giovedì 17 dicembre 2020

Il salvavita “italiano” che noi non usiamo. - Thomas Mackinson

 

Il monocolonale Usa prodotto a Latina.

Diecimila italiani potevano guarire subito, come tanti Donald Trump. Invece, aspettando un vaccino, l’Italia va incontro alla terza ondata Covid senza terapie a base di anticorpi monoclonali, quelli che in tre giorni neutralizzano il virus evitando il ricovero. Da uno stabilimento di Latina escono furgoni carichi di questi farmaci, destinati però a salvare pazienti americani, non gli italiani. È il paradosso di una storia che ha pesanti risvolti sanitari, politici ed etici. “Abbiamo ‘pallottole’ specifiche contro il virus. Possono salvare migliaia di pazienti, evitare ricoveri e contagi, ma decidiamo di non spararle. Non si spiega”, ripete da giorni Massimo Clementi, virologo del San Raffaele di Milano. Racconta che i colleghi negli Stati Uniti da alcune settimane somministrano gli anticorpi neutralizzanti come terapia e profilassi per malati Covid. La stessa cura che ha salvato la vita a Donald Trump in pochi giorni, nonostante l’età e il sovrappeso: “Dopo 2-3 giorni guariscono senza effetti collaterali apparenti”. Il tutto a 1.000 euro circa per un trattamento completo, contro gli 850 euro di un ricovero giornaliero.

Gli Stati Uniti ne hanno acquistato 950mila dosi, seguiti da Canada e – notizia di ieri – Germania. Non l’Italia, dove si producono. Il nostro Paese ha investito su un monoclonale made in Italy promettente, ma disponibile solo fra 4-6 mesi. Scienziati molto pragmatici si chiedono perché, nel frattempo, non si usino i farmaci che già si dimostrano efficaci altrove: fin da ottobre – si scopre ora – era stata data all’Italia la possibilità di usare questi anticorpi attraverso un cosiddetto “trial clinico”, nel quale 10 mila dosi del farmaco sarebbero state proposte a titolo gratuito. Una mano dal cielo misteriosamente respinta mentre il Paese precipitava nella seconda ondata.

Il farmaco – bamlanivimab o Cov555 – è stato sviluppato dalla multinazionale americana Eli Lilly. La sua efficacia nel ridurre carica virale, sintomi e rischio di ricovero è dimostrata da uno studio di Fase 2 randomizzato (la fase 3 è in corso) condotto negli Usa. I risultati sono stati illustrati sul prestigioso New England Journal of Medicine. Dall’headquarter di Sesto Fiorentino spiegano che l’anticorpo è stato messo in produzione prima ancora che finisse la sperimentazione perché fosse disponibile su scala globale il prima possibile.

Dal 9 novembre, quando l’Fda (l’Agenzia Usa del farmaco) ne ha autorizzato l’uso di emergenza, gli Stati Uniti hanno acquistato quasi un milione di dosi. In Europa si aspetta il via libera dell’Ema (l’Agenzia europea) che non autorizza medicinali in fase di sviluppo. Una direttiva europea del 2001 consente, però, ai singoli Paesi Ue di procedere all’acquisto e la Germania ieri ha completato la procedura per autorizzarlo. A breve toccherà all’Ungheria. E l’Italia? Aspetta. Avendo il suo cuore europeo alle porte di Firenze, finito lo studio, la società di Indianapolis ha preso contatto con le autorità sanitarie e politiche nazionali, anche italiane.

Il 29 ottobre in riunione con l’Aifa: collegati, tra gli altri, Gianni Rezza per il ministero della Salute; Giuseppe Ippolito del Cts e direttore dello Spallanzani di Roma; il professor Guido Silvestri, virologo alla Emory University di Atlanta che aveva favorito il contatto con Eli Lilly. Sul tavolo, la possibilità di avviare in Italia la sperimentazione con almeno 10 mila dosi gratuite del farmaco che negli Usa ha dimostrato di ridurre i rischi di ospedalizzazione dal 72 al 90%. In quel contesto viene anche chiarito che non sarebbe stato un favore alla multinazionale, al contrario: una volta che l’Fda l’avesse autorizzato, sarebbero partite richieste da altri Paesi.

