martedì 1 ottobre 2019

Osterseen - Germania

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Il farmaco jolly che colpisce 29 tipi di tumori senza sapere dove si trovano. - Adriana Bazzi

Il farmaco jolly che colpisce 29 tipi di tumori senza sapere dove si trovano

È un nuovo modo di curare certe neoplasie: non in base all’organo dove hanno origine, ma a una mutazione genetica comune. Grazie al larotrectinib.

Colpisce 29 tipi i tumore diversi a prescindere da dove si trovano. È un farmaco «jolly» che gli esperti definiscono «agnostico» perché non «conosce» l’organo dove il tumore ha avuto origine, ma va a interferire con una precisa mutazione genetica che può, appunto, essere comune a molti tipi di neoplasie. Il farmaco si chiama larotrectinib, ha appena ottenuto il via libera dalla Commissione Europa per la sua commercializzazione (negli Stati Uniti è già stato autorizzato da qualche tempo). E a Barcellona, dove è in corso il congresso della Società Europea di Oncologia (Esmo), gli studi presentati hanno confermato la sua efficacia.

Adulti e bambini.
Il nuovo farmaco, orale e con pochi effetti collaterali, ha dato risultati, definiti «eccezionali» dalla comunità scientifica, in molti tipi di tumori solidi, 29 per l’appunto, sia degli adulti sia dei bambini, accomunati da questa alterazione genetica: fra questi, tumori del polmone, tiroide, melanoma, colon, sarcoma, tumori gastrointestinali, delle ghiandole salivari e fibrosarcoma infantile. Ha dimostrato efficacia anche nei tumori primitivi del sistema nervoso centrale e nei pazienti con metastasi cerebrali.

La fusione Ntrk.
Più nel dettaglio, le ricerche presentate a Barcellona hanno dimostrato una riduzione del 30 per cento della massa tumorale nel 79 per cento dei pazienti valutati (su un campione di 153) e nel 75 per cento di quelli con metastasi cerebrali, e la sopravvivenza media è superiore a tre anni. Una precisazione su questa alterazione genetica che il larotrectinib va a colpire (parliamo, dunque, di un farmaco a bersaglio molecolare): viene definita fusione genica di Ntrk (in pratica questa alterazione promuove la sintesi di proteine che favoriscono la proliferazione delle cellule e quindi del tumore), è rara, ma in Italia interessa circa 4mila pazienti ogni anno.

Terapia agnostica.
«Questo nuovo approccio “agnostico” - spiega Salvatore Siena, ordinario di Oncologia all’Università di Milano e oncologo all’Ospedale Niguarda - si focalizza direttamente sull’alterazione genica che promuove la crescita del tumore e che può essere comune a più tipi di neoplasia. La sfida oggi è riuscire a scoprire i pazienti che hanno questa alterazione genica, per poterli trattare al meglio, e per questo è necessario che siano estesi i test genetici capaci di identificare questa anomalia».

Il futuro.
Grazie a questo nuovo farmaco, ci troviamo di fronte a un cambiamento di paradigma nella cura dei tumori. Da un lato non si può più pensare solamente di studiare medicine indicate «per il tumore al polmone piuttosto che a quello del seno eccetera», ma occorre capire quali sono, appunto le alterazioni genetiche alla loro origine. E qui stiamo parlando ancora della cosiddetta terapia a bersaglio molecolare (i geni alterati o le proteine da loro prodotte che favoriscono la crescita tumorale). Accanto a questo, non dimentichiamocelo, si affianca l’immunoterapia dei tumori, l’altra superstar della ricerca cui anche questo congresso Esmo a Barcellona sta dedicando ampio spazio. E anche qui ci si focalizza sempre meno sulla sede del tumore, ma sempre di più sulla sue caratteristiche biologiche e sulla capacità del sistema immunitario di aggredirlo, quale che sia la sua sede. Come dire che gli organi, che l’anatomia ci fa conoscere, stanno perdendo la loro identità (almeno quando si parla di tumori) in favore di una visione che bada di più al «microscopico» e cioè a caratteristiche che hanno a che fare con processi comuni a diverse cellule e tessuti dell’organismo.

https://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/19_settembre_28/farmaco-jolly-che-colpisce-29-tipi-tumori-senza-sapere-dove-si-trovano-028736fa-e20e-11e9-a114-86d8f3deb29e.shtml?fbclid=IwAR2po--xyINJA1LZVDrrnjF2DUn7_5XiBGk1oO__lYWab8eqZFr4mcY4oMU&refresh_ce-cp

Presto quota 1000 per i voltagabbana di Camera e Senato. - Ilaria Proietti

Presto quota 1000 per i voltagabbana di Camera e Senato

Dai Responsabili di Razzi e Scilipoti agli Italiani Vivi: in tre legislature contati oltre 900 cambi di casacca.

