lunedì 2 maggio 2011

Usa: Obama annuncia, ucciso bin Laden.



(ANSA) - NEW YORK - Osama Bin Laden e' stato ucciso da un commando americano in Pakistan: il presidente Usa Barack Obama lo ha annunciato in un discorso in diretta alla nazione. Il terrorista è stato ucciso vicino a Islamabad. Il corpo è stato recuperato ed è in mano alle forze Usa.


domenica 1 maggio 2011

"La mia vita dentro" di Luigi Morsello.


Congratulazioni all'amico Luigi Morsello per la riedizione del suo libro del quale posto una breve descrizione.

"Il dentro è il carcere. La vita è quella di LuigiMorsello, che nei penitenziari ha speso 36 anni della sua esistenza dirigendo sette case di reclusione. Le vite che racconta sono quelle di chi, in prigione, ci è stato rinchiuso per avere commesso dei reati. Quella che emerge è un’umanità spesso dimenticata come se, una volta rinchiusi, i detenuti scomparissero dalla società e smettessero di essere uomini.

Scrive il magistrato Piero Luigi Vigna nella prefazione:

L’appassionante panorama di personaggi che La mia vita dentro ci propone può finalmente rivelare al lettore, al di là delle aride statistiche con le quali viene spesso rappresentata la realtà carceraria, l’umanità che vive dietro le sbarre e che costituisce, insieme al direttore, agli agenti, agli assistenti sociali, agli educatori, ai medici e infermieri, non tanto un’istituzione totale, quanto una vera e propria comunità.

Gli anni di lavoro di Luigi Morsello sono coincisi con uno dei periodi più bui della storia del nostro paese, in cui terrorismo e stragi mafiose hanno rivestito un triste ruolo da protagonisti. Nel libro ritroviamo molti nomi noti: Curcio, Sindona, Gianni Guido, Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e il generale Dalla Chiesa. La mia vita dentro costituisce un importante documento di storia dell’Italia, raccontata da un punto di vista d’eccezione."

http://www.booksblog.it/post/5963/la-mia-vita-dentro-di-luigi-morsello

Io l'ho letto tutto d'un fiato, e ho scoperto un uomo probo, responsabile e sensibile che descrive la sua vita e quella dei reclusi con dovizia di particolari. Con lui ho scoperto un mondo che non conoscevo e che ho imparato a concepire in modo diverso.

Ve lo consiglio.


Donne e maltrattamenti: non sono fatti vostri. - di Lidia Ravera.


Un deputato, prima di accanirsi contro la Costituzione, si è sfogato con la moglie e l’ha spedita all’ospedale. Un capo di governo ha pagato le prestazioni sessuali di una minorenne e l’ha sottratta alla tutela cui aveva diritto. Un direttore di telegiornale, forse, ha procacciato quarti di carne fresca femminile per una clientela di anziani sessualmente incontinenti. Qualcuno ha qualcosa da dire? No, no, per carità… Se hai qualcosa da dire sei bigotto, bacchettone & liberticida.

La frase degli spiriti illuminati, che tutto comprendono e digeriscono, è questa: “Un uomo in casa sua (o in casa del suo indiretto superiore) può fare quello che vuole”. Variazione spericolata:“Basta che faccia bene il suo lavoro”, che magari è governare. E mettiamo pure che sia bravissimo a governare (sarebbe già un sollievo), siamo sicuri che possa fare quello che gli pare a casa sua? Che cos’è una casa? Uno spazio extraterritoriale, una zona franca, un paradiso morale in cui ogni regola è sospesa, ogni obbligo decade e nessuno paga per quello che fa (o non fa)? Una volta ci regnavano ledonne, sul focolare (almeno lì, almeno a parole). Adesso la donna, nel chiuso delle sue stanze, torna a essere umile ancella. Dietro quella metafisica porta chiusa, quella che separa il privato dal pubblico, l’uomo è padrone. Può coprirti di ridicolo o di schiaffi, ma se tutto avviene lì, in tinello o nella tavernetta, magari nel corso dell’orgiastico riposino del guerriero, nessuno lo “può giudicare nemmeno tu”, come cantava Caterina Caselli, in un’altra era geologica.