L’occasione, da cogliere al volo, cade nel vuoto, forse per una rigida adesione alle regole di Aifa ed Ema che non hanno però fermato la rigorosa Germania. Altra ipotesi: l’offerta è stata lasciata cadere per una scelta già fatta a monte. Sui monoclonali da marzo il governo ha investito 380 milioni per un progetto tutto italiano che fa capo alla fondazione Toscana Life Sciences (TLS), ente non profit di Siena, in collaborazione con lo Spallanzani e diretto dal luminare Rino Rappuoli. La sperimentazione clinica deve ancora partire e la produzione, salvo intoppi, inizierà solo nella primavera del 2021. A quanto risulta al Fatto, l’operazione con Eli Lilly, che già due mesi fa avrebbe permesso di salvare migliaia di persone, non sarebbe andata in porto per l’atteggiamento critico verso questi anticorpi del direttore dello Spallanzani che lavorerà al progetto senese. “Non so perché sia andata così, dovete chiedere ad Aifa”, taglia corto il direttore Giuseppe Ippolito, negando un possibile conflitto di interessi: “Non prescrivo farmaci, mi occupo solo di scienza”.

Quando Fda autorizza il farmaco, la multinazionale non può più proporre il trial gratuito, ma deve attenersi al prezzo della casa madre. Per assurdo, sfumata l’opzione a costo zero, l’Italia esprime una manifestazione ufficiale di interesse all’acquisto. Il negoziato va in scena il 16 novembre alla presenza di Arcuri, del Dg dell’Aifa Magrini e del ministro della Salute Speranza. Si parla di prezzo e di dosi, ma il negoziato si ferma.

L’Aifa e la struttura di Arcuri – sentite dal Fatto – ribadiscono: finché non c’è l’autorizzazione Ema non si va avanti. Di troppa prudenza si può anche morire, rispondono gli scienziati. “Io avrei accelerato”, dice chiaro e tondo il consulente del ministro Walter Ricciardi, presente alla riunione un mese fa: “Con tanti morti e ospedalizzati, valutare presto tutte le terapie disponibili è un imperativo etico e morale”.

Per il professor Clementi, siamo al paradosso. “È importante trovare il miglior farmaco possibile, ma non possiamo scartare a priori una possibilità terapeutica che altrove salva le persone. Una fiala costa poco più di un giorno di ricovero e ogni risorsa che risparmi la puoi usare per altro. Tenere nel fodero un’arma che si dimostra decisiva è incomprensibile. Da qui, la mia sollecitazione all’Aifa”.

Certo, una soluzione al 100% italiana garantirebbe autosufficienza e prelazione nell’approvvigionamento. Da Sesto Fiorentino, però, rispondono che il loro farmaco, oltre ai benefici in termini di salute e risparmio, avrebbe avuto anche ricadute economiche per l’Italia: nella produzione è coinvolto un fornitore italiano, la Latina Bsp Pharmaceutical. “Se andrà bene potremmo distribuirlo non solo negli Usa, ma anche in Italia”, esultava a marzo il titolare dell’impresa pontina, Aldo Braca. Nove mesi dopo, invece, da Latina il farmaco va solo all’estero.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/17/il-salvavita-italiano-che-noi-non-usiamo/6039624/

Dragon Ball. - Marco Travaglio

 

Siccome se ne sentiva la mancanza, si riparla di governo Draghi, sempre all’insaputa di Draghi. È bastato che dicesse le solite frasi alla Catalano: guai ad aiutare “aree dove il mercato sta fallendo”, meglio “progetti utili”, “la sostenibilità del debito sarà giudicata da come verrà impiegato il Recovery”. E subito s’è levato il solito coro dei provincialotti con la bocca a cul di gallina e l’aria tra il rapito e lo svenuto che doveva avere Mosè sul Sinai dinanzi al roveto ardente. “Ripartire da Draghi si può”, “il monumentale rapporto Draghi” (rag. Cerasa, Foglio). “Sempre bello leggere Draghi” (l’Innominabile). “Le sue analisi sono una traccia” (Gelmini, FI). “Se Conte non ce la fa, c’è Draghi” (Nannicini, Pd). “Governo Draghi senza Bonafede, Catalfo e Azzolina” (Richetti-Chi? l’altro calendiano oltre a Calenda). “Il monito di Draghi, la visione che serve” (Messaggero). “Il 55% degli italiani preferisce Draghi per il Recovery” (Libero). “Draghi, serve sguardo lungo” (Fubini, Corriere). “Draghi, i partiti e la realtà urgente” (Folli, Repubblica).

