venerdì 14 settembre 2012

Ecco Cosa Vedo.



Ogni anno vengono sprecate 1.300.000.000 di tonnellate di cibo, circa un terzo della produzione globale, solo perché una gestione migliore delle risorse non "conviene economicamente".
Intanto nel mondo si muore di fame...




Il Denaro non è una Risorsa - MARCO CANESTRARI 


La qualità della nostra vita dipende dall’ambiente, dalla casa in cui viviamo, dalla nostra alimentazione, dai nostri sistemi di trasporto, dai nostri vestiti, da alcuni beni materiali e soprattutto affettivi. E’ data dalla serenità e libertà con cui godiamo di tutto ciò. Anche le conoscenze e le competenze degli uomini della terra possono essere considerate una risorsa utile allo sviluppo di una vita felice, sana ed equilibrata. Il denaro invece non è una risorsa, non crea energia di per sé, fa solo da misura di scambio fra due risorse reali esistenti in precedenza. La banconota ha convenzionalmente quel valore di scambio fintanto che noi abbiamo fiducia che venga accettata da chi ci vende un servizio. Non ha un valore determinato da Dio o dalle leggi fisiche. Il Sole è un esempio di risorsa suprema dall’inizio dei secoli, la banconota invece non è simile alla Natura. Non possiamo mangiare una banconota e difficilmente con essa ci possiamo proteggere dal freddo, al massimo può essere utile per accendere il camino…
Zappiamo la terra, innaffiamo, seminiamo e poi raccogliamo i frutti. Abbiamo organizzato le risorse per creare energia. Studiamo, acquisiamo conoscenze e competenze, ci scambiamo informazioni, facciamo esperimenti e scopriamo un farmaco che guarisce da una malattia prima incurabile, questa conoscenza la diffondiamo all’umanità: Stiamo organizzando energia nel migliore dei modi.
Ma cosa accade se invece di vedere il denaro come una meccanica misura di scambio lo consideriamo un valore a sé? Cosa accade se chi trae profitto da questi modi di vedere il mondo utilizza il suo potere e i Media per influenzare intere generazioni? Cosa accade a tutti quegli aspetti della vita che non portano un guadagno economico ma sono fondamentali per il nostro benessere, come ad esempio la scuola o la sanità? Se ad esempio l’industria che investe per la ricerca dei farmaci lo fa solo per un guadagno economico e poi limita l’accesso a quei farmaci solo a chi può permetterselo economicamente? Accade che ogni persona è costretta ad avere sempre più denaro per avere accesso alle risorse, e quindi è costretto a impegnare la sua unica vita per produrre e guadagnare sempre di più. Infine, l’unica spinta per le attività umane diventa la massimizzazione del guadagno. Con queste enorme pressioni economiche inizia la paura di rimanere senza risorse sicure e il conseguente sfruttamento da parte di chi  ha più denaro verso chi ne ha di meno. Si perde di vista il senso reale dell’esistenza: vivere con felicità.
Impariamo a conoscere l’intera struttura sociale: la terra ha sempre dato frutti indipendentemente dal denaro e i motivi per esprimere le nostre potenzialità sono sempre esistiti in noi da prima dell’invenzione del denaro. La voglia di conoscenza, l’amore, la sensibilità e l’intelligenza sono una fonte inesauribile di energia. La vera sicurezza verrà trovata solamente quando si ragionerà in termini di umanità e non più guardando solo fino al recinto del proprio orticello. Cerchiamo di organizzare le risorse nella maniera più efficiente per il mondo intero tenendo bene presente l’unico vero senso dell’uomo: massimizzare la propria qualità della vita, la propria serenità fisica e mentale. Tutto il resto è un accessorio.
Iniziamo occuparci di quello che ci fa stare bene e che sentiamo sia giusto, anche senza avere un ritorno economico. Oltre a vivere la nostra esistenza con più pienezza, contribuiremo a fare girare energie e risorse che non costringono nemmeno i più deboli a limitare la propria vita al “guadagnare per sopravvivere”.

La Corte cortigiana. - Marco Travaglio

 

Chi l’avrebbe mai detto: la Corte costituzionale – informa l’Ansa con sei giorni di anticipo sul verdetto – dichiarerà ammissibile il conflitto di attribuzioni del presidente della Repubblica contro la Procura di Palermo. 
Ma va? 
Che sorpresona. 
Franco Cordero ha più volte spiegato che il conflitto è inammissibile prim’ancora che infondato: non foss ’altro che perché pretende dai pm un atto (la distruzione di intercettazioni) che spetta solo al giudice. 

