La stima che nutriamo per Draghi ci fa escludere che sia stato lui a scegliersi come capo di gabinetto Antonio Funiciello. Basta scorrere le biografie dei due per escludere che si siano mai incontrati neppure per sbaglio, in treno, in aereo, in ascensore. Né, nel Governo dei Migliori, possono esser bastati gli slurpissimi tweet del Funiciello all’avvento di Draghi: “DRAGONS. L’alba dei Nuovi Cavalieri”, “Poi parve a me che la terra s’aprisse tr’ambo le ruote, e vidi uscirne un #drago…” (Dante, Purgatorio), o i sobri retweet “Da pochi giorni Città della Pieve sembra Versailles” e “Grazie Presidente! #Mattarella” (by Gentiloni). No, qualcuno deve aver tirato un pacco a SuperMario, approfittando della confusione generale. Nato a Piedimonte Matese (Caserta) 45 anni fa, il nostro eroe è laureato in Filosofia e giornalista pubblicista, il che gli fa credere di essere un “intellettuale liberale”. Ha pubblicato alcuni libri all’insaputa dei più e collaborato con Riformista, Europa, Liberal (tutti falliti) e poi col Foglio e l’Espresso (auguri ai colleghi). Blairiano e clintoniano fuori tempo massimo e all’insaputa di Blair e Clinton, è un patito degli States, soprattutto del Texas, che sta a lui come il Kansas City stava a Nando Mericoni. Ma la sua vera vocazione è il consigliere dei principi o presunti tali. Per 10 anni portaborse di Morando e poi di Zanda, che sono già belle soddisfazioni, divenne veltroniano e napolitaniano, poi si avvicinò persino a Ichino e Tonini, che ne fecero il direttore di una cosa denominata “Libertà Eguale”. E aggiunsero la sua firma a un mitico “Appello per l’Agenda Monti”. Epifani lo promosse financo a “responsabile Cultura” del Pd: ma fu un attimo, poi lo riconobbero. Lui, deluso, passò al servizio dell’Innominabile, che lo elevò a direttore del comitato referendario BastaunSì e – riferivano le cronache, senza offesa – “braccio destro di Lotti”.
Nel 2016 questo Anzaldi minore divenne l’occhiuto censore dei due-tre critici della schiforma Boschi- Verdini, “monitorando tutti i programmi tv” e presentando un “esposto all’Agcom” per disinfestare La7 dalla “persistente manifesta violazione della normativa” perpetrata invitando giornalisti del Fatto “che si sono espressi chiaramente per il No”, anziché far parlare a reti unificate il Sì. Molto liberale, ma soprattutto fine, Cafone il Censore definì Chiara Appendino in dolce stil novo “bocconiana come Sara Tommasi”. E divenne capostaff di Gentiloni. Ora siede alla destra di Draghi. Eppure ancora nel 2018 il peripatetico rampicante tuonava sul contro “i lacchè e piaggiatori che danneggiano le leadership e rovinano lo Stato con l’adulazione”. E lui, modestamente, lo nacque.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/16/cafone-il-censore/6102556/