Insomma, il governo Draghi è fatto. Il programma è il suo intervento al Gruppo dei Trenta, l’allegro simposio di finanzieri, accademici, banchieri centrali, banchieri sfusi, bancarottieri di nazioni intere come l’ex ministro argentino Cavallo e l’ex presidente messicano Zedillo, insomma controllori e controllati (si fa per dire) e altri samaritani, fondato nel 1978 da Rockefeller, che si riunisce due volte l’anno a porte chiuse come il Gran Consiglio dei Dieci Assenti di fantozziana memoria. E la maggioranza in Parlamento? Quella non c’è, ma per i sinceri democratici de noantri è un trascurabile dettaglio. Il Giornale informa che “il Professore da qualche settimana ha lasciato la casa di campagna e s’è trasferito nel suo appartamento romano”. Mecojoni. E “il suo ufficio di rappresentanza alla Banca d’Italia è diventato la sua base operativa”. Apperò. Già ci pare di vederlo destreggiarsi festoso fra un veto dell’Innominabile, un distinguo di Orlando, un emendamento di Marcucci, una bizza della Bellanova, un capriccetto della Boschi, un tweet di Faraone, un ultimatum dei dissidenti grillini, un rutto di Salvini, una supercazzola di Giorgetti, un appuntino di Letta su Mediaset e un pizzino di Ghedini sulla giustizia. Folli però è in ambasce: “Stupisce che qualche forza politica non abbia immediatamente fatto propria e rilanciato l’analisi di Draghi”. Giusto: che aspettano i partiti tutti a recarsi in processione nel suo appartamento romano o nella sua base operativa a baciargli la pantofola e incoronarlo re? Folli non sta più nella pelle, tant’è che ha fatto pure un fioretto: se lo ascoltano, si taglia il riportino.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/17/dragon-ball/6039603/

Misure per Natale, salta il vertice in serata: manca ancora Italia viva. L’ipotesi è una zona rossa generale solo nei festivi e prefestivi.

 

Prima la riunione con i governatori, poi il vertice tra il premier e i capidelegazione: nel governo restano distanze su quali provvedimenti siano necessari per le festività, in attesa dell'incontro con la delegazione di Italia viva, che ancora non si è tenuto a causa dell'assenza della ministra dell'Agricoltura, impegnata a Bruxelles. I più rigoristi, Pd e LeU, spingono per la zona rossa dal 24 al 6, Conte e Cinquestelle pensano a misure ad hoc per i giorni festivi e prefestivi. A chiedere la stretta ora è anche il Veneto di Zaia, insieme a Lazio, Friuli-Venezia Giulia e Molise.

Una giornata di incontrivertici e tavoli, ma il governo arriva a sera senza una decisione perché la capodelegazione di Italia Viva, Teresa Bellanova, è a Bruxelles per il negoziato sulle etichettature. E quando è rientrata in Italia ha fatto sapere, tramite fonti renziane, che non prenderà parte a nessun vertice e che invece si presenterà all’incontro con il premier Conte nell’ambito della verifica di maggioranza. Un incontro che era in programma nella mattinata di mercoledì 17 dicembre alle 9, ma che secondo quanto riferito da Italia Viva il premier Conte ha deciso di rimandare alle 18 a causa di una serie di impegni istituzionali. Le misure per il Natale rimangono quindi appese agli impegni della ministra dell’Agricoltura e creano non poco nervosismo all’interno della maggioranza, con il sospetto che i renziani vogliano aspettare il confronto con il presidente del Consiglio per la “verifica”. Alla fine, anche il punto finale di Palazzo Chigi tra premier e capidelegazione della maggioranza sulla stretta di Natale è stato rinviato alle prossime ore. Il tempo tuttavia stringe, tanto che fonti di governo spiegano come, a questo punto, sia davvero difficile che le nuove norme possano essere definite prima di 24 ore. In tal senso, restano ancora distanze su quali restrizioni siano necessarie per contenere i contagi da coronavirus. La prima riunione tra il premier Giuseppe Conte e i capi delegazione è cominciata all’ora di pranzo: al tavolo Roberto Speranza (Leu), Dario Franceschini (Pd), Alfonso Bonafede (M5s). Con loro anche il ministro agli Affari regionali Francesco Boccia e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro.

L’ipotesi festivi e prefestivi – Franceschini, Boccia e Speranza si battono per misure da “zona rossa” continue, mentre è più prudente la linea del premier, sostenuto dal M5s nel volere un intervento più limitato. L’ala rigorista del Pd e il ministro della Salute spingono per una serrata generale dal 24 dicembre al 6 gennaio, ma nel governo esiste un’altra anima – compreso il presidente Conte – che vorrebbe misure più morbide fuori da festivi e prefestivi. E proprio questo potrebbe essere il punto di caduta nel vertice serale: le restrizioni più pesanti coinciderebbero con i week-end e i festivi. In questo modo, di fatto, gli unici giorni non ‘rossi’ sarebbero lunedì 28, martedì 29 e mercoledì 30 dicembre, lunedì 4 e martedì 5 gennaio. In ballo anche come calibrare le riunioni in famiglia per il giorno di Natale. Sul punto la Lega, durante un confronto con Speranza, ha chiesto una deroga proprio per il 25 dicembre. E sullo sfondo, come terza e più remota opzione, resta sempre l’ipotesi di un’Italia tutta arancione dalla vigilia di Natale all’Epifania.