È un fenomeno che pare inarrestabile: in poco più di dieci anni sono stati oltre 900 i cambi di casacca in Parlamento. E la cifra è destinata a salire sfondando agevolmente quota mille. Perché Matteo Renzi conta di poter vampirizzare ulteriormente il Pd a cui ha già sfilato 40 eletti tra cui l’ex capogruppo Rosato, la neo ministra Bellanova, il già tesoriere del Nazareno Francesco Bonifazi. Ma l’emorragia non è finita. L’ultima arrivata è Silvia Vono che si è trasferita nel gruppo Italia Viva dopo aver abbandonato i 5 Stelle che già erano dimagriti a causa delle espulsioni, 13 tra deputati e senatori solo dall’inizio della legislatura. Ma accanto agli epurati ora c’è che si guarda intorno: la Lega cerca di fare proseliti e non solo tra i 5 Stelle. Silvio Berlusconi teme che pezzi da novanta di Forza Italia, con il loro abbandono, diano il colpo di grazia al partito in calo vertiginoso nei sondaggi. Per molti azzurri è appetibile l’approdo nel Carroccio e in Fratelli d’Italia: il coordinatore azzurro dell’Emilia Romagna, Galeazzo Bignami con le Regionali alle porte è passato con FdI.
E che dire di Giovanni Toti? Per ora pochi azzurri lo hanno seguito nella avventura di “Cambiamo” ma la diaspora azzurra è iniziata da tempo, almeno dall’addio di Denis Verdini che qualche hanno fa ha fondato l’Alleanza Liberalpopolare-Autonomie. E da quello di Raffaele Fitto che aveva scommesso sul big bang berlusconiano e si era messo su il partito dei Conservatori & Riformisti. Dilettanti al confronto di Luigi Compagna che in Parlamento ci era entrato una prima volta con il Pli per poi passare all’Udc e via nel Popolo delle Libertà e di lì nella Federazione delle Libertà non prima di un passaggio nel gruppo Misto, in Grandi autonomie e libertà (Gal), in Area popolare, ancora in Gal, poi coi fittiani, al Misto e di nuovo a Gal.
Se Compagna ha fatto scuola pure gli altri ci hanno dato dentro: solo nella XVII legislatura (2013-2018) si è registrato un record di cambi di casacca: 566 che hanno coinvolto ben 347 parlamentari, il 36,53% degli eletti. “Il parlamentare è libero di cambiare partito e anche di votare come vuole, in dissenso dal suo gruppo. Ma, se lascia la maggioranza con cui è stato eletto per passare all’opposizione, o viceversa (caso molto più frequente), subito dopo deve decadere da parlamentare: perché ha tradito i propri elettori e ha stravolto il senso politico della sua elezione” aveva suggerimento Gustavo Zagrebelsky, con una proposta legislativa diversa dal vincolo di mandato, in un’intervista al Fatto. Ovviamente inascoltato.
Perché l’andazzo prosegue da tempo: nella XVI legislatura (2008-2013) le giravolte sono state un po’ meno (261 per 180 parlamentari coinvolti) ma di un certo rilievo: come dimenticare la pattuglia dei “Responsabili” di Razzi e Scilipoti che impallinarono il governo di Romano Prodi favorendo il ritorno di B.? “Io sono un fan, dipendente, anche schiavo, ma sì, mettiamoci pure schiavo di Berlusconi” si giustificò Antonio Razzi nel frattempo rieletto grazie ai voti di Forza Italia.
Ma c’è chi ha fatto di più: 11 parlamentari hanno battuto ogni primato, cambiando maglia sia nella XVI che nella XVII legislatura. Come nel caso di Dorina Bianchi eletta nel 2008 con il Pd poi passata nel Popolo delle Libertà. Una volta ricandidata con Berlusconi lo aveva infine abbandonato per il Nuovo Centro destra di Angelino Alfano. Ma poi nell’elenco c’è pure Linda Lanzillotta che partendo dal Pd dopo un lunghissimo giro era tornata nella XVII legislatura alla casa madre come pure Alessandro Maran.
Ancora: Benedetto Della Vedova. Onora fedelmente il motto caro ai radicali “rendetevi irriconoscibili senza timore di fare scandalo”: ha alle spalle due legislature in cui ha infilato l’elezione con Berlusconi, il passaggio con Futuro e Libertà di Gianfranco Fini per poi aderire al partito di Mario Monti che ha lasciato per il gruppo Misto: ora è deputato di +Europa per il futuro chissà.
Bruno Tabacci era invece stato eletto con l’Udc, con cui si era candidato nella XVI legislatura, per poi fare un percorso che lo ha portato a concludere la legislatura successiva con il Centro democratico: ora è di nuovo in Parlamento con +Europa non immune dal virus della scissione: Tabacci ha annunciato il divorzio da Emma Bonino.
Non gli è da meno Paola Binetti oggi eletta per Forza Italia ma che, andando a ritroso, si era unita a Alfano dopo aver abbandonato Scelta Civica. E prima ancora era passata all’Udc dopo aver salutato il Pd. Scatenando le ire dell’allora Rottamatore dem Matteo Renzi che a un certo punto sbottò contro di lei e gli altri che avevano traslocato: “Se uno smette di credere in un progetto politico, non deve certo essere costretto con la catena a stare in un partito. Ma, quando se ne va, deve fare il favore di lasciare anche il seggiolino”. Appunto.

