Il mio politico preferito...
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giovedì 12 novembre 2020
Napoli, paziente morto in un bagno del Cardarelli. Procura dispone il sequestro della salma.
Era ricoverato in Area sospetti del nosocomio e già in terapia. Direttore: "Deplorevole, indagine su chi ha girato le immagini".
Sono in corso indagini della Polizia di Stato di Napoli, che ieri sono state coordinate dal pm di turno Liana Esposito (VI sezione, "Lavoro e Colpe Professionali", coordinata dal procuratore aggiunto Simona Di Monte), sulla morte dell'uomo. Dal primo esame appare verosimile che il paziente possa essere stato colto da infarto. Gli inquirenti però hanno deciso di sottoporre a sequestro la salma per un eventuale esame autoptico che può chiarire in maniera inequivocabile quale siano state le cause del decesso.
A pochi minuti dal decesso dell'ammalato ha iniziato a circolare in rete un video che mostra il corpo dell'uomo, girato approfittando dell'allontanamento dei soccorritori andati a prendere una lettiga sulla quale adagiarlo. "È deprecabile - dice il direttore generale dell'ospedale napoletano, Giuseppe Longo - che eventi simili siano oggetto di strumentalizzazioni tese a costruire terribili e pericolose suggestioni nell'opinione pubblica". Proprio per questo, e per "il rispetto dovuto alla sofferenza della famiglia", la direzione strategica del Cardarelli ha avviato un'indagine interna tesa ad accertare chi e in che modo abbia girato e diffuso il video.
"Le immagini del paziente ritrovato morto nel bagno dell'ospedale Cardarelli di Napoli sono scioccanti". Lo scrive su Facebook il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. "La vita e il diritto alla salute di ogni singolo cittadino sono delle priorità che vanno tutelate sopra ogni cosa. Se non riescono a farlo gli enti territoriali, lo deve fare lo Stato. Ho tenuto il silenzio fino ad ora per rispetto di tutte le istituzioni coinvolte. Ma ora bisogna intervenire immediatamente e bisogna farlo soprattutto al Sud, che rischia di implodere. Io credo che il nostro Governo non debba perdere tempo e debba rispondere, come ha sempre fatto", aggiunge.
"La cosa più deplorevole è il video che ieri è passato su tutti i canali di informazione. Che un decesso avvenga in un bagno è una notizia che probabilmente deve essere diffusa, è giusto sapere determinate notizie. Ma è deplorevole la modalità con cui è stata data la comunicazione. In modo particolare è deplorevole aver registrato e diffuso il video. Per noi e per tutta l'azienda la vita è sacra dall'inizio alla fine, la persona è al centro del nostro sistema di assistenza", afferma ancora il direttore generale dell'ospedale Cardarelli Giuseppe Longo commentando in un videomessaggio il video del paziente morto nel bagno del pronto soccorso. "Ieri ho disposto che la direzione sanitaria eseguisse un'indagine interna, che è già partita e a breve si concluderà, per poter accertare tutti i momenti dalla fase assistenziale, alla fase anche della eventuale raccolta di informazioni per chi possa mai avere ripreso il paziente ormai deceduto. È chiaro che gli esiti dell'indagine saranno trasmessi alle autorità competenti per il seguito della loro azione", aggiunge.
Iv è senza soldi, Renzi dà la colpa ai pm. - Giacomo Salvini
Matteo si lamenta delle inchieste su open e chiede agli attivisti di donare.
Il pensierino sul vaccino (“ci siamo davvero”), le congratulazioni all’amico Joe Biden e l’attacco ai magistrati di Firenze che invece di chiedergli “scusa” gli hanno fatto arrivare “un avviso di garanzia multiplo” (insieme a Maria Elena Boschi e Luca Lotti) per la vicenda Open. Ma nell’ultima e-news di Matteo Renzi c’è soprattutto un post scriptum che in pochi hanno notato: “Con l’esplosione della vicenda Open la nostra capacità di finanziamento è messa a dura prova – scrive il senatore di Scandicci – Perché si può fare politica solo se si hanno le risorse. E, avendo abolito il finanziamento pubblico, l’unica strada è il sostegno dei privati, anche solo con piccoli versamenti da 5 €o 10”.