È una conquista recente del nostro Paese, questa sanatoria del peggio, estesa a chiunque abbia abbastanza potere per scansare almeno un paio di comandamenti. Dio, evidentemente, è dalla loro parte. Noi laici, costretti a comportarci bene per mancanza di protezioni altolocate, continuiamo a fare i conti con la nostra coscienza. Come ai tempi in cui si gridava contro chi era “a sinistra in piazza, a destra nel letto”. E giù feroci lezioni di perfezione relazionale! Avessimo quattro soldi da parte varrebbe la pena di lanciare un’Opa sulla Famiglia per conquistare il primo fra i suoi “valori”: l’impunità domestica.

Il Fatto Quotidiano, 1 maggio 2011




Angelucci, guai grossi in famiglia. - di Lirio Abbate



La donna, 48 anni, lavorava come fisioterapista in una delle strutture della Tosinvest. Adesso la vicenda finirà con una richiesta di autorizzazione a procedere.

«Mi ha licenziata, minacciata e fatta pedinare. E non paga gli alimenti a nostro figlio». Così il re delle cliniche romane, editore di Libero e parlamentare berlusconiano, è finito sotto inchiesta dopo la denuncia della sua ex compagna.

Il Parlamento potrebbe essere presto chiamato a esprimersi su una vicenda personale e familiare che riguarda un deputato del Pdl, Antonio Angelucci, 67 anni, editore di "Libero" e re della sanità privata italiana. Fatti che hanno rilevanza penale e per la quale la procura di Roma potrebbe chiedere l'autorizzazione a procedere a conclusione dell'indagine che punta sul politico-imprenditore. In questa storia non è coinvolta nessuna nipote di presidenti o dittatori mediorientali, ma l'ex compagna di Angelucci, la donna che pochi anni fa ha dato al "re" della sanità il suo quarto figlio. Lei si chiama Annalisa Chico, 48 anni, e fino a pochi mesi fa lavorava come fisioterapista in una delle cliniche che fanno capo alla Tosinvest, la cassaforte della famiglia Angelucci. La donna è stata licenziata. E non solo: il suo ex compagno l'ha pure cacciata di casa. E in mezzo alla strada sono finiti lei e il figlio.

Ma la storia inizia molto prima rispetto a quando la società degli Angelucci ha dato il benservito alla fisioterapista. Tutto parte da quando Annalisa Chico ha denunciato il deputato. Agli investigatori ha raccontato di essere stata minacciata dal suo compagno, di aver subito aggressioni che le hanno procurato lesioni. Storie personali e familiari - finite in un'inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto di Roma, Maria Monteleone - in cui la fisioterapista racconta delle minacce ricevute e del fatto che Angelucci l'avrebbe fatta controllare e pedinare da uomini che si sarebbero "qualificati" come appartenenti alle forze dell'ordine, assoldati per uno scopo privato. Un dato preoccupante, se fosse vero, che ha contribuito a creare maggiori timori alla donna. Ma la paura non l'ha fatta tacere e dopo essersi rivolta a un avvocato, ha presentato una dettagliata denuncia contro il padre del suo bambino, accusandolo pure di violazione degli obblighi di assistenza familiare. In poche parole Annalisa Chico sostiene che il magnate delle cliniche private non l'avrebbe solo cacciata di casa insieme al figlio. Il parlamentare le avrebbe tolto pure tutto quello che le aveva dato, licenziandola e azzerando i versamenti di denaro, compresi quelli destinati al piccolo. L'azione giudiziaria ha mandato su tutte le furie l'imprenditore che ha già altri problemi con la giustizia. La fisioterapista avrebbe notato in più occasioni di essere stata seguita, controllata, in qualche circostanza bloccata da uomini che le avrebbero mostrato un tesserino delle forze dell'ordine e l'avrebbero "consigliata" di desistere dal portare avanti le denunce. Consiglio non raccolto e per questo motivo ha segnalato agli investigatori una serie di condotte persecutorie che si sono aggiunte ai fatti che aveva già denunciato.