Il piacere dell’onestà - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 1 Ottobre

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Questi giallo-rosa sono dei bei tipi. Hanno l’occasione storica di cambiare l’Italia con una manovra che non solo combatte per la prima volta l’evasione, ma rende pure conveniente pagare le tasse a chi non le paga, le taglia a chi le paga e manda in galera chi continua a non pagarle. Questo è il senso del “patto con gli onesti” lanciato da Conte a tutti gli italiani: agli onesti perché lo rimangano senza sentirsi i soliti fessi, pagando meno tasse; e ai disonesti che vogliono diventare onesti perché si mettano in regola a condizioni vantaggiose, prima che cali la mannaia giudiziaria.

Ma, anziché fare a pugni per intestarsi questa campagna, strapparsela di mano e metterci la faccia, i leader della maggioranza fanno a gara a prenderne le distanze, a lanciare ultimatum su Iva e manette, a fare gli schizzinosi. Renziani e pidini difendono le loro soglie d’impunità, che rendono impossibile arrestare (e pure scoprire, intercettare e processare) un evasore o un frodatore, anche se s’impegna allo spasimo per finire dentro. Il M5S, che pure ha l’ottima legge Bonafede bocciata da Salvini, insiste sui “grandi evasori”, come se i 110-150 miliardi all’anno di evasione non fossero la somma di operazioni di varia grandezza: quelle grandi verso i paradisi fiscali, quelle medio-piccole verso i materassi, le cassette di sicurezza, l’economia nera e i pagamenti in contanti. Perciò Conte vuole agire su più fronti con incentivi alle condotte virtuose e deterrenti a quelle viziose.

Il primo vizio è quello che fa dell’Italia l’ultimo paese Ue (persino dietro la Grecia) per pagamenti elettronici. Lo si combatte alzando un po’ l’Iva (dell’1-1,5%) a chi paga in contanti e abbassandola (sotto le soglie attuali) a chi paga con carta, previa garanzia di commissioni bancarie gratuite sotto una certa soglia. Chi non ha la carta di credito o il bancomat basterà che vada alle Poste, anche per la pensione, e chieda una prepagata a costo zero; o, se naviga online, usi una app ad hoc. Così l’Iva non aumenterà per nessuno, salvo per chi se la aumenta da solo ostinandosi a pagare in contanti.

La seconda mossa è quella delle detrazioni fiscali sulle prestazioni da lavoro autonomo, sia a chi le fa sia a chi le riceve: se posso detrarre dalle tasse i lavori dell’idraulico, dell’operaio o dell’elettricista e anche qualche cena al ristorante, avrò interesse a chiedere la fattura o la ricevuta al professionista, che ci guadagnerà anche lui; e, se rifiuta, rischierà non solo la galera, ma anche la concorrenza dei colleghi pronti ad accettare. Un politico degno di questo nome si vanterebbe con gli elettori di questa rivoluzione e rischierebbe persino di guadagnarci dei voti: cosa vogliono di più, questi giallo-rosa?

lunedì 30 settembre 2019

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 30 Settembre:

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Di Papi in figlio/1. “Posso dire che secondo me Berlusconi non voleva uccidere Maurizio Costanzo, o è lesa maestà?” (Matteo Renzi, deputato Italia Viva, 28.9). Deve averglielo detto Silvio, quindi è vero.

Di Papi in figlio /2. “Ho sognato che Berlusconi era mio padre” (Stefano Accorsi, attore protagonista di 1994, 19.9). Dev’essere un’epidemia.

Pisalvini/1. “Sulla giustizia il primo governo Conte è stato un incubo su prescrizione, durata dei processi, intercettazioni, criteri di nomina del Csm” (Giuliano Pisapia, eurodeputato Pd, Repubblica, 29.9). È quello che dicevano anche Salvini e la Bongiorno.

Pisalvini/2
. “Diritti, subito le leggi. Decreti sicurezza e cittadinanza ai nuovi italiani, i 5Stelle rompano con il passato” (Pisapia, ibidem). È quello che spera ardentemente anche Salvini.

Colpa di Virginia/1. “Rifiuti e degrado, il turismo frena. Per Natale occupato solo il 60% degli hotel: ‘Città senza eventi e poco accogliente’. ‘Topi, borseggiatori e abusivi’. Gli stranieri bocciano la Capitale” (Il Messaggero, 9.12.17). “Allarme Onu: troppi turisti. Roma tra le città a rischio” (Il Messaggero, 23.9.19). Se i turisti calano, è colpa della Raggi. Invece, se aumentano, è colpa della Raggi.

Colpa di Virginia/2. “L’alleanza impossibile tra il Pd e Raggi: ‘Ha rovinato Roma’” (Repubblica, 26.9). Giusto: aridatece Mafia Capitale.

Colpa di Virginia/3. “Spazzatura, degrado e topi: Parigi città più sporca d’Europa. Attacco alla sindaca socialista” (Libero, 24.9). Pure Parigi ha rovinato, ’sta Raggi.

