martedì 30 agosto 2011

Quando i ricchi vogliono essere tassati. - di Benedetta Argenteri



MILANO- La crisi. I conti in rosso. E un senso di responsabilità. Così un gruppo di una cinquantina di tedeschi si fa avanti, chiede al governo di Angela Markel di alzare le tasse solo a loro. «Nessuno di noi è ricco quanto Warren Buffet o Liliane Bettencourt. Siamo professionisti, avvocati, insegnanti. Abbiamo ereditato la nostra fortuna e non abbiamo bisogno di tutto questo denaro per vivere», spiega Dieter Lehmkuhl fondatore del movimento, al quotidiano inglese Guardian. Insomma l'idea è quella di aiutare e Lehmkuhl è convinto che con questo sforzo si potrebbero aiutare i conti pubblici e «fermare il divario tra ricchi e poveri».

IL CASO TEDESCO- Insomma una sorta di contributo solidale che, secondo le stime del gruppo «ricchi per una tassa di proprietà», potrebbe portare nella casse della Germania 100 miliardi di euro. E solo pagando il 5 per cento in più per due anni. Al momento i tedeschi più abbienti pagano al massimo il 42 per cento di imposte. E lo slogan sembra «si può fare di più». O almeno per chi ha di più. «Alla Merkel diciamo di fermare i tagli che colpiscono le classi più povere. Andiamo a prendere il denaro dove c'è». E quindi nelle tasche dei ricchi, cioè chi guadagna più di 500 mila euro.

IN EUROPA- Ma quello tedesco non è l'unico caso. Subito dopo Warren Buffet che nei giorni del declassamento Usa aveva proposto più tasse per i super ricchi, anche Liliane Bettencourt, la donna più facoltosa di Francia, si è detta favorevole a questa ipotesi. E con lei altri 15 miliardari. Tutti pronti a fare la loro parte per salvare la Francia e uscire dalla crisi. Per questo hanno spedito una lettera a Nicolas Sarkozy in cui chiedono, appunto, di pagare di più. Il presidente francese non è stato a guardare. E sta pensando di introdurre un «contributo speciale» del 3 per cento per chi guadagna più di mezzo milione di euro per un paio di anni. Un'iniziativa che ha sollevato diverse critiche. Anche tra lo stesso Ump. «Dovrebbero dare di più». Un po' come stanno pensando i socialisti in Spagna. L'idea, se il candidato Alfredo Pérez Rublacaba vincesse le elezioni di novembre, è quella di reintrodurre una tassa sugli asset per tre anni. Così da dare nuova linfa alle casse iberiche. D'altronde, dicono, la crisi c'è e qualcosa bisogna fare.

http://www.corriere.it/economia/11_agosto_30/imprenditori-tasse-germania_f9e1e5a0-d2e3-11e0-874f-4dd2e67056a6.shtml#.TlzxGY_gLow.facebook

Mafie in Liguria… a insaputa di Scajola. By ilsimplicissimus


Scajola dopo più di un anno continua ad essere inconsapevole: encefalogramma etico piatto. Non che da un rubagalline di scuola democristiana ci si possa attendere un risveglio alla consapevolezza o da un berlusconiano una briciola di verità. Ma insomma questo coma profondo del non sapevo sta attingendo alla comicità stralunata di Buster Keaton.

Anche adesso che è finalmente indagato per quella casa che l’imprenditore Anemone gli aveva comprato per due terzi, versando persino una consistente caparra. Ad insaputa dell’ex ministro ovviamente, troppo occupato per sapere che qualcuno gli compra casa, come del resto erano stati fatti a sua insaputa alcuni lavori di ristrutturazione ed erano giunti, sempre misteriosamente, molti regali tra cui persino un frullatore da 100 euro. Si anche adesso, rimane inconsapevole, forse vivo solo grazie alla sturmentazione del potere: “Attendo con la stessa serenità e la medesima riservatezza che hanno sinora contraddistinto il mio comportamento, che i magistrati romani portino a termine il loro lavoro, nella convinzione che verrà certamente chiarita la mia estraneità ai fatti.”