Insomma il leader di Italia Viva chiede agli iscritti o ai simpatizzanti del suo piccolo partito che sostiene (e spesso fa traballare) la maggioranza un contributo per far andare avanti la macchina. Il motivo? Le casse, secondo gli ultimi dati aggiornati al 14 ottobre scorso, piangono: al momento nel 2020 IV ha raccolto erogazioni liberali per 300mila euro, circa 30mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2019 che si è chiuso con 360mila euro raccolti (il calo sarebbe di un sesto).
Ad aggravare il tutto c’è che la metà dei finanziamenti incassati dal partito renziano (circa 140mila euro) provengono dall’obolo da 500 euro che i parlamentari devono al partito. Quindi non donazioni extra ma soldi che provengono da deputati e senatori. Il resto delle erogazioni, circa 150.000 euro, arriva da imprenditori generosi come Lupo Rattazzi (figlio di Susanna Agnelli), il solito Davide Serra, ma anche Emanuele Boschi (fratello di Maria Elena) e l’imprenditore Riccardo Maestrelli, la cui madre Anna Piccioni prestò a Renzi 700mila euro per acquistare la sua villa sulle colline di Firenze. Per intenderci, due partiti più piccoli e senza lo stesso peso parlamentare come Azione di Carlo Calenda o Cambiamo di Giovanni Toti quest’anno hanno raccolto 550mila e 100mila euro solo di donazioni da imprenditori (l’anno scorso addirittura 554mila).
Insomma per Iv il piatto nel 2020 piange e non basta per presidiare il territorio: secondo Renzi il motivo di questo crollo nei finanziamenti si deve proprio alle inchieste della magistratura sulla fondazione Open (“Siamo stati danneggiati, questo è un fatto”). Sarà, ma al momento la crisi di Iv è soprattutto politica: in molti, alla luce dei sondaggi e della concreta possibilità di non essere rieletti, se ne stanno andando.
L’ultimo in ordine di tempo è stato il deputato Nicola Carè che è tornato nel Pd dopo una breve conversione alla Leopolda (“La strada non era quella giusta”) e tra Montecitorio e Palazzo Madama si vocifera di altri quattro tra deputati e senatori pronti a lasciare Iv per tornare tra i dem. Ma anche sui territori non va meglio. La lista di chi sta lasciando si allunga ogni giorno di più: c’è il sindaco di Modica (Ragusa) Ignazio Abbate che ha lasciato perché “Italia Viva non è un partito ma un poltronificio”, l’ex vicesindaca di Viareggio Rossella Martina, la capogruppo in consiglio comunale a Sarzana Beatrice Casini fino al fondatore di Iv a Napoli, Luciano Crolla. E anche Renzi, dicono i ben informati, si sta “guardando intorno” per ottenere una nomina istituzionale, magari all’estero. Sarebbe la fine di un partito già in crisi.
Regioni, l’obiettivo non è fermare il virus ma far cadere Conte. - Gianni Barbacetto
Non è andato tutto bene. E non ne stiamo uscendo migliori. Peggiori, invece, più cinici e incattiviti. La seconda ondata ha tirato fuori il peggio dalla politica, ma anche da quella che chiamavamo società civile. I negazionisti, intendiamoci, esistono in tutto il mondo, una minoranza terrapiattista per cui il Covid è un complotto planetario di non si sa quali poteri occulti si fa sentire in varie parti del globo. Ma solo in Italia si vede un uso così cinico e al tempo stesso contraddittorio del virus per fare lotta politica. Nel primo tempo di questo teatro dell’assurdo, una composita schiera di politici, amministratori, presunti virologi, opinionisti a comando e leoni da tastiera minimizzavano il pericolo, protestavano contro le chiusure, attaccavano il governo che cercava di imporle. Sfoderando un ventaglio d’argomenti che andavano dalla negazione dell’emergenza, dal virus “clinicamente morto” (Zangrillo), “inutile chiudere tutto, gli asintomatici non sono malati” (Bassetti), fino alla solita “Milano non si ferma”, “così si uccide l’economia”. L’economia muore se si lascia tutto aperto, permettendo che la pandemia diventi un’ecatombe. Fa più danni alle attività commerciali la manica larga ora, che ci costringerà a chiudere a Natale, che non la fermezza immediata necessaria per bloccare rapidamente la progressione dell’infezione. Basta il buonsenso per capirlo: un intervento drastico, ma tempestivo (e temporaneo), può bloccare un interminabile aumento dei contagi, dei ricoveri, dei morti. Invece prevale l’ideologia e la cattiva fede. Perché l’obiettivo di molti non è fermare il virus, ma far cadere il governo. Gli errori vanno sempre denunciati, chiunque li compia. Ma anche in questa partita scatta il metodo dei due pesi e due misure: inflessibili contro gli errori e le sottovalutazioni governative, che pure ci sono, mentre non si vede la trave delle amministrazioni regionali, che hanno la competenza della sanità, anche in tempi d’emergenza. Soprattutto la Regione Lombardia ha inanellato una serie d’errori da brivido. All’impreparazione con cui ha affrontato la prima ondata della pandemia si è aggiunta la disfatta con cui ha subìto la seconda, prevedibilissima ondata (tracciamento contagi inadeguato, medici Usca per l’assistenza a domicilio insufficienti, trasporti per le scuole non rafforzati, medici tolti agli ospedali che funzionano per mandarli all’ospedale-spot in Fiera, vaccini antinfluenzali che mancano…). Tutto invisibile, a chi vuole usare il virus, i malati, i morti soltanto come arma per attaccare il governo.