Le Regioni per la zona rossa – Il confronto acceso e l’assenza di Bellanova hanno costretto a un aggiornamento, che era previsto in serata al rientro della ministra dal vertice di Bruxelles, al quale ha voluto presenziare di persona. Un aggiornamento che, stando a quanto riferito da fonti renziane, non ci sarà: la capo delegazione di Iv ha fatto sapere che non sarà presente. Bellanova sarebbe dovuta andare domattina alle 9 a Palazzo Chigi con la delegazione di Italia viva per l’incontro con Conte nell’ambito della verifica di governo, ma il premier in serata ha fatto sapere ai renziani di aver rinviato il vertice alle 18. Al netto delle questioni politiche, ci sono pochi dubbi sul fatto che verranno introdotte misure più restrittive. Tutta la discussione parte dal parere dato martedì dal Comitato tecnico scientifico, che a sua volta si è spaccato sulla possibilità o meno di fornire indicazioni specifiche sulle misure da intraprendere. Dal vertice con le Regioni che si è tenuto in mattinata invece è arrivata la spinta alla linea più dura: il presidente del Veneto Luca Zaia, insieme ai rappresentanti di LazioFriuli-Venezia Giulia Molise, ha chiesto la zona rossa per il Natale. “Nel periodo delle festività servono restrizioni massime, se non le fa il governo le facciamo noi – ha detto Zaia – Se non chiudiamo tutto adesso ci ritroveremo a gennaio a ripartire con un plateau troppo alto“.

Toti non vuole misure nazionali – Diversa la posizione del governatore ligure Giovanni Toti: Non vedo perché imporre alla Liguria una zona rossa per Natale quando i liguri in queste settimane si sono impegnati e sacrificati per far calare la curva del contagio e farci arrivare in piena zona gialla”, ha detto a L’aria che tira su La7. “Ci siamo dati delle regole i primi giorni di dicembre, decidendo di dividere il Paese in zone, e quelle regole hanno funzionato per contenere il covid. Non vedo perché cambiarle ora, alla vigilia delle festività natalizie”, ha commentato Toti. Che però non rappresenta la posizione di tutti i governatori, nemmeno di quelle del centrodestra. Come detto, Regioni come il Veneto e il Lazio, sempre in giallo, durante il vertice con il governo hanno spinto per una stretta.

La mozione sugli spostamenti – Intanto il Senato ha approvato la mozione di maggioranza sugli spostamenti tra i comuni nei giorni delle festività natalizie con 140 sì, 118 no e 5 astenuti. Poco prima, l’Aula aveva respinto la mozione dell’opposizione con 142 voti contrari. Il testo approvato a Palazzo Madama impegna il governo a “valutare il ridimensionamento o l’ampliamento delle misure di restringimento, come in materia di spostamenti tra comuni della stessa provincia o il ricongiungimento con parenti e congiunti stretti, attualmente al vaglio dell’esecutivo, sulla base di solidi dati scientifici e di ulteriori analisi che ne dimostrino l’imprescindibilità, onde bilanciare opportunamente sia i plausibili rischi di una nuova terza ondata pandemica sia le pesanti conseguenze di tali restrizioni sul tessuto socio-produttivo” e “nell’eventualità di nuove restrizioni, a prevedere misure di ristoro economico proporzionate alle perdite di fatturato anche nei confronti di quelle attività a cui inizialmente era stata indicata la via dell’apertura“.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/16/le-misure-per-natale-nuovo-vertice-in-serata-manca-ancora-italia-viva-lipotesi-e-una-zona-rossa-generale-solo-nei-festivi-e-prefestivi/6038343/

mercoledì 16 dicembre 2020

Vaccino Covid, via libera al piano: si parte a inizio gennaio.



La Conferenza Stato-Regioni ha dato il via libera al piano vaccini presentato dal Commissario per l'emergenza Domenico Arcuri e nei primi giorni di gennaio partirà la vaccinazione di massa. Secondo quanto si apprende, oggi stesso il Commissario invierà alle regioni una sorta di 'libretto delle istruzioni' per il vaccino ed entro la settimana tutte le indicazioni per la procedura di somministrazione.

Verranno consegnate il 90% delle richieste di dosi avanzata dalle Regioni e questo perché è stato stimato che non si vaccinerà il 100% del personale sanitario previsto.

La campagna di vaccinazione in Italia partirà con le prime 1.833.975 dosi di vaccino anti Covid 19 che verranno distribuite da Pfizer e inviate alle Regioni, annuncia l'ufficio del commissario Domenico Arcuri. Dopo il Vaccine Day europeo, prima della fine dell'anno, con vaccinazioni simboliche in diversi Paesi, "verrà avviata la prima sessione della vaccinazione di massa, destinata alle categorie che il Governo e il Parlamento hanno stabilito essere prioritarie -si legge in una nota -: operatori sanitari e sociosanitari, personale operante nei presidi ospedalieri, pubblici e privati, ospiti e personale delle residenze per anziani".