Questo dichiara l’ex ministro Ma come può essere estraneo a fatti che riguardano soltanto lui e che peraltro sono stati accertati? Possibile che quest’uomo non sappia inventarsi qualcosa di meno ridicolo, che non sappia uscire dal rito delle frasi rituali anche quando suonano come una barzelletta? Possibile che non si renda conto che le sue assurde dichiarazioni sono offensive per l’intelligenza e il buon gusto, anche se dubito che Scajola abbia mai frequentato queste due caratteristiche umane?

Tuttavia, per quanto la figura di Scajola sia modesta e mediocre, la “riservatezza” di cui parla è comica nella forma, ma indegna nella sostanza perché serve a coprire cricche e giri opachi, evidentemente così vicini al cuore del potere che vale la pena anche di passare per cretini. Per Anemone lo sappiamo: la protezione civile di Bertolaso & C e per li rami personaggi dei servizi segreti, dell’informazione, delle forze dell’ordine, compresa la Guardia di Finanza.

Ma forse c’è di più, forse Scajola deve saper dimostrare a qualcun altro che lui è uno di quelli che “parlen not”. La vicenda verminosa del porto di Imperia, in cui l’ex ministro è implicato come capo di un’associazione a delinquere che coinvolge persino il procuratore capo della città con un’accusa di corruzione, rende inquietanti i contorni di questa impudente riservatezza. Già perché le perquisizioni svolte nei mesi scorsi presso gli uffici del porto sono state effettuate dall’antimafia e ci sono magistrati come Anna Canepa, coordinatrice dell’antimafia per Lombardia e Liguria, che mettono direttamente in relazione le colate di cemento al porto con l’assalto della criminalità organizzata nel Ponente Ligure, tanto che si è arrivati a dover sciogliere il consiglio comunale di Bordighera.

Ora mi chiedo quali migliori garanzie di “discrezione” può offrire uno che non vede non sente e non parla, nemmeno se gli comprano casa? Ominicchio sì, ma d’onoricchio.

http://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2011/08/30/mafie-in-liguria-a-insaputa-di-scajola/#comment-3376

Quanto guadagnano i calciatori italiani (e quanto rischiano di pagare con il contributo di solidarietà). - di Marco Bellinazzo


Quanto guadagnano i calciatori italiani (e quanto rischiano di pagare con il contributo di solidarietà). Nella foto il capitano della Roma, Francesco Totti (Ansa)

Cliccando nelle varie figurine dei calciatori troverete il valore degli stipendi netti di alcuni tra i principali protagonisti del calcio italiano. Assieme al calcolo di quanto gli stessi rischiano di pagare per i prossimi tre anni come contributo di solidarietà. Si tratta di una elaborazione del Sole 24 Ore sugli stipendi di alcuni big del calcio (non è e non vuole essere una classifica esaustiva).
Guarda il grafico con gli stipendi dei big del calcio
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La manovra di Ferragosto
ha introdotto un prelievo straordinario sui redditi sopra i 90mila euro (5%) e sopra i 150mila (10%). Chi guadagna tanto deve versare per tre anni questo surplus al Fisco. Per il primo anno il contributo è pieno (primo valore). Dal secondo anno si può dedurre una parte dell'imposta: per cui il contributo effettivo suddiviso su tre anni diminuisce (secondo valore). Per i redditi sopra i 500mila euro – cioè a tutte le star del calcio - converrà scegliere l'aliquota secca del 48% che, non è deducibile, ma garantisce un risparmio (terzo valore).

Per i calciatori la questione si è andata complicando in queste settimane in considerazione del fatto che la maggior parte dei contratti, soprattutto quelli dei big, sono fatti al netto. Nel senso che le imposte se le accolla la società. Ora, è vero che la società è obbligata a svolgere il suo ruolo di sostituto d'imposta e quindi ben potrebbe trattenere sullo stipendio, oltre all'aliquota ordinaria, anche il contributo di solidarietà. Ma i club temono che successivamente, nei casi in cui il contratto faccia esplicito riferimento a un compenso netto da garantire comunque al calciatore, potrebbero essere portate in tribunale: sarebbe difficile a quel punto evitare una condanna alla restituzione di quanto trattenuto.