Fake news di gruppo. “Prima delle elezioni Di Maio era stato mandato a fare un Governo esclusivamente da solo” (Luca Bottura, Repubblica, gruppo Gedi, 27.9). “Si immagini, Di Maio, un partito nel quale un capo politico si presenta alle elezioni dicendo mai alleanze” (Mattia Feltri, La Stampa, gruppo Gedi, 27.9). “Se alle elezioni dovessimo ottenere il 40%, potremmo governare da soli. Se non dovessimo farcela, la sera delle elezioni faremo un appello alle altre forze politiche presentando il nostro programma e la nostra squadra. E governeremo con chi ci sta” (Luigi Di Maio, capo M5S, prima delle elezioni, Circo Massimo, Radio Capital, gruppo Gedi, 18.12.2017). Ma quelli delle fake news non erano i 5Stelle e i nemici delle fake news quelli di Repubblica e Stampa?

L’oltrista/1. “Chi ha problemi va dallo psicologo o si iscrive ai 5Stelle. Di Maio è un falso big” (Gelsomina Vono, senatrice M5S passata a Italia Viva di Renzi, il Giornale, 27.9). Lei, quando si iscrisse e si candidò con i 5Stelle e fu eletta grazie al falso big, che problemi aveva, a parte la labirintite?

L’oltrista/2
. “Io sono oltre i partiti, oltre le ideologie, le casacche. Oltre le barriere… Oltre Salvini, oltre anche Di Maio” (Vono, il Fatto, 28.9). Ma soprattutto oltre la decenza.

Anti, cioè pro
. “Alzare le pene non serve a evitare l’evasione” (Alfredo Bazoli, capogruppo Pd in commissione Giustizia, il Fatto, 26.9). Giusto: per combattere davvero l’evasione, bisogna renderla obbligatoria e poi premiarla.

La pulce con la tosse. “… È necessario mobilitare tutte le energie. Quelle di chi non si rassegna a fare della nostra casa uno tra i tanti soggetti di un centro-sinistra ‘col trattino’. Quelle dei tanti che, come me, non sono ‘ex’ di nulla, per i quali il Pd è stato il primo e unico partito… Insieme a tutte queste persone, che con le loro idee e la loro energia hanno scelto, come me, di rimanere nel Pd, abbiamo ancora moltissimo da dire e da dare alla nostra comunità. Per farlo credo sia necessario dare vita a un primo nucleo di una nuova area politica, che si chiamerà ENERGIA DEMOCRATICA. Già nelle prossime settimane incontreremo in giro per i territori i tanti militanti e iscritti che mi hanno e ci hanno contattato chiedendo un riferimento e un confronto… Con loro lavoreremo per costruire una rete e formulare una proposta politica che spero – anzi, ne sono certa! – potrà essere utile a tutto il Partito Democratico in questo momento così cruciale” (Anna Ascani, sottosegretaria Pd all’Istruzione, Facebook, 29.9). Asca’, magna pure tranquilla.

Il titolo della settimana. “La P4 non c’era: imputati tutti assolti” (Luigi Bisignani, Libero, 27.9). A parte Alfonso Papa, appena miracolato dalla prescrizione in appello dopo la condanna a 4 anni e mezzo in primo grado, ci sarebbe un certo Luigi Bisignani, che al processo P4 ha patteggiato 1 anno e 7 mesi per 10 capi di imputazione, tra cui associazione per delinquere, favoreggiamento, rivelazione di segreto e corruzione. Pensate: la P4 non esisteva, Bisignani era innocente, ma lui non lo sapeva.


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Riforma giustizia, Bonafede: “Prescrizione? Niente melina. Disposto a incontrare Renzi. E mi interessa il confronto con Pietro Grasso”. - Luca De Carolis

Riforma giustizia, ministro Bonafede: “Prescrizione: niente melina. Disposto a incontrare Renzi”

Alfonso Bonafede - Il Guardasigilli del M5S: “Col Pd partiamo da posizioni differenti, ma non accetto che si perda tempo sulla riforma della giustizia”.