Una storia che riserverà altri colpi di scena. L'inchiesta è ancora aperta. I magistrati vogliono accertare, fra i tanti episodi da riscontrare, se a monte delle condotte persecutorie c'è Angelucci. Si sa però che Annalisa Chico conoscerebbe molti retroscena degli affari del suo ex compagno. In particolare sulla sanità nel Lazio. In diverse intercettazioni depositate due anni fa dai magistrati di Velletri nell'inchiesta sulle cliniche private in cui venivano chiesti gli arresti domiciliari per il parlamentare - negati dal voto della Camera - emergono le conversazioni fra l'imprenditore e Annalisa Chico. Conversazioni del 2007 in cui il politico-editore parla di incontri con l'allora ministro della Salute Livia Turco. E ancora di quando era fiero di sé, perché sosteneva di aver ottenuto il cambio di un assessore regionale alla Sanità perché "mi aveva fatto la guerra per due anni". In quella inchiesta il gip metteva in evidenza come Antonio Angelucci era "capo indiscusso della Tosinvest", che di fatto è gestita dai tre figli del parlamentare avuti con la prima moglie, deceduta a metà degli anni Novanta.

Oggi le sorprese giudiziarie che Chico può riservare al suo ex compagno sono tante.





Toni Negri strizza l'occhio a B. - di Marco Travaglio



L'ideologo dell'Autonomia considera 'persecuzioni giudiziarie' sia le inchieste sul terrorismo negli anni Settanta sia le indagini che vedono coinvolto il premier.

Gli psichiatri la chiamano "proiezione": il paziente attribuisce agli altri quel che sta facendo e pensando lui. Silvio Berlusconi ne è un caso di scuola. Soprattutto quando accusa i magistrati (non tutti, si capisce: solo quelli che indagano su di lui e sui suoi amici) di "brigatismo giudiziario". e quando telefona la sua affettuosa solidarietà al candidato milanese Roberto Lassini, strapazzato dal presidente Napolitano e dal sindaco Moratti per i manifesti "via le Br dalla procura", scaricato per forza e scandidato per finta dal pdl lombardo. In realtà furono proprio i terroristi i primi a non riconoscere la "giustizia borghese" dei tribunali della repubblica e a difendersi non nei processi, ma dai processi.

Lui si limita a copiarli, anche se lo fa non da un covo clandestino, ma dalla presidenza del Consiglio, e non con volantini ciclostilati, ma con comunicati ufficiali targati Palazzo Chigi e in comizi assortiti. Della prodigiosa analogia si era accorta per tempo una delle teste più fini dell'eversione rossa: Toni Negri, già leader dell'Autonomia a Padova, poi latitante in Francia, poi condannato per partecipazione a banda armata, poi finalmente rientrato in Italia e arrestato.

Il 3 maggio 2003, mentre il premier faceva il diavolo a quattro per sfuggire al processo Sme con leggi Cirami e lodi Schifani, Negri rilasciò illuminanti dichiarazioni a "L'Infedele" di Gad Lerner, riprese due giorni dopo da Alessandro Trocino sul "Corriere della sera". Anzitutto elogiò la buonanima di San Bettino perché «ero a Parigi e Craxi, allora presidente del Consiglio, mi fece sapere che i servizi stavano architettando qualcosa su di me, consigliandomi di essere cauto. Per questo ancora gli sono grato» (quel "qualcosa" che i servizi architettavano era il tentativo di assicurarlo alla giustizia italiana, a cui era sfuggito grazie all'elezione in Parlamento gentilmente offerta da Pannella).


Poi l'ex leader di Autonomia operaia tributò tutta la sua amorevole solidarietà al Cavaliere perseguitato dai giudici in processi per corruzione giudiziaria: «Pur essendo Berlusconi un mio avversario politico, io sono solidale con lui e con chiunque venga condannato ad anni di carcere da una magistratura come quella italiana che si è di volta in volta alleata con la destra e con la sinistra. Le operazioni giudiziarie, condotte contro di me e contro l'Autonomia negli anni Settanta con la complicità della sinistra, sono state una premessa alle successive cospirazioni giudiziarie contro i socialisti ieri e contro i berlusconiani oggi». Solidarietà non solo a Berlusconi, ma anche al compagno Cesare Previti, «perché io non auguro la galera a nessuno».