All'intera serie A il contributo di solidarietà, così com'è stato pensato, e salve le correzioni che saranno apportate in Parlamento con gli emendamenti, potrebbe costare fino a 100 milioni di euro nel prossimo triennio. La Figc ha proprosto di mettere a disposizione delle società per eventuali contenziosi un fondo di garanzia. Alle società non basta. Come non basta il fatto che il nuovo contratto collettivo rispetto a quello scaduto un anno e mezzo fa preveda che la retribuzione possa essere espressa solo al lordo. Per i club deve essere inserita un'ulteriore clausola per precisare che i contributi straordinari siano «esclusivamente a carico dei calciatori». Addio al netto, dunque, e ingaggi lordizzati. Come per tutti gli altri lavoratori.


Chiesa, la beffa dell'8 per mille. - di Mauro Munafò



Dei 144 milioni che gli italiani destinano allo Stato, più di 50 finiscono al restauro e alla manutenzione di parrocchie, monasteri e basiliche. Un regalo che si assomma al sistema di 'devoluzione proporzionale' che porta nelle casse del Vaticano l'87 per cento del gettito con solo il 34,5 per cento delle firme.

In un modo o nell'altro, l'otto per mille degli italiani finisce quasi sempre alla Chiesa Cattolica. Se non bastasse il sistema proporzionale di distribuzione dei fondi, che finisce per dirottare l'87,2 per cento del gettito direttamente nelle casse della Conferenza episcopale italiana (anche se quelli che scelgono la Chiesa sono il 34,5) ci pensa poi lo Stato a girare un altro 3-4% alla Cei, prelevandolo direttamente dalla sua quota.

Basta infatti andare a guardare la destinazione dei fondi gestiti dallo Stato per accorgersi che almeno un terzo della torta finisce comunque per avvantaggiare il Vaticano: una cifra che solo nel 2010 oscillava tra i 50 e i 60 milioni di euro sul totale di 144 milioni a disposizione dell'otto per mille "laico".

Questo finanziamento aggiuntivo si perpetua da anni attraverso l'opera di restauro e conservazione di chiese, monasteri e basiliche. Fatti due conti, circa un terzo di tutti i fondi dell'otto per mille destinati allo Stato vengono quindi impiegati nella ristrutturazione dei luoghi di culto presenti nel paese. La fatica di firmare per lo Stato Italiano il proprio modulo è quindi sprecata.

Andando a sfogliare il Decreto della Presidenza del Consiglio pubblicato lo scorso dicembre (qui), si può notare come dei 343 progetti finanziati, 262 riguardano i beni culturali e la metà di questi interessano chiese e parrocchie.

Scorrendo l'elenco si possono vedere il milione e mezzo di euro speso per la Basilica di Sant'Andrea a Mantova, il milione e 800mila euro per il restauro della Chiesa dei santi Vittore e Carlo a Genova, il milione e 200mila euro per san Raffaele a Pozzuoli e il milione e 400mila euro per le suore Benedettine di Lecce, ma non mancano gli interventi da 100mila e persino 50mila euro. Una lista lunga 52 pagine, in gran parte con nomi di parrocchie e chiese della provincia italiana beneficiate dall'otto per mille destinato allo Stato, almeno sulla carta.

Ma le buone notizie per la Cei non finiscono qui. Dopo anni di gestioni folli dell'otto per mille statale, di volta in volta razziato dalle finanziarie e prosciugato per missioni di pace o per aggiustatine di bilancio, lo scorso anno le Commissioni bilancio del Parlamento hanno approvato una legge che rimettesse ordine sull'uso di questi fondi, "costringendo" i Governi ad utilizzarli per il contrasto alla fame nel mondo, alle calamità naturali, per l'assistenza ai rifugiati e per la conservazione dei beni culturali. Grazie a questa necessaria modifica, la quota dell'otto per mille in mano allo Stato per finanziare interventi sociali è cresciuta a dismisura, arrivando a 144 milioni e triplicandosi rispetto ai 43 milioni del 2009 (qui) e moltiplicandosi di 50 volte rispetto ai miseri 3 milioni e mezzo del 2008 (qui). Un vero e proprio tesoretto che poteva andare alle missioni del terzo mondo o essere usato per combattere le calamità naturali, ma che per oltre 100 milioni è rimasto in Italia ed è stato speso in restauri.