Ora è scattato il secondo tempo del teatro dell’assurdo. Ormai impossibile (tranne che per una minoranza complottista) negare, minimizzare, chiedere di tenere tutto aperto: ci sono i contagi che aumentano ogni giorno, e soprattutto i ricoveri, le terapie intensive, i morti. Scatta allora l’effetto ammuina, con i sindaci (come Giuseppe Sala) e i presidenti di Regione (come Attilio Fontana) che tirano in lungo, filosofeggiano, fanno scaricabarile, aspettano che a decidere siano altri per poi attaccarli comunque. “La zona rossa? Uno schiaffo alla Lombardia”, declama Fontana. “I criteri per definire le zone? Troppo complicati”, aggiunge Sala. Milano brucia, i medici chiedono la chiusura totale e il lockdown nazionale e loro spaccano il capello in quattro, pensano ai voti dei commercianti, invece di pensare a mantenerli sani e in vita insieme ai loro clienti, cioè a tutti noi. Vorrebbero distinguere, chiudere solo qui e non lì, lasciare aperto dove ci sono meno contagi, distinguendo non solo per regione, ma per provincia, per comune, per caseggiato, la scala A chiusa, la scala B aperta. Mandano segnali, giocano con la comunicazione, cercano il consenso. Chissà se mai qualcuno chiederà loro il conto finale di comportamenti confusi, cinici, criminali.
Conte, brutta pagella: ma gli altri? - Antonio Padellaro
Uno striminzito cinque virgola qualcosa è il voto, insufficiente, che un sondaggio trasmesso ieri a “L’aria che tira” assegna a questi ultimi mesi del governo Conte. Se fossimo a scuola i genitori dell’alunno sarebbero convocati per sentirsi dire che è un vero peccato, visto che dal famoso 9 marzo in avanti Giuseppe si era ben comportato meritandosi un’alta popolarità e gli elogi dei colleghi stranieri. I più critici sentenzieranno che dalla fine dell’estate il soggetto è apparso incerto, litigioso, e poi indulge a promesse sui cosiddetti ristori non sempre realistiche. Senza contare che fa confusione con i colori della carta geografica. “Sfido a dimostrare che questo Governo abbia buttato via tre mesi o, come si è detto, che è stato in vacanza questa estate”, si giustifica lui con “La Stampa”, impegnandosi a mettercela tutta per fare meglio. Insomma, le solite assicurazioni dello studente accusato di aver fatto “la cicala”, se non fosse che in tempo di pagelle, per una questione di equità, i voti vanno dati a tutti. Dalla fase dei Dpcm solitari del premier (tacciati di autoritarismo, l’ “emergenza senza l’emergenza” del prof. Cassese) non si è forse passati alla piena condivisione delle scelte? Sarebbe interessante interpellare gli italiani. Che giudizio date del contributo dell’opposizione alla soluzione dei problemi? E, in particolare, quali proposte avanzate da Salvini &Meloni per contrastare la diffusione del contagio meritano la promozione (basta ricordarne una)? E quali meritano una sonora bocciatura (basta ricordarne una) ? A quali presidenti di regione dareste un sei pieno? A quali un bel quattro? Di quali virologi vi fidate pienamente (è sufficiente indicarne uno). E nelle mani di quali infettivologi, al contrario, non vorreste mai capitare (fino a dieci nomi)? C’è anche l’autosondaggio: ultimamente vi siete comportati sempre come cittadini consapevoli della pericolosità del virus? Quante volte vi siete assembrati nelle piazze e sulla spiagge? E quando siete usciti di casa, era così indispensabile? E l’obbligo di mascherina? Che voto mi do io? Direi un cinque virgola qualcosa, giusto per rispettare la media. Ma posso (possiamo tutti) decisamente migliorare.