Sempre sul "Corriere", lo scrittore Claudio Magris commentò quelle tutt'altro che stupefacenti convergenze e invitò il premier a respingere al mittente quell'imbarazzante solidarietà: «Secondo Negri, leader di Autonomia operaia e condannato per partecipazione a banda armata, vi sarebbe una voluta e pianificata continuità tra le persecuzioni inflitte dalla magistratura italiana ai terroristi negli anni di piombo e le persecuzioni inflitte ora da essa a Berlusconi, al quale Negri ha espresso pubblicamente solidarietà e che evidentemente egli considera "vittima della giustizia borghese" come i condannati per la lotta armata, lotta che ha visto cadere assassinati tanti galantuomini. E' strano che un capo di governo non si senta offeso da tale accostamento e non senta il bisogno di respingerlo».

Ma, perfetto allievo del cattivo maestro, Berlusconi non raccolse l'invito di Magris.

Del resto, nemmeno nell'estate del 2009 provò alcun imbarazzo quando Negri tornò a solidarizzare con lui per lo scandalo D'Addario, la escort pugliese che dopo due notti a Palazzo Grazioli si era ritrovata candidata alle elezioni comunali di Bari in una lista fiancheggiatrice del Pdl sponsorizzata dal ministro Fitto. «Mi spiace per Berlusconi. Le persone che si dichiarano perseguitate mi sono simpatiche», disse Negri al "Riformista" il 27 luglio 2009. E anche quella volta il premier, tutt'altro che imbarazzato, incassò (poi, qualche mese dopo, finse di indignarsi perché il governo del Brasile non ci riconsegnava il pluriomicida latitante Cesare Battisti). Dio li fa poi li accoppia.



Quante divisioni ha Grillo?



A Bologna la sua lista è data al 10 per cento. A Milano i suoi voti possono essere decisivi tra Pisapia e Moratti. A Torino sono già sopra l'Udc. E il Pd si divide tra chi non vuole averci a che fare e chi vorrebbe ascoltare le ragioni del suo movimento.

Un anno fa, alle elezioni regionali del 2010, il loro exploit colse di sorpresa tutti i sondaggisti e in qualche caso fu decisivo: in Piemonte, per esempio, costò la poltrona di presidente della Regione all'uscente Mercedes Bresso del Pd. Ora tutti i ricercatori si sono fatti prudenti: sulle liste del Movimento a Cinque Stelle, benedette da Beppe Grillo, circolano rilevazioni molto positive, alcune addirittura clamorose. Il candidato sindaco di Milano, il giovane Mattia Calise, appena 20 anni, riccioli neri e una certa sfrontatezza di esposizione, si presenta come un semplice studente di Scienze politiche, ma nelle (rare) apparizioni televisive ha sfoderato la faccia tosta del veterano.

All'"Infedele" di Gad Lerner ha fatto infuriare il senatore berlusconiano Giampiero Cantoni con i dati del World Economic Forum sull'inefficienza del governo e si è rifiutato di rivelare per chi voterebbe al ballottaggio, sgusciando come un andreottiano dei bei tempi. Funziona, però: i sondaggi lo collocano tra il 4 e 5 per cento, sarebbe determinante nel caso di un secondo turno Moratti-Pisapia, così come il Nuovo Polo di Manfredi Palmeri, che è all'attenzione di tutta la politica nazionale. E non sarebbe neppure una novità: alle regionali di un anno fa a Milano città l'ignoto candidato dei grillini Claudio Crimi prese più voti di un combattente di mille battaglie come Savino Pezzotta, ex segretario della Cisl e deputato dell'Udc: 3,4 contro 3,1. Più o meno come a Torino, dove i grillini presero un punto in più dei centristi di Casini, che anche in quel caso si credevano decisivi e furono irrilevanti.

Percentuali positive ma ancora lontane da quelle toccate nella vera roccaforte del grillismo, l'ex capitale rossa Bologna. Un anno fa Giovanni Favia arrivò in città a 18 mila voti, il 9 per cento, terza lista dopo Pd e Pdl, più della Lega e di Idv, Sinistra e libertà, Rifondazione ecc. Ora i Cinque Stelle ci riprovano con il fotografo Massimo Bugani, caricato a molla dal comico-leader: "Con te non c'è speranza per gli avversari".

