“Noi siamo messi così, come uomini. Tu, io, poi Carlo Rossella, presidente di Medusa e Fabrizio Del Noce, direttore di Rai1 e responsabile di tutta la fiction Rai. Sono persone che possono far lavorare chi vogliono. Quindi le ragazze hanno l’idea di essere di fronte a uomini che possono decidere del loro destino”.
Lo stralcio della conversazione tra Silvio Berlusconi “premier a tempo perso” e il prosseneta Gianpaolo Tarantini, con cui si spartisce le “patonze” come merce-premio, è rivelatore di quanto da tempo affermiamo: non è questione di sesso, ma di politica. E, ancor prima, di potere.
La prosa berlusconide è d’abitudine sfilacciata, miseranda, greve e pneumaticamente vuota, il vuoto asettico del piazzismo televisivo. Negli ultimi tempi s’è trasformata in gergo e il vuoto asettico ha assunto un odore mefitico e pestoso. E, tuttavia, mantiene intatta la sua espressività, staremmo per dire il suo espressionismo. Nella comunicazione, nulla avviene per caso.
Ritorniamo su quelle sciagurate parole. Colpisce la prima differenza tra il “noi uomini” e le “ragazze”. Non si tratta solo dell’ennesima rivelazione sulle manie d’un satiro settantacinquenne, che giunge a considerare “vecchietta” una donna di ventinove. No, questo è solo il primo livello di lettura. “Uomo” designa, come sappiamo, l’essere umano integrale; per millenni, anche sui vocabolari, l’essere umano per eccellenza. È “il” sostantivo. “Ragazza” (e il suo corrispettivo maschile) lo è molto meno, per la valenza sminuente attribuitagli nella chiacchiera. E accantoniamo pure le discussioni sull’origine araba del termine (portalettere o schiavo, anche sessuale): ma qualcosa di quell’antico significato permane, a livello inconscio, e riaffiora, qua e là, specialmente se pronunciato dai potenti.
Ebbene: secondo le intercettazioni, il premier a tempo perso non ricorre mai al vocabolo “donne”, bensì appunto a “ragazze”, non di rado a “bambine” – a mano a mano che l’età avanza, le desidera sempre più giovani e fresche – ma ancor più alla sineddoche: cioè la parte per il tutto. La donna, cioè la ragazza, cioè la femmina, si riduce a “patonza”. La sua disumanizzazione diventa così totale.
C’è, in quelle parole, la cultura dell’harem nel significato primo, di separazione. La tronfia fierezza del “Noi Uomini” da una parte; l’ammucchiata di “ragazze” sottomesse e consenzienti, dall’altra. Infatti: “Devono avere l’idea di essere di fronte a uomini che possono decidere del loro destino”. La storia ha ampiamente dimostrato quali nefandezze e crimini si siano perpetrati ai danni non solo delle “femmine”, ma di qualsiasi altro essere umano considerato inferiore (per etnia, cultura, religione, orientamento sessuale…) quando gli Uomini (maschi) hanno “deciso del loro destino”.
Scrissi già alla vigilia del 13 febbraio che la questione da risolvere è tutta qui: squisitamente politica; e antica. Dal disprezzo dell’uomo-maschio verso la donna-femmina sorgono infatti tutte le incomprensioni, violenze, guerre, razzismi, intolleranze ecc. ecc.
Adesso scrivo ancora. Ma per cosa, e per chi?
Per esortare le donne a mobilitarsi, come è già accaduto? Forse, anche. Ma non sono loro, stavolta, le mie principali interlocutrici.
Spetterebbe agli uomini, infatti, se hanno anch’essi coscienza della propria, autentica dignità, se tengono a esser considerati, e a sentirsi, uomini e non semplici maschi, indignarsi di fronte a un individuo di potere che dà del loro genere un’immagine così degradante, primitiva e violenta.
Ma non accade. Non mi risulta abbiano intenzione di organizzare una protesta di massa. Erano in tanti il 13 febbraio, d’accordo. Ma con noi, con le donne. Ci seguivano a ruota. Sembravano sinceramente solidali, molti provavano disgusto quanto noi. Grazie, ma non basta. Non basta più.
Occorre un segnale forte, che non arriva. Mentre càpita ancora molto, troppo spesso di leggere e udire, a mezza bocca o in modo aperto, apprezzamenti compiaciuti nei confronti del vecchio maschio che se la gode e sa, finalmente, “come trattare le donne”.
Non è più tempo di maschere. Se il desiderio profondo, recondito degli uomini italiani (e non solo) è il maschio delle caverne, con tutto ciò ch’esso comporta a livello storico, sociale e politico, se ne assumano le responsabilità e lo proclamino apertamente. E altrettanto apertamente, tutte le persone d’ogni sesso che hanno a cuore la libertà, la democrazia e il rispetto reciproco, lo combatteranno senza tregua.
N.d.R. Su questo sito si è espressa chiaramente una posizione in merito. Vedasi “Lo squallore del chiavare” articolo nel quale si esprime una posizione direttamente proporzionale all’intensità del titolo.