver ostacolato la nomina di Cattaneo a Telecom tramite la Cassa depositi e prestiti dei soliti Costamagna &C, ha sabotato in ogni modo il piano di banda larga targato Tim per sponsorizzare anche con bandi di gara compiacenti quello molto più costoso (per le nostre tasche) targato Enel (società amica del Giglio Magico, ma totalmente neofita nel ramo telefonico), col risultato che, più che larga, la banda è lentissima? È vero, come ha scritto La Stampa, che Renzi detesta a tal punto Cattaneo da arrivare a protestare con Bollorè per le critiche della sua compagna, l’attrice Sabrina Ferilli, al Pd, al governo e alla controriforma costituzionale? È vero che le perquisizioni disposte nei giorni scorsi dalla Consob con 60 militari della Guardia di Finanza per sequestrare computer e caselle di posta elettronica nelle sedi dirigenziali Tim di Milano e Roma erano finalizzate a verificare il sospetto – affacciato da varie fonti interne al Gruppo – che i francesi tentassero di usare risorse di Telecom per sistemare i conti delle proprie società, proponendo acquisti di fiction e nuovi fornitori parigini “amici” e caldeggiando joint venture con il pericolante Canal Plus (alleanza guarda caso ufficializzata in contemporanea con l’annuncio dell’uscita di Cattaneo)?
E ancora: le Procure di Milano e di Roma si stanno interessando al caso per gli eventuali profili penali?
E il governo italiano non ha nulla da dire su un’azienda non più pubblica, ma comunque fra le più strategiche rimaste nel nostro Paese (65mila dipendenti), fra l’altro proprio mentre il presidente Emmanuel Macron interviene a gamba tesa nel libero mercato per bloccare i legittimi interessi di Fincantieri oltralpe? Possibile che i nostri politici, da sempre aggreppiati a Telecom per i loro giochetti, improvvisamente se ne freghino, anziché domandare una volta per tutte a monsieur Bollorè che ci è venuto a fare in Italia? Ha investito contemporaneamente sia in Mediaset (socio di minoranza) sia in Telecom (azionista di controllo): ora, a parte le supercazzole sulle “sinergie” fra i due gruppi rimaste nel libro dei sogni, che progetti ha, se ne ha? E, visto che se lo chiede persino la Consob: i francesi vogliono gestire Telecom nell’interesse della Telecom oppure di Vivendi? Non è affatto detto che le due cose coincidano.