giovedì 13 settembre 2012

Caselli: Su quel palco c’ero anch’io, Sabelli sopra le righe. - Gian Carlo Caselli



C’ero anch’io, alla festa del “Fatto” di Marina di Pietrasanta, domenica scorsa. E non fra le seimila persone assiepate sotto e intorno al palco. Proprio sul palco. Insieme con Antonio Ingroia, Nino Di Matteo, Marco Travaglio e Marco Lillo. Per assistere e partecipare – dall’inizio alla fine – all’iniziativa organizzata in occasione della consegna di oltre 150 mila firme di cittadini raccolte dal “Fatto” per solidarietà verso i magistrati della Procura di Palermo. Posso quindi dire – serenamente – che le reazioni del collega Rodolfo Sabelli, presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), mi sono sembrate decisamente sopra le righe. 

Sostiene Sabelli che la legittimazione della magistratura si fonda sulla fiducia e non sulla ricerca del consenso della piazza. Vero. Ma a Marina di Pietrasanta i magistrati di Palermo si sono limitati a prendere atto che un numero enorme di cittadini voleva esprimere loro proprio e solo fiducia. Fiducia per il lavoro di complessità assolutamente eccezionale che essi stanno svolgendo. Con un coraggio intellettuale non comune, essendosi inoltrati consapevolmente – guidati soltanto dall’interesse generale all’osservanza della legge – nel labirinto vischioso rubricato alla voce delle “trattative” fra Stato e mafia che si sarebbero variamente intrecciate, persino dandovi causa, con le stragi del 1992 / 93. Un labirinto nel quale si intravvedono o si intuiscono – oltre ad interessi propriamente criminali – altri interessi, non meno oscuri e torbidi. 

L’idea di raccogliere le firme è stata di Margherita Siciliano, una signora di Collegno, lettrice del “Fatto”, apparsa poi (anche lei era sul palco) piuttosto timida. Nulla che evochi piazze esagitate. Semplicemente un’iniziativa autenticamente popolare e spontanea, non richiesta né sollecitata in alcun modo dai magistrati. Un’iniziativa che il capo del Sindacato della magistratura dovrebbe apprezzare, anche perché ha determinato una valanga di adesioni (ben oltre ogni più ottimistica previsione) che rappresentano una formidabile manifestazione di fiducia verso la categoria. Esattamente quello che Sabelli chiede e che si inserisce nella situazione di difficoltà e di isolamento dei colleghi palermitani come una preziosa boccata d’ossigeno. 

Questa situazione di isolamento è stata denunziata soprattutto da Nino Di Matteo, che ha anche lamentato il silenzio assordante dell’Anm. Bè, dal capo dell’Anm mi sarei aspettato un contraddittorio basato sull’analitico e scrupoloso elenco degli interventi svolti a sostegno della Procura di Palermo, da tempo nell’occhio del ciclone di polemiche spesso pretestuose. Invece nulla di simile. Anzi, una stizzita presa di posizione che si è risolta in una serie di bacchettate su vari versanti: dall’accusa di sovraesposizione a quella di comportamenti oggettivamente politici che rischiano di offuscare l’imparzialità, soprattutto se si è titolari di inchieste che si prestano a strumentalizzazioni. Accuse che la magistratura palermitana (e non solo) sente ripetere da tempo e che possono facilmente essere contrastate dalla constatazione che non è la magistratura a essersi inventata i rapporti fra mafia e politica. Essi sono realtà della storia di ieri e di oggi del nostro Paese, e Ingroia – parlandone – non fa politica ma storia, peraltro senza mai entrare nel merito delle inchieste, ma proprio al fine di contrastare le strumentalizzazioni che giustamente preoccupano Sabelli. Il quale ha anche sostenuto che i magistrati presenti sul palco avrebbero dovuto dissociarsi, magari alzandosi e andandosene, da alcune considerazioni espresse nei confronti del presidente Napolitano. 

Senonché, dopo la consegna delle firme, l’iniziativa è proseguita non con un confronto-dibattito ma con l’esposizione di vari contributi autonomi. Difficile condividere la tesi che vi sarebbero responsabilità in caso di mancata esplicita dissociazione quando uno dei partecipanti all’iniziativa esponga sue opinioni su argomenti obiettivamente controversi. Fino a pretendere una qualche forma di dissenso plateale, quasi si trattasse di un talk-show qualunque. Credo che in questo modo si finisca per fare, involontariamente, un torto allo stesso presidente Napolitano. Perché non siamo più ai tempi (1852) del consigliere di cassazione Ignazio Costa della Torre, condannato ad una pesante sanzione (poi condonata in parte) perché in un opuscolo in difesa del privilegio della giurisdizione ecclesiastica aveva sostenuto, offendendo la persona sacra ed inviolabile del Re, che un ministro gli aveva posto in bocca il discorso della corona. Dallo Statuto Albertino siamo passati alla Costituzione repubblicana. Che impone ai magistrati, come a tutti i cittadini italiani, di rispettare l’istituzione Capo dello Stato, ma non impedisce di discutere – ad esempio – sull’opportunità o meno di sollevare il noto conflitto avanti alla Consulta. 