I primi italiani saranno vaccinati contro il Covid già subito dopo Natale e prima dell'inizio del 2021 se l'Ema nella riunione in programma il 21 dicembre darà il via libera al farmaco della Pfizer. E' questo, secondo quanto si apprende, l'ultimo timing emerso nel corso della riunione tra il governo e le Regioni che ha dato il via libera al piano dei vaccini e che domani sarà sottoposto formalmente alla Conferenza Stato-Regioni. Nelle prossime ore verrà definito il numero di persone alle quali somministrare il vaccino nel giorno simbolico, lo stesso in tutta Europa, sulla base delle quantità che Pfizer sarà in grado di consegnare. 

"Rispetto alle valutazioni che avevamo fatto, saremo pronti a partire con alcuni giorni di anticipo" con la somministrazione delle prime dosi di vaccino" ha confermato il ministro della Salute Roberto Speranza, sottolineando quindi l'importanza di "essere pronti con i piani regionali".

"La campagna vaccinale sarà una sfida che vinceremo tutti insieme". E' quanto avrebbe detto, secondo quanto si apprende, il ministro degli Affari Regionali Francesco Boccia. "Oggi diamo il via libera al piano di distribuzione e domani portiamo il documento condiviso in Conferenza Stato-Regioni in modo da renderlo subito operativo anche dal punto di vista formale - ha aggiunto -. Le Regioni hanno fatto insieme al commissario Arcuri un lavoro puntuale e molto rigoroso".

Servono misure da zona rossa per tutte le feste di Natale, almeno fino alla Befana. E' quanto avrebbe chiesto, secondo quanto si apprende, il presidente del Veneto Luca Zaia nel corso della riunione tra governo e Regioni; una posizione condivisa dal ministro degli Affari Regionali Francesco Boccia e da quello della Salute Roberto Speranza e dai rappresentanti di Lazio, Friuli Venezia Giulia, Molise e Marche. "Nel periodo delle festività servono restrizioni massime, se non le fa il governo le facciamo noi - ha detto Zaia - Se non chiudiamo tutto adesso ci ritroveremo a gennaio a ripartire con un plateau troppo alto".

All'incontro, convocato dal ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia, sono presenti il ministro della Salute Roberto Speranza, il commissario per l'emergenza Domenico Arcuri e il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli.

(foto: Il rendering della campagna di vaccinazione presentato nel corso di una conferenza stampa dall'architetto Stefano Boeri)

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2020/12/16/covid-riunione-stato-regioni-sul-piano-vaccini_4ae72417-57ed-4cce-ad04-3adfdeeeec51.html

Maxioperazione anti-pedopornografia, arresti in tutta Italia.

 

Due italiani promuovevano e gestivano gruppi pedopornografici, organizzandone l'attività e reclutando nuovi sodali provenienti da ogni parte del mondo.

Una maxioperazione anti-pedopornografia è in corso in tutta Italia, con l'impiego di oltre 300 uomini della polizia Postale che stanno eseguendo perquisizioni e arresti, in flagranza, in 53 province e 18 regioni. Gli agenti, che hanno lavorato per diversi mesi sotto copertura su Telegram e WhatsApp, hanno smantellato 16 associazioni criminali ed identificato oltre 140 gruppi pedopornografici.

Sono 432 le persone coinvolte in tutto il mondo: 81 sono italiani.

Due italiani coinvolti dell'operazione promuovevano e gestivano gruppi pedopornografici, organizzandone l'attività e reclutando nuovi sodali provenienti da ogni parte del mondo. Quella della Postale di oggi è la più imponente operazione di Polizia degli ultimi anni contro la pedopornografia online.    "Sono coinvolti affermati professionisti, operai, studenti, consulenti universitari, pensionati, impiegati privati e pubblici, tra cui un vigile urbano". E' in questo variegato elenco la portata dell'operazione contro la pedopornografia online coordinata dalla procura di Milano e condotta dalla Polizia Postale di Milano e del Centro Nazionale per il Contrasto della Pedopornografia Online del Servizio Polizia Postale di Roma. "La più grande degli degli ultimi anni", sottolineano gli investigatori, che si sono avvalsi anche di agenti sotto copertura infiltrati per due anni nelle chat dei pedofili. Dei 159 gruppi individuati dagli investigatori della Postale, gli investigatori, diretti dai procuratori aggiunti Eugenio Fusco e Letizia Mannella, hanno individuato 432 utenti attivi su gruppi e canali Telegram e WhatsApp "finalizzati alla condivisione di foto e video pedopornografici ritraenti vere e proprie violenze sessuali su minori, a volte anche neonati". Sedici erano "delle vere e proprie associazioni per delinquere, al cui interno era possibile distinguere promotori, organizzatori e partecipi, con ruoli e compiti ben definiti". In ogni "stanza" c'erano regole ben precise per limitare dal massimo l'esposizione e il possibile tracciamento da parte delle forze dell'ordine. Appena c'era il sentore di un pericolo, l'utente veniva espulso dal gruppo. Il 35% degli 81 italiani indagati dalla Postale milanese si concentra tra Lombardia e Campania. Tra questi ci sono un 71enne napoletano di professione ottico e con collaborazioni universitarie, e un 20enne veneziano disoccupato. I due sono ritenuti i promotori e gestori dei gruppi, attraverso i quali reclutavano altri complici da ogni parte del mondo. Questo carattere di transnazionalità accomuna tutti i gruppi scoperti dagli agenti infiltrati. Sono infatti 351 gli utenti stranieri coinvolti nell'indagine, ognuno pedinato online fino all'individuazione. 

