“Oltre che uomini a sangue ghiaccio, Mattarella e Conte hanno un’altra caratteristica comune. Sono entrambi giuristi. Ma giuristi di discipline assai diverse. Diritto civile da una parte e diritto costituzionale e parlamentare dall’altra… Tra Mattarella e Conte c’è una grammatica comune: la grammatica giuridica”.
Paolo Armaroli, “Conte e Mattarella” (La Vela)
È il premier più sottovalutato (e insultato) dall’opposizione – quella sovranista e quella televisiva –, mentre la cosiddetta grande stampa continua a osservarlo con un misto di stupore e disappunto, come se si trattasse di un intruso che prima o poi sarà sloggiato da Palazzo Chigi. Certo, nessuno è eterno, figuriamoci nella politica italiana, ma ciò che sorprende è, in particolare da parte di chi legittimamente lo detesta, l’analisi sommaria del personaggio e delle circostanze che si è trovato a governare. Colpisce il giudizio superficiale, sempre pencolante tra sonore bocciature (tante) e striminziti apprezzamenti, come se l’esercizio del governo del Paese al tempo del Covid fosse frutto di un’interpretazione personale e improvvisata. E non invece il procedere di un asse portante che si è saldato, sulle decisioni fondamentali da prendere, tra il presidente del Consiglio e il presidente della Repubblica. Tra Giuseppe Conte e Sergio Mattarella.
Se n’è accorto un giurista, Paolo Armaroli, già parlamentare di An, tutt’altro che schierato con Conte ma interessato a esplorare il rapporto tra due personaggi assai diversi, e dalla storia assai diversa, che il destino (non solo quello politico) ha collocato al vertice delle istituzioni in una emergenza drammatica, forse la più drammatica della storia repubblicana. Chi vuole saperne di più su questa strana ma funzionante diarchia legga il libro di Armaroli: a noi qui interessa cogliere la mediocrità politica di un’opposizione (con dattilografi al seguito) che continua a dare formidabili testate contro un muro che si ostina a non cedere. Quello edificato sulla triangolazione Quirinale, Palazzo Chigi, Commissione europea. Quello del gradimento all’avvocato di Volturara Appula che, antipatico a lorsignori, nei sondaggi oscilla sempre intorno al sessanta per cento. Quello cementato sull’emergenza Covid che, a dispetto di Salvini&Meloni, rischia di resistere fino alle elezioni del 2023. E forse anche oltre. Come auspica il premier che nel settembre scorso, interpellato alla Festa del “Fatto Quotidiano” su un secondo mandato di Mattarella, rispose entusiasta: “Se ci fossero le condizioni, anche da parte sua, lo vedrei benissimo”. E i ripetuti inviti del Colle alle forze politiche per trovare un modo di collaborare per il bene del Paese, non suonano come una richiesta al sovranismo riottoso affinché non si ostacoli chi è al timone nel mare in tempesta? Per carità, mai dire mai, ma sottovalutare il nemico da abbattere non è mai saggio. Nel caso in esame rinviamo alla godibile cronaca dell’esame a cui furono sottoposti da Di Maio e Salvini, al tempo del patto gialloverde, Conte e Giulio Sapelli in una specie di finale per la scelta del futuro premier. “Vince Conte non ai punti ma per ko”, sentenzia Armaroli. L’uno “elegante, prodigo di parole al miele, arrendevole quanto basta e disponibile a indossare i panni dei due interlocutori”. L’altro che, “vestito come capita”, “mette bene i puntini sulle ‘i’, pone condizioni”, detta quasi la lista dei ministri e rende subito chiaro “che se lui va a Palazzo Chigi, intende esercitare le sue prerogative”. Ahi! A fare fuori Conte bisognava pensarci allora, adesso è un po’ tardi. Vero Salvini?
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