Ma Gustavo Zagrebelsky, che presiedeva la Corte quand’era ancora un organo di garanzia, aveva scritto su Repubblica che questo non è “un normale giudizio” perché “una parte (Napolitano, ndr) getta tutto il suo peso, istituzionale e personale, che è tanto, sull’altra, l’autorità giudiziaria, il cui peso, al confronto, è poco. Quali che siano gli argomenti giuridici, realisticamente l’esito è scontato. Presidente e Corte… sono ‘custodi della Costituzione’. 
Sarebbe un fatto devastante, al limite della crisi costituzionale, che la seconda desse torto al primo… Così, nel momento stesso in cui il ricorso è stato proposto, è stato anche già vinto. Non è una contesa ad armi pari, ma, di fatto, la richiesta d’una alleanza in vista d’una sentenza schiacciante. 
A perdere sarà anche la Corte: se, per improbabile ipotesi, desse torto al Presidente, sarà accusata d’irresponsabilità; dandogli ragione, sarà accusata di cortigianeria”. 

Si sperava che, se non la sostanza, la Consulta salvasse almeno le forme: invece anche quelle vanno a farsi benedire. Tale è la fretta, l’ansia, la cupidigia di sostenere le ragioni (anzi i torti) del più forte, che anche questa volta il verdetto viene anticipato a mezzo stampa. Come già era accaduto a gennaio, con la fuga di notizie su Repubblica a proposito del referendum elettorale, inviso ai grandi partiti e al Quirinale, dunque bocciato. 
Ieri, il bis: i giudici si riuniranno per decidere solo il 19 settembre, ma l’Ansa già sa come. Così l’opinione pubblica inizia a prepararsi al verdetto della Corte “cortigiana” che , quando uscirà, non farà più notizia. Dopodiché bisognerà sbrigarsi a decidere anche sul merito: sempre dalla parte del più forte. A prescindere da ragioni e torti. E alla svelta (non a caso sono stati eccezionalmente nominati due relatori e accorciati i tempi, che in media richiedono almeno un anno di attesa), in tempo per influenzare il gup che dovrà decidere sul rinvio a giudizio dei 12 imputati per la trattativa Stato-mafia (soprattutto quelli dello Stato). Conoscendo la serietà dell’Ansa, è da escludere che abbia dato la notizia senza consultare fonti qualificate, interne alla Consulta che in teoria sarebbe tenuta al segreto della camera di consiglio: invece da un po’ di tempo pure questo è un segreto di Pulcinella. 
Come emerge dall’inchiesta sulla loggia P3, nell’autunno 2009 almeno 5 o 6 giudici costituzionali anticiparono al faccendiere irpino Pasqualino Lombardi il loro Sì al “lodo” Alfano. Negli stessi giorni i giudici costituzionali Mazzella e Napolitano (solo omonimo del più noto Giorgio) cenavano in gran segreto con B., Letta e Alfano e, beccati dall’Espresso, si guardavano bene dal dimettersi o almeno dall’astenersi dal voto. 
Il fatto poi che il conflitto del Colle contro i pm di Palermo si fondi proprio sul preteso diritto del Presidente alla segretezza delle sue conversazioni aggiunge al tutto un tocco di surrealismo: le telefonate Mancino-Napolitano, grazie al rigore della Procura di Palermo, sono rimaste top secret (nemmeno Panorama , che dice di conoscerle, ha potuto virgolettare neanche un “ciao come stai?”). In compenso il ricorso dell’Avvocatura dello Stato alla Consulta, sconosciuto financo alla Procura chiamata in causa, è stato anticipato da Repubblica
Ora il verdetto della Consulta viene preannunciato all’Ansa (all’indomani di quello della Corte tedesca, che ha tenuto sul filo l’intera Europa senza mai uno spiffero: un altro spread che ci divide dalla Germania). E gli italiani dovrebbero fidarsi dell’imparzialità di questi signori? Ma per favore.