Sono 15 le persone arrestate in flagranza dalla polizia postale nell'ambito dell'operazione 'Luna Park' contro vere associazioni criminali composte da centinaia di persone che si scambiavano foto e video pedopornografici attraverso le chat istantanee come Telegram e WhatsApp. Dopo due anni di indagini condotte "sotto copertura" su internet, la Postale di Milano e del Centro Nazionale per il Contrasto della Pedopornografia Online del Servizio Polizia Postale di Roma, coordinati dai procuratori aggiunti Fusco e Mannella insieme con i sostituti Barilli e Tarzia della Procura distrettuale di Milano, hanno identificato 432 utenti che utilizzavano canali e chat per scambiarsi il materiale che ritraeva vere e proprie violenze sessuali su minori. Gli abusi, in particolare, riguardavano prevalentemente bambine e bambini in tenera età e, in alcuni casi, anche neonati. Dei 159 gruppi individuati, 16 erano delle vere e proprie associazioni per delinquere, al cui interno era possibile distinguere promotori, organizzatori e partecipi, con ruoli e compiti ben definiti. Tra i principali gestori e amministratori compaiono anche due italiani, un ottico 71enne napoletano con collaborazioni universitarie e un disoccupato 20enne veneziano. Coinvolti anche 351 stranieri, con arresti avvenuti anche in Europa e in tutto il mondo.

Oltre allo scambio di video e immagini di violenze su bambini, in alcuni casi i presunti pedofili individuati nel maxi blitz anti-pedopornografia, che ha fatto emergere una rete criminale in tutto il mondo, avrebbero offerto anche la possibilità di arrivare ad avere "contatti diretti" con minori vittime di abusi. Emerge dalle indagini della polizia postale, coordinate dagli aggiunti Letizia Mannella e Eugenio Fusco e dai pm Barilli e Tarzia. Durante il lockdown e la pandemia, ha spiegato Mannella, i bambini "sono molto più indifesi e più facilmente vittime di adescamenti" e c'è stato un "aumento dei reati di pedopornografia". Dalle indagini è venuto a galla che in alcuni occasioni, nel corso degli scambi delle immagini sugli abusi, sulle chat individuate si parlava pure della possibilità di avere contatti diretti con i minori vittime delle violenze sessuali. Inquirenti e investigatori, nell'inchiesta con al centro il reato di detenzione e diffusione di materiale pedopornografico che ha portato a 15 arresti in flagranza a seguito dell'esecuzione di decreti di sequestri e perquisizioni, stanno approfondendo proprio i filoni relativi agli abusi filmati e poi fatti girare sui gruppi della rete criminale. E sono in contatto con le autorità di diversi Paesi, anche perché l'indagine sarebbe partita da una segnalazione arrivata dagli Usa. Il procuratore aggiunto Mannella ha voluto sottolineare come in questo periodo di emergenza sanitaria legata al Covid e in particolare durante i lockdown i bambini si ritrovano davanti ai pc "e sono molto più indifesi e più facilmente vittime di adescamenti".

https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2020/12/16/maxioperazione-anti-pedopornografia-arresti-in-tutta-italia_ee078a96-b341-472d-b7c6-6c1ca9b23b89.html

Soldi&Lega, pagano anche i nominati di Enel e Rai. - Stefano Vergine (3^puntata)

 

Sistema 15%. Versava pure chi lavorava in grandi gruppi. I magistrati del caso Lfc: “Valutiamo”.