http://temi.repubblica.it/micromega-online/caselli-su-quel-palco-c%E2%80%99ero-anch%E2%80%99io-sabelli-sopra-le-righe/

STATO DI POLIZIA TRIBUTARIA. - Eugenio Benetazzo


Eugenio Benetazzo

Col nuovo redditometro, l'agenzia delle Entrate potrà determinare il potenziale di reddito di ogni contribuente sulla base di un elenco di voci di spesa. Uno strumento oppressivo, che ha già prodotto una contrazione dei consumi e la delocalizzazione di famiglie e imprese. Una perdita di risorse che aggraverà la crisi.

"Sarà pronto entro fine ottobre il nuovo redditometro, strumento messo a punto dall'Agenzia delle Entrate per valutare la compatibilità delle spese dei contribuenti con il reddito dichiarato prima di far scattare eventuali controlli. Nel mirino, colf, palestre, asili, automobili. E c'è chi teme che il nuovo strumento possa diventare troppo invasivo, e che si trasformi in uno studio di settore applicato a 22 milioni di famiglie e 50 milioni di contribuenti.
Come valuta il nuovo redditometro? E' uno strumento efficace secondo Lei? "


Il redditometro è uno di quegli strumenti di accertamento coatto che caratterizzano il modus operandi dell'autorità di vigilanza fiscale italiana, molto conosciuto anche all'estero per la sua capacità di essere particolarmente opprimente nei confronti del contribuente, forte di una presunzione oggettiva che conferisce potere all'autorità e all'amministrazione finanziaria, a fronte dei processi di accertamento fiscale. Il redditometro presuppone un elenco di voci di spesa che, per presunzione oggettiva, consentono all'autorità finanziaria di determinare il potenziale di reddito che scaturisce da un contribuente a fronte della sua attività di consumo, della fruizione di determinati servizi e della detenzione di determinati beni che possano manifestare un determinato tenore di vita.

Colf, palestre, persino le donazioni alle Onlus. Il redditometro non rischia di colpire chi già paga le tasse?

L'esecutivo attuale all'interno del piano di rilancio e di risanamento dell'economia italiana, ha individuato nell'ampliamento della sfera d'azione del redditometro, uno strumento utile atto a contrastare il fenomeno evasivo in Italia. Questo ampliamento della sfera d'azione presuppone un aumento delle voci che l'autorità fiscale può utilizzare in fase di predeterminazione del reddito attraverso il ricorso alla presunzione oggettiva. Ciò significa che a fronte di determinate spese o detenzione di determinati beni, l'Agenzia delle entrate può presupporre che il contribuente possa avere un tenore reddituale particolarmente elevato o agiato. Nello specifico, possiamo indicare come recentemente siano state inserite voci di spesa quali le iscrizioni a circoli sportivi, a palestre, oppure anche il ricorso a badanti per il supporto ai propri parenti alla terza e quarta età. 
L'italiano medio si trova ancora una volta a vivere in uno Stato di Polizia tributaria con un aumento e un'oppressione fiscale che probabilmente non ha precedenti storici, e contribuente medio si trova nelle condizioni di evitare di effettuare determinati consumi che possano generare eventuali fenomeni di accertamento tributario da parte dell'Agenzia. Non dimentichiamo, tanto per fare determinati esempi, come anche un viaggio - vacanza tanto desiderato, a fronte di risparmi e di rinunce accantonati nei mesi precedenti, per un importo superiore a 3600 Euro, oggi rappresenti una di quelle voci che consentono allo strumento del redditometro delle valutazioni da parte dell'agenzia sul tenore di reddito del contribuente. Dopodoché, non dobbiamo confondere tra attività di accertamento e evasione fiscale, in quanto se una persona ha un profilo reddituale certo, sano, a fronte del quale vengono onorate e regolarmente pagate le imposte dovute, ogni tipo di fenomeno di consumo o di spesa rientra e è giustificabile nei confronti di qualsiasi terzo. 