Il ministro che è rimasto dov’era doveva ripartire da lì, dalla sua riforma della giustizia: “Uno dei motivi per cui Matteo Salvini ha fatto saltare il governo è stato quello di fermarla”.
Venerdì scorso, il Guardasigilli Alfonso Bonafede, numero due di fatto del M5S, si è ritrovato a Palazzo Chigi con un altro alleato di governo, il Pd, a misurare la distanza su prescrizione e riforma del Csm. Mentre quello rimasto fuori, Matteo Renzi, gli ricordava che dovranno comunque passare da lui per varare qualsiasi legge.
Uscendo da Palazzo Chigi, lei si era mostrato molto soddisfatto sull’incontro con i dem. Ma poi il Pd ha diffuso comunicati critici sulla sua riforma della prescrizione. Spiazzato?
B. - Non esiste alcun problema sulla prescrizione. Noi e il Pd partiamo da posizioni differenti sul tema, ma quelle sono norme già approvate, che entreranno in vigore a gennaio. Io e gli esponenti democratici siamo stati invece pienamente d’accordo sul varare una legge delega per una riforma che dimezzerà i tempi dei processi penali e civili.
Tanti dem hanno parlato contro la prescrizione: il problema esiste.
B. - Non capisco perché se ne continui a parlare. E comunque io non accetto che qualcuno possa fare melina sulla riforma per poi magari dire a dicembre che esiste un nodo sulla prescrizione. Lavoriamo per ridurre i tempi dei processi.
Conferma che la riforma verrà spacchettata in due leggi delega?
B. - Potrebbe accadere, per permettere al Parlamento di valutare tutto nel modo giusto. La riforma penale e del Csm e quella civile partirebbero in contemporanea in due rami differenti del Parlamento. Ma la priorità sarà approvare entro il 31 dicembre la riforma penale.
Prima della prescrizione, perché non si sa mai…
B. - Guardi, un fatto che nessuno ricorda mai è che i primi effetti processuali della riforma sulla prescrizione entreranno in vigore non prima di quattro anni. Con le nuove norme elimineremo un’isola di impunità, innanzitutto per i colletti bianchi, ed è doveroso nei confronti di persone come i familiari delle vittime della strage di Viareggio.
La nuova prescrizione non piace neanche a Renzi. Non lo avete invitato al tavolo, ma con lui dovrete parlare.
B. - Intendo incontrare gli addetti ai lavori e tutte le forze di governo, prima che la riforma della giustizia arrivi in aula. Per esempio mi interessa molto confrontarmi con Pietro Grasso di LeU.
È disposto a incontrare anche Renzi?
B. - Certamente.
La riforma della prescrizione non convince neanche il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura David Ermini. Soprattutto, è assolutamente critico al sorteggio per i membri del Csm. E venerdì su questo le ha detto no anche il Pd.
B. - È suo diritto esprimere perplessità, ma il punto principale è che la riforma del Consiglio non è contro i magistrati, bensì contro le degenerazioni del correntismo. Io ho difeso le istituzioni e la magistratura quando è scoppiato lo scandalo del Csm, e dal vicepresidente mi aspetterei un atteggiamento positivo, perché è innegabile che ci siano cose da cambiare.
Sul sorteggio sono critici anche tanti addetti ai lavori. E, insisto, il Pd. Lei stesso ha parlato di “divergenze”.
B. - I democratici sollevano un problema di legittimità costituzionale del sorteggio. So che questo aspetto è stato posto da altri, e lo valuteremo assieme. Continuo a pensare che sia una misura giusta, ma l’essenziale è riformare il Csm, cancellando le porte girevoli tra politica e magistratura. È un pacchetto di norme molto ambizioso, e chi lo ostacola rischia di difendere un sistema malato.
Lei è in un governo di cui fa parte Luca Lotti, al centro del caso del Csm. Non è un problema politico che la pone a disagio?
B. - Non parlo di inchieste o di singoli elementi di altre forze politiche. Io valuto quello che mi arriva sul tavolo. Il Pd era consapevole del patto di governo sottoscritto con il M5S, dove tra i punti c’è anche l’esigenza di interrompere i rapporti tra politica e magistratura. I democratici non possono avere dubbi su questo. Anzi, la riforma della giustizia rappresenta un’occasione per eliminare qualsiasi tipo di equivoco sull’argomento.
Invece il Renzi che difende Berlusconi che equivoci genera? Ha detto che a Firenze lo hanno indagato senza prove. Grave, non pensa?
B. - Non mi interessa rispondere a un singolo senatore. Da quando sono ministro però ripeto che la politica deve rispettare la magistratura, a maggior ragione quando si tratta di magistrati che indagano su mafia e terrorismo, mettendo a rischio la propria vita per servire lo Stato.
Torniamo alla trattativa con il Pd. Lei ha bloccato la riforma delle intercettazioni del precedente ministro della Giustizia, quell’Andrea Orlando con cui ora deve trattare. Un problema in più?
B. - Ma no. Venerdì non abbiamo parlato di questo, ma ci confronteremo. Le intercettazioni sono uno strumento fondamentale per la lotta alla corruzione e alla criminalità. Vanno tutelati tutti gli interessi in gioco, a partire da quello alla privacy, e quella riforma pregiudicava per esempio il diritto alla difesa e la qualità delle registrazioni perché i magistrati venivano estromessi nella prima parte delle indagini.
Promettete da tempo il carcere per i grandi evasori. Darete corpo alle promesse, e come?
B. - Certamente, anche se dobbiamo ancora decidere lo strumento. Di certo verranno rideterminate le soglie di punibilità, abbassandole.
Manettari, diranno. E magari hanno ragione…
L’intenzione è colpire persone condannate in via definitiva.
Chi sbaglia deve pagare.

“Dai pentiti a Graviano. Perché vanno indagati Berlusconi e Dell’Utri”.

“Dai pentiti a Graviano. Perché vanno indagati Berlusconi e Dell’Utri”

Settembre 2017 - Davanti alla Commissione parlamentare antimafia il pm Di Matteo spiegò come sono nati i sospetti sui fondatori di Forza Italia per le stragi del 1992-’93.