Da il fatto Quotidiano del 14/9/2012

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USA ed Europa, banche centrali a confronto. - PierGiorgio Gawronski


Ieri la Federal Reserve ha annunciato un nuovo programma di rilancio dell’economia. L’obiettivo è ridurre la disoccupazione, che è all’8% ed è “una grave preoccupazione”. Non solo perché il livello è “abnorme”, ma anche perché “da sei mesi ha smesso di scendere”. Dice  Bernanke: “L’alto livello della disoccupazione dovrebbe preoccupare ogni cittadino americano. Non solo crea enormi sofferenze e difficoltà, ma causa anche un enorme spreco di capacità e talenti”, e una “progressiva distruzione di queste capacità, a danno non solo dei disoccupati e delle loro famiglie, ma anche del benessere di tutta la nazione”.
Per raggiungere il suo scopo la Fed cerca di accelerare la crescita stimolando la domanda (= la spesa totale nell’economia). Tramite due target intermedi. In primo luogo, (oltre a tenere i tassi di policy a zero) cerca di comprimere una serie di tassi d’interesse a lungo termine (mutui, ecc.) in diversi settori, già molto bassi. A tal fine lo strumento utilizzato è l’aumento della liquidità. In secondo luogo, la FED indirizza le aspettative sulla crescita futura. Lo strumento che utilizza – “il più potente” – è la ‘comunicazione’. Bernanke ha annunciato che la ‘spinta’ della FED continuerà “almeno fino a metà del 2015”, e comunque “per molto tempo dopo che l’economia avrà ricominciato ad accelerare”. Così le imprese possono avere fiducia: sanno che se investono oggi troveranno nuovi clienti domani.
Bernanke ha spiegato che gli acquisti di titoli pubblici non sono affatto una monetizzazione del debito: “Noi non finanziamo spesa pubblica: acquistiamo attività finanziarie che rivenderemo al momento giusto… La nostra azione non aumenterà, bensì ridurrà il deficit pubblico”, grazie ai profitti della Fed e alla ripresa economica. Quanto all’inflazione, un giornalista tedesco ha chiesto se non ci sono rischi. Ma Bernanke ha spiegato che quando (a) c’è disoccupazione e (b) le aspettative di inflazione sono basse, i rischi non ci sono.
La BCE deve fronteggiare una situazione assai più grave. La disoccupazione in Europa è all’11%, e continua a salire. Al punto che la stabilità della stessa moneta è in dubbio. Eppure la BCE si disinteressa totalmente della disoccupazione, della crescita, della domanda. Tiene alti i tassi di policy. Ha varato un tardivo piano anti-spread, ma sterilizzerà eventuali aumenti della liquidità. Con la ‘comunicazione’ mira anch’essa ad aumentare la fiducia sul futuro, ma solo relativamente all’inflazione: perciò le imprese Europee sanno che se oggi investono, domani i prezzi dei loro prodotti saranno bassi, ammesso che trovino clienti.
Il 6 Settembre scorso la BCE ha fatto un passo avanti importante, accettando (tardivamente) il ruolo di prestatore di ultima istanza (negli USA è talmente ovvio che nemmeno si discute). Ma è rimasta in mezzo al guado: cura la finanza, ma non l’economia; e la finanza, senza l’economia, ignora la forza della gravità: a nostro rischio e pericolo!
La depressione della domanda rende inutilizzata tanta capacità produttiva: impossibile per i governi rispettare gli obiettivi di deficit. Perciò l’idea che ‘se un paese non rispetta gli accordi, la BCE rinuncerà a difenderlo sui mercati’ diventa pericolosa per la stessa stabilità finanziaria. Ma la BCE si muove in linea con il suo Statuto, sulla modifica del quale Draghi dice: “è già impegnativo stabilizzare i prezzi … non aggiungerei un secondo obiettivo”. Invece la Fed ha due obiettivi: stabilità dei prezzi e occupazione. E ieri Bernanke ha detto: “Abbiamo strumenti che riteniamo possano influenzare il livello dell’occupazione: pensiamo sia nostro dovere utilizzarli”.
All’origine di tutto c’è una ideologia. In Germania sono diventati tutti esperti di politica monetaria. Reagiscono istericamente alle manovre minimaliste della BCE, influenzando i politici e i rappresentanti tedeschi alla BCE: che non sono bravi economisti bensì funzionari del partito della Merkel. Molti lettori hanno difficoltà a capire cosa sia il liberismo in macroeconomia, e perché è importante. Hanno la sensazione di trovarsi di fronte a un linguaggio ideologico. Invece, sto parlando dell’origine dei nostri mali, e dei blocchi sulla via d’uscita. Il laissez faire nei confronti della disoccupazione (della domanda) è l’idea centrale del liberismo in macroeconomia. È l’idea di Monti, e della BCE. È un’idea sbagliata secondo Bernanke. Che non è particolarmente keynesiano o di sinistra: tanto è vero che è stato nominato da George W. Bush.
Ecco perché quel che succede da noi ha poco a che vedere con la democrazia: non occorre fare dietrologia. La gente non vuole disoccupazione. La FED ‘risponde’ ai bisogni della gente. La BCE, no; perché non è un problema dell’élite europea. E Monti può tranquillamente dirci: i miei provvedimenti? Certo che hanno aggravato la disoccupazione. Solo uno stolto poteva credere il contrario!