Quali sono i rischi di uno strumento del genere in piena recessione?
L'utilizzo del redditometro come strumento di accertamento coercitivo da parte del governo è stato in più occasioni contestato da autorità istituzionali, anche non italiane, e soprattutto anche da personalità e autorità del mondo accademico internazionale come i Nobel Stiglitz e Krugman, i quali mettono in profonda discussione l'utilizzo di questi strumenti. 
Il consenso a questa lettura è condivisibile, perché un comportamento di questa portata da parte dell'esecutivo, produce una contrazione dei consumi: il consumatore medio, intimorito da un possibile peggioramento del quadro sul piano fiscale da parte delle autorità di vigilanza italiane, tende a evitare determinati consumi, oppure a spostarli più avanti nel tempo o peggio ancora a 'dissimularli' utilizzando, per esempio, veicoli societari paralleli che consentono di eludere sia i controlli sia la generazione di determinato gettito fiscale. 
Le recenti dinamiche sull'evoluzione del Pil italiano dimostrano come la domanda aggregata, soprattutto per quanto riguarda il livello dei consumi medi, abbia subito una pesante battuta d'arresto dovuta proprio a un'eccessiva ingerenza e un'appesantita oppressione da parte dell'Agenzia delle entrate. 
Quello che posso aggiungere io, in qualità di economista indipendente, è il sentiment e i messaggi che mi mandano molti lettori, i quali mi trasmettono non solo un senso di astio e diffidenza nei confronti di chi ci sta governando, ma addirittura nei confronti dell'intero Paese. E' proprio per questo motivo che vi sono sistematicamente ogni mese centinaia di italiani che abbandonano il nostro paese, se ne vanno via, delocalizzano la propria vita, non solo sul piano finanziario, ma anche sul piano imprenditoriale o professionale, trasferendosi in altri paesi che sono molto più accondiscendenti e incentivando addirittura gli ingressi all'interno del proprio territorio. Penso anche a Paesi all'interno dell'Unione Europea che, letteralmente, attraggono il buon contribuente italiano, il buon imprenditore italiano, sapendo che questo nel tempo è generatore di gettito fiscale, è generatore di risparmio, è generatore di posti di lavoro
Purtroppo noi italiani in questo momento stiamo vivendo una forte perdita di capitali e risorse di natura finanziaria che, per timore dei fenomeni aggressivi e oppressivi di accertamento da parte delle autorità, preferiscono migrare e andare su giurisdizioni diverse, molto più compiacenti e favorevoli alla spesa, alla messa in circolo di questo denaro. La stessa cosa sta avvenendo per quanto riguarda anche le imprese, stanche di questi comportamenti oppressivi da parte delle autorità, che decidono di chiudere a chiave i propri stabilimenti, le proprie fabbriche, i propri opifici e si trasferiscono altrove, questo rappresenta il vero danno che al momento attuale sta colpendo il nostro paese. 
Per tornare alla Sua domanda iniziale: in questo momento si dovrebbe riflettere se questa strada sia effettivamente efficace, cioè porti a generare dei consistenti benefici nel medio - lungo termine. Non vorrei che per raccogliere un importo stimato di 100, magari nei prossimi 3 o 4 anni ne perderemo 500 di gettito indotto da attività e capitali che anziché rimanere in Italia lasciano i nostri confini e vanno a insediarsi altrove. 

Foxconn: Studenti universitari costretti a diventare operai. Il lato oscuro di Apple.


In quello che dovrebbe essere l'ennesimo giorno di gloria per la Apple, due articoli, apparsi rispettivamente sullo Shanghai Daily e sullo Shanghai Evening Post, svelano ulteriori retroscena sul lato oscuro della mela: la megafabbrica Foxconn, in Cina, dove si assembla il nuovo iPhone 5, ultimo gioiello della azienda di Cupertino. 
"Foxconn Undercover", è il nome del reportage, scritto da un giovane reporter cinese che si è infiltrato nella fabbrica-lager, lavorando dieci giorni come operaio. Dieci giorni da incubo, con turni di lavoro notturno da 10 ore l'uno, condizioni igieniche pessime e vessazioni continue da parte dei superiori. Un inferno che vien ripagato con un salario miserevole (meno di 200 euro) e "l'onore di aver lavorato al nuovo prodotto Apple". 
"Secondo i miei calcoli, devo terminare almeno 5 mascherine di iPhone al minuto. In 10 ore devo finire 3000 mascherine posteriori dell'iPhone 5. Ci sono in totale 4 linee di produzione incaricate di questo processo, 12 operai per ogni linea. Ogni linea può produrre 36000 mascherine posteriori di iPhone 5 in mezza giornata. Roba da far spavento... Finisco di lavorare alle 7 del mattino"
Il CEO di Apple, Tim Cook, aveva visitato gli impianti della Foxconn lo scorso marzo, e non aveva smesso di ripetere che l'azienda era fermamente intenzionata a migliorare le condizioni di lavoro nelle proprie fabbriche cinesi. Se le notizie riportate dal giornalista dovessero essere confermate, il ritorno di fiamma, per il marchio fondato da Steve Jobs, potrebbe essere di proporzioni enormi.
Pessime notizie arrivano anche dal quotidiano Shangai Daily, rilanciate oggi da un articolo del New York Times. Foxconn starebbe impiegando forzatamente degli studenti universitari come manodopera a basso costo. 
Come riporta anche agichina24.it "a Huai'an, nella Cina orientale, migliaia di studenti universitari vengono cooptati dalle autorità locali, forzati a interrompere le lezioni, e spediti al lavoro negli stabilimenti Foxconn, azienda taiwanese licenziataria di Apple."
A rivelare i particolari, una studentessa cinese, "mengniuIQ84": 
"Gli studenti-operai hanno iniziato a lavorare giovedì scorso con una paga di 1550 yuan mensili (circa 193 euro) e turni che possono arrivare a 12 ore al giorno, per sei giorni a settimana. Ma devono pagare di tasca propria vitto e alloggio - racconta mengniuIQ84 - e anche se le scuole hanno siglato con Foxconn un accordo per un periodo di tirocinio, non hanno informato né studenti né genitori. Una o due scuole hanno cancellato i programmi di stage con la Foxconn, ma il mio istituto li ha confermati, punendo anche alcuni studenti che si erano opposti".

