martedì 23 luglio 2019

Benvenuti fra noi. - Marco Travaglio



Non passa giorno senza che qualche big del giornalismo e della politica dica ciò che noi scriviamo da sempre, ovviamente senza riconoscercelo né versarci almeno un piccolo copyright. 
Eugenio Scalfari, su Repubblica, riabilita Giuseppe Conte dalla black propaganda che lo ritraeva come la marionetta e lo zimbello suoi vicepremier, soprattutto di Salvini. Macchè “burattino”, Egli è il “burattinaio”. Anzi, di più: “Valutando il Conte di oggi non è affatto escluso pensare che ripeta in qualche modo le idee di Aldo Moro”. Ma non solo: “A me sembra che Conte sia oggi l’uomo del giorno e che possa creare un’Italia europea degna di poter essere positivamente valutata dai suoi alleati e soprattutto dai suo abitanti”. Quali alleati? I 5Stelle e il Pd, in un nuovo compromesso storico come quello moroteo fra Dc e Pci. E, per curiosità: chi si era azzardato a dare del “burattino” allo statista di Volturara Appula? Scalfari, naturalmente: “Conte è un gentile e ben rappresentato burattino, i cui fili sono mossi dai due burattinai che se lo sono inventato” (8.7.08). 
Fino all’altroieri Repubblica e i suoi derivati facevano a gara a ritrarlo come “uno studentello impreparato” (Sebastiano Messina, 7.6.08), “il Conte Zelig. Il presidente esecutore. Il premier fantasma. L’uomo invisibile. Pinocchio tra il Gatto Di Maio e la Volpe Salvini. Il primo presidente del Consiglio di cui non si conosce un’idea” (Espresso, 10.6.08), “il burattino che non riesce a diventare Pinocchio”, reo di “ricorrenti piccole-grandi truffe curriculari”, “figura ben più drammatica che ridicola”, “il pupazzo di Di Maio&Salvini, il vice dei due vice… una finzione giuridica dell’Italia a 5 stelle, l’Agilulfo di Calvino, che non era un cavaliere ma una lucida armatura vuota” (Francesco Merlo, 12.9), “Conte non esiste, parla pochissimo, non decide nulla” (Espresso, 16.9), è l’“azzeccagarbugli nazionale” (Mario Calabresi, 23.9), “tra Conte e Casalino il vero uomo forte non è il presidente ma il suo portavoce” (Messina, 23.9). Condanne senz’appello pronunciate in base al Pregiudizio Universale, prim’ancora di vederlo all’opera e farsene un’idea positiva o negativa alla luce di quel che fa o non fa. Siccome l’ha scelto il M5S, deve per forza essere una nullità, ma anche un poco di buono.
Ieri sul Corriere Paolo Mieli, uomo saggio e prudente, che mai s’era lanciato in scomuniche preventive, ha raccontato come Conte, zitto zitto, si sia ritagliato un ruolo da protagonista dopo le Europee a scapito di Salvini, così nervoso anche perché il premier ha reso inutile il suo trionfo elettorale di due mesi fa: “C’è un vincitore, il Conte, e uno sconfitto, il suo vice Salvini”.
E ancora: “Conte con grande agilità ha preso le redini di un M5S in stato confusionale dopo lo shock elettorale” e “offre ai grillini una prospettiva di tenuta della legislatura” con “la garanzia di restare a lungo in Parlamento e persino al governo”, avendo costruito ben “due maggioranze” (quella giallo-verde e quella di “salute pubblica” in caso di crisi) che alla lunga logoreranno Salvini, complici i casi Rubli e Siri, mentre Conte “potrà presentarsi al Paese e all’opinione pubblica internazionale come capo di un governo che per ben due volte ha evitato la procedura d’infrazione”. E, “dovessero esserci degli inciampi, verrebbero messi per intero sul conto del ministro dell’Interno”. Immaginate la faccia dei lettori del Corriere, abituati a leggere che “il professor Conte non ha alcuna esperienza di amministrazione. Niente, nada, nothing, nichts, rien… È come se la Marina militare affidasse la portaerei Cavour a un caporale degli alpini, magari bravissimo. Si può fare, ma è da incoscienti… In Europa vedono tutto, e capiscono abbastanza bene” (Beppe Severgnini, 27.5.08) e che “il vero presidente del Consiglio è Salvini”, mentre “a Conte non resta che lanciare un appello: se ci sei batti un colpo” (Luciano Fontana, 9.7.08). Senza contare l’ultimo sondaggio di Pagnoncelli, che dà a Conte un indice di gradimento record del 58%, 4 punti sopra Salvini.
Sempre ieri, sul Corriere, Dario Franceschini, azionista di maggioranza del Pd e politico di lungo corso, sostiene che “è un errore mettere Lega e grillini sullo stesso piano. Senza la ricerca di potenziali alleati difficilmente il Pd potrebbe arrivare col proporzionale al 51%”. Non solo: “La strategia renziana dei pop corn ha portato la Lega dopo un anno al 35%. Abbiamo buttato un terzo dell’elettorato, quello dei 5Stelle, in mano a Salvini”. E poi “Conte non è Salvini: quando nel campo avversario si vedono delle differenziazioni l’opposizione deve valorizzarle”. Come “il comportamento diverso di 5Stelle e Lega sull’elezione di Sassoli e di von der Leyen, le cose su Europa e autonomia di Conte, alcune prese di distanza di Fico o quello che sostiene Spadafora sui diritti civili”. Quanto basta non per un inciucio M5S-Pd (in questa legislatura, sarebbe il governo degli sconfitti contro il vincitore delle Europee), ma per “difendere insieme i valori umani e costituzionali che Salvini calpesta ogni giorno”. Parole ragionevoli, infatti subito bersagliate dai bombardamenti del Bomba. Peccato che un anno fa, quando il Pd poteva accettare il contratto con Di Maio, Renzi lo prese in ostaggio e tutti tacquero. Anche Franceschini e i giornaloni, salvo quelli che applaudivano Renzi.
Prima di montarci la testa e organizzare per questi ritardatari una festa di benvenuto fra noi, con l’inginocchiatoio per la penitenza, domandiamoci se avevamo visto giusto da soli per merito nostro o per demerito degli altri. La risposta, purtroppo, è che non siamo più intelligenti. Solo più fortunati. Gli altri vedono le stesse cose che vediamo noi, ma non possono scriverle. Almeno finché Salvini non va al 35% e la paura a 90. Si dirà: meglio tardi che mai. Il guaio è che forse è troppo tardi.

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