Cancelleri “Il Movimento 5 stelle non è solo voto di protesta”. - Martino Grasso



Continuiamo a conoscere i candidati alla presidenza della Regione Sicilia. Dopo Crocetta e Miccichè, è la volta di Giancarlo Cancelleri, candidato del Movmento 5 stelle.
Per Cancelleri “dobbiamo fare ritornare i nostri giovani che sono andati via. Bisogna promuovere il microcredito. Noi non catturiamo più il voto di protesta, adesso la gente apprezza le nostre idee”.


http://www.lavocedibagheria.it/2012/09/verso-le-elezioni-cancelleri-il-movimento-5-stelle-non-cattura-solo-il-voto-di-protesta-video/

Trattativa, Violante ascoltato per 2 ore. Mancino spedì a lui una relazione Dia. - Giuseppe Pipitone


luciano violante interna nuova

Il parlamentare del Pd sentito dai pm di Palermo: nel 1993 era presidente della commissione antimafia. Quel rapporto ricevuto dall'ex ministro dell'Interno era "Riservato". Tra l'altro rivelava l'obiettivo della stagione stragista di Cosa Nostra: l'allenamento del carcere duro.

Era arrivato abbozzando un sorriso, ma dopo due ore d’interrogatorio davanti ai magistrati palermitani Luciano Violante era scuro in volto e ha preferito non rilasciare alcuna dichiarazione, defilandosi invece in mezzo alla pioggia. Il deputato del Partito Democratico era entrato nell’ala nuova del palazzo di giustizia di Palermo qualche minuto prima delle 16, atteso dal procuratore aggiunto Antonio Ingroiae dai sostituti Lia Sava e Antonino Di Matteo. I pm che indagano sulla trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra hanno voluto richiamare a Palermo l’ex presidente della Camera per capire meglio quanto fosse a conoscenza degli indirizzi tenuti dal Governo alla fine del 1993.
All’epoca Violante era presidente della commissione antimafia, e in questa veste aveva richiesto all’allora ministro dell’Interno Nicola Mancino (oggi indagato per falsa testimonianza nell’ambito dell’indagine sulla trattativa) la trasmissione della relazione elaborata dagli analisti della Dia il 10 agosto del 1993 sulle stragi di via Palestro a Milano e di San Giovanni a Velabro a Roma. Relazione che Mancino gli trasmise prontamente il 14 settembre, accompagnandola con una nota in cui specificava come si trattasse di materiale “Riservato” su cui vigeva il regime della “vietata divulgazione”.
Quella relazione è una lucidissima analisi, elaborata quasi in presa diretta, sul reale obbiettivo perseguito da Cosa Nostra con le stragi del 1993: l’allentamento del carcere duro, il 41 bis introdotto nel giugno del 1992, che divenne quindi uno degli oggetti principali della trattativa. Gli analisti di Gianni De Gennaro (all’epoca ai vertici della Dia) scrivono infatti che “la perdurante volontà del Governo di mantenere per i boss un regime penitenziario di assoluta durezza ha concorso alla ripresa della stagione degli attentati. Da ciò è derivata per i capi l’esigenza di riaffermare il proprio ruolo e la propria capacità di direzione anche attraverso la progettazione e l’esecuzione di attentati in grado d’indurre le Istituzioni a una tacita trattativa”.
Gli estensori della nota vanno oltre: avvertono infatti che “l’eventuale revoca anche solo parziale dei decreti che dispongono l’applicazione dell’articolo 41 bis, potrebbe rappresentare il primo concreto cedimento dello Stato, intimidito dalla stagione delle bombe”. Fatto che si verificherà fatidicamente meno di due mesi dopo, nel novembre del ’93, quando l’allora guardasigilli Giovanni Conso lasciò scadere più di trecento provvedimenti di carcere duro per detenuti mafiosi. Conso, che è indagato per false informazioni al pm, ha detto che compì quella scelta in “perfetta solitudine”. Il fatto che sia Violante che Mancino fossero a conoscenza di quella relazione ha però insospettito i pm che adesso vogliono capire quale fosse all’epoca il “clima politico” in relazione alle stragi e alla scelta di Conso di non rinnovare il 41 bis. Chi sapeva cosa?
È per questo che Violante è stato richiamato a Palermo, dopo che in passato era stato sentito soltanto in merito ai suoi contatti con il generale Mario Mori nel 1992. Il parlamentare del Pd, in quei mesi del 1993, appariva molto attento alle attività d’indagine sulle stragi. Un’attenzione particolare testimoniata anche da alcune lucide interviste televisive rilasciate all’epoca dall’ex presidente della Camera, che i pm hanno acquisito recentemente agli atti delle indagini. In seguito, però, Violante non denunciò mai pubblicamente il primo concreto cedimento dello Stato, rappresentato dalla mancata proroga dei 41 bis da parte di Conso. E in effetti fino ad oggi non aveva neanche mai fatto cenno a quella relazione della Dia, che rappresenta sicuramente un pezzo importante dell’intricato puzzle delle stragi.