Il “Sistema del 15%” si applica su tutto, dalla nomina nel consiglio d’amministrazione del Museo militare di Turate, novemila abitanti in provincia di Como, fino ai cda di Eni ed Enel, di Intesa Sanpaolo e Monte dei Paschi di Siena, di Terna e Fondazione Cariplo. Nei giorni scorsi abbiamo raccontato come la lottizzazione della sanità da vent’anni significa assegnare posti in cambio di donazioni. Versamenti da 6-7 mila euro all’anno, che i più svariati direttori delle Asl lombarde hanno fatto affluire, anno dopo anno, nelle casse della Lega. La quale li ha poi premiati, nominandoli in posti sempre più importanti all’interno della sanità pubblica. Notizie di interesse per la Procura di Milano, che ha diverse inchieste in corso su uomini del partito di Matteo Salvini. Il documento inedito che pubblichiamo qui a fianco, racconta invece che cosa è successo a un livello molto più grande: quello delle società private, delle grandi multinazionali italiane, gruppi che competono a livello globale con altri giganti. La lista – un file di contabilità interna, compilato una decina di anni fa dalla segreteria di via Bellerio – raccoglie i nomi di tutti i manager piazzati in quel momento nei posti di vertice delle principali aziende private italiane. Manager che ufficialmente non avevano nulla a che fare con la Lega: commercialisti, avvocati, professionisti vari. Tutte persone che, in realtà, avevano il dovere di versare il 15% del loro compenso al partito. “Dovere morale”, l’ha definito sapientemente la Lega Nord in una delibera del consiglio federale del 2001, ancora in vigore. Dovere di fatto, secondo una ex segretaria del partito, secondo la quale nella pratica la regola sarebbe invece stata questa: “Dai il contributo, altrimenti la prossima volta non vieni più nominato”.

La nuova lista, di certo, mostra quanto è capillare il “sistema del 15%”. Pagare per una nomina in un consiglio d’amministrazione o in un collegio di revisione contabile sembrerebbe una regola trasversale. Come abbiamo anticipato sul Fatto ieri, nell’elenco ci sono i consiglieri d’amministrazione di due dei più grandi gruppi italiani: Paolo Marchioni, per sei anni nel board di Eni, presente tra i donatori del partito, e Marcello Sala, per una vita nel cda di Intesa Sanpaolo, fino a diventarne vicepresidente, che negli anni degli incarichi in banca ha donato almeno 51 mila euro alla Lega.

Da Eni a Terna ed Enel. Nell’elenco completo che pubblichiamo oggi (dopo aver analizzato gli altri nomi presenti) c’è tutto il resto dell’economia italiana. Ci sono professionisti come Marco Folicaldi, commercialista con un curriculum pieno di incarichi nei collegi sindacali di comuni della provincia milanese e di parecchie società private. Tra cui Avisio Energia, all’epoca controllata di Enel. Alcuni documenti contabili del partito dicono che Folicaldi avrebbe versato il suo obolo alla Lega nel 2010, nel 2012 e nel 2014, per un totale di 3 mila euro. Sempre nel settore energia la Lega aveva piazzato all’epoca il professor Piero Maranesi, già ordinario di Elettronica all’Università di Milano e associato di Elettrica nucleare al Politecnico: la lista di via Bellerio lo colloca sotto Terna, il monopolista della trasmissione di elettricità in Italia. E, in effetti, i rendiconti finanziari compresi tra il 2011 e il 2013 dicono che Maranesi, nominato in seguito anche nei board di Enea ed Rse, il suo contributo alla causa (allora padana, oggi nazionalista) si è sentito tenuto a darlo: 2mila euro in tutto, non molto.

Mamma rai. Sono stati invece più generosi come donatori i lottizzati in quota Lega della Rai, ufficialmente super partes. Sapere con certezza quanto abbiano versato tutte le persone elencate qui a fianco è impossibile: fino al 2014, non essendone obbligata, la Lega non pubblicava infatti gli elenchi dei suoi finanziatori.

Un rendiconto finanziario interno aiuta però a farsi un’idea di come funzionava. Elenca tutte le entrate registrate tra il 2004 e il 2014 su uno dei conti correnti della Lega Nord, uno solo dei tanti. È una goccia nel mare, ma racconta ad esempio chi pagava in Rai. Giovanna Bianchi Clerici, componente del cda dell’azienda dal 2005 al 2012, avrebbe versato soldi al partito: un bonifico una tantum da 9.420 euro, eseguito nel 2006. Massimo Ferrario, che dieci anni fa era il direttore della produzione della Rai a Milano, mentre oggi è il responsabile della sede regionale della Liguria, avrebbe regalato 10 mila euro al Carroccio nel 2004, mentre si sarebbe limitato a un versamento da 2 mila euro nel 2014 Antonio Marano, che però oltre che dirigente apicale della Rai è stato anche un deputato della Lega.