Viste le cifre in gioco sorge però una domanda: non potrebbe essere la Cei, con i proventi del suo otto per mille, quello destinato alla Chiesa Cattolica, a sobbarcarsi il costo delle ristrutturazioni dei beni ecclesiastici? Cercando la verità nei bilanci, la risposta è certamente sì. Il solo gettito dell'otto per mille arrivato nelle casse dei vescovi nel 2011 ammonta infatti a 1 miliardo e 118 milioni di euro, di cui 190 sono stati destinati all'edilizia di culto (qui). Di questi, 65 milioni sono destinati alle ristrutturazioni ("tutela beni culturali ecclesiastici"): una cifra quasi identica a quella investita per lo stesso scopo dallo Stato.

Anche non volendo andare ad intaccare il fondo di ben 125 milioni destinato alla costruzione di nuove chiese in Italia, la Cei potrebbe limitarsi a investire nella ristrutturazione una parte di quei 55 milioni che nell'ultimo bilancio sono stati "accantonati", cioè messi da parte per future esigenze. Ma finché ci pensa lo Stato a pagare i restauri, perché spendere di tasca propria?


lunedì 29 agosto 2011

Supertassa, Iva, tagli ai comuni Berlusconi e Bossi riscrivono la manovra.



Addio al contributo di solidarietà, nessuna modifica all’Iva, riduzioni dei benefici fiscali per le società cooperative, ridotti di due miliardi i tagli agli enti locali. E poi un ritocco alle pensioni, calcolate solo “in base agli effettivi anni di lavoro”. Ma soprattutto un annuncio che sa di bluff: “Abolizione di tutte le province e dimezzamento del numero dei parlamentari per via costituzionale”. Cioè con tempi lunghissimi per via del doppio passaggio e maggioranza qualificata nei due rami del Parlamento. Dalle prime indiscrezioni sulle modifiche alla stangata decise nel faccia a faccia-fiume tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi esce l’immagine di una manovra stravolta.

Ci si aspettava un incontro lungo, ma nessuno immaginava che i due restassero chiusi per sette ore a villa San Martino: dalle 11 alle 18. E pensare che pochi giorni fa, dopo un dibattito a Bergamo, il segretario Pdl Alfano, il ministro dell’Interno Maroni e il ministro per la Semplificazione Calderoli (tutti e tre presenti all’incontro, insieme al ministro Tremonti) avevano detto che sulla manovra era già stata trovata “la quadra”. Insomma, nelle intenzioni degli aspiranti leader dei due partiti, tutto era stato risolto. Ma non avevano ancora fatto i conti con il Cavaliere e il Senatùr, e soprattutto con il superministro dell’Economia. A questo punto, ammettendo che alla fine l’accordo si sia trovato, visto che nessuno all’uscita ha rilasciato dichiarazioni, non si sa nemmeno se ci siano i tempi tecnici per presentare gli emendamenti entro le 20. Oppure se, in alternativa, il governo decidesse di adottare la strada meno auspicata dalle opposizioni, cioè un maxiemendamento che si accompagnerebbe a un voto di fiducia. Ecco nel dettaglio gli interventi annunciati

TAGLI AGLI ENTI – Le risorse recuperate per “diminuire le sofferenze per gli enti locali”, viene spiegato da fonti di maggioranza, sarebbero reperite da una rimodulazione dei vantaggi fiscali ed un intervento sulle pensioni. In ogni caso, per i piccoli comuni è prevista la “sostituzione dell’articolo della manovra con un nuovo testo che preveda l’obbligo dello svolgimento in forma di unione di tutte le funzioni fondamentali a partire dall’anno 2013″. Quindi niente accorpamento dei Comuni, pur restando immutato l’accorpamento delle funzioni.