Vento e pioggia, inizia l'aututtno.

Foto: Pioggia battente e temperature invernali....12°.
Noi volevamo solo un po' di freschetto...

Oggi pioggia, vento e temperature invernali, 12° a Palermo.

“Il nostro progetto? Irrealizzabile”. Fiat, nuova marcia indietro su ‘Fabbrica Italia’. - Gaia Scacciavillani


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Comunicato del Lingotto: "Le cose sono profondamente cambiate da quando, nel 2010, presentammo il piano". Ma già lo scorso anno Marchionne prendeva le distanze dal documento che annunciava la produzione di 300mila veicoli entro il 2014: "E' solo una dichiarazione di intenti". La Fiom: "Stracciato l'ultimo velo di ipocrisia".

Sorpresa: il piano Fabbrica Italia della Fiat torna ad essere un progetto, solo che non è più possibile farvi riferimento perché dal suo lancio nell’aprile 2010 ad oggi  ”le cose sono profondamente cambiate”. Lo dichiara la Fiat in una nota a fronte delle richieste di chiarimento dei sindacati dei giorni scorsi relativamente alle intenzioni del Lingotto: due anni fa, infatti, la casa torinese aveva annunciato il progetto che avrebbe dovuto essere accompagnato da investimenti per 20 miliardi di euro. 
“Il nostro piano per l’Italia rappresenta anche una grande opportunità per creare posti di lavoro in Italia”, aveva dichiarato il gruppo guidato da Sergio Marchionne il 21 aprile 2010 in occasione della presentazione del piano industriale del gruppo al 2014, precisando che l’obiettivo era “di produrre entro il 2014, in Italia, oltre un milione di veicoli destinati all’esportazione, di cui circa 300.000 destinati al mercato statunitense. La percentuale di esportazioni crescerà quindi dal 44% nel 2009 al 65% nel 2014. Il livello degli investimenti che si vuole destinare all’Italia sul periodo di piano è enorme, pari ai due terzi di quelli di tutti i business del Gruppo Fiat a livello mondiale”.
Un anno e mezzo dopo, però, era stato lo stesso amministratore delegato della Fiat, Marchionne, a smentire tutto categoricamente. “Fabbrica Italia non era altro che una dichiarazione d’intenti, a dimostrazione dell’impegno verso il Paese. Sfortunatamente continua ad essere intenzionalmente mal compresa”, dichiara infatti agli industriali torinesi il 25 ottobre 2011 aggiungendo che è “impossibile precisare gli investimenti sito per sito” e che l’obiettivo è “mantenere, nei limiti del possibile, i posti di lavoro in Italia”. 
Cambio di rotta che stupì perfino la Consob. Tanto che nel giro di due giorni il Lingotto venne costretto a dei chiarimenti ufficiali. “Il progetto Fabbrica Italia non è mai stato un piano finanziario, ma l’espressione di un indirizzo strategico che Fiat intende seguire ed ha il significato e lo scopo di esprimere l’impegno di Fiat a risolvere le problematiche che interessano i suoi siti industriali italiani e contribuire allo sviluppo delle potenzialità industriali del Paese”, recita una nota del Lingotto datata 27 ottobre 2011 in risposta a una richiesta della vigilanza dei mercati finanziari, precisando che “condizioni imprescindibili per il raggiungimento di tale risultato, il concorso di tutte le componenti sociali, sindacati ed istituzioni, nell’assicurare la governabilità dei siti produttivi e l’attuazione degli accordi che garantiscono adeguata flessibilità operativa”.