Qualche sondaggio lo dà addirittura intorno al 10 per cento: se fosse così si avvicinerebbe il ballottaggio per il candidato del Pd Virginio Merola, contro lo sfidante della Lega. E a quel punto, altro che aperture al centro, per il Pd la sfida diventerebbe acchiappare i voti di Grillo. Difficile. Perché un movimento che si definisce anti-casta non controlla pacchetti di voti, non è in grado di trasferire il consenso su altri. Con candidati giovani, che sventolano programmi carichi di richiami all'innovazione, alla difesa ambientale, al risparmio energetico, più simili ai Verdi tedeschi che alla logora sinistra radicale italiana. Se corteggiarli è inutile, sarebbe più vantaggioso provare a capire cosa vogliono gli elettori grillini, l'ha proposto nel Pd il consigliere regionale Giuseppe Civati. Per ora abbastanza isolato.



La Chiesa approvò Guantanamo. - di Gianluca Di Feo e Stefania Maurizi



I cablo di WikiLeaks rivelano che, ai tempi di Wojtyla, in Vaticano si discusse dei trattamenti disumani inflitti nel campo di prigionia illegale: e alla fine fu deciso di appoggiare comunque la mano dura degli Usa.

Guantanamo? La Santa Sede sta con gli americani. Lo assicura monsignor Mariano Montemayor nel gennaio 2002, pochi mesi dopo l'inizio della guerra al terrorismo. L'alto prelato in quei giorni era responsabile vaticano per Pakistan ed Afghanistan mentre oggi è stato promosso nunzio in Senegal. E sembra fare di tutto per aiutare gli Stati Uniti: li informa delle manovre russe e del dibattito interno a San Pietro, con uno zelo che sorprende anche gli interlocutori statunitensi. Perché? "Figlio di un alto ufficiale della Marina argentina, Montemayor ha detto che in passato lui e la sua famiglia hanno vissuto sotto scorta della polizia per le minacce. Il suo background argentino appare essenziale nel feroce giudizio sul terrorismo di al Qaeda".

E' uno dei documenti più impressionanti dell'ultima ondata di cablo diffusi da WikiLeaks, che "l'Espresso" pubblica in esclusiva, sul campo di concentramento costruito per custodire e interrogare i presunti combattenti fondamentalisti. In questo cablo inedito, l'ambasciatore Jim Nicholson, l'ex colonnello dei berretti verdi mandato da Bush in Vaticano, riporta i commenti del monsignore, descritto come una sorta di nostalgico della dittatura di Buenos Aires: "Come argentino, Montemayor si trova in acque familiari, legalmente ed eticamente, nello sviluppo del suo approccio a Guantanamo. E si è chiesto se i tribunali militari argentini del passato potranno presto trovare i loro equivalenti americani".

Erano le settimane in cui talebani e terroristi venivano catturati a centinaia in Afghanistan. E il mondo si interrogava sul loro destino. "La questione del trattamento dei prigionieri potrebbe diventare importante all'interno del Vaticano, dove un dibattito interno teso si è chiuso con un solido sostegno - con qualche riserva - alla campagna guidata dagli Stati Uniti.

Montemayor ha ripetuto i commenti iniziali secondo i quali alcune voci vaticane, temendo un disastro umanitario per i raid in Afghanistan, hanno spinto per una posizione della Santa Sede meno disponibile verso gli Usa. Ma ha notato con soddisfazione che, contrariamente alle previsioni dei soliti pessimisti, l'intervento statunitense ha chiaramente migliorato le condizioni umanitarie in Afghanistan".

Il prelato inoltre mette in allerta gli americani sui progetti segreti di Mosca per sfruttare la vicenda di Guantanamo: "Montemayor ci ha parlato più volte di conversazioni con un diplomatico russo ritenuto un elemento dell'intelligence, Dmitry Shtodin. Ha spiegato che la Federazione russa sta studiando con attenzione il trattamento inflitto dagli Stati Uniti ai detenuti in cerca di un precedente che giustifichi il modo in cui trattano i prigionieri ceceni". Dmitry Shtodin è ancora primo consigliere dell'ambasciata russa a Roma, spesso impegnato in iniziative benefiche come il restauro di chiese e monumenti danneggiati dal terremoto in Abruzzo.