- Giorni fa gli avvocati di Silvio Berlusconi hanno depositato al processo d’appello per la Trattativa Stato-mafia, per il quale Marcello Dell’Utri è stato condannato in primo grado a 12 anni, la documentazione secondo cui il leader di Forza Italia è indagato a Firenze nell’inchiesta sui mandanti occulti delle stragi del 1993. Matteo Renzi si è detto “attonito”. Secondo lui “sostenere 25 anni dopo, senza uno straccio di prova, che egli sia il mandante dell’attentato mafioso contro Maurizio Costanzo significa fare un pessimo servizio alla credibilità delle istituzioni italiane”. Ecco alcuni motivi per cui dovrebbe essere un po’ meno sorpreso.
Commissione parlamentare antimafia, seduta del 13 settembre 2017, dall’audizione del pm Nino Di Matteo.
Di Matteo: Nell’ultimo periodo, anche grazie a indagini da me e da altri colleghi condotte a Palermo, sono emersi a mio avviso importanti elementi di prova che indicano ulteriormente che la strage (di via D’Amelio, ndr) non fu solo una strage di mafia. Però, proprio in questo momento – e temo che non sia un caso – il dibattito e l’attenzione, invece di concentrarsi sulla necessità di ulteriori approfondimenti in tal senso, si orientano a screditare e delegittimare il mio lavoro e la mia professionalità. (…)
Si finge di dimenticare – e comunque da più parti sistematicamente si ignora – che tra il cosiddetto “via D’Amelio bis” e, ancora più importante, il cosiddetto “via D’Amelio ter” ben ventisei imputati sono stati condannati definitivamente per concorso in strage, nella strage appunto di via D’Amelio. Nel Paese che purtroppo è stato definito “il Paese delle stragi impunite” non mi pare, quello dei ventisei ergastoli definitivi, un risultato irrilevante. Attenzione: ventisei imputati per cui l’affermazione di responsabilità per strage è stata confermata fino alla Cassazione e mai minimamente messa in discussione, neppure dopo le acquisizioni più recenti, che partono dalla collaborazione di Gaspare Spatuzza. Ventisei condanne definitive: non sono stati venticinque anni persi nella ricerca della verità. Il processo di revisione ha riguardato, per quanto concerne le accuse di strage di imputati del cosiddetto “via D’Amelio bis”, sette posizioni. Nessuno dice, nessuno ricorda un dato di fatto che potete facilmente controllare: già all’esito del processo di primo grado di quel troncone “via D’Amelio bis”, sentenze di primo grado del 13 febbraio 1999, sei dei sette soggetti successivamente revisionati erano già stati assolti dalla Corte d’assise di primo grado. Nessuno ricorda, tutti fingono di dimenticare che per tre posizioni di quelle sei erano stati gli stessi pm a chiedere l’assoluzione. (…)
Io ho seguito, tra i processi per la strage, un solo processo dall’inizio delle indagini alla conclusione della sentenza di primo grado: il cosiddetto processo “via D’Amelio ter”. (…) In quel processo sono state irrogate venti condanne per concorso in strage. Quel processo (…) prescinde completamente e assolutamente dalle dichiarazioni di Scarantino Vincenzo. In quel processo, Scarantino Vincenzo non è stato chiamato neppure a testimoniare. (…)
Così parlò Cancemi.
Quella è la sede processuale in cui il pm – all’epoca era un giovane pm che da allora fino a oggi ha cambiato la sua vita ed è costretto a vivere in un certo modo – ha fatto emergere, tra le altre, le piste che portano al possibile collegamento tra l’accelerazione della strage di via D’Amelio e la trattativa Ciancimino-Ros dei carabinieri. Quella, signor presidente, è la sede processuale dove per la prima volta Salvatore Cancemi, un pentito già appartenuto alla commissione provinciale di Cosa nostra, quindi a quella che giornalisticamente viene chiamata “cupola”, in quattro estenuanti udienze affermò che nello stesso contesto temporale – giugno 1992 – nelle stesse riunioni in cui Riina, di fronte agli altri membri della commissione, si assumeva la responsabilità e la paternità di uccidere subito, a meno di sessanta giorni di distanza da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino… Cancemi ha dichiarato in quella sede processuale che in quel momento, in quelle riunioni in cui Riina si assumeva la responsabilità di fare un’altra strage a meno di due mesi da quella di Capaci, citava Berlusconi e Dell’Utri come soggetti che bisognava appoggiare ora e in futuro, e rassicurava gli altri componenti della cupola dicendo che fare quella strage sarebbe stato alla lunga un bene per tutta Cosa nostra, anche per i soggetti già all’epoca detenuti.
Questi sono due degli spunti che ho voluto citare, ma ce ne sono tanti altri, che sono stati alimentati anche recentemente – in particolare il secondo spunto che vi ho detto – da numerose altre acquisizioni che (questo però è il mio avviso) dovrebbero portare a una immediata riapertura delle indagini sui mandanti esterni a Cosa nostra e a un rinnovato impegno collettivo di tutte le Istituzioni nel senso del completamento del percorso di ricerca della verità. (…)