Comprati da un dentista di Bolzano, importati dall’India, contatto cinese e intermediario turco: la farsa dei 150mila vaccini antinfluenzali di Regione Lombardia. - Luigi Franco
È la surreale filiera esistente dietro una discussa fornitura che ora rischia di saltare. Sul caso hanno avviato verifiche sia i carabinieri del Nas di Trento sia la guardia di finanza di Bolzano, dopo l’articolo de ilfattoquotidiano.it che ha svelato i retroscena dell’ultimo tentativo della giunta Fontana per mettere una pezza sul pasticcio dei vaccini. Dai primi riscontri è emerso che la società dello studio dentistico non è iscritta nel registro degli intermediari di prodotti farmaceutici detenuto dal ministero della Salute. E per questo i carabinieri, in attesa di approfondire eventuali rilievi penali, hanno già preso un primo provvedimento amministrativo: una sanzione da 6mila euro allo studio.
Vaccini indiani importati da un dentista di Bolzano attraverso un intermediario turco, grazie agli auspici di un conoscente cinese. È questa la surreale filiera dietro la fornitura di 150mila dosi di vaccino antinfluenzale che Regione Lombardia era in procinto di affidare allo Studio Dr. Mak & Dr. D’Amico Srl, società che gestisce un piccolo studio dentistico in Alto Adige. Una fornitura che ora rischia di saltare. Sul caso hanno infatti avviato verifiche sia i carabinieri del Nas di Trento sia la guardia di finanza di Bolzano, dopo l’articolo de ilfattoquotidiano.it che ha svelato i retroscena dell’ultimo tentativo della giunta Fontana per mettere una pezza sul pasticcio dei vaccini. Dai primi riscontri è emerso che la società dello studio dentistico non è iscritta nel registro degli intermediari di prodotti farmaceutici detenuto dal ministero della Salute. E per questo i carabinieri, in attesa di approfondire eventuali rilievi penali, hanno già preso un primo provvedimento amministrativo: una sanzione da 6mila euro allo studio.
La vicenda è solo l’ultimo tassello della tragicomica rincorsa ai vaccini antinfluenzali di Regione Lombardia, che dopo una sequela di errori fatti nei bandi d’acquisto è arrivata in ritardo e con carenza di dosi all’appuntamento con la campagna vaccinale, quest’anno ancora più importante del solito per la concomitanza con la pandemia di Covid. Nelle scorse settimane la Procura di Milano ha aperto un fascicolo conoscitivo sui prezzi elevati a cui sono stati acquistati alcuni lotti. E come se non bastasse 620mila dosi, parte delle 2,9 milioni di dosi ordinate, sono al momento senza l’autorizzazione all’importazione dell’Agenzia italiana del farmaco. Così il 28 ottobre la centrale acquisti regionale Aria ha pubblicato in fretta e furia un ultimo bando, il decimo, per l’acquisto di altre 150mila dosi. Un bando lampo, rimasto aperto per sole 24 ore, tempo comunque sufficiente perché la società Studio Dr. Mak & Dr. D’Amico Srl di Bolzano, che ha come soci e amministratori il dentista Lars D’Amico e la specialista in ortodonzia Rozmary Mak D’Amico, inviasse la propria offerta da 2,7 milioni di euro e si aggiudicasse la gara, salvo le verifiche ancora da effettuare sul possesso dei requisiti richiesti.