CONTRIBUTO DI SOLIDARIETA’ – “Sostituzione del contributo di solidarietà con nuove misure fiscali finalizzate a eliminare l’abuso di intestazioni e interposizioni patrimoniali elusive nonché riduzione delle misure di vantaggio fiscale alle società cooperative”. Il contributo resta però per i membri del Parlamento. La supertassa sarà rimpiazzata con nuove misure fiscali finalizzate a eliminare l’evasione sui patrimoni. E poi riducendo i vantaggi fiscali alle società cooperative

PENSIONI – Calcolo delle pensioni soltanto in base agli “effettivi anni di lavoro”. E’ quanto stabilito nel corso della riunione di maggioranza ad Arcore. Il calcolo per il raggiungimento degli anni di anzianità, viene spiegato da fonti di maggioranza, non dovrebbe più tener conto degli anni di servizi militare prestato e degli anni universitari. “Verranno scorporati”, mantenendo immutato l’attuale regime previdenziale. Gli anni in questione, però, verranno computati per il calcolo della pensione.



'ndrangheta POTERE DEL NON-GOVERNO. - di Claudio Dionesalvi



È nata mille anni fa, ben prima di mafia e camorra, è figlia di un'antica crisi politica ed economica e scaturisce dalla necessità di colmare un vuoto di potere. Un saggio appena uscito e ancora inedito in Italia racconta da dove nasce la malavita calabrese. A partire dal sostantivo bizantino «andragathia». Ne parliamo con l'autore, il linguista John Trumper.