Non senza tradire un certo disappunto, poi, Torino aggiungeva che “alla luce dei possibili fraintendimenti, equivoci ed irrealistiche attese di dettaglio collegate al progetto Fabbrica Italia, Fiat, si asterrà, con effetto immediato, da qualsiasi riferimento a Fabbrica Italia, fermi restando gli impegni già assunti ed il suo generale intento strategico di contribuire alla soluzione dei problemi industriali dell’Italia ed al suo futuro sviluppo”.
Neanche un anno ed ecco che ora si torna allo status di progetto, benché “impossibile”. Anche perché, sottolinea Fiat parafrasando un intervento del premier Mario Monti della scorsa primavera a Cernobbio, “la Fiat con la Chrysler è oggi una multinazionale e quindi, come ogni azienda in ogni parte del mondo, ha il diritto e il dovere di compiere scelte industriali in modo razionale e in piena autonomia, pensando in primo luogo a crescere e a diventare più competitiva. La Fiat ha scelto di gestire questa libertà in modo responsabile e continuerà a farlo per non compromettere il proprio futuro, senza dimenticare l’importanza dell’Italia e dell’Europa”. E viene rimandato a ottobre ogni dettaglio sull’entità del ridimensionamento. Con buona pace degli operai del gruppo - non più tardi di ieri è stata annunciata una nuova settimana di cig a Mirafiori - e dei sindacati.
“Con questa dichiarazione si straccia l’ultimo velo di ipocrisia di un piano Fabbrica Italia che non è mai decollato lasciando i lavoratori nella cassa integrazione e nell’incertezza”, commenta Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom. “Anche a Pomigliano metà dei lavoratori non sono rientrati. Cadono le illusioni di chi pensava che lasciando dieci minuti di pausa o dando disponibilità agli straordinari comandati arrivassero gli investimenti. Dovrebbero riflettere tutti quelli che hanno firmato le intese. Tutto ciò accade con la complicità irresponsabile di una classe dirigente che ha lasciato da soli i lavoratori e in qualche misura la stessa Fiat”.
”Se dalla nota della Fiat emerge che il famoso piano Fabbrica Italia rischia di non esserci più siamo di fronte ad un problema molto serio”, aggiunge il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, che partecipa a un dibattito alla festa dei metalmeccanici torinesi della Cgil a proposito del comunicato della Fiat. Ancor più serio se si considera che nel bilancio degli ultimi due anni non c’è solo il mancato decollo del piano Fabbrica Italia. C’è anche il caso di Termini Imerese. L’impianto siciliano della Fiat inattivo da quasi un anno, mentre gli operai sono in cassa integrazione.  
Anzi, 450 sono nel limbo tra cassa integrazione ed esodo e avrebbero dovuto essere coperti dal decreto sugli esodati. Lo stop alla conversione del provvedimento, che complessivamente riguarda 55mila lavoratori, impedirebbe però al Lingotto di richiedere un ulteriore anno di cig per i restanti dipendenti dello stabilimento, col conseguente licenziamento collettivo a partire dal primo gennaio di tutti i lavoratori e a catena anche delle tute blu dell’indotto, in totale 2.200 persone. 
Il segretario della Fiom palermitana, Roberto Mastrosimone, punta il dito contro il Pdl. “Sebbene in commissione Lavoro alla Camera il via libera alla conversione del decreto avesse ottenuto l’unanimità – dice – al momento di calendarizzare il provvedimento per l’aula il Pdl si è opposto sostenendo che manca il via libera della commissione Bilancio alla copertura finanziaria. Se il decreto non sarà convertito entro il 6 ottobre si blocca tutto, migliaia di lavoratori perderanno tutto”. La Fiom, poi, sollecita il governo ad accelerare i tempi sulla vertenza. “Aspettavamo una convocazione al ministero dello Sviluppo per il 15 settembre, ma al momento tutto tace”.