Ancora, presidente, c’è Salvatore Cancemi. Ecco quali sono i tanti spunti. Dal 1993 al 1996, nel momento in cui – credo unico tra i collaboratori di giustizia all’epoca – era sotto la protezione diretta, materialmente custodito, presso una caserma del Ros dei carabinieri… Quando facevamo le citazioni per interrogarlo, non le facevamo tramite il Servizio centrale di protezione, ma il Ros dei carabinieri, non di sua spontanea iniziativa – bisogna dire le cose come stanno – aveva ricevuto personalmente dai procuratori di Caltanissetta Tinebra e di Palermo Caselli l’incarico di custodire materialmente Cancemi. Cancemi viveva al Ros. Dal 1993 al 1996 dice di non sapere nulla della strage di via D’Amelio. Dopodiché, nel 1996 ci chiama e ci dice che aveva partecipato alla strage e, la mattina, ai pedinamenti degli spostamenti del dottor Borsellino. (…) Lui aveva sempre detto che Raffaele Ganci, un altro componente della cupola, gli aveva riferito che Riina aveva parlato con persone importanti e che aveva le spalle coperte da persone importanti. Continuo a chiedere quella cosa e lui risponde, per la prima volta, dicendo: “Ricordo una riunione a casa di Girolamo Guddo, nel giugno del 1992, tra Capaci e via D’Amelio, quando Riina ci disse: ‘Adesso dobbiamo mettere mano – così si esprimono – all’eliminazione del dottor Borsellino’”. Qualcuno degli esponenti chiese: “Perché in questo momento?”. Vi ricorderete tutti che, dopo la prima iniziale reazione che portò al decreto legge 8 giugno del 1992, con l’introduzione del 41-bis, in Parlamento stava maturando chiaramente, e se ne aveva conoscenza da parte dei giornali, una maggioranza contraria alla conversione in legge di quel decreto istitutivo del 41-bis.
Qualcuno a Riina fece notare che fare un’altra strage a ridosso avrebbe comportato delle conseguenze negative, con l’espressione plasticamente raccontata da due collaboratori di giustizia che c’erano alla riunione, Cancemi e Brusca, che Ganci Raffaele utilizzò nei confronti di Riina, dicendo: “Ma che dobbiamo fare, la guerra allo Stato ?”. Riina disse: “La responsabilità è mia. Si deve fare ora. Sarà un bene per Cosa nostra”. Secondo Cancemi, in quel momento avrebbe detto: “Ora e in futuro noi dobbiamo sempre appoggiare Berlusconi e Dell’Utri. Dobbiamo fare riferimento a queste persone. Cosa nostra ne avrà dei benefici”. Signor presidente, mi permetto semplicemente di dire questo a proposito dell’insabbiamento, della Procura para-massonica e via discorrendo. Eravamo due giovani magistrati in particolare all’epoca, io e il dottor Tescaroli, che con quelle dichiarazioni abbiamo chiesto, ottenuto e sostenuto – non siamo stati i soli, perché alcuni magistrati ci appoggiarono – davanti al procuratore capo, dottor Tinebra, che… Adesso, purtroppo, non può confermare, perché è morto. Mi dispiace citare certi particolari, ma è storia. Venne alla riunione con il quotidiano Il Giornale, che in prima pagina titolava “Le balle di Cancemi”. Noi pretendemmo che venissero iscritti per concorso in strage Berlusconi e Dell’Utri, i quali vennero iscritti con i nomi di copertura, a tutela del segreto, che infatti resse per moltissimo tempo, non mi ricordo se Alfa e Beta o Alfa e Omega. Facemmo delle indagini e delle deleghe di indagini che venivano firmate esclusivamente dai due giovani magistrati della Procura, Di Matteo e Tescaroli. Con riguardo agli spunti, non voglio… anche se ho sempre la tentazione di evidenziare le cose che emergono e che riguardano la competenza soprattutto di Caltanissetta e Firenze.
“Il piano per uccidermi”
Con riguardo ai mandanti esterni, prima di passare all’argomento credo più importante, ricorderò sempre il dato che poi è stato ripetuto processualmente anche da un collaboratore di giustizia più recente, Vito Galatolo. Si tratta di quel soggetto, appartenente a una famiglia stragista, che scrisse, nel novembre del 2014, chiedendo di avere un colloquio con me. Io ormai ero alla Procura di Palermo. Come è poi diventato noto a questa Commissione, che si è occupata tempestivamente e molto approfonditamente del caso, questo soggetto, quando fu al cospetto mio e dell’ufficiale di Polizia giudiziaria che mi accompagnava per verbalizzare, non volle verbalizzare niente, ma disse, in maniera molto agitata, che dovevo stare attento, perché l’attentato nei miei confronti era già pronto nei minimi dettagli. Raccontò di aver acquistato e visto l’esplosivo destinato a quell’attentato e, alla mia sommessa domanda “Scusi, ma perché?”, fece un gesto particolare. C’era in quell’auletta della sezione 41-bis del carcere di Parma la fotografia, molto nota, che si trova in molti uffici pubblici, di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Era molto agitato e disse: “La sua situazione è come quella – mi disse, indicando Giovanni Falcone – non come quello, ma come l’altro. A noi com’era avvenuto per l’altro ce l’hanno chiesto. Io ero giovane a quell’epoca, ma sono figlio di mio padre e queste cose le ho sapute”. (…)