La 'ndrangheta? È molto più vecchia di quanto si pensi. Nata mille anni fa, è figlia di un'antica crisi politica ed economica. Ed è scaturita dalla necessità di colmare un vuoto di potere. Parola di John Trumper, uno degli esponenti della linguistica moderna. Lo spiega in un suo recente saggio intitolato Slang and Jargons, che non ha ancora visto la luce in Italia, essendo apparso sinora solo in inglese per i tipi della Cambridge University, nel volume Romance languages curato da Martin Maiden, John Charles Smith e Adam Ledgeway. Roba che scotta! E che quaggiù farà discutere non soltanto gli studiosi di lingue antiche, quando sarà tradotta in italiano.
È uno studio destinato a riscrivere la storia della 'ndrangheta dalle fondamenta. Si fonda sull'etimologia della parola. Il prof non ha dubbi: «Andragatos è soltanto un nome, vuol dire "buon uomo". Per fare chiarezza, occorre osservare i verbi greci. Dai due elementi, cioè andros e agatos, si è creato un nuovo verbo greco andragatizo che significa: "in origine ho coraggio". Interessante, tuttavia, è l'uso dei due verbi nelle prime epopee popolari del medio greco. Ho studiato le tre edizioni del Digenes Acritas che è una famosa epopea popolare medievale. La più antica è quella di Grottafferrata, la seconda del monastero delle isole di Andros e la terza è nell'Escorial di Madrid. All'inizio sembra ci sia stato un conflitto: da una parte i termini andrio ("ho coraggio") con andria ("coraggio"), dall'altra andragatizo ("faccio il coraggioso") con il sostantivo andragathia. La seconda coppia (verbo e sostantivo) si specializza con il senso di "esercitare un ruolo di borghese o piccolo nobile che sa usare le armi". Sono quegli uomini che i Bizantini usavano per colmare i vuoti di potere della propria governance nelle terre periferiche».
Nell'amministrazione dell'epoca, per esempio, verso l'anno mille, c'è un famoso Andrea di Rende che diventa il giudice bizantino a Squillace. Lui è un giudice di carriera. Comunque, nel frattempo, molta piccola nobiltà bizantina, tipo i Malena, riempie gli spazi lasciati dal potere centrale in momenti di vacatio. «Eh sì - spiega Trumper - perché hanno studiato, allora possono leggere lo Ius civile di Giustiniano nella versione greca. Così riescono ad emettere sentenze in greco corretto. Ma sanno usare bene pure la spada, quindi hanno la capacità di comandare soldati. Per rendere esecutiva una sentenza, possono ordinare a una truppa di farlo. È gente che normalmente non ha una funzione amministrativa, però in casi straordinari, viene chiamata ad esercitarla». In questa fase storica si verificano spesso vuoti di potere. «All'epoca i Bizantini cominciano a perdere terreno in Calabria. Già nell'880 riprendono Santa Severina e Amantea, occupate dagli Arabi. Li rispediscono in mare. Santa Severina è fortificata nell'ambito della riconquista dello Ionio. Amantea invece viene persa una seconda volta. Gli Arabi ci resteranno per più di cento anni. Infatti sono presenti ancora arabismi nel lessico dei pescatori. Termini che non trovi nel resto della regione. Per esempio, l'ambra, cioè la rosamarina, una gustosa e piccante specialità calabra. I pescatori di Tropea e Amantea la chiamano ambra, che è la parola araba per la neonata di pesce».
Dunque nel cuore del medioevo, a queste latitudini, i cambiamenti geopolitici sono improvvisi e ripetuti. Trumper sottolinea che «a un certo punto al generale Niceforo Focas non interessa più la Calabria, perché c'è un vuoto di potere al centro dell'impero. Allora ritorna a Costantinopoli e diventa imperatore. Nei suoi domini italici, l'amministrazione bizantina riesce a malapena a fare il censimento delle proprietà. Lo affida alla chiesa. A Reggio fa il censimento dei gelsi, del vino, delle altre produzioni. I Bizantini inventano il famoso kapnikon: "vedi un filo di fumo, calcoli le tasse". Oggi possiamo anche quantificare la popolazione del tempo, in base a questo criterio. Di fatto, l'Impero d'oriente perde potere in periferia, eppure prova a trattenerlo. Quando nel 1060 arrivano i Normanni, trovano un paese allo sbando, con gli Arabi che invadono, depredano e si ritirano perché non possono gestire un territorio così tortuoso e vasto. Mantengono la Sicilia, ma non hanno i mezzi per controllare tutta la Calabria. Allora fanno delle scorribande. Una volta cercano persino di occupare Cosenza, ma muoiono tutti di malaria lungo il Crati. Arrivano fino a Montalto, addirittura a Gergeri. Cafaruni e Gergeri sono gli unici nomi arabi di Cosenza. Hafr vuol dire dirupo. Gergeri è il luogo in cui fanno crescere le canne da zucchero lungo il fiume».