A colpire sono soprattutto il brevissimo tempo previsto dal bando per presentare un’offerta e le caratteristiche dell’unico partecipante, che in quanto studio dentistico dovrebbe occuparsi di ben altro, piuttosto che fornire vaccini alle regioni. Ma non è tutto: la società di Bolzano è stata costituita poco più di un mese fa, il 30 settembre, giusto in tempo per partecipare alla gara lombarda. Quando la settimana scorsa ilfattoquotidiano.it ha chiesto chiarimenti in Regione, l’assessore al Welfare Giulio Gallera ha scaricato ogni responsabilità relativa ai bandi su Aria. E Lorenzo Gubian, direttore generale che in Aria ha sostituito Filippo Bongiovanni dopo il caso dei camici comprati dall’azienda di famiglia Fontana, ha spiegato che era “in corso la verifica dei requisiti sulla base del codice appalti. Se l’operatore economico non è una casa farmaceutica, sarà un intermediario come succede per tantissime gare di beni sanitari. Se ha i requisiti per poterlo fare, non c’è nessun problema dal punto di vista della legittimità”.
Ma l’autorizzazione per fare da intermediario nella vendita di farmaci, non si ottiene di solito nelle poche settimane trascorse dalla costituzione della società. E i farmaci possono venderli i farmacisti e i grossisti farmaceutici, non i medici o i dentisti. Così a Bolzano sulla vicenda si è scatenato un vespaio. Se ne sono interessati l’ordine dei farmacisti e quello dei medici, che ha avviato una serie di verifiche. Così come hanno fatto la guardia di finanza e i carabinieri del Nas che, come detto, hanno già sanzionato la studio dentistico, mentre ulteriori approfondimenti sono in corso. Tornando in Lombardia, resta da capire se davvero in Aria e negli uffici dell’assessorato di Gallera non si sono accorti di avere in corso una negoziazione per la fornitura di vaccini non con una società che commercia farmaci, ma con un dentista. Il quale – secondo i primi accertamenti – per venderli alla Lombardia se la fornitura non andrà a monte, li importerà dall’India attraverso una triangolazione con un conoscente cinese e un intermediario turco. “La fornitura è sotto verifica – si limita a dire ancora oggi il direttore generale di Aria -. Le procedure d’acquisto sono regolate dal codici appalti e le verifiche dei requisiti vengono effettuate in sede di gara prima di procedere all’esecuzione del contratto. Questo è il modo previsto dalla norma a tutela della stazione appaltante”. Raggiunto al telefono da ilfattoquotidiano.it, invece, il dentista D’Amico dice: “Non so nulla della sanzione. Per il momento non posso dire niente, posso solo dire che tutto procede per il meglio”.
United leccons. - Marco Travaglio
Il minimo che si possa fare leggendo le intercettazioni di Castellucci, Mion e degli altri magnager di casa Benetton intercettati dalla Procura di Genova, è vomitare. Ma stupirsi, per favore, no. Da ieri siamo inondati dai commenti indignati di politici, giornalisti e commentatori che fingono di meravigliarsi per le parole sprezzanti dei manager scelti dai Benetton per speculare a suon di dividendi miliardari su un bene pubblico (le autostrade), la sicurezza pubblica (le mancate manutenzioni dei viadotti) e l’incolumità pubblica (i cavi del Morandi “corrosi” e i pannelli “incollati col Vinavil”). Ecco: ce li risparmino. Oggi intitoliamo questa colonna come quella dell’agosto 2018 sul crollo del ponte Morandi, perchè ricordiamo benissimo cosa dicevano questi tartufi. Era già tutto chiaro e lampante allora, almeno per le responsabilità gestionali dei dirigenti scelti da Luciano, Gilberto & F.lli, noti imprenditori a pelo lungo passati dal tosare le pecore al tosare gli italiani. Ma quando il premier Conte e i suoi vice Di Maio e Salvini (che si sfilò un minuto dopo) promisero ai funerali di cacciare i Benetton da Aspi, furono investiti da una potenza di fuoco politico-mediatica mai vista prima, al grido di “no all’esproprio” e “aspettiamo la Cassazione”. Anche se il crollo del Morandi (43 morti) era il macabro replay della strage di Avellino del 2013 (40 morti).