On. Boccia del PD "Non prendo lezione di democrazia dai tedeschi". Io invece sì. - Sergio Di Cori Modigliani



Questi qui, per davvero, sembrano proprio non rendersi conto di ciò che dicono.“In Italia c’è stata troppa democrazia, che ha finito per inceppare e bloccare il sistema”.Così, l’on. Gelmini del PDL. Non è una sorpresa, vista la fonte.In compenso, l’on. Boccia, in teoria una “faccia nuova” della nomenklatura dirigente del PD, ha dichiarato: “Io non accetto e non prendo lezioni di democrazia dai tedeschi”.Io, invece, sì. Le accetto. Eccome se le accetto. E sono anche ben accolte.A parte il fatto che, mentre l’Italia dormiva i suoi consueti sonni secolari, rimanendo al palo, la Germania produceva Goethe, Kant e Marx (tanto per nominarne tre qualunque) i quali avrebbero gettato il fondamentale seme del pensiero libertario, della fondazione dello Stato di Diritto, e della lotta dei lavoratori per la conquista della propria dignità sociale, oggi la Germania può permettersi il lusso di dare una lezione di democrazia agli italiani.Noi non possiamo permetterci lo stesso.Ci divide un ampio spread intellettuale con il resto d’Europa. Questo è il punto.Chi pensa che Angela Merkel sia come Adolf Hitler è un cretino. Chi pensa che l’attuale classe dirigente politica tedesca sia composta da un gruppo di criminali malfattori com’era nel 1934 è un totale deficiente. Chi sostiene che la Germania è consapevolmente responsabile del fatto che nella Repubblica Italiana l’intero governo della regione Lombardia (PD, PDL, Lega Nord e Udc) è indagata per corruzione e che è colpa dei tedeschi se il clientelismo e la corruttela sono (in Italia) moneta sonante di scambio sociale, è in malafede oppure non conosce la triste realtà del nostro paese.Se Marchionne fosse andato a Wolksburg a prendere lezioni di ingegneria industriale marketing e Landini fosse andato a parlare con i suoi omologhi del consiglio di fabbrica dei metalmeccanici della Volkswagen, BMW e Audi, avrebbero imparato davvero molte cose su come va gestita la concertazione tra le parti sociali in una nazione democratica ed evoluta. Se gli operai italiani guadagnano 2,5 volte di meno dei loro compagni tedeschi non è grazie agli italiani, così come non è colpa della Volkswagen se Marchionne non sa vendere le sue automobili. Se la Germania ha un governo regolarmente eletto in maniera democratica, senza brogli, in grado di fare gli interessi della nazione e l’Italia, invece, ha un governo di oligarchi tecnocrati raccomandati in grado di affondare il proprio paese facendo gli interessi economici della Germania, la responsabilità è degli italiani, non dei tedeschi. Se la Germania ha un ministro per lo sviluppo economico che si avvale della consulenza di fior di economisti,  con un curriculum impeccabile, mentre in Italia il suo omologo è indagato per truffa contro lo Stato e identificato come Grande Evasore, e nel suo curriculum vitae ci sono soltanto opache e clandestine transazioni di finanza speculativa bancaria, la responsabilità è degli italiani, non dei tedeschi. Se la Germania ha pubblicamente dichiarato che il cosiddetto “scudo anti-spread” prima di essere varato deve essere approvato dalla loro Corte Costituzionale, essere sottoposto al vaglio del loro Consiglio di Stato, e poi regolarmente discusso in parlamento dove verrà approvato o bocciato a seconda di come i deputati eletti voteranno, dopo una discussione pubblica, mentre in Italia Mario Monti è ritornato in patria dopo una riunione a Bruxelles e ha annunciato “è fatta, ho vinto” senza dare spiegazioni a nessuno su alcunché, e deprimendo ancora di più l’economia nazionale quando è stato smascherato, la responsabilità è degli italiani per come gestiscono l’Italia e dei tedeschi per come gestiscono la Germania.Se, nel 1994, quando il governo tedesco iniziò le private consultazioni con l’Italia relative alla costituzione dell’euro, Romano Prodi