Ma, con l'arrivo dei Normanni, la situazione sembra cambiare: presidiano alcune zone, normannizzano Cosenza, impongono la loro amministrazione, buttano fuori gli arcivescovi greci di Bisignano e Cosenza (Costantia), che erano suffraganei di Reggio, e li sostituiscono con Arnolfo I e Arnolfo II. «Arrivano quasi a chiudere Vibo e Nicotera. Ruggero - spiega Trumper - ci sistema il suo scrivano, Goffredo di Malaterra, che è suo biografo, ne racconta la campagna militare. Ruggero istituisce il vescovato di Mileto per il suo scrivano. Lui pensa: "quando passo da qui, voglio una casa, pace, lo scrivano al mio servizio, che poi è il vescovo". Lancia un ultimatum all'arcivescovo metropolita di tutta la Calabria e la Sicilia, che è greco: "se vuoi restare qui, tu devi dire la messa in latino". Il vescovo non la prende bene: "io non celebro messa senza l'acqua calda", che per un ortodosso rappresenta il momento clou dell'anafora della messa. Quando si mescola l'acqua col vino, nella liturgia greca c'è l'epiklesis. Non è la recita delle parole di Cristo che crea il corpo e il sangue di Cristo, bensì la preghiera rivolta allo spirito santo nell'atto di versare l'acqua calda nel calice. Quello rappresenta la figura dello spirito santo. Il vescovo non ci sta: "noi non siamo latini, noi non consacriamo nulla con le parole di Cristo, noi consacriamo con le tre hypostaseis della trinità". In sintesi, sta dicendo a Ruggero: "io la messa latina non te la recito". Ruggero capisce perché con lui c'è Brunone che lo consiglia, e risponde: "c'è una nave che parte per Costantinopoli. Le auguro un felice viaggio". E istituisce il vescovato metropolita latino-normanno della Calabria».
Però neanche lui possiede abbastanza potere. Deve tenere la Sicilia. Sta arrivando a Palermo. La capitale bizantina è stata Siracusa. «Con gli Arabi - prosegue lo studioso - Panormos diventa Al Balarm. Il termine moderno Palermo deriva dalla pronuncia araba del greco Panormos. I normanni seguono l'esempio arabo, cioè scelgono Palermo capitale. In Calabria invece dominano il Tirreno cosentino, vibonese e reggino, ma di fatto lasciano lo Ionio. Lì rimangono i vescovi greci, però questi non possono chiedere ai Bizantini di intervenire. Non sono più vescovi sotto un imperatore di Bisanzio, non hanno più il potere di riscuotere le tasse, prerogativa che spettava loro in precedenza, come il potere di organizzare l'esercito. Sono il vescovo di Cassano e quello di Locri a mandare l'esercito contro Ruggero. Non riescono comunque a frenare l'avanzata normanna. Ruggero vince perché questi vescovi non hanno capacità strategiche nell'arte della guerra. Tuttavia, sono loro i livelli più alti dell'amministrazione bizantina. Non ci sono giudici, non c'è un generale. Nella battaglia di Cassano, il vescovo greco indossa l'armatura, monta a cavallo e guida le truppe, seguito dal protopapas mandato da Locri. Perde, perché non sa condurre una battaglia. I vescovi erano stati buoni solo a riscuotere tasse per mandarne una parte a Costantinopoli. In questa fase, dunque, la Calabria è allo sbando. Ma neanche i Normanni istituiscono un forte governo. Si passa dal debole governo bizantino al debole governo normanno. Altrettanto fragile sarà anche quello angioino. Queste terre vivono per secoli in una palese debolezza istituzionale». Allora succede una cosa nuova: «gli uomini che prima esercitavano la funzione di giudici, formavano la corte, il tribunale, quelli che sapevano leggere e scrivere, gli andragatoi, diventano i nuovi capi. Andrangata è un deverbale che deriva dal verbo andragatizen. Se traduciamo andragatizen morfema per morfema dal greco al calabrese, arriviamo ad andragatiàri. Nel dialetto reggino la G velare di solito sparisce. La aguglia diventa aùgghia. Una gatta è la iatta. Per conservare il suono velare GH mettono davanti la N. Allora andragatiàri diventa andrangatiàri. Questa è la prova della provenienza reggina della parola. Il verbo reggino andrangatiàri è un deverbale, sostantivo: quelli che esercitano il potere di andragatiàri».
La conferma arriva dalla cartografia europea. Trumper segnala che «olandesi e inglesi, nel '400, chiamano la Calabria 'Andragathia regio', la regione della Andragathia, dove governa il non governo. Per primi riconoscono questo fatto. Ciò significa che la 'ndrangheta nasce, non solo come parola ma come istituzione, molto prima della camorra che emerge tra '600 e '700. Fare camorria significa fare compagnia. La camorra è una comitiva d'affari napoletana, a differenza della mafia siciliana che irrompe nel 1825. Incarna la ribellione contro gli inglesi che, dopo il congresso di Vienna del 1815, avevano ottenuto il controllo del commercio della Sicilia e nel centro del Mediterraneo. I nobili siciliani non se ne preoccupano, perché sono protetti, come i Borboni, dalla flotta inglese. E poi vanno a divertirsi altrove. Ma i loro intermediari, la nuova classe media, si ribellano, perché perdono la gestione dei traffici commerciali».