Solo il Fatto e la Verità osarono mettere la parola “Benetton” in prima pagina. Quella del Corriere non citava né Atlantia, né Autostrade, né Benetton: in compenso additava come colpevoli i 5Stelle e gli ambientalisti contrari alla Gronda (anche se la Gronda non l’avevano certo bloccata loro, non avendo mai governato né la Liguria né l’Italia, ma la destra e la sinistra; e comunque la Gronda, anche se esistesse, non rimpiazzerebbe ma affiancherebbe il Morandi). Stessa favoletta su Repubblica: niente Atlantia, Autostrade e Benetton, ma giù botte a i 5Stelle anti-Gronda. Idem su La Stampa (“Imbarazzo per un documento M5S” e per “il blog di Grillo”), il Giornale (“chi è stato”: i Benetton? No, “i grillini”) e tutti i tg. Perché? Elementare, Watson: i Benetton riempiono di pubblicità milionarie giornali e tv; il M5S e gli ambientalisti un po’ meno. In più, per pura combinazione, Autostrade sponsorizzava la festa di Repubblica “Rep Idee” e aveva nel Cda l’amministratore di Repubblica Monica Mondardini. Quindi la revoca della concessione alla Sacra Famiglia trevigiana era pura bestemmia. Repubblica, Corriere, Stampa, Messaggero e
Giornale ripeterono per giorni che Conte, Di Maio e chiunque altro si azzardasse a incolpare Atlantia per le colpe di Atlantia era affetto da patologie gravissime.
Eccole: populismo, giustizialismo, moralismo, giustizia sommaria, punizione cieca, voglia di ghigliottina, ansia da Piazzale Loreto, sciacallaggio, speculazione, ansia vendicativa, barbarie umana e giuridica, cultura anti-impresa che dice “no a tutto”, deriva autoritaria, ossessione del capro espiatorio, pressappochismo, improvvisazione, avventurismo, collettivismo, socialismo reale, oscurantismo. Ezio Mauro spiegò su Repubblica che “una delle più grandi società autostradali private del mondo” non può diventare “il capro espiatorio di processi sommari e riti di piazza”, “tipici del populismo” e dei “pifferai della decrescita”. Toccare la sacra concessione, per Daniele Manca del Corriere, era una pericolosa “scorciatoia”, “un errore” e “un indizio di debolezza”. Giovanni Orsina, su La Stampa, lacrimava inconsolabile per i poveri Benetton (mai nominati), “sacrificati” come “capro espiatorio”: roba da “paesi barbari”. L’emerito Sabino Cassese tuonava a edicole unificate, dal Corriere al Sole 24 Ore a Repubblica, contro la revoca ai Benetton e il ritorno delle Autostrade allo Stato: “Sarebbe una decisione immotivata e anche illegale”, strillava, scordandosi di premettere che nel 2000-‘05 era stato nel Cda del gruppo Benetton, uscendone con 700mila euro tra gettoni e consulenze.
Centrosinistra e centrodestra, a suo tempo lautamente foraggiati da Autostrade, le fecero scudo come un sol uomo, tempestando la Consob di esposti contro Conte&C.: il crollo che li angosciava non era quello del Ponte sui 43 morti, ma quello del titolo Benetton in Borsa. “Qualcuno sarà chiamato a rispondere di aggiotaggio” (Michele Anzaldi, deputato renziano, 16.8). “Consob avverte Palazzo Chigi: ‘Pericoloso turbare i mercati’” (Stampa, 17.8). “Consob raccoglie l’appello di Forza Italia: verifiche su Autostrade. Brunetta: ‘Attenzione a chi turba i mercati’” (Giornale, 18.8). Il Partito d’Azioni trovava il suo naturale portavoce nell’Innominabile: “Revocare la concessione ad Autostrade significa pagare 20 miliardi di danni”. Poi, con comodo, il nome Benetton riapparve sui giornaloni. Ma per riabilitarli con titoli e interviste strappalacrime. Da Pulitzer quella di Francesco Merlo (Repubblica) a Luciano dai capelli turchini, poco dopo la morte del fratello Gilberto. Merlo lo definì “imprenditore di sinistra”, forse perché nelle foto di famiglia siede da quella parte. Poi affondò il colpo: “È vero che il crollo del Ponte Morandi a Genova con i suoi 43 morti ha ferito lei e ha ucciso suo fratello?”. Mancò poco che chiedesse i danni ai famigliari delle vittime. Quindi, signore e signori: vomito sì, stupore no. Magari qualche parolina di scuse, ecco.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/12/united-leccons/6000684/