Banche. Con il partito non hanno invece in teoria alcun contatto alcuni professionisti del mondo bancario, i cui nomi però si trovano sia nell’elenco interno dei “nominati in quota Lega” che in quello dei suoi finanziatori. Come Marco Dell’Acqua, commercialista di Sondrio, Cavaliere della Repubblica.

Per sei anni è stato nel consiglio d’amministrazione della Fondazione Cariplo, azionista di peso di Intesa Sanpaolo. Oggi è nel collegio sindacale di Fideuram, la finanziaria del gruppo. I pochi dati contabili a nostra disposizione dicono che Dell’Acqua è un donatore storico della Lega: dal 2006 al 2014 avrebbe bonificato al partito almeno 22 mila euro, sul conto corrente che abbiamo potuto analizzare. Tanti o pochi, dipende in teoria sempre dalla paga ottenuta dalla nomina, perché l’unica cifra fissa è la percentuale: 15%.

Il che si traduce anche in piccole donazioni, quelle necessarie per ottenere gettoni di presenza nei collegi sindacali dei più noti istituti di credito italiano. Come i 500 euro annuali di Felice Tavola, uno dei più noti commercialisti di Lecco, “piazzato” dieci anni fa tra i revisori contabili di una controllata di Intesa Sanpaolo, della municipalizzata Aem Energia e anche di Mps Finance, oggi ribattezzata MPS Capital Services, il braccio finanziario del gruppo Monte dei Paschi di Siena. Una conquista in terra rossa per la Lega. Uno delle tante aziende italiane private finite sotto lottizzazione. Un meccanismo grazie al quale il Carroccio – come dicono tutti i documenti pubblicati finora – da vent’anni ottiene un mare di finanziamenti.

3 – Continua

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La Vispa Teresa. - Marco Travaglio

 

Lo spettacolo d’arte varia chiamato prima “rimpasto”, poi “verifica” e domani forse “crisi di governo” si arricchisce di un nuovo numero d’alta scuola: l’incontro fra Conte e il nulla cosmico detto ossimoricamente Italia Viva è rinviato a data da destinarsi perché la cosiddetta ministra Bellanova ha scoperto con sua grande sorpresa di essere a Bruxelles, per la gioia delle restanti capitali europee. Un impegno talmente inderogabile, per le sue braccia rubate all’agricoltura, da far slittare sine die l’incontro a Palazzo Chigi dell’intera delegazione di Iv, dove com’è noto decide tutto la Bellanova. L’Ansa parla di un imprescindibile vertice Ue su “un tema strategico per i prodotti alimentari italiani: la questione dei semafori” e delle etichettature. La versione 2.0 dei “legittimi impedimenti” di B. per scappare dai tribunali. Infatti il 4 dicembre la stessa Bellanova annunciava che “l’Italia non proseguirà nel negoziato europeo per un testo sulle etichettature alimentari” perché “le trattative a Bruxelles non sono state ispirate a un approccio neutrale e hanno confermato l’impossibilità di un’intesa”.

Insomma, un’inutile passerella. Infatti la Vispa Teresa ha parlato 5 minuti e ora dovrà tornare a piedi per giustificare il rinvio di due giorni della verifica. Utilissimo per non dover spiegare che diavolo vogliono quelli di Iv, ora che persino il Pd ha capito di non potersi fidare di loro, Salvini (che incredibilmente si fidava) è stato stoppato dalla Meloni e tutte le scuse inventate per le minacce di crisi si sono rivelate false. Falso che il governo non sia mai stato consultato sul Recovery Plan: 16 incontri al ministero su governance e ripartizione dei fondi. Falso che la task force sia nata nottetempo in uno stanzino dalle menti malate di Conte e Casalino per aggirare governo e Parlamento: l’ha chiesta l’Ue e ne avrà una ogni Paese (l’ha confermato Sassoli), non progetterà né attuerà le opere ma ne monitorerà l’esecuzione (affidata a ministeri, regioni e comuni, su progetti del governo approvati dal Parlamento). Ora l’Innominabile vuole un “salto di qualità del governo” e, siccome nessuno sa cosa sia, annuncia “un documento scritto” per la sua “battaglia per le idee, non per le poltrone”, tant’è che le ministre Bellanova e Bonetti “sono pronte a dimettersi”. Ogni sua minaccia è una speranza. Come quando provò a spaventarci col ritiro suo e della Boschi in caso di No al referendum. Anziché sprofondare nello sconforto, gli italiani corsero in massa a votare No sperando che fosse di parola. Ora gli inconsolabili per la dipartita di Bellanova&Bonetti si contano sulle dita di quattro mani: quelle della Bellanova e della Bonetti. Tutti gli altri sanno bene che la minaccia è troppo bella per essere vera.

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