La questione del rapporto tra collasso del sistema socio-economico e nascita delle strutture linguistiche, è al centro del saggio. Il professor Trumper elabora un'affascinante ricostruzione della genesi dei gerghi escogitati dal cognitariato medievale. Al tempo della crisi finale che anticipò il passaggio all'età moderna, i possessori della conoscenza indispensabile alla produzione di beni e ricchezze materiali, reagirono al fallimento di quel sistema economico sfornando codici linguistici nuovi e riservati, pur di preservare il controllo delle tecniche di produzione. In sostanza, per sopravvivere, i mestieranti inventarono un linguaggio autonomo, unica possibile cassaforte in cui rinchiudere i segreti delle arti pratiche. È una scoperta destinata a riverberare suggestioni sul presente. Anche i gerghi tipici degli anni zero e delle reti sociali di oggi potrebbero essere il riflesso di una recondita volontà autoprotettiva, la risposta degli attuali mestieranti della comunicazione all'odierna crisi globale. La differenza con quel passato remoto consiste nel mutato contesto di riferimento: dai piccoli villaggi chiusi del medioevo, ai social network di oggi. Le moderne tecnologie e la potenza fagocitante del capitalismo contemporaneo, ramificano sull'intero pianeta qualsiasi innovazione lessicale, mettono a profitto ogni sforzo mitopoietico, rendendo accessibile anche ai non iniziati le forme codificate da comunità virtuali o sostanziali.
«Le lingue di mestiere - conclude lo studioso - nascondono segreti del tessile e della metallurgia. Nascono tra '300 e '500, quando il mondo medievale va a pezzi, collassa. È la necessità di conservare la proprietà esclusiva dei saperi. I mestieranti devono occultare questi segreti. Ne va della loro sopravvivenza. Per questo motivo elaborano un codice accessibile solo ai pochi detentori delle conoscenze relative a quei mestieri. La prima funzione del gergo è proprio questa. Le persone che lo sentono ma non lo capiscono, lo scambiano per il cinguettare degli uccelli: cip cip, ba ba, gar gar, ga ga. È questa l'origine etimologica del termine jargon: gergo. Gli iniziati, invece, riescono a identificarsi tra di loro, anche a distanza. L'artigiano calabrese dell'epoca, deve fidarsi di un Veneto, di un Toscano, di un Francese e di un Piemontese. Nasce così il nucleo comune gergale europeo occidentale. Devono poter parlare lo stesso gergo. Stanno proteggendo segreti di mestiere. La prima funzione del gergo è appunto quella che i francesi chiamano function idontemique, l'identificazione del gruppo. Il gergo all'inizio è di tutti, è un insieme di cose, ha un potere gerarchico. È solo in un secondo momento, quando i livelli più piccoli hanno contatti con l'instabile, cioè la parte criminale della società, che lo stesso gergo viene usato per nascondere identificando. Infatti i calabresi di quel tempo remoto creano comunità fuori dalla Calabria, nelle Marche, in Sardegna, hanno contatti con Veneti, Friulani, Piemontesi, Francesi. Questa è la vera Calabria. Che guarda fuori di sé, non quella che pensa a se stessa come l'ombelico del mondo e non capisce più un tubo. Penso alla politica calabrese di oggi. Il meridionalismo odierno è diventato sterile. All'epoca, invece, era tutto proteso verso l'esterno, perché quella gente era attiva. Tutti questi gerghi hanno un nucleo comune. Nell'ammaskante il capomastro si chiama erbaru, nelle Marche il gergo stesso si chiama ervaresk, in Sardegna abbiamo gli stessi nomi. Un po' dovunque questa parola si ripete. È indicativo. Nel medioevo l'erbaro è il mago. Possiede quindi un aspetto magico, conosce i segreti del tessile, della seta, dei metalli, realizza connessioni ai più alti livelli con l'alchimia. Ci sono nozioni di chimica in questi mestieri antichi. Non è solo la voglia di scoprire la formula dell'oro. Uno che possiede quattro forge, ha contratti con chiese, produce campane, statue, vanta una serie di appalti in giro per il mondo, paga il maestro per i suoi figli perché se lo può permettere, come un nobile. Convoca il maestro itinerante in casa sua: "mio figlio deve imparare a parlare latino, diventerà un avvocato". È esattamente quel che ha imparato a fare adesso la mafia, mandando i suoi figli a studiare diritto ed economia. Loro l'avevano capito nel 1400, 1500. La mafia lo ha capito solo ora. I discendenti di quei maestri artigiani oggi sono giudici, uomini di diritto».


Il Trota, alias Renzino Bossi.




Il trota ha detto che non ha bisogno di Windows Vista, il suo pc ci vede benissimo.
"da E.A. by FB"