e Silvio Berlusconi si fossero comportati come fecero i tedeschi, ovverossia presentarsi in parlamento e avviare un dibattito per spiegare alla nazione di che cosa si trattava, quali erano i pro e i contro, i costi e i benefici, i prezzi da pagare e gli eventuali profitti, allora gli italiani avrebbero avuto la opportunità di comprendere che cosa stesse accadendo, ciò che era necessario fare per il bene della nazione e poi scegliere attraverso referendum, oppure dibattiti politici pubblici, regolari votazioni parlamentari, assemblee cittadine. Invece è stata data agli italiani una secca comunicazione ufficiale di un dato di fatto, presentato come inappellabile ma (ciò che è più grave) ”indiscutibile”.Se, a dicembre del 2010, quando i comandanti francesi e inglesi della Nato si sono presentati a Berlino (e a Roma) flettendo i muscoli, spiegando che bisognava eliminare Gheddafi con una guerra, gli italiani avessero avviato un dibattito parlamentare, fossero state spiegate le motivazioni, si fosse discusso sui reali interessi della nazione, e se fosse giusta o meno quella guerra, forse (dico forse) ci sarebbe stata in parlamento una maggioranza anti-bellica. Come è avvenuto in Germania dove il parlamento definì l’aggressione contro il popolo libico (perché di questo si è trattato) “lesiva della custodia degli interessi nazionali” e si rifiutò di consentire l’uso delle basi militari americane stanziate in Germania, obbligando la Nato a usare quelle in Sicilia e nel Veneto, ben più costose per tutti, soprattutto per l’Italia che, da quel momento in poi (non a caso) ha virato il proprio pil in negativo: la Francia e la Gran Bretagna hanno affondato Finmeccanica e complessivamente la guerra libica ha provocato all’Italia un costo complessivo valutato oggi intorno ai 40 miliardi di euro. E’ anche ciò che stiamo pagando. Se agli italiani che hanno festeggiato l’8 novembre del 1989 per il crollo del muro di Berlino, qualcuno avesse spiegato che, finita la guerra fredda, bisognava cambiare ottica, strategia, modalità marketing d’intervento, le cose sarebbero andate molto diversamente. Invece, quella parte della classe politica e imprenditoriale italiana che aveva preso soldi dalla Cia (approfittando della guerra fredda) e dal Kgb (approfittando della guerra fredda) costruendo clientele ideologiche, decise in blocco consociativo di “stendere un velo pietoso di omertà collettiva”, e così quando nel 1995 la Germania spiegò che il costo di 2000 miliardi di marchi per ricostruire la Germania era per i tedeschi eccessivo e quindi la spesa andava spalmata tra tutta l’Europa che aveva combattuto contro il comunismo, l’Italia invece di approfittare dell’occasione per liberarsi della propria italiota truppa asservita ai servizi segreti stranieri (Washington o Mosca, a scelta) e andare a negoziare con i tedeschi in posizione di forza, ottenendo quindi un cambio lira/euro intorno ai 1.460 invece che 1.960, il nostro disavanzo pubblico sarebbe stato molto minore e la competitività delle nostre merci sarebbe stata molto più alta. Invece, l’Italia accolse con applausi la riconversione dei propri fascisti e dei propri comunisti, non disse nulla al paese, truccò i bilanci dello Stato falsificando le cifre per entrare dentro i parametri richiesti e produsse un FALSO SUICIDA. Nonché consapevole.Che cosa c’entrano i tedeschi? Loro badavano agli interessi della loro nazione riunificata, se gli italiani non sono capaci di badare agli interessi della propria nazione perché privilegiano gli interessi partigiani di clan, caste, gruppi di privilegio, logge, partiti ottusi e provinciali, è responsabilità degli italiani, non è colpa dei tedeschi.Tutto ciò premesso, sono fortemente contrario alla Lex Teutonica, perché ritengo che non faccia gli interessi della nazione italiana. E io sono italiano e alla mia nazione ci tengo. Mi oppongo al rigore teutonico perché distrugge l’industria