Per anni, soprattutto da quando si è pentito Spatuzza, noi abbiamo saputo che il principale protagonista intanto della fase esecutiva della strage di via D’Amelio è stato Giuseppe Graviano. (…) Giuseppe Graviano – lo sappiamo da sentenza definitiva – è stato il principale protagonista degli attentati a Roma, Firenze e Milano del 1993. Oggi sappiamo – noi lo sappiamo da un po’ più di tempo, grazie alla collaborazione che abbiamo sempre avuto con la Procura di Reggio Calabria – che Giuseppe Graviano è stato il principale protagonista dell’accordo con la ’ndrangheta che portò, nei primi mesi del 1994, il 18 gennaio, al duplice omicidio dei due appuntati dei carabinieri a Scilla, Fava e Garofalo, e ad altri attentati, per fortuna falliti, nei confronti dei carabinieri, sempre in territorio calabrese. Soprattutto sappiamo che Giuseppe Graviano è stato il principale protagonista del fallito attentato all’Olimpico del 23 gennaio 1994. Il 27 gennaio, assieme al fratello Filippo, viene arrestato a Milano. Quell’attentato – questo lo sapete meglio di me – è uno dei grandi misteri, in merito non tanto a perché non sia riuscito il 23 gennaio, quanto a perché non sia stato mai più tentato e ripetuto, io dico per fortuna, ma qualcuno… Ci dovremmo chiedere il perché.
Il boss di Brancaccio.
Quando Spatuzza si pentì, fecero scalpore le dichiarazioni sull’incontro al bar Doney, qui a Roma, in via Veneto, incontro che riusciamo a collocare investigativamente proprio pochi giorni prima del 23 gennaio. Spatuzza dice: “Graviano, l’attentato lo dobbiamo fare lo stesso. I calabresi si sono mossi. Dobbiamo dare quest’ultimo colpo. Lo dobbiamo fare lo stesso, tanto ormai comunque ci siamo messi il Paese nelle mani”. Avrebbe fatto i nomi di Berlusconi e Dell’Utri come i soggetti con i quali erano stati stipulati quegli accordi. All’epoca si disse e si scrisse abbondantemente “sì, ma sono delle dichiarazioni de relato. Comunque Spatuzza può essere attendibile, ma dice di avere saputo queste cose da Graviano”. Oggi, con la nostra attività alla Procura di Palermo, con un anno di intercettazioni ambientali dei colloqui tra Giuseppe Graviano e il suo compagno di socialità, c’è la viva voce di Graviano Giuseppe, cioè di quello che era ritenuto il perno di tutte queste vicende, che, quando parla del 1992-93 e delle stragi, parla di cortesie fatte e di contatti politici (si capisce in maniera assolutamente chiara con Berlusconi).
Presidente, mi auguro di sbagliare, rispetto a questa escalation di elementi di prova sul punto, ma temo l’indifferenza, la minimizzazione, lo svilimento ingiustificato della valenza probatoria anche di queste dichiarazioni di Graviano attraverso quella che è, a mio parere, ma questo verrà poi discusso nei processi, la discutibilissima affermazione che è stata prospettata da alcuni difensori, ma fatta propria dalla maggior parte dei giornali, che Graviano sapeva di essere intercettato. A noi risulta il contrario. (…) Ammesso e non concesso che sapesse di essere intercettato, il fatto che si riferisse a quelle vicende e a quelle persone in relazione a quel periodo delle stragi, in ogni caso, in un senso o nell’altro, un significato dovrà pure avere. Presidente, sono veramente tanti gli spunti che dovrebbero ancora essere approfonditi. Molti spunti sono stati il frutto del lavoro, non soltanto mio, per carità, ma di magistrati tra i quali ci sono stato io. Tutto viene concentrato sulla vicenda Scarantino. Si vuole fare credere che tutto il lavoro fatto finora da decine di magistrati non sia servito a nulla. Io temo che questo sia controproducente all’accertamento della verità. Spero che questa mia audizione, finora e per quello che voi mi vorrete chiedere, possa servire anche a stimolare quello sforzo di prosecuzione e completamento del percorso di verità sulle stragi che oggi – lo affermo con molta amarezza, ma con piena consapevolezza e senza enfatizzazione – è rimasto, nel disinteresse generalizzato, sulle spalle di pochi magistrati, pochi investigatori e pochi esponenti della politica. Vi ringrazio per l’attenzione.
Seduta pomeridiana del 19 settembre 2017
Di Matteo: (…) Presidente, (…) vorrei chiedere che si procedesse con la seduta segreta. (…) Credo che dovrò fare riferimento anche a fatti che magari per la Procura di Caltanissetta, di Palermo o di Firenze possono essere di inopportuna diffusione mediatica.
(I lavori procedono in seduta segreta)