nazionale, ma l’opposizione la si fa usando argomentazioni democratiche. Come i tedeschi, dal 1946 in poi, ci insegnano. Perché loro hanno elaborato il lutto collettivo per il nazismo e si sono evoluti.Noi no.Serve una mutazione culturale per poter crescere: si accettano lezioni di democrazia.Se noi non siamo in grado di garantire la difesa e la salvaguardia degli interessi collettivi nel nome di un bene comune condiviso, perché mai un qualsivoglia popolo, nazione, etnia,  dovrebbe farlo al posto nostro?Così come la classe politica italiana, quando viene colta in fallo con le mani nel sacco, sostiene che tutto “si è svolto a mia insaputa” , così pretende che la soluzione alla crisi, ai propri problemi strutturali, avvenga “a propria insaputa” grazie a soggetti terzi.Ovvero, che a risolvere i nostri problemi ci pensi la Chiesa, la Cina, gli Usa, l’Unione Europea, gli Ufo. Perché è sempre colpa e responsabilità di qualcun altro.Se l’Italia affonda, la responsabilità è al 100% del popolo italiano.I tedeschi, nel nome dei loro interessi nazionali, hanno approfittato del fatto che l’Italia abbia scelto di non perseguire i mafiosi, i corrotti, i clientelari, scegliendo di promuovere una classe politica, imprenditoriale e professionale composta da autentici imbecilli mitòmani e si è costruita la propria ricchezza sulle nostre debolezze, perversioni, vizi.Gli italiani, sarebbe ora, dovrebbero cominciare a guardarsi allo specchio.Nel 1932 Henry Ford disse la celebre frase “quando vedo passare una Alfa Romeo, io mi tolgo il cappello”.  Questa citazione era scritta sulla vetrina di tutti i concessionari della Alfa Romeo. Ma nel 1985, il presidente dell’Iri, Romano Prodi, delegato dal parlamento a vendere l’azienda, rifiutò la generosa offerta della Ford e la vendette alla Fiat per trenta denari. Da allora, l’Alfa Romeo ha iniziato il suo declino. Da quando l’ha presa Marchionne l’ha praticamente distrutta, sia come marchio che come immagine e come vendite. Il suo principale concorrente europeo, la BMW ha presentato un eccezionale piano industriale perché la vuole; salvaguarda anche i lavoratori.  Spero per noi che riesca ad acquistarla, così almeno il marchio rifiorirà. Finchè non è finita nelle mani della Fiat, quel marchio mi faceva sentire orgoglioso di essere italiano. Oggi rispecchia il fallimento dell’azienda Italia. La colpa non è dei tedeschi.Se l’Italia non ha più una industria cinematografica, non ha più scrittori, registi, pittori, musicisti, intellettuali liberi, artisti internazionalmente riconosciuti, non è colpa dei tedeschi. E’ responsabilità del fatto che il pensiero intellettuale e creativo è inceppato, frustrato, avvilito, compresso, ingessato dall’uso e abuso della clientela partitica che impone a ogni artista, ogni professionista, di pagare il pizzo a un partito per poter essere valorizzato, promosso e poter avere qualche chance di avere accesso al mercato. Non è colpa dei tedeschi. Questo meccanismo avvilisce la creatività e promuove gli imbecilli corrotti. Il mercato dà le sue risposte.Quindi, alla Gelmini va detto “la totale mancanza di democrazia di mercato ha distrutto l’Italia spingendola nel medioevo oscurantista” di cui lei –immeritevole e somara- ne è un gagliardo esponente e rappresentante. Il contrario di ciò che lei sostiene.All’on. Boccia del PD, c’è da rispondere “da una nazione che ha degli ammortizzatori sociali equi a salvaguardia dei ceti più disagiati, socialmente sostenibili, che pratica lo Stato di Diritto, che promuove i meritevoli e boccia i somari, e che ha un governo eletto dal popolo, c’è molto da imparare”. Dai burocrati raccomandati come lui non c’è da imparare nulla.Gli italiani sono assatanati nel produrre Falso e inventare Demagogia.E’ necessario, quindi, ogni tanto, fare, inevitabilmente, l’avvocato del diavolo.Se l’Italia è “psichicamente” in svendita, non ci si può lamentare se ci sono acquirenti.


mercoledì 12 settembre 2012

Il reato di tortura entra nel codice penale.


Commissione giustizia, ok al reato di tortura nel codice penale


Ok della commissione Giustizia in Senato.




Una piccola grande svolta: la commissione Giustizia del Senato ha approvato all'unanimità il disegno di legge che introduce il reato di tortura in Italia, adeguando i nostri codici all'ordinamento internazionale.

I CASI DIAZ E ALDROVANDI.L'argomento sensibile è tornato alla ribalta in passato, fortemente legato ai più cupi episodi di cronaca italiana: dal caso delleviolenza nella scuola Diaz durante il G8 di Genova fino al brutale pestaggio eseguito dalla polizia che costò la vita nel 2005 a Federico Aldrovandi e portò al lancio di una petizione per l'introduzione della nuova legge.

PD: «NORMA ATTESA DALL'84». Il vicepresidente del gruppo del Partito democratico Felice Casson nell'esprimere soddisfazione per il voto unanime della commissione ha ricordato che «risale addirittura al 1984 la convenzione Onu che imponeva al nostro Paese l'adeguamento all'ordinamento internazionale».
Adesso «anche in Italia si riconoscerà che si tratta di un delitto contro l'umanità da perseguire in maniera adeguata. Ci auguriamo che il provvedimento venga calendarizzato al più presto in Aula».
Mercoledì, 12 Settembre 2012

Dalla Ruhr a Bilbao: le città che hanno detto basta all’inquinamento. - Salvatore Cannavò


Duisburg, Duisburg-Nord Industrial Landscape Park
Dortdumnd c’è il Museo della birra, a Duisburg un grande parco naturale costruito sulle ceneri dell’acciaieria. A Pittsburgh va forte il settore biomedico mentre a Bilbao è stato costruito il Guggenheim, tra i musei più importanti al mondo. Non sappiamo se l’Ilva possa essere davvero riqualificata ma in giro per il mondo le esperienze non mancano. Del resto, l’ipotesi di chiudere una produzione inquinante conservando i posti di lavoro, è talmente bella e interessante da non poter essere respinta. Poi, però, se si pensa alla riqualificazione di Bagnoli a Napoli, chiusa nel 2002 e in cui la gara d’appalto per la bonifica degli arenili è stata aggiudicata solo lo scorso maggio, è comprensibile che ci si voglia tenere la fabbrica che c’è.
Eppure, le esperienze di riqualificazione industriale, fatte sul serio e in profondità, non mancano. A cominciare dall’Europa e dal paese più industrializzato di tutti, la Germania, dove negli anni Ottanta è stato messo a punto il piano di riconversione dell’area della Ruhr, la storica regione che ha miscelato enormi bacini minerari e impianti siderurgici e che ha dato risultati di rilievo nonostante la Germania, con oltre 44 milioni di tonnellate, sia il primo produttore europeo dell’acciaio.
Il piano della Ruhr è stato stato davvero imponente dovendosi occupare di circa 6000 ettari di aree industriali dismesse, una dimensione pari al 70 per cento delle aree abbandonate della Germania dell’Est. Il processo ha visto l’intervento diretto dello Stato e delle autorità locali con una serie di finanziamenti straordinari, ma soprattutto con l’attivazione dei fondi europei e di sviluppo regionale con un costo complessivo superiore ai 2 miliardi di euro.
Dortmund - Casino
Oggi, a Dortmund i minatori sono scomparsi, ma la città ha una grande vitalità essendo divenuta capitale europea della cultura nel 2010. La cokeria, uno dei luoghi di produzione siderurgica più inquinanti, dismessa nel 1992, è stata trasformata in un percorso museale così come è stato allestito il museo della birreria accanto al teatro dell’opera, della prosa, ai musei Ostwall e Adleturm.
Un’altra città industriale, Duisburg, è stata il principale porto per il trasporto del carbone e dell’acciaio della Ruhr. Ora ha un grande parco naturale nella parte nord dove la sera i vecchi altiforni vengono illuminati da luci al neon mentre il club alpino tedesco ha trasformato il vecchio bunker che fungeva da magazzino per il ferro in una parete per arrampicate. L’ex gasometro dal diametro di 45 metri, invece, è stato riempito d’acqua diventando il più grande sito artificiale sottomarino d’Europa che ora viene esplorato da centinaia di sub.
Anche Bilbao era sommersa dai fumi e dall’inquinamento delle officine metallurgiche e dei cantieri navali. Ma mentre si esaurivano le miniere di ferro e la cantieristica navale emigrava nell’est asiatico, nel 1997 è stato aperto il museo Guggenheim che nel primo anno di attività ha attirato 100 mila visitatori l’anno. Oggi sono diventati un milione. A voler ripetere “l’effetto Bilbao” è la città di Metz, in Francia, capitale di quella Lorena mineraria storicamente contesa dalla Germania. Qui, il Centre Pompidou, primo esempio di “decentralizzazione” museale – la casa madre resta infatti a Parigi – al secondo anno di vita ha festeggiato i 600mila visitatori e costituisce l’ipotesi per ridare vita, tramite l’arte e il turismo, a una città devastata dalla crisi economica.
Bilbao - Museo Guggenheim
Ma l’esempio più riuscito è forse quello di Pittsburgh, negli Stati Uniti, centro industriale dal 1850 al 1980 quando l’industria pesante entra in crisi. Le grandi industrie vengono così riconvertite in produzione per la robotica, la biomedicina, l’ingegneria nucleare, la finanza e i servizi. Tutto questo produce un giro di affari di circa 11 miliardi di dollari. Pittsburgh è ora la sede di Google mentre il Pittsburgh Medical Center dà lavoro a oltre 48.000 persone. Gli occupati degli istituti di medicina occupano circa 116’000, il 10 per cento di tutta la forza lavoro. E nel 2009 la città ha organizzato il G20.
File:PittSkyline082904.jpg
Pittsburgh - Pennsylvania
Pista ciclabile, tra Dortmund e Duisburg (RUHR, Germania)
Pista ciclabile, tra Dortmund e Duisburg (RUHR, Germania)
Il Fatto Quotidiano, 10 Agosto 2012

Manuale del perfetto pm. - Marco Travaglio. 12/09/2012




Breve decalogo del perfetto magistrato imparziale, indipendente, inodore e insapore nell’era delle Larghissime Intese. 

1. Se il Presidente della Repubblica parla al telefono con un politico coinvolto in un’indagine e intercettato, è colpa del pm che l’ha intercettato. Se uno critica il Presidente della Repubblica per quei colloqui, è sempre colpa del pm che li ha intercettati. 

2. Se un pm spiega le collusioni della classe dirigente col potere mafioso e invita i cittadini a cambiarla, dipende da dove lo fa: alle feste del Pd o sull’Unità va bene, perché dietro c’è un partito di governo; al congresso del Pdci no, perché il partito non è di governo; peggio ancora alla festa del Fatto , che non ha dietro partiti, ma 150 mila firme (troppe: “populismo giudiziario”).

3. Se in un convegno qualcuno, dal palco o dal pubblico, critica il Capo dello Stato, i magistrati presenti devono nell’ordine: fare la faccia contrariata storcendo naso e bocca; chiedere la parola e dissociarsi; andarsene bofonchiando; chiamare la Celere per disperdere con gl’idranti la radunata sediziosa; avvertire il dottor Sabelli in vista dell’agognata medaglietta dell’Anm. La regola vale solo per chi indaga sulla trattativa Stato-mafia: infatti Caselli, presente alla festa del Fatto con Ingroia e Di Matteo, non ha nemmeno avuto l’onore di una citazione dal dr. Sabelli. 

4. Nuovo articolo 104 della Costituzione: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, fuorché dal Quirinale”. Ergo il Csm deve aprire pratiche a loro tutela, tranne quando ad attaccarli è il Quirinale. 

5. L’Anm, sindacato dei magistrati, deve difenderli dagli attacchi, però dipende dall’attaccante e dall’attaccato: se l’attaccato indaga su B. o Dell’Utri, va difeso a prescindere dall’attaccante; se si occupa anche del centrosinistra, tipo Forleo e De Magistris, non va difeso a prescindere dall’attaccante; se si occupa anche del centrosinistra e dà noia al Colle, va attaccato anche dall’Anm. 

6. L’Anm difende da sempre il diritto dei suoi iscritti a esprimere opinioni in tema di giustizia e lotta alla criminalità, anche in caso di azioni disciplinari. Ma anche qui dipende: se le opinioni sono di un pm che indaga sulla trattativa, il dr. Sabelli lo accusa di “appannare la sua immagine di imparzialità”, additandolo ai titolari dell’azione disciplinare, casomai si fossero distratti un attimo. 

7. Il Pg della Cassazione, con il Guardasigilli, è titolare dell’azione disciplinare contro i magistrati. Fra gli illeciti disciplinari non figurano interviste e dichiarazioni, salvo che contengano segreti su indagini in corso. Però dipende: se l’intervista senza segreti la dà un pm che indaga sulla trattativa, il Pg il procedimento lo apre lo stesso: a lui e al suo procuratore capo che non l’ha denunciato. 

8. Un Pg che, su richiesta di un politico coinvolto in un’indagine, si fa chiamare “guagliò” e si mette “a sua disposizione”, parrebbe – per dirla col dr. Sabelli – “appannare la sua immagine di imparzialità”. Ma se si chiama Esposito e parla con un protetto di Napolitano, il dr. Sabelli si volta dall’altra parte. 

9. Un Pg che convoca il procuratore nazionale antimafia perché soddisfi le pressioni del politico raccomandato e interferisca nell’indagine che lo coinvolge con avocazioni o strani “coordinamenti”, e per giunta viene respinto con perdite, parrebbe – sempre per dirla con il dr. Sabelli – “appannare la sua immagine di imparzialità”. Ma se si chiama Ciani e agisce su mandato del presidente della Repubblica, il dr. Sabelli si volta dall’altra parte. 

10. In casi come quelli di cui ai numeri 8 e 9, di solito intervengono i titolari dell’azione disciplinare. Invece nei due casi suddetti non interviene nessuno. Non il ministro della Giustizia, perché è meglio di no. Non il Pg della Cassazione, perché ai tempi di Esposito era Esposito e ora, ai tempi di Ciani, è Ciani. Dovrebbero processarsi da soli, e come si fa.

Da Il Fatto Quotidiano del 12/09/2012.

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